Il monoteismo solare dell’Imperatore Flavio Claudio Giuliano

Il canto del cigno del “paganesimo” mediterraneo e del pensiero sacro antico nell’estremo tentativo dell’ultimo imperatore di Roma, che pagò la sua personale Resistenza venendo marchiato come «Apostata»


di Daniele Perra

Seguendo la dottrina neoplatonica di Plotino (203-270 d.C.), tre sono i presupposti necessari per giungere all’unione estatica col Divino: lo studio della filosofia, l’esercizio della virtù e la contemplazione della bellezza. La vita terrena dell’Imperatore Flavio Claudio Giuliano (331-369), istruito al neoplatonismo e ad alcune dottrine misteriche da Massimo d’Efeso, può essere a ragione considerata come uno sforzo costante verso la realizzazione filosofico-spirituale lungo queste tre direttrici. Filosofo, teologo, ma soprattutto uomo dal profondo sentimento religioso, Giuliano spese la sua breve esistenza per la ricerca della Verità divina e per la restaurazione della sua sovranità spirituale a discapito di dottrine che cercavano di usurpare ed offendere la tradizione di Roma.

Giuliano, convinto del fatto che la nozione di Dio non provenga agli uomini da un insegnamento (o da una rivelazione) ma bensì dalla natura stessa, compose il suo Inno al Sole in contemplazione dell’aurora sul monte Casio nei pressi di Antiochia. Tutto il suo operato politico e militare, anch’esso inscindibile dalle sue convinzioni spirituali, mai si dissociò da un’idea di imitatio heroum che in taluni casi assurse a vera e propria imitatio dei. Infatti, una leggenda narra che alla sua morte, avvenuta alla confluenza dei fiumi Tigri e Gyndes per mano di un cristiano, gli astanti videro uscire dal suo corpo due anime, prima quella di Giuliano poi quella di Alessandro Magno [1]:

« Simili a due fiaccole, diventarono due palle di fuoco, quindi due stelle filanti che si confusero con gli astri innumerevoli del firmamento. »

L’assimilazione della figura di Alessandro a quella dell’Imperatore Giuliano non è casuale. Alla madre di quest’ultimo era stato infatti predetto che dal suo ventre sarebbe nato un nuovo Alessandro. E Giuliano stesso credette alle parole di Massimo d’Efeso quando questi lo assicurò che era destinato a riunire l’Oriente e l’Occidente ed a superare le gesta di quello che nel mondo islamico è conosciuto come Iskander Dhu’l-Qarnayn («Alessandro il Bicorne»), «un epiteto che viene interpretato in riferimento ai due secoli, alle due età, ai due cicli di Alessandro» [2].

Alla pari del Macedone, dichiaratosi figlio di Ammone, Giuliano si dichiarò ufficialmente figlio di Helios, nonché secondo Eracle-Mithra «destinato dagli dèi a restaurare l’ordine religioso e politico, nel mondo romano». In questo senso l’Imperatore diventa una sorta di salvatore del mondo abitato e la sua missione contro la Persia, lungi dall’essere un’operazione volta al mero profitto commerciale, «appare assimilata, attraverso la figura di Giuliano stesso, alla missione di purificare tutta la terra e il mare che Dio affidò ad Eracle e Dioniso» [3]. L’avanzata verso Oriente di Giuliano, restauratore del monoteismo solare, è dunque da interpretare come un’avanzata incontro al Sole. Così come per Alessandro, questa avanzata deve necessariamente compiersi lungo le direttrici dell’ampiezza e dell’esaltazione.

Il rigetto del cristianesimo da parte di Giuliano si caratterizza in primo luogo come rifiuto dell’idea del Paradiso perduto che colloca il Soggetto non nel Centro, nel Polo celeste, ma al di fuori di esso. Tale Soggetto, concepito come Soggetto-esule, soffre della colpa del peccato originale. L’idea imperiale e politica di Giuliano afferma invece il carattere divino del Soggetto che ha sede nel Centro del cosmo. Questo Soggetto è assolutamente inseparabile da Dio (esaltazione) ed attraverso l’estensione orizzontale del suo potere (ampiezza) purifica lo spazio trasformandolo nuovamente in Paradiso. Al contrario, il Dio giudaico e cristiano, secondo le parole dello stesso Giuliano, sarebbe maligno, geloso e invidioso (cosa inconcepibile per una divinità) del fatto che l’uomo, «partecipando della vita, divenga immortale». E per evitare ciò ne impedisce la conoscenza del bene e del male [4].

