La festività di Lughnasadh/Lammas e il dio celtico Lugh

Anticamente, presso le popolazioni celtiche, all’inizio del mese di agosto si celebrava Lughnasadh/Lammas, la festa del primo raccolto, istituita secondo il mito dal dio Lugh in persona. Un’analisi delle funzioni di quest’ultimo ci permetterà di metterne in risalto la notevole poliedricità e le corrispondenze con altre divinità delle tradizioni indoeuropee (come Apollo, Beleno e Odino) e addirittura con due potenze divine della tradizione giudaico-cristiana apparentemente opposte fra loro: Lucifero e l’arcangelo Michele.

di Marco Maculotti
copertina: Courtney Davis, “Lugh, the Sun God”

 

Com’è risaputo, coerentemente con la concezione arcaica del tempo ciclico le popolazioni celtiche immaginavano l’anno come una ruota, al punto che essi avevano un solo termine per definire questi due concetti. La ruota dell’anno, ai fini dell’impostazione del calendario sacro e dell’individuazione delle principali celebrazioni collettive, veniva suddivisa tenendo conto dei solstizi e degli equinozi e particolare importanza era conferita alle quattro date ad essi intermedie: Samhain (1 novembre), Imbolc (1 febbraio), Beltane (1 maggio) e Lammas (1 agosto). Le feste rurali inglesi (Wakes, «veglie») in epoca medievale si svolgevano tra marzo e ottobre, ovvero nella stagione del raccolto, a seconda della data del santo patrono locale. Tuttavia precedentemente, in epoca pagana, esse avevano luogo quasi ovunque a inizio agosto, quando si celebrava il momento tra il taglio del fieno e la mietitura [Graves 204].


Lughnasadh/Lammas

Nell’Irlanda celtico-gaelica, la celebrazione rurale di inizio agosto si chiamava Lughnasadh, ovvero  «le nozze di Lugh» oppure «messa in onore del dio Lugh o Llew». Gli Anglosassoni la denominarono Lammas, da loaf-mass, «messa dei pani», con allusione alla mietitura e all’uccisione del dio del grano [Graves 204]. Secondo la tradizione irlandese, fu lo stesso dio Lugh ad istituire questa festività, che consisteva in una grande assemblea nella pianura di Meath, in onore della madre adottiva Taultiu (equivalente alla Brigit dei Galli), divinità tellurica della fertilità [Markele 86]. Pare che Lughnasadh fosse innanzitutto una festa regale: il re vi presiedeva corse di cavalli e certami poetici («Giochi di Tailltinn»), ma non vi erano né combattimenti guerrieri né sacrifici rituali [Markele 190]. Si supponeva, infatti, che il re, in questo periodo dell’anno, fosse giunto—proprio come il Sole che egli rappresentava in terra—al massimo della sua potenza.

A tal riguardo, notiamo come Guido von List scrisse che, nella tradizione degli antichi Germanici, nel mese di agosto (Aust) si venerava l’emanazione divina denominata Biflindi, traducibile come «colui che è in procinto di inabissarsi», che va trasformandosi [List 50] [cfr. Guido von List e la tradizione magico-religiosa degli Ariogermani]. Da questo momento in poi, dunque, il Sole avrebbe incominciato a scendere sempre più nel cielo, fino a raggiungere il suo nadir durante la cosiddetta «crisi invernale» del Solstizio d’Inverno, giorni durante i quali esso sembrava scomparire per tre giorni per poi rinascere, ovvero risalire nuovamente. Ecco perché la sua morte veniva celebrata durante la festività della prima domenica di agosto («celebrazione di Lugh», inteso come «Spirito del Grano» che muore, ovvero che viene tagliato, per poi rinascere l’anno seguente).

Lammas day lughandesh

Tale ricorrenza veniva osservata fino a poco tempo fa in Irlanda con cerimonie simili a quelle del Venerdì santo: una sorta di giorno dei morti in cui si teneva un corteo funebre, guidato da un giovane che portava una corona di fiori [Graves 347]. Anche nell’Inghilterra medievale la festa non perdeva tali caratteri funebri: Robert Graves ricorda a tal riguardo le celebrazioni per la morte di Guglielmo Rufo (un «doppio» di Lugh), il cacciatore dai capelli rossi ucciso durante una battuta di caccia nella New Forest che fu adagiato su un carro da fieno e il cui cadavere fu visto dai contadini della regione proprio mentre erano intenti a piangere la morte del mitico Lugh [Graves 348]. Tuttavia, sottolineiamo ancora una volta, nella festività del primo raccolto non venivano effettuati sacrifici umani, ma il popolo rurale si limitava a piangere la morte del «Dio del Grano».

