Da Montague Rhodes James a “Hereditary” di Ari Aster

In alcuni dei più terrificanti racconti di Montague Rhodes James emerge la tematica hoffmanniana-ligottiana dell’uomo come burattino o marionetta, in balia di entità demoniache che si celano dietro le quinte del reale: particolarmente riuscito è “The Haunted Doll’s House”, che ha parzialmente ispirato il film “Hereditary” di Ari Aster.


di Marco Maculotti
copertina: la casa di bambola del film “Hereditary”, 2018

 

Nel primo articolo di questa ‘doppietta’ dedicata al genio di Montague Rhodes James, uno dei massimi esponenti del filone letterario dell’orrore sovrannaturale a cavallo tra XIX e XX secolo — come adeguatamente riconosciuto da H.P. Lovecraft nel saggio Supernatural Horror in Literature (1927) –, abbiamo avuto modo di sottolineare come i suoi celeberrimi “racconti di fantasmi” siano in realtà solo parzialmente — e in modo alquanto insufficiente — definibili tali. A tal riguardo, abbiamo avuto modo di sentenziare che:

« […] le creazioni letterarie di un James o di un Hoffmann si distaccano sensibilmente dalla canonica “storia di fantasmi” di scuola gotica, a partire dalla caratteristica di essere profondamente incentrate sull’elemento sovrannaturale-esoterico-magico piuttosto che su quello di natura sentimentale-psicologica. Così, per James come per Hoffmann (ma anche poi, in seguito, per Machen, Lovecraft e Blackwood) le apparizioni spettrali diventano una “spia” per introdurre e per mettere in scena orrori ben più grandi e indefinibili, dalle caratteristiche spiccatamente anti-umane e anti-razionali: il mondo della magia (nera) è una sorta di mondo alla rovescia in cui regna il caos assoluto e in cui i valori del mondo degli umani non sono né riconosciuti né vigenti. »

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Odilon Redon, “Germination”, 1879

Uomini e bambole

Un altro tema che talvolta fa capolino nei racconti dell’orrore di Montague Rhodes James, e che ci prefiggiamo di trattare in questo nostro secondo articolo a lui dedicato, è quello dell’essere umano come burattino o marionetta, il cui destino si rivela essere in ultima analisi in mano a entità ben più potenti ed enigmatiche, che giacciono dietro le quinte del reale: spiriti di streghe mai morte realmente, entità vampiriche, demoni infernali, e via dicendo. Abbiamo già notato come in uno dei più terrificanti racconti mai scritti da James, Topi (“The Rats”, 1929), il motivo dell’orrore è una sorta di spaventapasseri vivente, o per meglio dire un individuo che un tempo fu un essere umano, e che ora è una sorta di fantoccio non-morto, intrappolato a causa di una maledizione in una condizione sospesa tra la vita e la morte.

In altri racconti jamesiani il leitmotiv dell’uomo-marionetta viene sfruttato diversamente, dando vita a suggestioni hoffmanniane e ligottiane. È il caso, per esempio, della Storia di una scomparsa e di una apparizione (“The story of a disappearance and an appearance”, 1913), il cui climax di terrore è da individuare in un’esperienza onirica vissuta dal narratore dal sapore estremamente cinematografico, segnatamente lynchiano. Egli sogna di assistere a uno spettacolo di burattini (questa sequenza può portare alla mente del lettore alcune delle sequenze più “teatrali” de Il lupo della steppa di Hermann Hesse, che sarà dato alle stampe nel 1927) il cui personaggio principale, Pulcinella, è ammantato da una sorta di aura “satanica”, che lo rende simile, agli occhi del protagonista, al «Vampiro nel folle schizzo del Fuseli»:

« È cominciato con quello che posso solo definire come una tenda che si apriva: dopodiché mi sono trovato seduto in un posto, e non saprei dire se all’aperto o al chiuso. C’era gente — non molta — intorno a me, ma non riconoscevo nessuno, né vi facevo attenzione. Non aprivano bocca, ma per quel che ricordo apparivano tutti gravi e pallidi in volto, con lo sguardo fisso nel vuoto. Di fronte avevo lo scenario di uno spettacolo di Pulcinella e Colombina, forse molto più grande del normale, dipinto a disegni neri su sfondo rosso giallo. […] Me ne stavo “sospeso” in un’ansia di grado elevatissimo e mi aspettavo da un momento all’altro di udire pifferi e campanelli. Invece è giunto un improvviso ed enorme […] e unico rintocco di campane, non saprei dire quanto lontane, da qualche parte laggiù, là dietro. Il piccolo sipario s’è alzato e il dramma ha avuto inizio. »

