Origini dravidiche: la civiltà della Valle dell’Indo come origine di alcuni miti e rituali vedici

Questo articolo ricostruisce le rilevanti coincidenze tra diversi reperti della Civiltà della Valle dell’Indo e i miti e i rituali della successiva cultura vedica.

di Alessandro Lorenzoni

Copertina: sigillo di pashupati

Forse il reperto più significativo della Civiltà della Valle dell’Indo è il sigillo ritrovato a Mohenjo-daro che mostra una divinità con tre volti seduta in posizione yogica e attorniata da diversi animali: un rinoceronte, un bufalo, un elefante, un uomo, una tigre e, al disotto, due antilopi. Il significato di questo reperto muto – conservato al National Museum di Nuova Delhi – potrebbe essere all’origine di alcuni miti della civiltà vedica, successiva a quella di Mohenjo-daro. Sinora le due civiltà sono state considerate separatamente; ma un’analisi approfondita degli elementi del sigillo di Mohenjo-daro suggerisce una stratta relazione tra loro. Esaminiamo dunque ognuno di questi elementi.

Sigillo di Pashupati

1. La divinità e gli animali

La divinità con tre volti seduta in posizione yogica è attorniata da diversi animali erbivori. La divinità vedica Prajāpati emette tutte le geniture (o le creature) solo per farle rimanere con sé per la propria śrī [1] e per il proprio cibo:

ŚBK, 4, 9, 1, 1. Infatti, Prajāpati – emesse le geniture – si pensò come svuotato. Perciò, inoltre, le geniture divennero lontane (da lui) –  non rimanevano con lui, per laśrī, per il cibo.

ŚBK, 4, 9, 1, 2. Egli (Prajāpati) rifletté: “Io (mi) sono esaurito. Inoltre, il desiderio – per il quale ho emesso le geniture [2] – non è stato soddisfatto (raggiunto) per me: loro (le geniture, ŚBM, 3, 9, 1, 2) sono divenute lontane (da me) – non rimangono con me, per la śrī, per il cibo!”. “In quale modo e posso accrescere ancora me stesso e le geniture possono tornare insieme vicine a me – possono rimanere con me, per la śrī, per il cibo?”.

Prajāpati è così al centro di tutte le geniture – le quali tornano vicine a lui e sono così il suo cibo [3]: 

PB, 17, 10, 2. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro andavano via da lui. (…) Così, (Prajāpati) andava (vyavait) al loro centro. Loro tornavano vicine a lui. Lo circondavano.

PB, 21, 2, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro andavano lontane da lui, spaventate: “Ci divorerà”. Egli diceva: “Che torniate vicine a me! Infatti, vi divorerò, in modo tale che – divorate – più numerose [abbondanti] genererete”. A loro – gli avevano detto: “Prometti!” – prometteva, (con la melodia) con il finale ṛtá. (Con la melodia) con il finale ī, (Prajāpati) (le) divorava (āvayat). (Con la melodia) con il triplice finale, (le) induceva a generare (prājanayad).

Le geniture di Prajāpati sono solo il cibo e così sono come gli armenti per i Devā:

JB, 2, 254. (Il migliaio di vacche) diceva: “Infatti, sono spaventato dalla diminuzione”. “No”, dicevano (i Devā), “Infatti, ti divoreremo, in modo tale che – mangiato, bevuto – non diminuirai per noi”. A lui – “Infatti, che (voi) mi promettiate!” – promettevano, (con la melodia) con il finale ṛtá. (Con la melodia) con il finale ī, (lo) divoravano (āvayan). (Con la melodia) con il triplice finale, e lo inducevano a generare e per lui facevano l’ákṣiti [4].

Ad eccezione della tigre, gli animali erbivori attorno alla divinità di Mohenjo-daro sono tutti piegati su quattro piedi:

KS, 29, 9. Prajāpati emetteva le geniture. Loro erano andate via da lui. Loro erano andate verso l’alto. Le desiderava: “Possono tornare vicine a me”. Egli ardeva. Egli immolava se stesso, per il sacrificio. Loro tornavano vicine a lui. Loro erano spaventateda lui. Loro erano piegate. Perciò, gli armenti sono piegati.

