Pubblichiamo in questa sede, dietro l’invito dei tipi di Venexia editrice, un estratto del saggio Magia del Caos per scettici di Carlos Atanes.
L’inevitabilità dei postulati scientifici deriva dalla diffusa ma errata teoria del progresso cumulativo basata sulle confutazioni successive e, diciamo, sull’auto-perfezionamento lineare. Come ha dimostrato Thomas S. Kuhn in The Structure of Scientific Revolutions, ciò che accade realmente è un viaggio erratico lungo un itinerario contingente fatto di sostituzioni di certi paradigmi con altri. Solo a posteriori la riscrittura dei libri di testo crea l’impressione di un progresso lineare. I nuovi paradigmi non si basano tanto su perfezionamenti empirici così evidenti, quanto su intuizioni, a volte di natura puramente estetica, come la bellezza di un’equazione e il desiderio platonico che la bellezza corrisponda alla verità.
In prima genesi i nuovi paradigmi sono sostenuti da atti di fede. È il loro consolidamento successivo – più per il ricambio generazionale della comunità scientifica che per conversione dei suoi membri – a fornire il quadro metodologico in cui si innesteranno i nuovi contributi teorici che si riveleranno più utili per descrivere la realtà e che maschereranno la conoscenza precedente; fino all’avvento di una nuova crisi e al conseguente cambio di paradigma.
Come abbiamo detto, anche la magia è una questione di fede. Ma non solo una. La magia è molto lontana dall’essere un pensiero monolitico e uniforme nel tempo. Attraverso i secoli ha proiettato i suoi modelli e ha generato diverse visioni del mondo, o meglio, le ha generate nello stesso tempo in cui si è nutrita di esse.
La classificazione di Frater U⸫D⸫ – nome magico di Ralph Tegtmeier, che è stato un praticante di Magia del caos e oggi di quella che si chiama “magia pragmatica” – consiste di quattro paradigmi magici: spirituale, energetico, psicologico e informazionale. Questo schema è accolto da molti ed è riportato anche da Patrick Dunn nel suo libro Postmodern Magic: the Art of Magic in the Information Age. Io lo esporrò in forma abbreviata.
Il paradigma spirituale
Presuppone l’esistenza di divinità ed entità spirituali ai quali il mago ordina, attraverso elaborate cerimonie di invocazione ed evocazione, la realizzazione dei suoi propositi.
È il più antico paradigma magico, quello che è durato più a lungo – fino ai giorni nostri, il più diffuso nella cultura popolare, grazie agli sciamani, ai maghi elisabettiani come John Dee, al supereroe dei fumetti Doctor Strange, e ai “druidi” come Merlino – il cui incantesimo della “magia del fare” è il mio preferito:
Anál nathrach, orth’ bháis’s bethad, do chél dénmha.
(Anche se non fosse un vero incantesimo gallese del VI secolo ma un’invenzione del film Excalibur, rimane magnifico).
Il paradigma energetico
Postula l’esistenza di energie o poteri di tipo diverso da quelli conoscibili dalla scienza, manipolabili dal mago per causare cambiamenti nella realtà fisica.
È il tipo di magia che sin dal XVIII secolo, gli illusionisti e i maghi da palcoscenico fingono di poter dominare per lo stupore del loro pubblico. Questo include il magnetismo animale di Mesmer, l’energia vitale universale del Reiki e l’orgone di Wilhelm Reich. Eliphas Levi – pseudonimo di Alphonse Louis Constant – il più famoso occultista del XIX secolo, nel 1854 scrisse dell’esistenza della “luce astrale”, che è proiettata dallo sguardo, dalla voce, dai pollici e dai palmi delle mani.
Il paradigma psicologico
Assegna alle entità e alle energie menzionate prima un’esistenza puramente psichica, non esterna al mago, un prodotto della sua mente. Anche se, una volta generate, possono assumere una certa autonomia che resta percepibile.
Aleister Crowley, che nel suo insaziabile sfruttamento dei paradigmi – forse dovremmo iniziare a riferirci a lui come un “metamago” – aveva un piede nel paradigma spirituale e l’altro in quello psicologico e negli anni ’20 ha contribuito a diffondere quest’ultimo, rivelando uno straordinario senso pratico quando affermò che “dobbiamo considerare tutti gli esseri come parti di noi stessi ma è più conveniente immaginarli come indipendenti. La massima convenienza è il nostro canone di Verità”.
Il paradigma informazionale
O modello cibernetico, nella terminologia proposta da Phil Hine.