Alessandro si inoltrò nella Terra delle Tenebre alla ricerca della Fonte di Vita che lo avrebbe reso immortale. Tuttavia, la sua missione non ebbe successo e solo il suo compagno Andreas (al-Khidr nella versione islamica della leggenda) riuscì a bere dalla Fonte raggiungendo l’immortalità. Questa “Fonte” non può che trovarsi nel Polo paradisiaco (il Paradiso Terrestre) che rappresenta il centro stesso del mondo. «Questo Polo è ancora effettivamente una parte del cosmo, ma la cui posizione è comunque virtualmente sopra-cosmica: così si spiega il fatto che di qui si possa raggiungere il frutto dell’Albero della Vita, il che equivale a dire che l’Essere pervenuto al centro del nostro mondo ha già conquistato l’immortalità» [5]. Ed è questo il Polo verso il quale tendeva Giuliano per ricongiungere l’uomo alla sua essenza spirituale primordiale perduta a causa dell’allontanamento dal Centro del bene.

Helios, nella teologia imperiale di Giuliano, è l’ipostasi intelligibile del bene e la luce del sole è l’energia intellettuale che illumina gli spiriti. In molte tradizioni il sole è rappresentato come il frutto dell’Albero del Mondo. Esso lascia il suo albero all’inizio di ogni ciclo per posarvisi nuovamente alla fine. In questa prospettiva l’albero, oltre al suo naturale simbolismo assiale, assume il significato di «stazione del sole». Un simbolismo che assume ancora maggior valore se si considera che l’Axis Mundi è sempre considerato più o meno esplicitamente come “luminoso”. Esso, come affermava Platone — «colui a cui Dio parlò bocca a bocca» [6] — è «un asse luminoso di diamante». E sempre secondo Platone, alla pari dell’Albero della Vita che si estende dall’alto verso il basso, «l’uomo è una pianta celeste le cui radici tendono verso il cielo ed i rami verso il basso» [7]. Di conseguenza la sua esistenza in alcun modo può essere disgiunta dall’ordine metafisico. La tendenza al monoteismo ed all’universalismo della religiosità solare giulianea si fondava proprio sul fatto che l’unicità del Divino doveva necessariamente riflettersi nell’unità dell’Impero e del suo «Capo angelizzato» capace di mantenere inalterato il rapporto diretto tra l’ordine fisico e quello metafisico.

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Ora, come riportato dal Prof. Claudio Mutti nella sua raccolta di saggi sulle epifanie dell’idea imperiale, il tentativo di Giuliano di rifondare la civiltà pagana è stato paragonato sia al tentativo (riuscito) dell’Imam Khomeini di riorganizzare su basi teocratiche uno Stato moderno (seppur dall’intrinseco carattere imperiale e tradizionale), sia al tentativo del Papa Giovanni Paolo II di mantenere in vita una religione (quella cristiano-cattolica) ormai destinata al tramonto [8]. Tuttavia, un paragone che sembrerebbe meglio calzare con la figura ieratica dell’Imperatore romano potrebbe essere quello col Faraone egizio Akhenaton: colui che elevò al rango di unica e suprema divinità il disco solare Aton, cosmocrate e creatore universale, fonte universale di vita nonché epifania eterna della divinità. Tramite la cosiddetta «Rivoluzione di Amarna», Amenhotep IV assunse il nome di Akh-en-Aton («colui che serve Aton») e, liberandosi del dominio sacerdotale per ciò che concerne le questioni religiose, ristabilì un legame univoco e diretto tra il Divino ed il potere regale. La sua morte e la fine della XVIII dinastia col suo successore Tut-Ankh-Amon, che ristabilì i rapporti con la classe sacerdotale, segnarono, secondo l’opinione diffusa tra gli studiosi, la fine della creatività del genio egizio [9].

