Considerazioni astrologiche sul Vangelo: la Passione e la Resurrezione

di Andrea Casella
copertina: “Creazione”, da un “Libro delle Ore” francese del XV secolo

Prosegue il ciclo di articoli dedicati all’astronomia sacra a firma di Andrea Casella. In questo appuntamento, che segue a quello precedentemente pubblicato [Considerazioni astrologiche sul Vangelo: una soteriologia su base solare], l’autore si concentra sulla soteriologia dei vangeli cristiani individuandovi i rimandi  il più delle volte ormai dimenticati e quindi misconosciuti  all’antica tradizione astroteologica. Questa seconda parte è incentrata sull’analisi del complesso simbolico della passione e resurrezione di Cristo e sulle implicazioni astrologico-esoteriche dell’avvento dell’Era dei Pesci.


La passione, la corona di spine e la resurrezione

La corona di spine è infine essa stessa un simbolo dei raggi solari. Secondo René Guénon (Simboli della scienza sacra, cap. 20):

« C’è da notare… che molte fra le piante che svolgono un ruolo simbolico importante sono spinose [si possono fare gli esempi della rosa, del cardo, dell’acacia, dell’acanto, ecc.]; anche qui, le spine, come le altre punte, evocano l’idea di un vertice o di un’elevazione, e possono anche, per lo meno in certi casi, esser prese per raffigurare i raggi luminosi [Il simbolismo cristiano della corona di spine (che si dice siano spine di acacia) si ricollega così, in un modo che taluni forse troveranno inatteso, ma non per questo meno reale cd esatto, alla corona di raggi…]. »

C’è da dire che la corona di spine (d’acacia, che ci ricordano anche il rituale dell’uccisione di Huitzilopochtli fra gli Aztechi) si ricollegherebbe, più specificamente, al sole “sfrondato dei suoi raggi” (Vikarttana, in sanscrito), nell’ambito di un’iniziazione ai misteri solari così come definiti dalla famosa, nonché assai controversa, M.me Blavatsky [1]. Tali ultimi riferimenti ci sentiamo di doverli prendere con la dovuta cautela, dato il personaggio di cui trattasi; nondimeno, la suggestione del “sole sfrondato”, indebolito della propria luminosità, nel contesto astrologico che ci impegna non può non trovare un piccolo spazio.

A ulteriore conferma che la passione di Cristo riassuma, in senso astrologico, la parabola discendente del sole sul cerchio dell’anno tropico, è l’episodio della crocifissione in sé, che riassume e contiene, come una scatola cinese più piccola, tutto il pregresso. Così, dai Vangeli possiamo ricavare che Gesù viene crocifisso all’ora terza (9 del mattino), comincia l’agonia all’ora sesta (mezzogiorno) e spira all’ora nona (3 del pomeriggio) [2]. Gesù, dunque, rimane sulla croce per sei ore. Il contrasto è evidente: si tratta delle ore del giorno in cui il sole è più alto nel cielo. A mezzogiorno, tuttavia, quando il sole dovrebbe raggiungere il suo zenit, si fa buio su tutta la terra, come se fosse al nadir, a mezzanotte. Ma questa è una notte simbolica: non è, in realtà, la notte che seguita al giorno, bensì la notte stagionale dell’inverno.

È evidente che la discesa del sole negli inferi lascia orfana di sé la terra, che rimane preda della stagione del buio e del freddo. Le sei ore della crocifissione, infatti, corrispondono a sei spicchi ideali sul cerchio zodiacale, quelli, per inteso, dei segni autunno-invernali e dominio, peraltro, di Ahriman, pieno di morte. In contemporanea con la dipartita del Cristo si scoperchiano le tombe “dei santi”, che ritornano dagli inferi. In questo momento, come nota Elémire Zolla [3], Gesù è contemporaneamente sulla terra e nello Sheol, è al contempo visibile all’occhio e invisibile, così come il sole che si appresta a percorrere l’eclittica meridionale. Scomparsa è la sua possanza, ma non la sua presenza. Basterebbe questo dato a smentire il pragmatismo empirista di Frazer, secondo cui ciò che muore e scompare non può che essere la vegetazione, essendo il sole sempre visibile, seppure indebolito.

