“La fisica degli angeli”: dialogo tra un biologo visionario e un teologo ribelle

Può la fisica moderna dialogare con la tradizione teologica e mistica per fare luce sull’antica questione degli angeli? È questo l’interrogativo su cui si fonda “La fisica degli angeli”, testo-dialogo tra il teologo ribelle Matthew Fox, e il biologo Rupert Sheldrake, noto per la teoria della risonanza morfica, incentrato sull’analisi di alcuni dei testi più illuminanti di tre mistici cristiani: Dionigi Aeropagita, san Tommaso d’Aquino e Ildegarda di Bingen.


di Marco Maculotti
originariamente pubblicato su Il Corriere Metapolitico – Rivista escatologica di studi universali, n. 9/2019, pp. 80-87
copertina: John Martin, “Paradise Lost: Satan Viewing the Ascent to Heaven”, 1824, mezzatinta

Può la fisica moderna dialogare con la tradizione teologica e mistica per fare luce sull’antica questione degli angeli? È questo l’interrogativo su cui si fonda La fisica degli angeli (Edizioni Tlon, Roma 2016), testo-dialogo tra il “teologo ribelle” Matthew Fox, e il biologo Rupert Sheldrake, noto per la teoria della risonanza morfica, incentrato sull’analisi di alcuni dei testi più illuminanti di tre mistici cristiani: Dionigi Aeropagita, san Tommaso d’Aquino e Ildegarda di Bingen. Spaziando dalle antiche culture sciamaniche alle scoperte più recenti della fisica, i due autori si prefiggono di inquadrare e definire le potenze angeliche da una prospettiva che possa considerarsi valida in qualunque tempo e in qualunque luogo, tenendo conto sia delle tradizioni sacre che di quelle scientifiche contemporanee.

A parere di Fox l’assenza degli angeli nel mondo moderno (post-medievale) è stata determinata da ciò che egli definisce «la crisi della preghiera del mondo occidentale» (p. 28). Ma Sheldrake nota come, se in seguito alla rivoluzione scientifica del XVII secolo e alla conseguente meccanizzazione dell’universo gli angeli vennero del tutto estromessi da qualunque tipo di teoria scientificamente accettabile, qualcosa cambiò con le scoperte della fisica dello scorso secolo, e in particolar modo con la nascita della teoria dei quanti e con l’idea di un universo in espansione, evolutivo: non più considerabile unicamente come un meccanismo, ma altresì come un organismo vivente, che si sviluppa perennemente su più livelli.

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Lo stesso Karl Popper sentenziò che «attraverso la fisica moderna il materialismo ha trasceso se stesso»; e Sheldrake, che lo cita, chiosa osservando che «la materia non è più il principio esplicativo fondamentale, ma è essa stessa spiegata in termini di principi ulteriori, e precisamente energia e campi» (p. 32). «Invece dell’idea di una natura totalmente compresa nei termini della fisica matematica, si è rivelato che il 96% della materia e dell’energia nel cosmo è “materia oscura” ed “energia oscura”, interamente sconosciuta. È come se i fisici avessero scoperto l’inconscio cosmico» (p. 33).

Tirando le fila dalla sua nota teoria del «campo morfico», un campo organizzatore che starebbe alla base dell’intera struttura cosmica, Sheldrake ritiene che l’energia e la materia agiscano seguendo una certa «memoria intrinseca» (p. 34), ragion per cui la creazione sui diversi livelli di cui è formato il cosmo si svilupperebbe secondo determinati pattern osservabili ovunque. Proprio questi pattern o campi morfici che regolano il plasmarsi dell’energia cosmica e della materia nelle varie forme potrebbero essere definite, da un punto di vista scientifico, come le «potenze angeliche» che agiscono nell’Universo, regolandone i vari livelli secondo, appunto, una «memoria intrinseca» da cui essi sono guidati. D’altronde, nota Sheldrake, «il loro ruolo tradizionale è quello di essere dei connettori, dei messaggeri. Il termine angelo deriva dal greco ánghelos che significa messaggero. Si tratta di qualcosa che connette, e mettere in collegamento è proprio ciò che fanno i campi [morfici]» (p. 68). E ancora (p. 86):

« Gli angeli sono connettori, gestori, messaggeri che toccano e collegano il microcosmo, l’essere umano, e ci integrano con le sfere delle forze cosmiche. »

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Jermain Gildersleeve Porter, “The Stars in Song and Legend”, 1900

