La vera natura dell’Uomo Verde

Motivo ornamentale inizialmente nelle miniature medievali, poi nell’architettura cristiana britannica e germanica, il simbolo del “Green Man” è un vero e proprio mistero, in quanto pur nascendo apparentemente in epoca cristiana risulta veicolare indubbiamente simbolismi ‘pagani’ sulla rinascita perpetua dell’anima vegetativa della natura e del cosmo tutto.

di Obsidian Mirror

Originariamente pubblicato su the Obsidian Mirror, blog dell’Autore

Figura dalla potenza ancestrale, l’Uomo Verde incuriosisce e affascina perché sembra toccare corde profonde e inesplorate dentro di noi. Eppure non se ne parla molto e, quando lo si fa, l’argomento viene liquidato in fretta e spesso in modo non soddisfacente. Se si è arrivati a sviscerare abbastanza bene l’origine di questi fregi, non si sono fatti molti tentativi per comprendere il significato nascosto all’ombra di quello convenzionale, universalmente accettato come veritiero. Il problema è che non esistono descrizioni dell’Uomo Verde in letteratura che ci possano aiutare, come invece ne esistono per altri tipi di simboli (ad esempio nei bestiari medievali), perciò nessuna interpretazione potrà mai essere indicata come assoluta. Signore e signori, ci troviamo in un terreno minato nel quale qualsiasi ipotesi si decida di abbracciare dovrà essere considerata necessariamente un’opinione, e non un fatto assodato.

Dell’Uomo Verde sapevo quel che sanno tutti, ovvero che si tratta di un simbolo pagano da interpretarsi come la raffigurazione dell’unione e del rispetto che i pagani nutrivano per la natura: OsirideNettuno, il titano OceanoArtemide e suo fratello DionisoPan, le ninfe driadi e amadriadi e il mito della Grande Madre sono solo esempi della divinizzazione della natura operata nel tempo dall’uomo. Un simbolo perpetuato per secoli da anonimi artisti che silenziosamente osteggiavano l’ortodossia cristiana a favore di fedi più antiche. Un simbolo che nel secolo scorso si è trasformato in simbolo di rinascita, un archetipo che indica il risvegliarsi della natura, ovvero la primavera, significato ripreso dalle cerimonie wiccan e dai numerosi festival dedicati all’Uomo Verde che si tengono annualmente in varie parti d’Europa (come quello di Clun, nella regione scozzese dello Shropshire). Per i neopagani si tratta di una rappresentazione del lato maschile del divino, un simbolo di forza e determinazione che probabilmente rimanda a tempi remoti in cui queste qualità erano indispensabili per la caccia e, quindi, per la sopravvivenza.

Rosslyn Chapel, Scozia. Una delle oltre cento raffigurazioni del Green Man presenti nella chiesa. L’Uomo Verde viene generalmente interpretato come un simbolo di fertilità pagana derivante dalla tradizione celtica, né buono né cattivo, ma piuttosto con caratteristiche in bilico tra bene e male

Eppure questa interpretazione non mi ha mai convinto del tutto, perché la storia dell’arte è piena di rimandi pagani o comunque eterodossi molto ermetici, chiari solo all’occhio allenato ed esperto, mentre la natura dell’Uomo Verde (mi si perdoni il gioco di parole) è talmente evidente che il fatto che sia potuto passare indenne sotto la mannaia della censura mi crea più di una perplessità. Mi sembra strano che l’apice della sua diffusione sia potuto avvenire proprio nel Medioevo, uno dei periodi notoriamente più intolleranti della storia.

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Dopo diverse ricerche, posso infine dire di non essere l’unico a pensarla così. Se fino agli anni ’50 del secolo scorso l’interpretazione classica dell’Uomo Verde è sempre rimasta incontestata, negli ultimi decenni altre voci si sono levate dal coro per proporne una un po’ differente. Tra queste c’è l’idea che si sia voluta incorporare nell’arte cristiana una serie di simboli pre-esistenti che era virtualmente impossibile estirpare: si sarebbe fatto cioè quello che si è fatto con il Natale, una festa pagana riciclata nel Cristianesimo, seppure con significato diverso, per sfruttarne la popolarità presso le masse.

Purtroppo l’argomento ha sempre suscitato un interesse molto tiepido da parte del mondo accademico: le pubblicazioni che ne parlano sono scarse e quasi tutte in lingua inglese, come ad esempio il breve saggio The Green Man di Richard Hayman che, se l’argomento vi interessa, vi consiglio caldamente di leggere, oppure Images of Lust: Sexual carvings on medieval churches di Anthony Weir e James Jerman.