La scrittrice Maximiani Portas (alias Savitri Devi Mukherji) nella sua opera The Lighting and the Sun individuò nella figura del Faraone Akhenaton un esempio di «uomo sopra il tempo»: ovvero, un uomo che persiste nelle sue profonde convinzioni a prescindere dal mondo circostante, ignorandolo, e quasi in aperto contrasto con esso. Giuliano, alla pari di Akhenaton che instaurò il monoteismo solare in un’epoca in cui il mondo egizio viveva una fase di aperta decadenza, può essere considerato un «uomo sopra il tempo». Anche Giuliano visse in un’epoca in cui l’Impero romano conosceva un’irreversibile fase di decadenza. Una decadenza che Giuliano, profondamente influenzato dal neoplatonismo, attribuiva alla diffusione di una religione, il cristianesimo, percepita come estranea alle basi fondanti ed all’essenza stessa dell’Impero. Ed alla pari di Akhenaton, il tentativo di Giuliano, anche a causa della sua prematura scomparsa, sarà destinato al fallimento.

L’idea che Giuliano si fece del cristianesimo risentiva della classica impostazione neoplatonica secondo la quale i cristiani non fossero altro che una setta estremista separatasi volutamente dall’ortodossia della Legge mosaica. Il filosofo neoplatonico greco (di origine fenicia) Porfirio, già discepolo di Plotino, riteneva che i giudei accogliessero Dio meglio dei cristiani. Ma lo stesso Porfirio reputava Gesù Cristo come un uomo profondamente devoto. Sant’Agostino nel De civitate dei ha riportato parte delle speculazioni di Porfirio sul cristianesimo col preciso scopo di confutarle in modo un po’ superficiale sulla base del verso biblico «colui che offre sacrifici agli dèi oltre al solo Signore, sarà votato allo sterminio». Scrive Porfirio nei suoi Discorsi contro i cristiani:

« Gli dei hanno proclamato che Cristo fu assolutamente devoto e divenne immortale; affermano però che i cristiani si sono macchiati e impigliati nell’errore e sono oggetto di numerosi oltraggi […] Il corpo è sempre esposto ai tormenti che lo indeboliscono, mentre l’anima degli uomini devoti risiede nella dimora celeste. Quell’anima tuttavia lasciò fatalmente che altre anime alle quali il destino non concesse di ottenere doni divini, né di conoscere l’immortalità di Zeus, si impigliassero nell’errore […] Dio, come padre di tutti, non ha bisogno di nulla; è un bene per noi, però, adorarlo in modo giusto, puro e completamente virtuoso, facendo della nostra vita una preghiera da innalzare fino a Lui. »

E, di fatto, questo fece Giuliano: rese la propria vita una preghiera da innalzare fino alla dimora celeste. Tuttavia, al contrario di Porfirio, Giuliano non nutrì una particolare simpatia per la figura del Cristo e non vide in Lui nessuna specifica qualità spirituale e profetica approfittando anche del verso evangelico «dalla Galilea non sorge nessun profeta» [10].

Il divieto di proselitismo fatto ai cristiani e il provvedimento che impediva loro di svolgere attività pedagogiche (De Magistris) sulla base dell’idea che non potessero insegnare una cultura che disprezzavano profondamente, non impedì comunque all’Imperatore di mostrare una relativa tolleranza nei loro confronti, tanto che spesso si preoccupò che ad essi non venisse fatta alcuna violenza. Allo stesso tempo Giuliano mai apprezzò il carattere esclusivista e rigidamente etnico della religiosità giudaica, ma non poté fare a meno di apprezzare le figure dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe che comunque ritenne essere di origine caldea e dunque versati nelle scienze sacre, nella teurgia e nell’astrologia.