Di conseguenza, commentando Tommaso d’Aquino, Sheldrake ipotizza che «gli angeli interagiscano in qualche modo con i campi organizzatori delle cose. L’attività mentale di una persona, lo sviluppo di una pianta, la formazione di un fiocco di neve, l’intera attività di Gaia — tutto è organizzato dai campi. Anche gli atomi e le galassie» (p. 157). Non si tratterebbe altro che di ciò che la scienza moderna, la quale «si basa sull’idea che l’Universo sia governato da principi invisibili», definisce leggi di natura (pp. 116-7):

« […] essenzialmente intellettuali, perché le equazioni matematiche esistono solo nella mente. […] Questi sono tutti princìpi governatori invisibili. Ma sono concepiti in un senso estremamente limitato e sterile, più come equazioni matematiche astratte che come pensieri viventi con un potere creativo. » 

Particolarmente importanti sono le corrispondenze tracciate dai due autori tra il cosiddetto Big Bang che causò la nascita dell’Universo e le cosmogonie dei tre mistici analizzati nel dialogo. Sheldrake nota come i principi della termodinamica mostrino «che tutte le forme di energia possono essere trasformate in altre, e che nel cuore delle cose c’è l’energia. La forma più visibile di energia è il fuoco, ma l’energia è nascosta in tutte le cose. La fonte primordiale di tutta questa energia, secondo la moderna cosmologia, è la palla di fuoco originaria dalla quale è nato l’Universo» (p. 99). Ma, aggiunge Fox, «con l’espansione e il raffreddamento dell’Universo, ci fu quella che viene chiamata separazione di materia e radiazione, il separarsi della materia dalla luce. […] la differenziazione della luce dall’oscurità è preceduta da uno stato che trascende entrambe, una specie di fuoco al di là della luce e dell’oscurità» (p. 122).

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“Angels of Twilight”, illustrazione tratta dal Cassell’s Family Magazine, 1880

Tutto ciò sembra richiamare le visioni di Ildegarda di Bingen, che scrisse: «Il fuoco primigenio a partire dal quale gli angeli vivono e ardono è Dio stesso. Questo fuoco è ogni gloria da cui il mistero dei misteri proviene» (p. 188). «La cosiddetta radiazione cosmica di fondo è ritenuta la luce residua prodotta del Big Bang», enuncia Sheldrake. «Questi fotoni sono tra le cose più vecchie possibili, ma non si sono consumati perché sono senza tempo» (p. 152).

Commentando la preghiera cosmica di Ildegarda («Il cosmo intero intona il canto degli angeli», p. 191), Sheldrake nota come le immagini descritte dalla santa sono «immagini in movimento» (p. 192):

« In questa preghiera c’è un movimento all’indietro, verso Dio, forse un rispecchiamento. L’energia si muove fuori da Dio attraverso gli angeli; e il movimento di ritorno a Dio, che ha la forma della preghiera, è vibratorio, dinamico e significativo, profondo. » 

La preghiera viene dunque intesa come vibrazione, allo stesso modo in cui la fisica moderna interpreta la natura intera come vibratoria, ritmica e oscillatoria, «perfino nel cuore degli atomi». Fox, da parte sua, sottolinea la prospettiva panteistica di questo modo di intendere Dio (p. 193):

« Non si tratta di voci individuali; c’è una vibrazione cosmica, un canto cosmico, delle onde cosmiche: preghiera. Come i nostri occhi afferrano solo una quantità limitata di luce, le nostre orecchie possono udire solo una piccola parte del canto. E del fuoco, e del vento. La parola segreta nascosta nelle cose offre una preghiera costante e universale a Dio. »

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Ildegarda di Bingen

Sono queste osservazioni che non si distaccano molto dalla «mitopoiesi del suono» e dalle «cosmogonie sonore» di Marius Schneider (cfr. La musica primitiva), musicologo tedesco che considerava il Verbo (o il Suono, o la Parola) e l’aspetto vibratorio ad esso legato come la divinità stessa, in azione perpetua all’interno del Cosmo, fin dall’illo tempore delle Origini. «Nell’età moderna», osserva Fox, «siamo riusciti ad antropocentrizzare la parola “parola”. Ma in realtà, la “parola” è molto più originaria, e riconsiderarla come una vibrazione ci aiuta a deantropocentrizzare la divinità» (p. 194). Interpretando le potenze divine alla stregua di questa Parola/Vibrazione che, diffondendosi attraverso i vari livelli del Cosmo, lo permeano, lo creano e lo plasmano, a Fox risulta maggiormente spiegabile l’ordine matematico su cui si fonda l’Universo intero.