Concepisce la realtà come una rete semiotica, una rete di simboli non soggetta al dominio della materia, dell’energia e dello spazio-tempo, nonostante sia ad essi strettamente legata. Agendo simbolicamente, il mago opera in quella rete – o software – causando cambiamenti nella sua struttura che a loro volta alterano la realtà fisica – o hardware.
Patrick Dunn, autore del libro che raccoglie la classificazione di questi paradigmi, scrive: “Io credo che la rete semiotica sia la sostanza della Realtà Ultima. [Se la realtà] è simbolica in natura, allora manipolare i sistemi simbolici altera la rete semiotica, e dunque manipola la realtà. Le spiegazioni scientifiche si fermano prima di tentare di trovare il significato. Solo l’arte e la magia possono esplorare il significato e credo che il motivo sia che entrambe manipolano, costringono, plasmano, inducono il significato fuori dal miscuglio intricato e senza speranza della Mente”.
Ho datato le associazioni ai quattro paradigmi – VI secolo, metà del XIX, periodo fra le due guerre mondiali nel XX e inizio del XXI secolo – per sottolineare la correlazione sintomatica che la fioritura di ogni paradigma magico – spirituale, energetico, psicologico e informazionale – mantiene con il suo rispettivo Zeitgeist, lo spirito del tempo.
Non ci sono dubbi che durante l’era antica, il Medioevo e il Rinascimento, secoli di fede incontestabile negli esseri disincarnati, in angeli e demoni, e nella loro influenza sugli eventi mondani, il paradigma della magia fosse di tipo spirituale. Dopo la rivoluzione industriale e la scoperta dell’elettromagnetismo, quando il mondo abbracciò il positivismo, il paradigma magico si orientò verso le energie. Come risultato dello shock causato dall’avvento della psicanalisi nei confronti delle idee che si erano presunte fino ad allora sulla mente umana, il paradigma divenne psicologico. E nell’era di internet, degli smartphone, dell’intelligenza artificiale e dei big data, la magia comprende la realtà come una rete interconnessa di dati e diventa una via, forse a volte un po’ stravagante, di confronto con quelle informazioni.
Questa correlazione potrebbe essere interpretata come il tentativo della magia di legittimare se stessa all’interno del sistema egemonico di credenze di ogni periodo storico. Più probabilmente, però, è anche la conferma che la magia non è e non è mai stata una pagina bianca in relazione al resto dei campi di conoscenza umani ma, come loro, è soggetta ai cambiamenti del campo epistemologico generale; e anche che, a sua volta e in una certa misura, ha contribuito a questi cambiamenti. Neanche l’arte è aliena ai cambiamenti sociali o al progresso scientifico. Tutta la conoscenza umana è correlata.
Dunque, abbiamo quattro paradigmi magici. A volte si mostrano allo stato puro, in certi casi si sovrappongono. Non sono necessariamente esclusivi; l’eclettismo di Crowley è probabilmente un esempio importante. Ma vediamo ora è ciò che hanno in comune, aldilà delle differenze notevoli, ovvero le credenze assiomatiche essenziali su cui si basa tutta la magia. E ce ne sono tre.
Primo assioma
La realtà non è così reale.
Ciò che consideriamo realtà è un regno di illusioni. Esiste una realtà più reale di quella che percepiamo, nascosta dietro di essa. La descrizione della natura di quest’altra realtà dipende, come abbiamo visto, dalla nostra adesione a uno o a un altro paradigma.
Secondo assioma
La coscienza è un freno.
Una rumorosa caffettiera piena di pregiudizi e condizionamenti, il cui rumore ci impedisce di vedere sia cosa c’è dall’altra parte del velo delle illusioni – una tela di ragno che gli Indù chiamano il Velo di Maya – sia dentro noi stessi. Tutte le correnti magiche propongono metodi per silenziare quel rumore e raggiungere uno stato di coscienza superiore. Un’estasi, uno stato metafisico. Per i maghi del caos, una gnosi.
Terzo assioma
È possibile alterare la realtà apparente utilizzando una scorciatoia. Cioè, muovere i fili della realtà nascosta oltre le apparenze. Solo accedendo allo stato alterato di coscienza a cui si riferisce il secondo assioma, saremo in grado di manovrare quei fili.