Dato interessante è l’invocazione che Gesù rivolge a Eloì (che nel Vangelo di Matteo risulta nella variante Elì). Chi è questo Eloì, e come mai la gente ai piedi della croce è sicura che stia invocando il profeta Elia? Ora, Eloì dovrebbe essere, ovviamente, Elohim, o El, il Dio Padre manifestatosi fin dall’Antico Testamento. L’apparente fraintendimento sarebbe una velata allusione al Sole (l’El-Gabal/Helios [4] dei Greci, di provenienza orientale), sul cui carro il profeta Elia venne assunto in cielo. È quasi come se l’evangelista avesse voluto dissimulare un riferimento intenzionale.

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Gesù viene sepolto e, dopo essere rimasto negli inferi durante il giorno dedicato a Saturno (il Sabbat), risorge il primo giorno della settimana, dedicato al Sole. Questo giorno è posto dalla tradizione al 27 di marzo, due giorni dopo l’equinozio di primavera nel calendario giuliano, che nell’Era dell’Ariete cadeva, appunto, sotto il segno dell’Ariete, o Agnello equinoziale. Come riportato da Frazer [5], la data della resurrezione del Cristo veniva a cadere esattamente due giorni dopo quella della resurrezione di Attis (25 marzo), sposo della pietra di Pessinunte, Cibele; e vi fu chi, come Lattanzio, e probabilmente la Chiesa di Gallia, le due date faceva coincidere. La sorprendente sovrapposizione delle due festività fu motivo di scontro fra i diversi gruppi di fedeli: da un lato, i pagani asserivano che la resurrezione di Cristo fosse un’imitazione di quella di Attis; dall’altro, i cristiani pretendevano che quella del rivale fosse una contraffazione del diavolo, che nella priorità del culto di Attis rispetto a quello di Cristo, aveva abilmente invertito l’ordine naturale delle cose [cfr. Le religioni del mistero: soteriologia del culto mithraico e di Attis/Cibele].

Al di là della risibile aneddotica, il dato che emerge palese è che certi rituali dovevano essere compiuti in un periodo dell’anno preciso, altrimenti non avrebbero avuto senso. Il kairòs, il “tempo opportuno” in cui un’azione deve essere esercitata, ci rivela la più antica preoccupazione umana verso i fenomeni astronomici, unica bussola e norma di comportamento in un mondo privo di verità rivelate. Nel caso specifico, pur trattandosi di rituali “tardi”, già inquinati di metafisica e religiosità trascendente, essi ci svelano la loro matrice solare (un tempo saturnina), per cui trovarsi al posto giusto nel momento del ritorno del Sole è parte fondante della salvezza.

Se un tempo fu Kronos a doversi addormentare per poi fare ritorno insieme a una nuova Età dell’Oro [cfr. Apollo/Kronos in esilio: Ogigia, il Drago, la “caduta”], ora, con l’oblio della religione astrale, è il Sole a prendere il suo posto, e già quest’ultimo non è più lui, all’inizio dell’Era dei Pesci, poiché viene ormai il tempo deputato a chiudere tutti i tempi, dove la luce eterna accoglierà i giusti e la tenebra eterna i malvagi. Così come lo zoroastrismo, ispiratore di ogni metafisica in Occidente, aveva iniziato a sostenere già secoli prima.

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Sidney Hall, rappresentazione della costellazione dei Pesci, tratta da “Urania’s Mirror”, 1825.
L’avvento dell’Era dei Pesci

Anni, numeri, ritorni; in una parola: il tempo. Quando a Pitagora veniva chiesto che cosa fosse il tempo, egli rispondeva che fosse l’anima (psychè) dell’universo. Di questo insegnamento fece tesoro Platone, nel Timeo.

Quando ha iniziato ad affievolirsi il “sentimento” del tempo? La risposta non è semplice, ma gli indizi guidano tutti verso l’alba del monoteismo, che considerò il Sole di per se stesso, staccato dalle sue prerogative precessionali. Il faraone Akhenaton, nel XIII sec. a.C., fu il primo a tentare l’impresa, strappando, letteralmente, il disco solare dalle corna del dio Api e prendendo ad adorarlo per ciò che semplicemente era. La raffinazione successiva degli spiriti e il progressivo oblio del significato dei miti condusse l’antico Sole a tramutarsi in un mero simbolo e infine a rarefarsi in un Principio d’ordine metafisico, senza tuttavia mai perdere del tutto le caratteristiche di luce e ardore che lo contraddistinguevano.