I miti vedici narrano come Índra divenga con un volto (con una bocca) in ogni direzione e così divori tutte le geniture di Prajāpati:

TB, 2, 2, 10, 6 e 7. Divenuto Prajāpati, egli (Índra) divorava (āvayat) le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il cibo. (…) Divenuto con un volto (con una bocca) in ogni direzione, (Índra) le divorava. In questo modo, infatti, le geniture rimanevano con lui, per il cibo.

Índra si rade la testa e così diviene con un volto (o con una bocca) in ogni direzione – come Prajāpati: «Colui il quale, così conoscendo, si rende rasato, divenuto Prajāpati, divora le geniture. Le geniture rimangono con lui, per il cibo. Diviene un divorante» (TB, 2, 2, 10, 7). Il cibo di Prajāpati va via da lui in ogni direzione:

JB, 3, 256. Prajāpati emetteva il cibo. Spaventato dalla diminuzione, (il cibo) andava via nelle direzioni. Egli (Prajāpati) desiderava: “Posso ottenere il cibo”. Egli vedeva una melodia. Con questa (melodia): “È rimasto, qui! È rimasto, qui!”, (Prajāpati) otteneva il cibo, da tutte le direzioni. 

Non solo la divinità del sigillo di Mohenjo-daro è attorniata dagli animali, ma ha tre volti per altrettante direzioni. Il TB racconta inoltre come Índra – il rājanyá [5] dei Devā – sia insediato da Prajāpati:

TB, 2, 2, 10, 1-3. Prajāpati emetteva Índra – il più giovane dei Devā. Gli ordinava: “Vai! Che (tu) sia l’ádhipati [6] di questi Devā!”. I Devā gli dicevano: “Chi sei tu? Infatti, noi siamo migliori di te”. Egli diceva (a Prajāpati): “‘Chi sei tu?’, i Devā mi hanno detto, ‘Infatti, noi siamo migliori di te’”. Allora, in quel tempo, il fervore – che è nel Sole – era qui in Prajāpati. (Índra) gli diceva: “Che (tu) me lo dia! Allora io diverrò l’ádhipati di questi Devā”. “Io chi posso essere”, diceva (Prajāpati), “(avendo)lo dato?”. “Puoi essere”, diceva (Índra), “ciò che dici (= Chi)”. Infatti, Chi è il nome (di) Prajāpati. (…) Fatto un disco d’oro (rukmáṃ), (Prajāpati) lo metteva addosso a lui. In questo modo, Índra diveniva l’ádhipati dei Devā. Colui il quale così conosca diviene l’ádhipati dei pari.

Una statua di Mohenjo-daro mostra un re o un sacerdote con un disco sulla fronte:

Via Harappa

Miti simili a quelli su Prajāpati e le sue geniture si estendono a Índra e ai suoi Devā:

JB, 2, 100. Prajāpati emetteva le geniture. Emesse, loro non lo rispettavano. Egli desiderava: “Posso raggiungere il rispetto in queste geniture”. (…) In questo modo, infatti, loro lo rispettavano. Infatti, inoltre, i Devā non rispettavano Índra. Egli andava da Prajāpati: “Infatti, i Devā non mi rispettano”. (Prajāpati) gli dava (vyadadhāt) il sacrificio (per) il rispetto. (…) In questo modo, infatti, i Devā lo rispettavano. 

Índra è la principale divinità indoeuropea; mentre Prajāpati potrebbe essere una divinità di origine dravidica. Il potere di Índra sulle geniture (o sulle creature) deriva da Prajāpati:

PB, 16, 4, 1. Prajāpati emetteva le geniture. Loro non rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya [7]. Egli – attratto il succo (rasaṃ) di queste direzioni e geniture, fatta (che ne ebbe) una ghirlanda – se (la) metteva addosso. In questo modo, le geniture rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya. 

PB, 16, 4, 3. Egli (Prajāpati) desiderava: “Índra può essere il migliore (śreṣṭhaḥ) nella mia genitura”. Metteva la ghirlanda addosso a lui. In questo modo, le geniture rimanevano con Índra, per il śraíṣṭhya – vedendo (in Índra) l’ornamento che vedevano nel padre.