La Colonna dell’Apprendista a Rosslyn. Alla base ci sono otto draghi dalle cui fauci emergono rami di vite che avvolgono a spirale tutta la colonna. Un’immagine affine a quella dell’Uomo Verde.

In Gran Bretagna pare non sia stato possibile trovare tracce dell’Uomo Verde prima del Cristianesimo, perciò si è giunti alla conclusione che esso sia un prodotto del Cristianesimo stesso. La tesi del libro di Hayman fondamentalmente è questa. Perché altrimenti si sarebbe dovuta inventare di sana pianta un’immagine/icona (che non esisteva) legata ad una religione preesistente? La questione, come vedete, non è affatto semplice. Bisognerebbe innanzitutto ragionare sul significato della natura nel Cristianesimo, ma prima di farlo riassumiamo più genericamente ciò che sappiamo dei fregi noti come Uomo Verde. Nel decimo secolo essi cominciano ad apparire come illustrazioni sui manoscritti, specialmente in Francia.

Si tratta di Bibbie, libri di Salmi e Ordalie, libri d’ore, persino opere di teologi famosi come i Moralia di San Gregorio Magno, un’esegesi del libro di Giobbe, dove spesso si fondono con i motivi intrecciati tipici dell’arte sassone e celtica: ricordano in effetti dei serpenti che si mordono la coda, motivi decorativi di evidente praticità stilistica, e possono essere interpretati come le insidie e gli ostacoli della vita terrena. In un secondo momento compaiono come elementi architettonici nelle chiese di stile germanico. Ben presto si diffondono ovunque in chiese, cattedrali ed abbazie, ma anche in altri edifici, ecclesiastici e non, sia come fregi architettonici, sia negli arredi in legno (come le panche), ed anche nell’arte funeraria (sulle tombe, insomma). La loro popolarità si accresce tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo.

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Nella forma più semplice si tratta di visi, generalmente maschili, dai cui orifizi, occhi, naso, bocca e orecchie, spunta il fogliame, spesso rami o foglie di vite, oppure che hanno foglie e arbusti al posto di barba e capelli; queste ultime sembrano quasi versioni della Medusa al maschile, cui assomigliano in maniera inquietante. Ma ce ne sono anche di più astratti, in cui è la vegetazione a predominare e i lineamenti umani sono solo accennati, appena distinguibili: teste fatte di foglie che sarebbero piaciute ad Arcimboldo. A dispetto del nome, non si tratta sempre di visi umani: spesso sono demoni, maschere (ovvero stereotipi), persino animali, in preferenza felini. Talvolta sono provvisti di denti e sembrano mordere i rami. Se in alcuni casi la loro associazione con il maligno è evidente, in altri sembrano motivi decorativi senza particolare significato, più che altro una dimostrazione del gusto per l’assurdo e il bizzarro tipico del Medioevo.

L’Uomo Verde resta più o meno popolare fino al sedicesimo secolo, per poi conoscere un periodo di oblio e tornare brevemente in auge, con il neogotico, nel diciannovesimo secolo. Il fatto che sia praticamente scomparso con il declino dell’arte e dell’iconografia medievale è proprio il lato più curioso della faccenda. Precedenti dell’Uomo Verde si trovano nell’antichità classica e si è ipotizzato che possano essere di derivazione indiana ma, se anche fosse, questo non ci aiuterebbe a comprendere il significato attribuito loro nel nostro Medioevo. Non è stato possibile trovare legami diretti tra queste immagini neanche in epoche diverse nell’ambito dello stesso territorio; e se è vero che è possibile trasferire immagini tra culture anche molto diverse tra loro, difficilmente esse mantengono il loro significato originale.

Un esempio su tutti è la svastica: il significato attribuitogli da buddismo ed induismo non ha nulla a che vedere con il celeberrimo simbolo nazista, tanto che ancora oggi in Occidente è socialmente inaccettabile (oltre ad essere un reato) esibire la svastica. Pensiamo anche a come da noi agli animali siano associati vizi e virtù derivati dalla morale cristiana, mentre in altre culture hanno o hanno avuto un significato molto diverso: per esempio il gufo, simbolo di saggezza, nel Medioevo indicava al contrario l’ignoranza.