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Odilon Redon, “Vision”, 1879

Da Montague Rhodes James al grande schermo: Hereditary di Ari Aster

Estremamente hoffmanniano in quanto ispirato al tema dell’essere umano come marionetta è anche La casa stregata delle bambole (“The Haunted Doll’s House”, 1923), uno dei racconti più strabilianti usciti dalla penna del Nostro. Qui come non mai è centrale il ruolo dell’oggetto che apre all’occhio interiore del protagonista la visione indicibile di un mondo ‘altro’ che tuttavia talvolta entra in collisione con il nostro: come nel romanzo di Abraham Merritt Il vascello di Ishtar (pubblicato l’anno successivo, il 1924) sarà un modellino di veliero a prendere vita propria e a condurre il protagonista in un mondo a parte, in miniatura rispetto al nostro e con leggi sue proprie, egualmente in questo racconto di James è una “casa delle bambole”, giocattolo molto in voga nell’Inghilterra vittoriana, a rivelarsi come una vera e propria imago mundi, o come un mondo dentro a un altro mondo, alla maniera di una matrioska.

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Oltre a ciò, ritorna a distanza di quasi vent’anni dalla pubblicazione de Il tesoro dell’abate Thomas (“The treasure of abbot Thomas”, 1904) la caratterizzazione di una delle apparizioni demoniache (il divoratore dei bambini) con caratteristiche anfibie sulla falsariga del Lovecraft di Dagon/Innsmouth:

« Una nuova specie di luce, né di lampada né di candela, cominciò a baluginare tutt’intorno alla cornice della porta. Questa si stava riaprendo. Al nostro spettatore, Dillet, non piace oggi dilungarsi su ciò che vide entrare da quella porta; dice che lo si potrebbe descrivere come una rana — dalla grandezza di un uomo — ma con bianchi e radi capelli intorno alla testa. Si diede da fare intorno ai lettini ma non per molto. Si levarono strepiti di grida — deboli come se provenissero da grande distanza — e tuttavia indescrivibilmente agghiaccianti. Ed ecco che tutta la casa entrò in una terrificante agitazione: luci che andavano su e giù, porte che s’aprivano e chiudevano e figure che passavano di corsa davanti alle finestre. L’orologio sulla torretta della stalla batté un rintocco e fu di nuovo buio. »

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Poster italiano di “Hereditary – Le radici del male”, 2018

“The Haunted Doll’s House” è senza ombra di dubbio una delle maggiori fonti di ispirazione per Hereditary — Le radici del male, film di Ari Aster (regista anche di Midsommar) uscito quasi un secolo dopo la pubblicazione della storia jamesiana (2018), a partire dall’espediente della casa di bambola animata. Ecco come James la descrive nel suo racconto:

« Non si chiese, fino alle prime ore del mattino, come mai, pur non essendoci alcuna luce nella stanza, la casa di bambola sulla scrivania fosse circondata dal più completo chiarore. Eppure era proprio così: si aveva l’impressione che la più tonda luna piena illuminasse la facciata di una grossa dimora in pietra bianca, lontana, sembrava, un quarto di miglio; e tuttavia ogni particolare risultava fotograficamente perfetto. C’erano anche alberi tutt’intorno, alberi che spuntavano da dietro la cappella e la casa. A Dillet sembrò di avvertire persino il profumo di una fresca notte settembrina […]. Infine, e fu un altro colpo, si rese conto che, al di sopra della casa, egli stava fissando non le pareti della sua stanza con i quadri e tutto, ma l’azzurro profondo di un cielo notturno. C’erano luci, più di una, alle finestre, e Dillet immediatamente capì che quella non era una casa di quattro stanze con una facciata rimovibile, ma una dimora con numerose stanze e scale… una casa vera, insomma, come vista, però, attraverso un cannocchiale capovolto. “Volete farmi veder qualcosa, per caso?” borbottò tra sé, senza distogliere lo sguardo dalle finestre illuminate. Nella vita reale, pensò, avrebbero tende e scuri, non c’è dubbio; invece, stando così le cose, la vista di ciò che sta accadendo in quelle stanze non è intercettata da nulla. »