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A quei tempi non si era ancora del tutto perduta la scienza della precessione, e soprattutto, non si era ancora perso il legame tra questa scienza e gli eventi “divini” che devono esserne specchio sulla “terra”. E così, mentre gli antichi culti solari declinavano nell’immemore putrescenza delle loro prerogative primordiali (tanto che Adone, Attis, Osiride e Dioniso furono scambiati per semplici divinità della vegetazione), allo scoccare dell’Era dei Pesci si attuò un’ultima riorganizzazione di essi sotto l’egida di un nuovo Sole, con peculiari pretese soteriologiche e messianiche: il Sole-Cristo. Eppure, gli antichi caratteri del sole non andarono del tutto perduti. Il Cristo nasce al 25 di dicembre, data in cui anche l’antica Vergine di Sais metteva al mondo Horus.

La mezzanotte del 25 dicembre segnava, in quel momento, l’ascesa sull’orizzonte della Vergine celeste: allo zenit stava il Cancro (con le sue stelle denominate Asini) e a occidente il Toro. La Vergine era peraltro già “miracolosamente” tornata a un angolo del cielo dai tempi dell’Età dell’Oro, andando ad occupare l’equinozio d’autunno. Ecco perché Virgilio (definito “profeta del Cristianesimo”) dice (Bucoliche, IV, vv. 6 -7): “Iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna, iam nova progenies caelo demittitur alto (Ritorna ormai la Vergine, ritorna il regno di Saturno e dall’alto del cielo già discende una nuova progenie)” [cfr. Il significato astronomico dell’Età dell’Oro: Astrea e la “caduta” di Fetonte].

L’antica Vergine, che aveva vissuto in splendida pace con gli uomini nell’Età dell’Oro, tornava ormai per dare la vita al nuovo sole, che sarebbe stato il sole eterno. Pur esso doveva patire sofferenze e morte, andandosene negli inferi, cioè scendendo nell’emisfero australe nel periodo che qui inizia l’inverno (fatto rievocato anche nella morte di Osiride, che si collocava nel giorno 17 del mese di Athyr, quando il sole attraversava lo Scorpione). Ma se la sua morte, al pari di quella di Osiride, Adone, Attis e Dioniso, doveva essere solo temporanea, la sua resurrezione all’equinozio di primavera, a differenza di quella dei suoi predecessori, sarebbe dovuta essere definitiva.

Ci si cominciava a staccare dalla sfera del tempo. Tornava l’Età dell’Oro: l’Era dei Pesci che si annunciava, e che scoccava intorno all’anno 0, ripresentava ai quattro angoli della “terra” (benché in disposizione diversa) le stesse costellazioni che un tempo li occupavano nell’Età dell’Oro (7000 a.C. circa): i Pesci ora sorgevano eliacamente all’equinozio di primavera, i Gemelli al solstizio d’estate, la Vergine all’equinozio d’autunno, il Sagittario al solstizio d’inverno. “Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo (Nasce un ordine grandioso di secoli)” (Bucoliche, IV, v. 5).

Era il momento messianico per eccellenza: l’antico Serpente-Arimane portatore dell’inverno (questa costellazione sorge sull’orizzonte in autunno), che era penetrato in Eiren (o Eden), doveva essere ricacciato per sempre negli inferi per non fare più ritorno. Si noti che questo serpente fa anche parte della costellazione dell’Ofiuco, o Serpentario, da alcuni definita la tredicesima costellazione dello zodiaco. La Vergine partoriente (Virgo Paritura), con il diadema della Chioma di Berenice intorno al capo, come si dice nell’Apocalisse (Ap. XII ss.), affronta il serpente (la cui testa, Caput Serpentis, si trova al di sotto di essa) per la battaglia definitiva. È il tempo deputato a chiudere tutti i tempi.

planisfero dupuis (1)
Configurazione astrale a mezzanotte del 25 dicembre: da notare l’Asino in compagnia del Cancro, allo zenit (Tavola esplicativa allegata a C. F. Dupuis, “L’origine di tutti i culti”).
Conclusione

Gli oracoli hanno smesso di dare responsi, dice Plutarco intorno al 50 d.C. Il tempo ciclico, il tempo delle reincarnazioni, dei vaticini che gettano un ponte tra passato e presente, non esiste più. L’ultimo oracolo di Delfi si dice sia stato dato all’imperatore Giuliano nel IV secolo ed è sostanzialmente una dichiarazione di congedo dal mondo. Ultimi scampoli dell’antica religione astrale, con le immagini della precessione, sopravvissero fino all’epoca islamica. Nella Sura XVIII del Corano, così cara ai Sufi, si parla di Gog e Magog, confinate dietro un vallo di ferro e rame dal “Bicorne”, e poi di Mosè, che si reca a Eridu (la “confluenza dei fiumi”, divenuta nel Corano “la confluenza dei due mari”), al cospetto di Al-Khidr (Enki-Ea?) per partire, a bordo di una nave (la nave di Argo?), alla ricerca dell’immortalità, sulle orme di Gilgamesh. 