Questo riassunto dei fondamenti teorici della magia serve, almeno, a dimostrare l’infondatezza di uno dei pregiudizi che pesano su di essa, la presunta a-causalità. Tutta la magia è causale per definizione. Ogni tipo di magia immagina un certo tipo di meccanismo causale che connette la volontà del mago con l’effetto prodotto. In magia, in qualunque tipo di magia, le cose non capitano. Accadono perché il mago ordina l’esecuzione di un lavoro a un’entità dotata del potere di eseguirlo o perché manipola energie, poteri o simboli che causano quella trasformazione. Ovvero, il mago estende la sua volontà all’azione, e quell’azione produce conseguenze. Certo, agli occhi di un osservatore profano, questa causalità non troverebbe riscontro in un contesto empirico di prove e dunque i risultati eventuali sarebbero attribuiti al caso. Ma, come concetto, l’a-causalità è del tutto inappropriata se accostata alla pratica magica.
Ma oltre alla pratica, il paradigma psicologico e il paradigma informazionale sono ben consapevoli delle nuove nozioni che abbiamo sull’a-causalità provenienti dall’esterno del mondo della magia durante l’ultimo secolo. Concetti come la sincronicità junghiana, la meccanica quantistica e la teoria del caos hanno messo in discussione, più o meno radicalmente, la nostra visione deterministica di causa ed effetto. Ci hanno rivelato che la realtà non è semplice come pensavamo e ci hanno proposto nuove forme di determinismo.
La linea che separa il causale dall’a-causale quando ci confrontiamo con sincronicità, particelle subatomiche o sistemi complessi non è disegnata chiaramente come crediamo. E non sappiamo se lo sarà mai. Ovvero, a dispetto dei tentativi della scienza di scoprire le cause primarie di certi fenomeni, il sospetto di indeterminabilità e di imprevedibilità potrebbe essere concreto – non la conseguenza di un’eventuale limite tecnologico, un’indeterminazione epistemica – ovvero queste potrebbero essere intrinseche alla sua natura – indeterminazione ontologica – ed è un sospetto che se non finirà per imporsi come certezza, è destinato comunque a durare a lungo.
Potremmo affermare, dunque, che a-causalità, indeterminazione e caos siano nel mondo, non nella magia. La magia pretende di fornire significati, causalità e ordine in un mondo presumibilmente caotico. Come fa l’arte. Nel mondo trasparente e deterministico, perfettamente delineato dal disegno divino o dalle leggi di Newton, il caos entrava nell’equazione solo come mito primordiale. Ma col nuovo stato delle cose, la magia doveva raccogliere la sfida.
E la sfida fu colta da Peter J. Carroll e Ray Sherwin nel 1976, quando, secondo la leggenda, crearono la Magia del caos.
Sia Carroll che Sherwin erano refrattari al dogmatismo e alla gerarchia tradizionale delle organizzazioni occulte e si dichiararono eredi del culto di Zos Kia. Nel 1978 pubblicarono un annuncio su The New Equinox, la rivista di magia thelemica che curavano, con lo scopo di reclutare membri per una nuova organizzazione non gerarchica che avrebbe fuso la magia thelemica con il Tantra, il culto Zos e il Tao. Il risultato fu l’ordine degli Illuminati di Thanateros (IOT), che in seguito fu influenzato dal Discordianesimo e a cui si unirono figure come William S. Burroughs, Timothy Leary and Robert Anton Wilson.
Come spesso succede nelle organizzazioni, che si proclamino non gerarchiche o meno – la storia continua a disilluderci, mostrandoci l’impossibilità che, in un modo o in un altro, non finisca ogni volta nella stessa maniera – anche lo IOT subì delle scissioni e sia Sherwin (per primo) che Carroll (più tardi) lasciarono il gruppo. Tuttavia, ciò che ci interessa non è la cronaca incidentale delle avventure umane ma i contributi concettuali, veramente nuovi, della Magia del caos.
Il più importante di tutti, il più dirompente, è il meta-paradigma.
Ma prima di avvicinarci a questo, dobbiamo chiarificare alcune cose o rischiamo di finire invischiati in una rete di false omonimie. Appena ci approcciamo a un libro di Magia del caos ci accorgiamo che l’utilizzo del termine “paradigma” sfiora l’abusivo.
Facciamo un breve riassunto. Da una parte abbiamo un paradigma primario sul quale si basa tutta la magia, o Grande Paradigma, che io però vi ho presentato diviso in tre assiomi:
- La realtà non è reale.
- La coscienza è un freno.
- Alterando la coscienza (B) possiamo generare cambiamenti nella realtà (A).