Le geniture – solo per lui e non per se stesse – insorgono contro Prajāpati:

PB, 7, 5, 1 e 2. Prajāpati desiderava: “Posso essere molteplice. Posso generare”. Egli rimaneva – afflitto, infelice. (…) Così (con questo āmahīyava [8]), emetteva queste geniture. Emesse, loro erano felici. (…) Emesse, loro erano andate via da lui. Prendeva (…) i loro prāṇā (i respiri). Prese nei prāṇā, loro tornavano ancora vicine a lui. Dava (…) loro ancora (indietro, punaḥ) i prāṇā. Loro erano insorte contro di lui (o gli avevano mostrato avversione). Spezzava (…) le loro collere. In questo modo, infatti, loro rimanevano con lui, per il śraíṣṭhya.


2. La divinità e la tigre

Gli animali attorno alla divinità del sigillo di Mohenjo-daro sono su quattro piedi – ad eccezione di una tigre. Quest’ultima si accinge a divorare la divinità, dopo averla afferrata con le zampe anteriori. Prajāpati nei miti vedici sta per essere divorato da suo figlio Agní (il Fuoco), il quale è Morte: Prajāpati genera ancora e così salva se stesso da Agní:

ŚBM, 2, 2, 4, 7. Offerto, Prajāpati e generava e salvava se stesso da Agní, Morte in procinto di divorar(lo). Colui il quale, così conoscendo, offre l’agní-hotrá, genera quella prájāti [9] che Prajāpati generava; così inoltre salva se stesso da Agní, Morte in procinto di divorar(lo).

La tigre – con i suoi peli in maggioranza ocra – è l’aspetto di Morte:

«Distende (per il rājanyá) la pelle di una tigre. (…) La tigre è questo aspetto (questa forma, MS, 4, 4, 4) di Morte» (TB, 1, 7, 8, 1).


3. La divinità e le antilopi

La divinità del sigillo di Mohenjo-daro sembra seduta al disopra di due antilopi. Nel rituale della consacrazione vedica, il consacrato (dīkṣitá) siede al disopra della pelle di un’antilope nera (kṛṣṇājiná). I peli bianchi e neri della pelle di un’antilope nera sono il giorno e la notte:

JB, 2, 62. Quel (Sole) che arde è questo dīkṣitá. (…) La forma della pelle di un’antilope nera è il giorno e la notte. Il giorno è la forma del bianco (della pelle). La notte, del nero (della pelle). (…) Egli (il púruṣa nel disco del Sole) è il prāṇá. Egli è Índra. Egli è Prajāpati. Egli è il dīkṣitá.

JB, 2, 63. Colui il quale è questo púruṣa nell’occhio è questo dīkṣitá. (…) In quanto la forma della pelle di un’antilope neraè e il bianco e il nero (dell’occhio). Il bianco (dell’occhio) è la forma del bianco (della pelle). Il nero (dell’occhio), del nero (della pelle). (…) Egli (questo púruṣa nell’occhio) è il prāṇá. Egli è Índra. Egli è Prajāpati. Egli è il dīkṣitá.

Il dīkṣitá è al disopra della pelle di un’antilope nera e così è di là dai peli bianchi e neri: dal giorno e dalla notte:

JB, 3, 357. Come, essendo stabilito nel piano di un carro (rathopasthe tiṣṭhan), può rivolgere lo sguardo alle ruote, così, essendo stabilito nel mondo del Sole (ādityaloke tiṣṭhan), rivolge lo sguardo al giorno e alla notte.

La posizione yogica è propria sia alla divinità (riconoscibile dai tre volti) che ai saggi e agli asceti. 

Via Harappa

Conclusioni

Gli animali nel sigillo della civiltà della Valle dell’Indo potrebbero essere stati sostituiti – nei miti su Prajāpati – dalle geniture e dagli armenti:

PB, 7, 10, 13. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui. Si rivolgeva a loro, con questa melodia. Loro rimanevano con lui. Loro divenivano sottomessi.

PB, 6, 7, 19. Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro erano andati via da lui, affamati. Dava loro un prastará[10] – il cibo. Loro tornavano vicini a lui. Perciò, il prastará è agitato lievemente dall’adhvaryú[11]. Poiché gli armenti tornano vicini alla paglia agitata (come cibo).