I sacrifici immolatori, al contrario, avvenivano in tutte le culture indoeuropee proprio durante le feste invernali, quando l’astro eliaco giungeva al suo nadir, e quindi si riteneva fosse necessario il sacrificio umano del suo rappresentante terreno (il re o un suo sostituto, come il «Re folle» o «Re per un giorno» dei Saturnali latini) per rinvigorirne la potenza. Questi riti cruenti si fondavano sul concetto di «sovranità rituale»: il re sapeva di essere il compagno mortale della dea del territorio—da ciò, l’usanza di sacrificare il re qualora la sua «potenza» era destinata a diminuire con l’età [Powell 122] [cfr. Cicli cosmici e rigenerazione del tempo: riti di immolazione del ‘Re dell’Anno Vecchio’].

Mircea Eliade esprime questo concetto di «sovranità rituale» affermando che “si poteva diventare re d’Irlanda (Eriu) soltanto se si sposava l’omonima dea tutelare; in altri termini, si accedeva alla sovranità mediante un hieros gamos con la dea della Terra (…) Questo hieros gamos garantiva per un certo periodo la fertilità del paese e la fortuna del regno” [Eliade 151-2], aggiungendo più avanti che “il re è il rappresentante dell’Antenato divino: la ‘potenza’ del sovrano dipende da una forza sacra ultraterrena, che sta al tempo stesso a fondamento e a garanzia dell’ordine universale” [Eliade 173]. Per dirlo in modo più chiaro, i Celti comprendevano che la vita e la prosperità dell’umanità (il re) erano possibili solo a patto di riconoscere la divinità della terra intesa sia come suolo (e, quindi, patria) che come palcoscenico di forze in cui l’uomo può agire e raggiungere la via della spiritualità e della conoscenza. Per questa ragione, nella festa di Lughnasadh era la dea Taultiu a ricevere le offerte, mentre Lugh era considerato solo il fondatore di tale ricorrenza sacra.

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Lughnasadh era, come abbiamo visto, la festa del primo raccolto, e in quanto tale si svolgeva sotto la protezione della dea tellurica della fertilità, Taultiu, madre adottiva di Lugh, la quale, secondo il mito, si immolò essa stessa per assicurare nutrimento e prosperità ai suoi numerosi figli. Questo periodo dell’anno era contrassegnato dall’avvento dei giorni più caldi e secchi dell’anno, i cosiddetti «giorni del cane», laddove il canide rappresentava il sorgere di Sirio, intorno al 23 luglio. In questi giorni, la stessa luce solare che aveva provveduto al nutrimento e alla fertilità per il resto dell’anno, minacciava ora la terra di portare la siccità. Proprio per questo non si immolavano vittime umane, ma si rendeva grazie agli dèi tellurici offrendo loro i frutti del primo raccolto per sfuggire l’insidia della siccità e, quindi, di raccolti insoddisfacenti. Il sacrificio del primo raccolto («l’uccisione di Lugh», il «Re del Grano») permetteva in altri termini che il resto della stagione dei raccolti non subisse l’effetto funesto dei «giorni del cane». Questo periodo critico andava, per esteso, dagli ultimi giorni di luglio all’equinozio di Settembre. Con queste offerte, i Celti erano soliti enfatizzare simbolicamente la relazione simbiotica e reciproca tra il consorzio umano e la natura.


Il dio Lugh

Slaintepic

Divinità delle tre funzioni

Tuttavia, Lugh non era solo uno «Spirito del Grano», ma una divinità incredibilmente poliedrica. Nell’interpretazione di Giulio Cesare riguardante le divinità del pantheon celtico nel De Bello Gallico, Lugh (Lúg/Lugus) venne assimilato a Mercurio e indicato come il dio più venerato in assoluto. Uno dei più noti epiteti di Lugh è Samildánach, «Signore di tutte le arti» o della conoscenza in generale [Powell 121]. Tuttavia, l’equiparazione proposta da Cesare non è delle più precise: Lugh, infatti, a differenza del Mercurio romano, non è unicamente un dio dell’intelletto (né si fa menzione della sua protezione dei commercianti e dei ladri), ma ricopre tutte e tre le funzioni delle culture indoeuropee teorizzate da Dumézil.