Dall’altra parte abbiamo una lista di paradigmi magici che include tutti i tipi di magia in successione, necessariamente inquadrati all’interno del Grande Paradigma e che, di fatto, descrivono lo Zeitgeist dei differenti stadi di civiltà:
- Spirituale.
- Energetico.
- Psicologico.
- Informazionale.
Poi, abbiamo il famoso meta-paradigma, caratteristico della Magia del caos e che non vi ho ancora illustrato. Svilupperò questo argomento poco più avanti.
Infine – ma dobbiamo essere prudenti, questo “infine” è provvisorio – abbiamo una lista di paradigmi magici in cui la Magia del caos è specificamente inquadrata. Esposta e spiegata da Peter J. Carroll nel suo Liber Null & Psychonaut, consiste dei seguenti sei modelli:
- Il paradigma caos-eterico.
- La manipolazione delle probabilità.
- La teoria dei campi morfici.
- L’universo creato dall’osservatore.
- L’universo olografico.
- La dimensionalità superiore.
Quest’ultima lista consiste, approssimativamente e senza che ci si debba limitare solo ad essa, nell’estensione e nel dettaglio del paradigma informazionale. Andiamo a esaminare ogni punto. A seguire, sintetizzo e commento ogni punto.
Il paradigma caos-eterico
La nostra realtà è un’isola di ordine circondata da un oceano caotico e indeterminato, non dominato da regole causali. Noi, gli esseri umani, anche se siamo le strutture meglio organizzate in questo disordine, siamo anche infiltrati dallo stesso caos che permea ogni cosa e che ci consente di scorgerlo e operare come potenziali agenti di trasformazione.
Oltre a proporre un’eloquente descrizione dell’universo – la cui sintesi per un titolo di giornale potrebbe essere: “Il caos primordiale è ancora al comando!” – e a suggerire un legame simpatico fra caos e coscienza in base a una specie di “consanguineità”, Carroll non fornisce, per il momento, alcun indizio su come un mago potrebbe o dovrebbe interagire con quell’etere per causare cambiamenti nella realtà.
Manipolazione delle probabilità
Carroll ci rimanda al principio di indeterminazione di Heisenberg, che descrive la natura incerta e probabilistica della materia a livello subatomico: lo stato di una particella si configura nel momento in cui viene osservata.
Carroll stesso ci informa che questo paradigma è una versione più modesta del principio di indeterminazione. Di fatto, è una sua riformulazione in termini quantistici. Lo descriverei come la sua versione funzionale – e scientifica – perché se il paradigma caos-eterico ci mostra il “cosa”, la manipolazione delle probabilità ci dice il “come”.
Anche se è ancora un “come” molto generico. Innanzitutto, non è chiaro che la nostra interazione con la materia a livello quantistico deve produrre manifestazioni su un piano superiore ma percepibili nella sfera ordinaria. Secondo, non è nemmeno chiaro che si debba stabilire un’interazione cosciente, deliberata e utilitaristica con le particelle subatomiche – con le quali non c’è dubbio che interagiamo continuamente, ma inconsciamente, non intenzionalmente e, di sicuro, non produttivamente. E terzo, se potessimo, non è di nuovo chiaro se la nostra interazione sarebbe molto diversa da quella di chi entrasse bendato nella sala di controllo di un acceleratore di particelle brandendo una bacchetta come un piumino per togliere la polvere, cercando di spingere gli interruttori giusti e attivare un’interessante reazione atomica. In altre parole, il signor Carroll forse lo sa, ma noi di sicuro non sapremmo bene cosa fare con una manciata di elettroni sciolti.
Teoria dei campi morfici
Questa teoria controversa, formulata dal biologo Rupert Sheldrake, ipotizza la possibilità che tutti gli eventi dell’universo, sia quelli che riguardano gli esseri viventi sia quelli correlati alla materia inanimata, siano associati a campi intangibili di “pura informazione” che, grazie alla loro risonanza, stendono intorno all’intero universo una rete informazionale che agevola il formarsi di eventi successivi. Ovvero, quando un evento accade per la prima volta – la cristallizzazione di un minerale, un comportamento animale ecc. – questo genera necessariamente un campo morfogenetico che contribuisce, senza limiti di tempo o distanza, a una maggiore facilità di riproduzione dello stesso evento.