L’idea di una «gerarchia nidificata» (olarchia) in cui sono disposte le potenze angeliche, d’altronde, emerge chiaramente anche nelle visioni di Ildegarda (pp. 200-1):

« E poi l’onnipotente Dio ordinò la celeste milizia in ordini diversi […] ognuno di questi è destinato a essere specchio del sigillo dell’altro. In ogni riflesso riposano misteri nascosti che nemmeno gli ordini angelici possono comprendere, conoscere, percepire o portare a compimento nella loro interezza. Per questo motivo aspettano nella meraviglia e ascendono di lode in lode rinnovandosi continuamente; la loro preghiera di lode non si esaurirà  mai. » 

Questa dottrina, che va di pari passo all’immagine di Dio come una ruota, mette in risalto l’interdipendenza tra i vari livelli cosmici e angelici («la parte ha bisogno del tutto e il tutto della parte», chiosa Fox) e inoltre inserisce gli angeli nel pieno della Creazione, e non come separati ontologicamente da essa: essi «sembrano seguire gli stessi schemi di interconnessione che regolano il resto della natura» (p. 201).

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Nikolai Kalmakov, “Seraphim”, 1916

Sheldrake e Fox si spingono oltre, intravedendo nella visione dell’Inferno della mistica idee moderne come quelle di buco nero e antimateria. «Ho lasciato vuoto il Nord», scrive Ildegarda riportando il messaggio di Dio, «qui non brillano né il Sole né la Luna. Perciò, in questo posto, lontano da tutte le strutture mondane, si trova l’inferno, che non ha tetto e pavimento. Qui regnano le pure tenebre, che però sono contemporaneamente al servizio di tutte le luci della mia fama». Come sottolinea Fox, la santa «rende onore al ruolo positivo dell’oscurità; ne parla come dell’utero, la collega alla gestazione, che è tempo di tenebre, dubbio e attesa», mettendo in luce il fatto che l’utero sia da intendersi come «un luogo di fecondità positiva, nonostante sia buio» (p. 206). D’altronde, nelle tradizioni antiche e pre-cristiane, l’equivalente dell’Inferno cristiano era il «mondo di sotto» o l’Aldilà: si pensi all’Ade greco, allo Sheol ebraico, al Bardo del Libro Tibetano dei morti, o ancora al regno dei Sidhe nel folklore gaelico; tutti mondi oscuri, fluidi, semi-materiali, in cui le forme interagiscono mutando perennemente, e in cui dimorano le anime dei trapassati in attesa di reincarnarsi nuovamente nel nostro piano di esistenza sublunare.

E se il Nord è detto essere, nelle rivelazioni di Ildegarda, il regno delle tenebre, non sorprende che proprio nell’estremo Settentrione sia posto il Trono di Lucifero (la Stella Polare?), il primo angelo, in cui Dio «impresse tutta la bellezza delle opere della sua onnipotenza», decorandolo «come il cielo e come un mondo intero», dandogli «tutte le stelle, la bellezza della vegetazione e ogni tipo di pietra scintillante». Infine, «lo chiamò Lucifero, portatore di luce, perché diffondesse la sua luce, che è eterna» (pp. 206-7). Sheldrake commenta questo ed altri passi sul principe degli angeli ribelli sottolineando come la sua Caduta «avviene proprio all’inizio della creazione, molto tempo prima che prenda forma il resto dell’Universo», e giunge alla conclusione che «la separazione quindi c’è da sempre», essendo forse «nella natura delle cose»:

« Come la formazione della luce implica quella dell’oscurità, la formazione della coscienza, e l’esercizio del libero arbitrio, deve comportare la possibilità di una negazione della sua fonte. »

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Alexandre Cabanel, “The Fallen Angel”, 1868

Trovandosi l’origine della coscienza «nella coscienza di Lucifero, il primo e più splendido degli angeli», ne deriva che proprio la negazione della fonte originaria sia da imputare come peccato originale all’uomo stesso, al punto che Fox considera «il peccato di Lucifero, per come è descritto da Ildegarda, l’avanguardia della perversione umana» (p. 208). Ildegarda afferma inoltre che Lucifero «si separò dall’amore di Dio e andò verso l’oscurità» e allora, come dice Sheldrake, «iniziò a parlare a se stesso. Il movimento verso le tenebre permette una differenziazione della coscienza, un dialogo interiore». In ciò, conseguenza del distacco dalla «gerarchia nidificata, dalla relazione di interdipendenza tra Dio e il resto della creazione», egli vede l’antesignano di ciò che chiama «l’autismo del mondo moderno», vale a dire quello che Thomas Berry definisce «il nostro parlare a noi stessi»: «tutto ciò», commenta Sheldrake, «sembra la replica dell’autismo e del solipsismo di Lucifero» (pp. 210-1).