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L’avvento del Cristianesimo, con la sua escatologia senza appello, ha espulso l’umanità dal ciclo del tempo, che si è sciolto in una strana scansione indefinita di attimi neutri: oggi noi fluttuiamo in una sorta di eterno passato che non passa (basta guardare il calendario), slegati da ogni ciclo di ordine superiore, al di fuori del kòsmos. Era questa la “vita eterna” promessa? In verità, i tempi non si sono mai chiusi: il tempo della precessione continua imperturbato il proprio moto silente, e tra poco l’Aquario sorgerà eliacamente all’equinozio di primavera. Siamo noi che ci siamo fermati. Il Cristianesimo, nemico giurato di astrologi e scrutatori dei “segni” celesti, lungi dal porre sulla terra il regno di Dio e dell’Agnello per i secoli dei secoli (Ap. XXII, 5), ha in realtà preparato le basi a quel secolarismo che esso stesso, in modo incoerente, biasima.


Note:

[1]   Cfr. a tal proposito H.P. Blavatsky, The secret doctrine, Cambridge University Press, 2011, p. 271.

[2]   Era l’ora terza quando lo crocifissero (Marco XV, 25)… Giunta l’ora sesta, si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona (Marco XV, 33)… All’ora nona, Gesù esclamò a gran voce: “Eloì Eloì, lamà sabactanì”, che si traduce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Allora alcuni dei presenti, uditolo, dicevano: “Ecco, invoca Elia”. Un tale corse ad inzuppare una spugna di aceto, la pose su una canna e gli dava da bere, dicendo: “Lasciate, vediamo se viene Elia a tirarlo giù”. Ma Gesù, emesso un grande grido, rese lo spirito” (Marco XV, 34 – 37).

[3]   E. Zolla, Discesa all’Ade e resurrezione, Adelphi 2002, pp. 33 ss.

[4]   Non bisogna mai perdere di vista che, in origine, il Sole era Saturno. Il Dio Padre invocato da Gesù fu nei tempi primordiali Kronos, con il nome di El l’Altissimo, sovrano terrestre, unico fra gli dei aver mai camminato insieme agli uomini, in Eden, così come nel Lazio, o in Grecia (fr. orf. 139 Kern). Del resto, una divinità solare di periodo tardo come El-Gabal, a Emesa, prevedeva, nel suo culto, l’adorazione di una pietra, tipica di Saturno. Ed anzi, pare che El-Gabal abbia proprio il significato di Dio-Pietra (Luigi Nardi, Dei compiti, Pesaro, 1827, p. 75).

[5]   J. Frazer, Il ramo d’oro, Boringhieri 1973, pp. 564 ss.


Bibliografia:

  • Charles-François Dupuis: L’origine di tutti i culti (compendio), Martini 1862
  • Giorgio de Santillana: Le origini del pensiero scientifico: da Anassimandro a Proclo, 600 a.C. – 500 d.C., Sansoni 1966
  • Giorgio de Santillana: Fato antico e fato moderno, Adelphi 1985
  • Giorgio de Santillana – Hertha von Dechend: Il mulino di Amleto, Adelphi 2011
  • James Frazer: Il ramo d’oro, Boringhieri 1973
  • Robert Graves: I miti greci, Longanesi 1963
  • René Guénon: Simboli della scienza sacra, Adelphi 1975
  • René Guénon: Il simbolismo della croce, Rusconi 1973
  • Ananda K. Coomaraswamy: Khwāja Khadir e la fonte della vita, nella tradizione dell’arte persiana e moghul, in What is Civilization and other essays, Golgonooza Press 1989
  • Platone: Timeo, BUR 2014
  • Gerard Russell, Regni dimenticati, Adelphi 2016
  • Biagio Catalano, Il grande racconto, Lulu 2017
  • Adylson Valdez, Il numero 666 e le dodici tribù di Israele in Rivista Biblica 68/3-4, Santos, Brasile, 2006

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