Vi faccio un esempio: un infreddolito Homo erectus, preso da una specie di ispirazione provvidenziale, strofina due bastoncini di legno su un letto di foglie asciutte e, con tenacia e sforzo, impara ad accendere il fuoco. Immediatamente si genera un campo morfico – “il campo morfico del fare il fuoco strofinando due bastoncini” – che informa il comportamento di un altro. Dopo un certo tempo, abbiamo ominidi che non si sono mai incontrati fra di loro che fanno il fuoco in tutto il pianeta e mano a mano sempre con maggior perizia, avendo assorbito dalla scienza infusa l’abilità di un’esperienza che non apparteneva loro. Alcuni esperimenti suggeriscono che questa teoria potrebbe non essere del tutto errata.
Questo flusso di informazioni, tipico della risonanza morfica, immediata e aliena ai canali consueti di trasmissione, ricorda certi fenomeni paranormali di tipo ESP (percezione extrasensoriale), come la chiaroveggenza, in cui l’intelligenza di eventi distanti è ottenuta per incanto. E in effetti, secondo Carroll, la teoria dei campi morfici è una spiegazione perfetta di questi fenomeni, escludendo la precognizione.
La mia visione degli eventi di Achacachi, ad esempio, potrebbe essere spiegata molto bene come la ricezione di una risonanza morfica.
Abbiamo un disturboche stava già cavalcando l’onda – il linciaggio di Achacachi era il nono avvenuto in Bolivia quell’anno, e la ripetizione potrebbe, forse, averne accresciuto il potere – una ricettività particolarmente sensibile come lo stato di sonno, libero dal filtro della coscienza e un flusso straordinariamente chiaro e coerente di informazioni, troppo pulito ed esatto – e coincidente nell’orario – per essere attribuibile al caso o all’eventuale riverbero quantico di pochi protoni vaganti, ma che suggerisce anche, per via di una distorsione significativa – l’incongruenza del sole notturno – che la mia visione non era il risultato di un accesso diretto ai fatti, anche se questo fosse possibile, bensì mediato, perché ciò a cui aveva avuto accesso era la traccia degli eventi nel campo morfico. Quindi, la ricomposizione del mio sogno ha completato l’informazione ricevuta con le tracce di luce della mia locazione reale, proprio come facciamo abitualmente includendo rumori d’ambiente o sensazioni somatiche alla trama dei nostri sogni.
Universo creato dall’osservatore
Solo ciò che percepiamo esiste mentre ciò che non percepiamo, no. La nostra Volontà genera la realtà, quella che percepiamo – l’unica che, in ogni caso e indipendentemente dal fatto che gli altri esistano o meno, ci riguarda perché è nostra. Dunque, Volontà e Percezione sono due parole che indicano la stessa cosa. Se qualcosa che vogliamo non si materializza, è perché si tratta di un desiderio che non proviene dalla nostra Vera Volontà. Carroll, inoltre, collega questo paradigma all’indeterminazione quantistica ricordandoci che “è l’atto reale di percezione e misurazione volontaria che crea effettivamente degli eventi”. La misurazione precede l’esistenza.
C’è il sospetto che il paradigma dell’universo creato dall’osservatore abbia un approccio solipsistico e tautologico – se non ottengo ciò che desidero è perché non lo voglio davvero, allora io voglio soltanto ciò che desidero realmente – e, con tutto il rispetto per il sig. Carroll, un po’ puerile. A parte il mio rifiuto categorico delle insinuazioni sul fatto che siamo responsabili dei linciaggi e di tutte le altre calamità per il solo fatto di immaginarne l’esistenza – l’incontestabile inclinazione umana al sadismo va oltre la mia fantasia – questo paradigma è non solo una mera ripetizione della manipolazione delle probabilità e, conseguentemente, anche del paradigma caos-eterico, giacché ribadisce il concetto dell’influenza che l’osservatore esercita sulla realtà quantistica – il ben noto collasso della funzione d’onda – ma, in aggiunta, il suo approccio solipsistico finisce inevitabilmente per essere incongruente. Poiché, diversamente dai paradigmi quantistici, non ammette neanche la realtà oggettiva delle particelle subatomiche – sarebbero anch’esse il prodotto della nostra Volontà/Percezione – allora non ha senso voler esercitare influenza su di loro, determinandone lo stato successivo come se fossero oggetti influenzabili ma indipendenti e forse persino preesistenti. Non avevamo detto che la misurazione precede l’esistenza?