Egli, infatti, appartiene al tempo stesso alla classe sacerdotale in quanto suonatore di arpa, poeta e medico (come Apollo); a quella guerriera in quanto combattente ed eroe (come Ercole); e, infine, a quella produttiva in quanto carpentiere, fabbro ed artigiano (come Loki nella mitologia norrena, forse connesso a Lugh anche etimologicamente). Una delle equiparazioni comparatistiche più felici potrebbe essere quella con il titanico Prometeo della tradizione ellenica. Per questa sua triplice funzione, Lugh venne spesso rappresentato nell’iconografia come un dio con tre facce, similmente alla trimurti indù [cfr. Il dio primordiale e triplice: corrispondenze esoteriche ed iconografiche nelle tradizioni antiche]. Se bisogna riconoscere che Lugh non è né il dio primordiale, né il dio delle origini, né tantomeno il re degli dèi, egli è tuttavia al di sopra di tutti gli altri, e “da solo incarna in sé l’insieme delle funzioni divine che, nell’ottica del druidismo, sono anche, fondamentalmente, le funzioni che l’umanità deve assolvere per realizzare l’unità del mondo in alto e del mondo in basso, unità senza la quale il Caos (ovvero, i Fomori della mitologia, nda) domina” [Markele 89].


50% Tuatha dé Danann e 50% Fomori

Facendo parte al tempo stesso dei Tuatha dé Danann come dei Fomori, Lugh partecipa di una doppia natura, e ciò lo pone al di sopra e fuori da ogni classificazione dualistica. Dei Tuatha Dé Danann, egli possiede la “potenza organizzatrice, socializzata e spiritualizzata all’estremo”, ma vi aggiunge la forza bruta e istintiva dei Fomori, forze caotiche della mitologia celtico-irlandese. In altre parole, Lugh si presenta come una vera e propria sintesi di due forze contrapposte che si oppongono e si combattono: l’incarnazione stessa di un principio monistico, derivante dal rifiuto tipicamente celtico di interpretare la dualità come assoluta [Markele 82].

Ciò fa apparire Lugh come una potenza numinosa al di là di tutte le categorie e di tutte le funzioni, in quanto egli le riassume ad un tempo tutte in sé: per questo, era denominato il «multiforme artigiano», e in quanto tale depositario dei segreti degli dèi [Markele 87], in tal modo ricordando anche il Vulcano/Efesto mediterraneo e il Loki norreno, divinità del fuoco interiore e della trasformazione della materia in qualcosa di più elevato, di eterico e spirituale. Allo stesso modo Lugh, pur nascendo dai Fomori, riassume in sé anche tutti i caratteri contrari tipici dei Tuatha, avversari dei primi. Egli è al tempo stesso l’ambiguo trickster e il «Portatore di Luce», similmente al Lucifero della tradizione giudaico-cristiana, come vedremo oltre. Lugh, in quanto appartenente alle due categorie divine del pantheon celtico, “consente al mondo di trovare il suo equilibrio, privilegiando le forze organizzate (i Tuatha) e governando le forze istintive (i giganti Fomori) [Markele 84].

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Lugh e la città sacra di Lione

Lugh dovette effettivamente godere di un culto molto importante, oltre che nell’area anglosassone-irlandese, anche nelle Gallie francesi, altro territorio anticamente abitato dalle popolazioni celtiche: dal suo nome, deriva la denominazione della città di Lione (originariamente Lugdunum, la «fortezza di Lug»), che d’altro canto presso i Galli era considerata città sacra. A Lione, i Galli celebravano le quattro feste più importanti del calendario, che cadevano quaranta giorni dopo ogni solstizio o equinozio. Notiamo anche che, quando i Romani ebbero conquistato e organizzato la Gallia secondo i propri fini politico-economici, fecero di Lione la capitale intellettuale, politica e religiosa della provincia cisalpina [Markele 86]. Oltre che a Lione, il dio diede il nome anche ad altre importanti città, quali Laon, Leida e Carlisle (Caer Lugubalion) [Graves 347].


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Lugh e Apollo

Secondo una leggenda riferita dallo pseudo-Plutarco, la fondazione di Lione venne determinata da un presagio: il luogo venne designato da uno stormo di corvi [Markele 85]. E qui bisogna notare come il corvo fosse l’animale sacro a Lugh (così come ad Apollo e al nordico Odino). Ciò può sembrare paradossale, vista la natura prettamente luminosa del dio: ma, ritornando ancora una volta a quanto detto in precedenza riguardo la duplicità di Lugh, si può notare come il suo nome fosse indubbiamente in rapporto ad una radice che significa «luce» (o «illuminazione», anche in senso mentale/intellettivo, e ciò evidentemente lo collega al Mercurio romano, dio dell’intelligenza e dell’intuizione) e «biancore» (greco leukos, «bianco»; latino lux, «luce»). Per completezza di informazione, riportiamo il parere autorevole di Graves, secondo il quale il nome del dio era in relazione anche con lucus, «bosco», e potrebbe addirittura derivare dal sumerico lug, «figlio» [Graves 347]; inoltre, De Vries aggiunge che, nell’antico idioma gaelico, lugos significava «corvo».