La divinità del sigillo sta per divorare gli animali o solo Prajāpati nei miti vedici è un divorante? Le due divinità potrebbero aver ispirato entrambe il vegetarianismo della civiltà indiana. Una tavoletta di Harappa potrebbe mostrare infatti un saggio o un asceta seduto in posizione yogica che si distoglie dall’uccisione di un bufalo:

Via Harappa

Forse i testi vedici potrebbero contenere un esempio di lucidità dei saggi e asceti di Harappa: le geniture rimangono con Prajāpati e sono solo il cibo per Prajāpati e così gli armenti e le moltitudini sono situati davanti al brāhmaṇá e allo kṣatrá [12] e sono solo il cibo per il brāhmaṇá e per lo kṣatrá:

ŚBK, 4, 9, 1, 3. Offerto con questa (ekādaśínī [13]), (Prajāpati) accresceva (o riempiva) ancora se stesso. Le geniture tornavano insieme vicine a lui – rimanevano con lui, per la śrī, per il cibo. Offerto, egli diveniva migliore (váśīyān).

ŚBK, 4, 9, 1, 10. Perciò, il brāhmaṇá (è colui il quale) ha più potere sugli armenti. In quanto gli armenti divengono situati davanti (a lui), situati nella bocca di lui (asya, del brāhmaṇá).

ŚBK, 4, 9, 1, 14. Infatti, inoltre, le víśaḥ (le moltitudini, i popoli) sono il cibo. Rende il cibo davanti (di fronte, purástād) allo kṣatrá. Perciò, lo kṣatríyaè il divorante (delle víśaḥ). In quanto il cibo (= le víśaḥ) diviene situato davanti (a lui), situato nella bocca di lui (asya, dello kṣatrá).

ŚBM, 6, 1, 2, 25. [Tāṇḍya:] “Infatti, lo kṣatríya è il divorante. La víś (la moltitudine, il popolo) è il cibo. Dove (yátra) il cibo diviene più numeroso [abbondante] del divorante, il rāṣṭrá [14] diviene prospero, (il rāṣṭrá) si accresce”.

Se le moltitudini sono per lo kṣatrá, allora gli armenti sono per il brāhmaṇá. Il brāhmaṇá sugli armenti istruisce [15] lo kṣatrá sulle moltitudini e così le moltitudini – davanti alla bocca [16] dello kṣatrá – sono come gli armenti. Come gli armenti sono per il brāhmaṇá, così le moltitudini sono per lo kṣatrá [17]. La divinità del brāhmaṇá e dello kṣatrá può essere solo Prajāpati e il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono entrambi solo per Prajāpati:

KB, 12, 8. Così, infatti, e con il brāhmaṇá e con lo kṣatrá, e con lo kṣatrá e con il brāhmaṇá, Prajāpati giungeva ad afferrare (o a circondare) da entrambe le parti, ad ottenere il cibo [18].

I testi vedici potrebbero esprimere una conoscenza esoterica: gli animali attorno alla divinità di Mohenjo-daro potrebbero essere il suo cibo – così come le geniture sono solo il cibo per Prajāpati. Il brāhmaṇá e lo kṣatrá sono infine come Prajāpati: gli armenti e le moltitudini sono solo un cibo situato davanti a loro.

«If lightning struck cattle, the people were not distressed. It used to be said, “The lord has slaughtered for himself among his own food. Is it yours? is it not the lord’s? He is hungry; he kills for himself” [19]».

I testi vedici più antichi – come il TB e il PB – potrebbero testimoniare la relazione tra la cultura originaria della Valle dell’Indo e quella dei popoli indoeuropei in India. In conclusione, Prajāpati potrebbe essere la divinità di Mohenjo-daro e di Harappa e una fonte di ispirazione per i successivi miti vedici.


Indice delle fonti:

ŚBM – Śatapatha-Brāhmaṇa, versione di Mādhyandina – Weber (A.), The White Yajurveda, The Çatapatha-Brâhmaṇa in the Mâdhyandina-Çâkhâ, Berlin-London: 1855, II.

ŚBK – Śatapatha-Brāhmaṇa, versione di Kāṇva – Caland (W.), The Śatapatha-Brāhmaṇa in the Kāṇvīya recension, Lahore: 1926, I; 1939, II.

PB – Pañcaviṃśa-Brāhmaṇa – Śāstrī (A. C.), The Tāṇḍyamahābrāhmaṇam, Benares: 1935, I; 1936, II.

JB – Jaiminīya-Brāhmaṇa – Vīra (R.), Candra (L.), Jaiminīya-Brāhmaṇa of the Sāmaveda, Nagpur: 1954 [Ristampa Delhi: 1986].

TB – Taittirīya-Brāhmaṇa – Thiṭe (G. U.), Taittirīya-Brāhmaṇa, New Delhi: 2012, I e II.