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Una scena di “Hereditary” in cui anche la casa sull’albero assurge, quantomeno visivamente, a una valenza simile a quella della casa delle bambole

Oltre alla casa di bambola animata, che sembra vivere di vita propria, l’intera trama del racconto di James anticipa molti dei temi trattati nel film: nello spettacolo sovrannaturale della casa di bambola animata, che va ‘in onda’ ogni notte all’una in punto, il protagonista Dillet ricostruisce una tragedia avvenuta molti anni prima in una magione del circondario: una coppia di sposi, in seguito alla morte del padre di uno dei due e allo spoglio del testamento, fanno fuori i propri due figli per carpirne l’eredità, cui secondo le volontà del defunto sarebbe legalmente spettata.

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Ma non è finita qui: le modalità del delitto appaiono estremamente strane, con tutta probabilità connesse, come nel film di Aster, con la magia nera. La sposa, esattamente come in Hereditary, è oltremodo terrorizzata da una misteriosa presenza, al punto che James scrive che:

« […] l’espressione che aveva in viso era quella di una che combatte con tutte le proprie forze contro una paura che minaccia d’impadronirsi completamente di lei e di vincerla. Una bruttissima faccia, anche: grossa astuta, schiacciata. »

È proprio questa presenza demoniaca che ossessiona la moglie — descritta, come si è detto sopra, alla stregua di un batrace antropomorfo — a uccidere i bambini, divorandoli. In seguito a questa scena sovrannaturale, come accade anche nel film di Ari Aster, «ecco che tutta la casa entrò in una terrificante agitazione: luci che andavano su e giù, porte che s’aprivano e chiudevano e figure che passavano di corsa davanti alle finestre». James descrive inoltre, a questo punto del racconto, «nere figure con torce accese in mano» nei dintorni della casa, nonché «figure ancora più cupe [che] scendevano i gradini, recando, prima l’una poi l’altra, due piccole bare», richiamando alla mente dello spettatore le scene conclusive del film di Aster.

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Rappresentazione del demone Paimon, evocato in “Hereditary”

Sebbene in Hereditary il demone evocato non abbia le caratteristiche esteriori di quello del racconto jamesiano — si tratta segnatamente di Paimon, uno degli otto demoni governatori dell’Inferno, rappresentato ne La Piccola Chiave di Salomone come un uomo incoronato a cavallo di un dromedario — l’influenza di “The Haunted Doll’s House”, pubblicato quasi un secolo prima, è evidente, dalla tragedia familiare rievocata ‘magicamente’ dalla casa di bambola animata, all’eredità del patriarca della famiglia (nel racconto il nonno, nel film la nonna) fino ovviamente ai rimandi alla magia nera e all’evocazione di entità infernali che rivendicano la propria ‘proprietà’ sui figli della famiglia maledetta.

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Edizioni consultate:

  • Montague Rhodes James, Cuori strappati, a cura di Dino Buzzati, Bompiani, Milano 1967
  • Montague Rhodes James, Fantasmi e altri orrori, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton, Roma 1995

 

4 commenti su “Da Montague Rhodes James a “Hereditary” di Ari Aster

  1. Visto che citi Ligotti, spero tu approfondisca, è un autore che considero “alterno”; a seconda del racconto, o mi terrorizza, o mi annoia a morte. Mi trovo sempre spiazzato quando debbo dare un giudizio univoco sul suo operato. Vista l’atmosfera “Allouin” (preferisco decisamente chiamarlo Samhain), consiglio il suo racconto intitolato “La vigilia di Natale della zia Elise”, che, nonostante il titolo, si adatta di più a questo periodo.
    Io invece mi appresto alla rilettura di “Quei giorni in cui i morti ritornano”. Un saluto

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