Il monoteismo o enoteismo solare, introdotto da Giuliano, può essere a buon ragione considerato come una «sintesi di tutte le religioni e le teologie pagane» [11]. Helios è l’unico vero Dio e le altre divinità romane non sono altro che delle sue ipostasi. Giuliano non inventò una religione e non inserì elementi estranei alla tradizione religiosa romana. «Roma non venne meno alle sue più strette tradizioni per accogliere ed adottare culti e costumi stranieri. Al contrario dopo essere stato depurato dai suoi tratti più spuri ed equivoci il culto di origine beduina e stabilitosi in Siria divenne un culto romano di Stato e il Dio Sole si confonde col Dio più caratteristico della pura tradizione romana, Giove capitolino. Questo fatto, che René Guénon avrebbe potuto definire nei termini di un provvidenziale intervento dall’Oriente a favore di Roma, poté verificarsi per la ragione che il culto solare della tarda antichità romana rappresentava la riemergenza di una comune eredità primordiale» [12].

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I persiani veneravano Helios sotto il nome di Mithra. E Giuliano, che mirava ad una forma di universalizzazione del mithraismo, nel suo Inno al Sole identificava Mithra proprio con il Sol Invictus, divinità romana suprema a partire dalla riforma di Aureliano del 274 d.C. e festeggiata nel giorno del solstizio invernale, con Apollo e con Prometeo. Di fatto, Mithra, nella cosmogonia iranica, riveste un ruolo complesso. Celebrato nell’Inno Mihr Yasht e creato da Ahura Mazda, Mithra è un Dio solare onnisciente e onniveggente che provvede a tutto il creato, alla fertilità dei campi e del bestiame ed è al contempo un Dio guerriero [13]. Mithra, tuttavia, non condivide il tragico destino di altre divinità misteriche e lo scenario dell’iniziazione mithraica non comporta prove evocanti la morte e la resurrezione [cfr. Le religioni del mistero: soteriologia del culto mithraico e di Attis/Cibele].

Giuliano venne iniziato a questi misteri e l’Inno al Sole risente tanto della sua esperienza iniziatica quanto degli influssi neoplatonici. Tutte le divinità dipendono dalla Luce di Helios e sono l’emanazione della sua potenza. Ad esso è inoltre collegato «tutto quanto sulla terra respira e si muove e partecipa dell’essere e dell’anima razionale dell’intelletto» [14]. In questo senso, «Helios è il Sole non come astro fisico divinificato ma come simbolo di luce metafisica e di potenza in un senso trascendente […] Helios viene identificato con Apollo, il quale, date le sue qualità fondamentali di immutabilità, perfezione, eternità, eccellenza intellettuale, è la personificazione dell’unità divina esprimentesi come intelligenza pura ed assoluta» [15]. Ma per chi contempla il dio visibile è difficile comprendere quanto grande sia l’invisibile. Scrive Giuliano [16]:

« Questo cosmo divino e bellissimo, che dall’alto della volta celeste fino all’estremo limite della terra è tenuto insieme dall’indistruttibile provvidenza del Dio, esiste increato dall’eternità ed è eterno per il tempo restante, da null’altro essendo conservato se non direttamente dal quinto corpo – la cui sommità è il raggio di sole – poi a un grado per così dire superiore dal mondo intellegibile; e, in un senso ancora più elevato, dal Re dell’universo, nel quale tutte le cose hanno il loro centro. Questo invero, sia che convenga chiamarlo ciò che è al di là dell’intelligenza, oppure l’Idea degli esseri, oppure l’Uno, oppure il Bene, appunto questa causa incomposta di tutte le cose, per tutti gli esseri modello di bellezza e di perfezione, di unità e di potenza irresistibile, in virtù dell’originaria essenza creatrice permeante in lei, ha manifestato da sé Helios, grandissimo Dio, in tutto simile a sé, per farne un mediatore tra quelle cause mediatrici che sono le cause intellettuali e demiurgiche. »

Dunque, secondo Giuliano, tra il mondo soprasensibile del Divino e delle sue intelligenze angeliche e il mondo delle forme materiali e corporee, esiste un terzo mondo “intellettuale” in cui Helios, figlio dell’Uno ed ipostasi del Principio supremo, «vi svolge una funzione mediatrice, coordinatrice e unificatrice in rapporto alle cause intellettuali e demiurgiche, partecipando sia dell’unità del Principio trascendente, sia della molteplicità contingente della manifestazione fenomenica» [17].