KS – Kāṭhaka-Saṃhitā – Schroeder (L. von), Kâṭhakam. Die Saṃhitâ der Kaṭha-Çâkhâ, Leipzig: 1900, I; 1909, II; 1910, III.

MS – Maitrāyaṇi-Saṃhitā – Schroeder (L. von), Maitrâyaṇî Saṃhitâ. Die Saṃhitâ der Maitrâyaṇîya-Çâkhâ, Leipzig: 1881, I; 1883, II; 1885, III; 1886, IV.

KB – Kauṣītaki-Brāhmaṇa – Lindner (B.), Das Kauṣîtaki-Brâhmaṇa, Jena: 1887, I.


Note:

[1] La śrī è la prosperità, l’eccellenza.

[2] Anche ŚBM, 7, 5, 2, 6 e 7. «All’inizio, Prajāpati era qui, unico. Egli desiderava: “Posso emettere il cibo. Posso generare”. Egli creava gli armenti dai prāṇā (dai sensi). (…) Emesso il cibo (= gli armenti), se (lo) poneva – da davanti a dietro – in se stesso».

[3] Tutti i miti su Prajāpati e le geniture e gli armenti sono raccolti nel mio sito “Frammenti vedici“.

[4] L’ákṣiti è l’inesauribilità. La divinità di Mohenjo-daro ha il membro eretto. Prajāpati emette le sue geniture dal membro: «Egli emetteva le geniture dal membro. Perciò, queste (geniture) sono abbondanti. Poiché le emetteva dal membro» (TB, 2, 2, 9, 6). Il vaíśyaè emesso dal membro di Prajāpati e così è prolifico: «Perciò, inoltre, (il vaíśya) è prolifico. Poiché (Prajāpati) lo emetteva dal ventre – dal membro» (JB, 1, 69). Il vaíśyainfatti è il cibo per il brāhmaṇá e per il rājanyá: «Perciò, il vaíśya – divorato – non è diminuito. Poiché è emesso dal membro» (PB, 6, 1, 10). Così, inoltre, il vaíśyaè come gli armenti: «Perciò, gli armenti – mangiati, cotti – non sono diminuiti. Poiché li rende stabiliti nella matrice (yónau)» (ŚBM, 7, 5, 2, 2).

[5] Il rājanyá (o rājā) è il re.

[6] L’ádhipati è il signore.

[7] Il śraíṣṭhya è la superiorità, la supremazia. Anche JB, 3, 218. «Prajāpati emetteva gli armenti. Emessi, loro andavano via da lui. Egli desiderava: “Gli armenti possono non andare via da me. Possono tornare verso di me”. (…) Così (con questa melodia), li intrappolava. Attraverso il śraíṣṭhya, li sottometteva (o dominava, upāgṛhṇāt). Loro stavano con lui».

[8] L’āmahīyava è una melodia rituale.

[9] La prájāti è la generazione.

[10] Il prastará è un fascio di steli o di fieno. 

[11] L’adhvaryú è colui il quale recita le formule rituali.

[12] Il brāhmaṇá e lo kṣatrá (o kṣatríya) sono il potere sacerdotale e il potere sovrano: i due poteri.

[13] L’ekādaśínī è un’offerta di undici armenti o vittime.

[14] Il rāṣṭrá è il regno.

[15] Bṛ́has-páti – il brāhmaṇá – insedia Índra – lo kṣatrá – sui Devā – sulla víś. Anche MS, 2, 2, 6. «Bṛ́has-páti li (= i Devā) induceva a sacrificare, con questa (offerta), per la consonanza. Così, (i Devā) tornavano insieme verso Índra; erano acquiescenti ad Índra».

[16] Anche MS, 4, 3, 8. «Per lui (per lo kṣatrá), pone vicina alla bocca, per il cibo, la víś con alla testa il conducente di un carro».

[17] Così, insieme con gli armenti, come gli armenti, gli uomini sono per il rājanyá – per l’opera del rājanyá (ŚBK, 7, 1, 3, 1 e 2).

[18] Letteralmente, andava afferrando da entrambe le parti, ottenendo il cibo (’nnādyaṃ parigṛhṇāno ’varundhāna ait).

[19] C. Callaway, Unkulunkulu; or, the Tradition of Creation as existing among the Amazulu, London: 1868, I, 60.

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