Nel Vecchio e Nuovo Testamento la natura è spesso associata a eventi soprannaturali. Nel giardino dell’Eden si trovano l’Albero della Vita e quello del Bene e del Male; quando Dio sceglie di rivelarsi a Mosè, gli appare in un cespuglio ardente, che non si consuma (Esodo 3, 2); Cristo indica un’analogia tra se stesso e la vite (Giovanni 15, 1) e tra i suoi discepoli e i tralci di vite (Giovanni 15, 5); rami di palma vengono usati per accogliere Gesù al suo ingresso in Gerusalemme; ecc. ecc.

Luppitt, Devon. Qui il volto ornato di foglie, scolpito sull’acquasantiera, rappresenta sicuramente un demone.

Nel Cristianesimo la natura viene vista come parte del piano di Dio e perciò come un’entità morale. Nel Medioevo essa veniva descritta come pervasa da forze opposte di duplice natura, positiva e negativa; persino Dante contrappone alla “selva oscura” dell’Inferno la “divina foresta” del Paradiso. La cosa non deve stupire, se si pensa che all’epoca i territori erano poco urbanizzati e, quando ci si metteva in viaggio, era necessario attraversare boschi e foreste popolati da bestie feroci e rifugio degli emarginati della società (briganti, reietti, appestati e così via): pericoli reali che, nell’immaginario collettivo, confluirono nei racconti sui boschi come luogo d’elezione dei pagani e delle streghe (che lì tenevano le proprie cerimonie, le orge e i sacrifici umani) e nelle fiabe.

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D’altro canto, pastorizia e agricoltura erano essenziali per il sostentamento della popolazione e la cultura contadina era pervasa da culti legati alla natura. Pertanto, in generale, se erano frequenti le allegorie legate ai boschi come luoghi di pace, paradisiaci, lo erano altrettanto quelle che li vedevano come luoghi di tentazione: nel buio del bosco il diavolo cercava di deviare i fedeli dal sentiero della rettitudine. Nacque la metafora della foresta come luogo iniziatico, celebrata da una letteratura dall’innegabile fascino come, ad esempio, i cicli bretoni e la saga dei Nibelunghi, ma anche la storia di Robin Hood, figura che tra l’altro si fa ricondurre proprio a quella dell’Uomo Verde. Jack in the green, Babbo Natale, Peter Pan e Khidr, figura mitica del’Islam sono altre figure che sono state associate a quella dell’Uomo Verde.

Melbourne, Derbyshire. L’immagine sul capitello è quella di un demone-gatto con le gambe aperte a mostrare i genitali. Il demone morde un ramo, forse a simboleggiare il Diavolo che tenta, senza riuscirvi, di rovinare l’opera di Dio.

Nel basso Medioevo, con la nascita di comunità religiose come quella dei francescani e dei cistercensi, la foresta divenne per l’Occidente quello che il deserto è per l’Oriente, un luogo che permise il nascere di un nuovo tipo di spiritualità. Nell’arte medievale, però, spesso prevale una visione oscura della natura e anche l’Uomo Verde potrebbe essere stato utilizzato per simboleggiare vari significati che in qualche modo hanno a che fare con il peccato, anche se con un impatto inferiore a quello di draghi e altre creature mitologiche dalle connotazioni morali ben codificate: la lussuria e i peccati della carne, la condizione di mortalità dell’uomo, l’esitazione nel seguire la retta via, la lotta tra bene e male.

Le origini dell’Uomo Verde sono sicuramente ascrivibili all’era pre-cristiana, tuttavia non ci sono prove che esso sia stato in qualche modo codificato in modo specifico o venerato nell’antica Europa e la sua tradizione si è affermata nell’ambito del Cristianesimo, quindi, secondo un’altra tesi, dovremmo piuttosto considerarlo un archetipo in senso platonico e junghiano, un’immagine presente nel nostro inconscio collettivo che continua a riapparire quando l’umanità sente il bisogno di riaffermare la propria unione con la natura. Mai come prima d’ora, un’immagine di attualità. Qualunque cosa rappresenti in realtà, l’Uomo Verde rimarrà sempre una mia personale ossessione. E, come mi avevano profetizzato, dopo essere stato a Rosslyn, con le sue oltre cento raffigurazioni dell’Uomo Verde, non sono più lo stesso. Quelle cento e rotti paia di occhi mi stanno ancora seguendo e, temo, sempre lo faranno.

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