Ritornando a quanto detto in precedenza riguardo la duplicità di Lugh come dio luminoso e al tempo stesso collegato al corvo, ricordiamo come d’altronde anche l’Apollo Lyceus era contemporaneamente connesso ad un’idea di luminosità e di purezza (Apollo iperboreo, dio solare e polare) e ad una più ambigua, dal momento che l’epiteto di cui sopra si faceva derivare, oltre che dal concetto di luminosità e splendore, anche dal lupo, animale che nella tradizione europea spesso è foriero di pericolosità o di avversità. Possiamo dunque concludere che, con tutta probabilità, Giulio Cesare non fu preciso nell’associare Lugh a Mercurio, in quanto le sue caratteristiche dualistiche lo rendono ben più simile all’Apollo Lyceus mediterraneo, il quale, dal canto suo, presentava spesso caratteristiche ambigue e poco rassicuranti [cfr. Detienne, Apollo con il coltello in mano].


Lugh e Lucifero

Dalla stessa radice indoeuropea lux deriva anche la figura divina di Lucifero/Phosphoros, il «Portatore di Luce»: un dio che presenta, d’altra parte, notevoli similitudini sia con Lugh che con Apollo, e financo con il già menzionato Prometeo, il quale per aver portato il «fuoco» (ovvero la «luce della gnosi») all’umanità venne condannato ad un supplizio terribile dagli dèi dell’Olimpo. Allo stesso modo, sempre a causa della sua tracotanza, nella tradizione giudaico-cristiana Lucifero venne scaraventato giù dal cielo dal dio supremo Geova, e condannato a vivere occultato nelle profondità della terra (similmente anche al Saturno/Kronos mediterraneo, sovrano dell’Età dell’Oro) [cfr. Apollo/Kronos in esilio: Ogigia, il Drago, la “caduta”].

Se ciò non bastasse a dimostrare la validità dell’associazione Lugh/Lucifero, si aggiunga che, secondo la tradizione, Lucifero venne precipitato sulla Terra proprio il 1° agosto, giorno di Lammas! E qui ritorniamo con il pensiero a quanto scrisse von List riguardo il dio venerato nel mese di agosto: «colui che è in procinto di inabissarsi»… o di precipitare. Ancora: sebbene il mito sia meno noto, si dice che anche Apollo venne precipitato sulla terra da Zeus, in seguito alla sua rivolta contro i ciclopi, milizia del dio olimpico, rei di aver ucciso il figlio Asclepio, dio della medicina e figlio di Apollo. Per questo atto di hybris, Apollo venne infatti condannato dal padre degli dèi a trascorrere un «grande anno» sulla Terra, a pascolare le greggi dell’umanità, vale a dire a prendersi cura dell’uomo e della sua evoluzione spirituale per la durata di un intero eone [Detienne 258].


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Lugh e Beleno

Non vi sono dubbi che Lugh si sia sovrapposto, in epoca arcaica, al dio proto-celtico Beleno (o Belanu), divinità della luce (dal protoindoeuropeo *bʰel-, «luce»), uno dei maggiori e più influenti tra gli antichi dèi europei, per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai solstizi e perciò ai cicli solari dell’anno, la cui compagna era la dea del fuoco Belisama, alla quale era stato anticamente eretto l’altare sacro su cui venne in seguito edificato il Duomo di Milano. Questa coppia divina della luce e del fuoco veniva adorata principalmente dai Liguri e dagli Iberi, e in seguito dai Celti continentali (Italia, Francia) ed insulari (Gran Bretagna). L’antichissima radice bel, presente in molteplici protolinguaggi, secondo alcune fonti avrebbe il significato trascendentale di «apparire dall’altro mondo» e di «illuminazione dal mondo degli Dei», e sembra essere collegata anche al dio primordiale della luce Baal, venerato dai Sumeri nel VI millennio a.C.

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Ritornando a Beleno, ritroviamo nell’ambito delle sue funzioni tutte quelle che, in seguito, vennero associate a Lugh: egli, infatti, era noto per la sua influenza sulla luce solare e di conseguenza sull’agricoltura, sulla temperatura e sulla guarigione; inoltre, come Lugh nel suo aspetto mercuriale, egli sovrintendeva sull’illuminazione della psiche nell’accezione spirituale e mentale come guida alle innovazioni e invenzioni. Beleno sembra anche connesso etimologicamente alla festa rituale di Beltane (la festività che anticipa Lammas nel quadro delle quattro celebrazioni principali del calendario celtico), celebrata a inizio maggio, per ricordare la rinascita del dio della luce, durante la quale i druidi compivano rituali  apotropaici con falò e fuochi.