Al sole è anche associata la figura di Attis, il compagno di Cibele che nell’Inno alla Madre degli Dei di Giuliano incarna il Logos, causa demiurgica del mondo visibile [18]:

« Attis prese come principio del suo regno le funzioni di tutti gli dei rivolte al mondo visibile. Egli ebbe per sé la regione integra e pura fino alla Galassia. »

Cibele, invece [19]:

« […] è la sorgente degli dèi intellettuali e demiurgici che governano gli dèi visibili; è la dea che generò il grande Zeus e con lui coabita, dopo essere venuta ad esistenza, lei grande dopo lui grande, assieme al grande demiurgo; è la signora di tutta la vita, la causa di tutta la generazione […] Vergine senza madre e compagna di trono di Zeus, è realmente madre di tutti gli dèi. »

Giuliano, come è noto, non introdusse niente di nuovo nella religiosità tradizionale romana. Il mito di Cibele ed Attis venne introdotto sin dai tempi delle guerre puniche allo scopo di propiziare la vittoria di Roma. Di origine frigia, il mito narra la vicenda di Cibele, madre degli dèi, che, trovato Attis addormentato sulle rive del fiume Sangarios, si innamora di lui e lo tiene con sé. Tuttavia, egli si innamora di una ninfa scatenando la collera di Cibele che lo fa impazzire. Così, Attis, autoeviratosi, lascia la ninfa e torna a vivere al fianco di Cibele. Le festività legate al culto di Cibele ed Attis si svolgevano nei giorni dell’equinozio di primavera tra il 15 ed il 24 marzo e ad esse, dopo una certa data, furono intrinsecamente connessi riti misterici che promettevano all’iniziato l’immortalità.

L’idea neoplatonica, alla base della speculazione religiosa e filosofica giulianea, venne fatta propria anche dalla teosofia islamica dello Shaikh al-Ishraq Sohrawardi (1155-1191) e di Mahmud Qotboddin Shirazi (1237-1311). Infatti, proprio Sohrawardi era convinto dell’esistenza presso gli antichi persiani di una comunità guidata direttamente da Dio. La loro sublime dottrina della luce sarebbe stata testimoniata da Platone e da Ermete Trismegisto. Essa si fonda sulla visione estatica degli esseri di luce. E questa luce altro non è che la «luce di gloria» dello zoroastrismo (xvarnah: termine che indica la fiammata primordiale che è la fonte degli splendori aurorali, quelle ipostasi di luce che generandosi a vicenda dalle loro stesse irradiazioni raggiungono l’innumerevole) [20]. La luce si oppone alla pura tenebra (barzakh): il mondo occidentale (landa dell’occaso) in cui regna il male a causa dell’assenza di Dio.

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Oltre mille anni dopo Giuliano, un altro filosofo che condivise un’epoca di decadenza imperiale, il bizantino Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452), parlò espressamente delle ricerca del Paradiso come percorso interiore dello Spirito verso il centro dell’anima circonfuso di luce. Pletone, portatore di un’ideale di riunificazione delle religioni sulla base del platonismo e della loro unità primordiale che sconvolse gli astanti del Concilio unionista di Firenze nel 1439 [21], riteneva che attraverso la filosofica platonica, erede di quella zoroastriana, si sarebbe potuto dare vita ad una società teocentrica e teocratica ispirata al culto solare. Egli si riteneva altresì prosecutore di una linea sapienziale coerentemente eurasiatica che aveva le sue origini nell’antichità ed attraverso Zoroastro, Pitagora, Platone ed anche i brahmani era arrivata fino a lui. Per questo motivo Pletone, alla pari di Giuliano, venne accusato di voler restaurare il paganesimo. Tuttavia, il suo era semplicemente un tentativo di riconciliare l’uomo con i caratteri religiosi del primordio attraverso il platonismo ed il monoteismo solare: unica via per superare le controversie religiose, sia tra cristiani che tra cristiani e musulmani, e fondare la pace universale.