L’universo olografico
L’universo è un ologramma e la nostra realtà una proiezione. Ogni cosa, dalla più grande alla più piccola è connessa a ogni cosa. E inoltre, come suggerisce l’entaglement quantistico, è una connessione simultanea immediatamente emancipata dalla distanza. La trasmissione dell’energia ha dei limiti di velocità imposti dalla fisica di Einstein. Ma non la pura informazione, perché non è né materia né energia. La sincronicità – non la causalità – è il modo in cui questa realtà superiore olografica mette in ordine la materia e l’energia del nostro mondo virtuale.
Dimensionalità superiore
Il paradigma preferito di Carroll. Niente indica che il nostro universo sia limitato alle quattro dimensioni che noi percepiamo – tre spaziali più il tempo. L’esistenza di una singola dimensione aggiuntiva risolverebbe non pochi problemi ancora imperscrutabili da una prospettiva quadridimensionale: interazione debole, violazione della simmetria CP, certe proprietà del vacuum, la psicocinesi…
Secondo questa visione del mondo, lo spazio tridimensionale è solo una parte inconcepibilmente sottile di un universo molto più grande, dove l’energia, la materia e le informazioni possono muoversi in modo imprevedibile attraverso dimensioni a cui i nostri sensi non hanno accesso e riappaiono ed esercitano un’influenza in aree distanti del nostro spazio-tempo. Dunque, i casi di indeterminazione e a-causalità che osserviamo non sarebbero che manifestazioni astratte di una causalità che accade in altre dimensioni.
Nonostante abbia considerato opportuno riferire queste sei visioni, personalmente, e come è chiaro dal mio commento al quarto paradigma, non sono molto convinto dalla classificazione di Carroll. Penso che sia ridondante e inutilmente verbosa. I sei modelli sono troppo coincidenti. O almeno complementari, raggruppabili in uno solo o al massimo in due paradigmi. Per farla breve, prendiamo la lista dei sei modelli e raschiamola fino a lasciare solo ciò che è essenziale e utile alla chiarezza.
Come ho già detto, Carroll stesso riconosce che non è essenziale separare il secondo paradigma – manipolazione delle probabilità – dal primo – universo caos-eterico. Insieme al sesto – dimensionalità superiore – potrebbero formare un unico modello. Un paradigma quantistico.
Il quarto – universo creato dall’osservatore – è inutile. Il solipsismo è un alibi per spiegare tutto senza spiegare nulla. E inevitabilmente, conduce alla sua stessa negazione. Quindi, la cosa più saggia è camminarci intorno in punta di piedi.
Prima, però, chiariamo una cosa: un metodo di autosuggestione è tanto utile quanto è usato con moderazione. Per esempio, potremmo fare una passeggiata dopo esserci convinti che ogni cosa che vedremo per strada – marciapiedi, palazzi, automobili, nuvole, uccelli, gente e animali – sia il prodotto del prodigioso potere creativo della nostra immaginazione. Sarà piacevole spadroneggiare come un demiurgo di un piccolo universo appena creato. Il nostro atteggiamento orgoglioso non passerà inosservato e presto vedremo qualche passante rivolgersi a noi con uno strano e insolito tono servile. Ma dobbiamo fare attenzione, perché come ho già detto, non bisogna esagerare. Superata una certa linea, le collisioni spiacevoli diventano inevitabili e qualcuno potrebbe prenderci a sberle. Cerchiamo di prendere questa avvertenza seriamente: abbandoniamo il solipsismo al primo colpo, altrimenti la psicosi ci aspetta a braccia aperte.
Non dobbiamo dimenticare che i disturbi mentali associati alla perdita di contatto con la realtà profana costituiscono un rischio non di poco conto a cui i praticanti di magia sono indubbiamente esposti. Da qui l’importanza dei rituali di bando, con lo scopo di ripulire lo spazio da entità, influenze o residui indesiderabili, prima e dopo – apertura e chiusura – di ogni lavoro magico. Un contributo innovativo in quest’ambito da parte della Magia del caos è la pratica di esplodere in una fragorosa risata, solvente universale contro la gravosità, una risposta salutare all’eccesso di solennità e un alleato dell’Anticristo secondo l’affascinante bibliotecario Jorge da Burgos. Hawkins dice che i membri degli Illuminati di Thanateros ne avevano diffuso la pratica come bando di conclusione dei rituali, notando come purificasse molto bene l’atmosfera.
I rituali di bando, che i maghi spiritualisti intendono come protezione dalle influenze di entità nefaste, da un punto di vista psicologico o semplicemente razionalista può essere interpretato come una procedura di igiene mentale che opera delimitando e specificando i limiti di ogni esperienza magica.