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Lugh e Odino

Inoltre, come notò per primo De Vries, Lugh presenta anche diverse caratteristiche che ne permettono l’identificazione parziale con l’Odino/Wotan della tradizione germanico-norrena. Non è d’altronde un caso se, nella stessa data in cui i Celti festeggiavano la «luna del raccolto», ovvero la festa di Lugh e di sua madre Taultiu, i Norreni celebravano il matrimonio sacro tra Odino e Frigg [Guidi Guerrera 24] ovvero tra le forze numinose del cielo e quelle della terra. Come Odino, Lugh è a capo delle milizie divine nella lotta contro i giganti; come lui, è possessore di una lancia meravigliosa e portentosa; come il padre degli dèi nordici, egli affronta la guerra non con la sola forza, ma principalmente con la magia, similmente anche al Varuna indù. In più, come il dio norreno, gli è sacro il corvo, è poeta e musico.

Infine, se Wotan è guercio, Lugh è il nipote di un “guercio dall’occhio pernicioso” [Markele 88] e, per operare la sua magia in battaglia, durante il combattimento egli chiude un occhio. A tal riguardo, Eliade scrive: “I testi irlandesi presentano Lug come un capo militare, che si vale di poteri magici sul campo di battaglia, ma anche come sommo poeta e antenato mitico di un’importante tribù. Questi tratti lo ravvicinano a Wotan-Odino, che fu, anch’egli, assimilato a Mercurio da Tacito. Si può concludere che Lug rappresenti la sovranità nel suo aspetto magico e militare: è violento e temibile, ma oltre ai guerrieri protegge anche i bardi e gli “stregoni”. Proprio come Odino-Wotan, è contraddistinto dalle sue capacità magico-spirituali, e questo spiega perché sia stato omologato a Mercurio-Ermes” [Eliade 146-7] [cfr. Cernunno, Odino, Dioniso e altre divinità del ‘Sole invernale’].


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Lugh e l’arcangelo Michele

È interessante anche notare come alcune caratteristiche di Lugh sfociarono poi, in epoca cristiana, nell’iconografia dell’arcangelo Michele, conduttore delle milizie celesti. Si noti, innanzitutto, come la spada (o in alternativa la lancia, tipica di Apollo) erano attribuiti tipici, ben prima che di S. Michele, del dio celtico in questione. Inoltre, i giorni consacrati all’arcangelo erano l’8 maggio ed il 29 settembre, gli stessi della levata delle Pleiadi, sullo sfondo della Via Lattea, che nei Paesi celtici veniva chiamata il «castello di Lugh». Ancora: nella basilica di San Michele Maggiore a Pavia, l’arcangelo era venerato nella doppia funzione di accompagnatore dei defunti e di custode e datore della regalità, nella cui veste presiedeva all’incoronazione dei re longobardi  esattamente il duplice ambito funzionale del celtico Lug.

Ciò non sorprende, considerando che le popolazioni germaniche cui i Longobardi appartenevano furono a lungo sotto l’influsso della cultura celtica e ne riportarono numerose contaminazioni [Calabrese]. In più, tra gli epiteti ricorrenti di Lugh, ne troviamo alcuni che potrebbero riferirsi senza problemi anche all’arcangelo: Lonnbeimenech («Colui che colpisce furiosamente»), Lamfada («dalla lunga mano») e Grianainech, termine che in irlandese veicola un’idea di calore e luminosità e viene riferito anche all’astro eliaco [Markele 87], di cui San Michele in questione è la personificazione. In tal senso, ritroviamo una continuità tra il culto pagano di Lugh e quello cristiano dell’arcangelo Michele, che d’altronde proprio in Francia è particolarmente sentito. 


BIBLIOGRAFIA:

  • M. Detienne, Apollo con il coltello in mano (Adelphi, Milano, 2002).
  • R. Graves, La Dea Bianca (Adelphi, Milano, 1992).
  • G. Guidi Guerrera, Le stagioni della magia (Hermes, Roma, 1996).
  • M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. II (Sansoni, Firenze, 1980).
  • G. von List, La religione degli Ariogermani e Urgrund (Settimo Sigillo, Roma, 2008).
  • J. Markale, Il druidismo. Religione e divinità dei Celti (Mediterranee, Roma, 1991).
  • T.G.E. Powell, I Celti (Il Saggiatore, Milano, 1959).