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Ma le speculazioni si spingono ben oltre, perché nelle rivelazioni di Ildegarda Lucifero assurge a coscienza cosmica stessa che, distaccandosi dalla sua Fonte Originaria in illo tempore, dà vita progressivamente, precipitando sempre più a fondo nelle ronde della materia, al piano della manifestazione universale. Lucifero (p. 212):

«[…] si protese avidamente verso il male, che lo risucchiò nell’abisso. Così, per lui si estinse l’eterna maestosità, e precipitò nella corruzione infinita. Le stelle rimanenti divennero nere come la brace spenta. Con il loro seduttore, vennero spogliate del maestoso splendore. Si spensero in una cupa perdizione, privati di tutta la luce della beatitudine, proprio come le braci senza la scintilla di fuoco. »

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Samuel Forde, “Fall of the Rebel Angels”, 1828

In queste stelle nere, Sheldrake individua anche una corrispondenza con i buchi neri, resti di stelle collassate in se stesse, in grado di risucchiare qualunque cosa dentro di sé; per questo, egli rimane particolarmente colpito dall’immagine della santa che descrive Lucifero e i gli angeli caduti mentre «vengono fatti roteare verso le tenebre» attraverso un vortice, che potrebbe essere visto addirittura come un vortice spazio-temporale, al punto che Ildegarda scrive che Dio «li strappò via dal Sud e dal bene, e li tirò indietro nel tempo» (pp. 212-3, corsivo nostro). «Per quanto ne sappiamo», chiosa Sheldrake, «una volta che qualcosa cade in un buco nero cessa di esistere. Questa è un’immagine grafica della perdizione, della perdita totale, molto più forte di quella antiquata dell’inferno» (p. 213). Fox, dal canto suo, osserva come «questo linguaggio [sia] apocalittico; gli avvenimenti cosmologici hanno implicazioni psicologiche e morali. Ildegarda riunisce psiche e cosmo» (p. 214).

Non sorprende dunque come nella cosmogonia di Ildegarda l’umanità sia da inquadrare come sostituta degli angeli caduti. Scrive infatti la mistica (p. 215):

« A quel tempo Dio formò un’altra forma di vita. Sprofondò questa vita nei corpi e li elevò. Questi sono gli umani. Ora Dio dà loro il posto e gli onori degli angeli perduti, così che possano completare la preghiera che altri non hanno voluto compiere. […] L’essere umano, quindi, è il perfetto “decimo”, il decimo coro che completa tutto attraverso il potere di Dio. [Dio disse:] “Ho dato lo splendore che il primo angelo ha rifiutato agli umani — ad Adamo e alla sua razza”. » 

Né si deve tralasciare, a proposito del «decimo coro», il fatto che Ildegarda, alla stessa maniera dei Pitagorici, considerasse il dieci come «numero aureo», simbolo di perfezione cosmica.

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Aladár Kacziány, “Symbolismus“

Riguardo alla questione degli angeli caduti e a quella della nascita della coscienza umana, Sheldrake si domanda se non sia stata proprio la comunicazione con intelligenze angeliche a far sorgere quest’ultima. Per giustificare questa sua ipotesi egli si rifà alle tradizioni sciamaniche di tutto il mondo, sottolineando come «tutti i miti parlano dell’eruzione di un potere creativo che arriva da un’altra dimensione, dal regno degli spiriti. […] il ruolo di questi esseri non-umani è così universale nei miti da suggerirmi che, nell’evoluzione della coscienza, ci siano stati una serie di salti creativi che hanno coinvolto contatti con intelligenze angeliche» (p. 219) — su ciò citando anche le ipotesi del suo amico Terence McKenna (cfr. The Archaic Revival e il “trialogo”, scritto insieme a Sheldrake stesso e a Ralph Abraham, La mente evolutiva).

«Si tratta di archetipi profondi», prosegue Sheldrake. «Nel mondo moderno, hanno recitato la loro parte soprattutto nella dimensione della fantascienza, e quando qualcuno ha fatto esperienza dell’alterità, l’ha incontrata proprio nella veste confezionata di storie del genere [fenomeno UFO]. Nel Medioevo non c’era la fantascienza, ma una angelologia ben sviluppata. Con il venir meno della credenza negli angeli e con la secolarizzazione del cosmo, questi archetipi sono in larga parte rimasti, ma reinterpretati in chiave fantascientifica: non più ali, ma navicelle spaziali che solcano i cieli» (p. 234). «Sia la nostra immagine del cosmo, che la nostra immagine degli angeli», concorda Fox, «sono state meccanicizzate»; e Sheldrake chiosa amaramente: «un Universo sterilizzato contro gli spiriti» (p. 237).

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René Charles Edmond His, “All Saints’ Day”, 1897

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