Appare dunque evidente, come già affermato in precedenza, che Giuliano stesso non inserì alcun elemento straniero o di particolare novità nel complesso della religiosità romana. Il suo potrebbe anzi essere meglio compreso come un ritorno alla religiosità primordiale; a ciò che lo studioso danese, naturalizzato tedesco, Herman Wirth chiamava urmonotheismus [22]:

« L’elemento essenziale di questa religiosità primordiale, che si esprimeva essenzialmente su una base monoteistica, sarebbe stato costituito da una sorta di rivelazione naturale nella quale il ruolo primario veniva ad essere ricoperto dall’esperienza immediata della luce cosmica, dai significati spirituali coperti dal sole e dai diversi momenti che ritmano il suo percorso celeste, l’anno-Dio raffigurato come soffio/vita del sole […] Da un originario padre cosmico sarebbe derivato un figlio, il portatore di quella che Wirth definiva la luce della terra; il sole, il veicolo corporeo della luce spirituale. »

La progettualità politica e religiosa di Giuliano fallì a causa della sua prematura morte nel corso della spedizione contro la Persia. Alla pari dei successori di Akhenaton che distrussero il suo operato, i successori di Giuliano non misero più freni a quella cristianizzazione dell’Impero che riuscì a sopravvivere nella sua componente orientale proprio grazie alla profonda influenza che su essa esercitò la Felix Asia.

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Note:

[1] C. Mutti, Imperium. Epifanie dell’idea di Impero, Effepi, Genova 2005, p. 37.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem, p. 35.

[4] Flavio Claudio Giuliano, Contro i galilei (94 A), in C. Mutti (a cura di), Uomini e Dei; le opere dell’Imperatore che difese la tradizione di Roma, Edizioni Mediterranee, Roma 2004, p. 37.

[5]  R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Edizioni Adelphi, Milano 1973, p. 282.

[6] Contro i galilei (49 B), in Uomini e Dei, ivi cit., p. 38.

[7] Simboli della scienza sacra, ivi cit., p. 279.

[8] Imperium. Epifanie dell’idea di Impero, ivi cit., p. 13.

[9] M. Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose (Vol. I), BUR, Milano 1996, p. 124.

[10] Giovanni 7, 52.

[11] Imperium. Epifanie dell’idea di Impero, ivi cit., p. 14.

[12] C. Mutti, La prospettiva eurasiatica di Franz Altheim, su Eurasia.

[13] Storia delle idee e delle credenze religiose, ivi cit., p. 323.

[14] Inno al Re Helios (130 B), in Uomini e Dei, ivi cit., p. 79.

[15] Imperium. Epifanie dell’idea di Impero, ivi cit., pp. 19-21.

[16] Inno al Re Helios (132 D), in Uomini e Dei, ivi cit., p. 81.

[17] Imperium. Epifanie dell’idea di Impero, ivi cit., p. 20.

[18] Inno alla Madre degli Dei (171 B), in Uomini e Dei, ivi cit., p. 116.

[19] Ibidem (166 B), p. 111.

[20] H. Corbin, Storia della filosofia islamica, Edizioni Adelphi, Milano 1991, pp. 218-219.

[21] G. Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Einaudi, Torino 1993, p. 502.

[22] A. Branwen, Ultima Thule. Julius Evola e Herman Wirth, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2007, p. 57.


Bibliografia consigliata:

  • Arthur Branwen, Ultima Thule, Julius Evola e Herman Wirth, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2007.
  • Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1991.
  • Savitri Devi, Il fulmine e il sole, Thule Italia, Roma 2015.
  • Mircea Eliade, Storia delle idee e delle credenze religiose, BUR, Milano 1996.
  • Flavio Claudio Giuliano, Epistole, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1991.
  • René Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975.
  • René Guénon., Il Re del mondo, Adelphi, Milano 1977.
  • Claudio Mutti, Imperium. Epifanie dell’idea di impero, Effepi, Genova 2005.
  • Claudio Mutti (a cura di), Uomini e Dei, Edizioni mediterranee, Roma 2004.
  • Giorgio Gemisto Pletone, Trattato delle virtù, Bompiani, Milano 2010.
  • Porfirio, Discorsi contro i cristiani, Edizioni di Ar, Padova 1982.

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