“Game of Thrones”: Bran, il corvo, la tessitura

Alla scoperta degli archetipi mitici che si occultano dietro alla figura di Bran nel fortunato serial televisivo tratto dalla saga di George R.R. Martin


articolo di Roberto Cecchetti
didascalie e note a cura di Marco Maculotti


I simboli eterni della tradizione, i nomi, i segni, gli enti e gli esseri connessi l’un l’altro per similitudine ed analogia, gravitano inevitabilmente attorno ai medesimi archetipi, come attorno ad un’energia che li attrae. E così, in virtù di una forza significante irresistibile, tali simboli riemergono anche nel moderno  per chi sia allenato a riconoscerli — oltre quel camuffamento di cui già Mircea Eliade aveva parlato [1]. In Game of Thrones (Il Trono di Spade) e nell’opera di George R.R. Martin ritroviamo molti temi archetipici che troppo spesso tendono a passare inosservati.

É il caso di Bran Stark, personaggio centrale in tutta la vicenda del Trono di Spade. Il suo nome ricalca quello di Brân il Benedetto (gallese Bendigeidfrân, letteralmente «Corvo Benedetto»), divinità della mitologia celtica, Re di Britannia. L’archetipo funzionale di Bran Stark è, come cercheremo di dimostrare, quello del ritmo, il quale inevitabilmente si intreccia al tema della tessitura, di Circe, del corvo e della visione: tutti elementi mitici, questi, che sono archetipicamente connessi.

Si cominci col rilevare come Bran sia stato gettato giù dalla torre da Jaime, proprio mentre stava per assistere a qualcosa che non doveva assolutamente vedere, ovvero all’unione incestuosa fra i due fratelli, il principe e la principessa Lannister. A seguito di ciò, il ragazzo perderà l’uso delle gambe, lotterà fra la vita e la morte [2], e nelle notti veglierà accanto a lui la Vecchia Nan, donna di grande sapienza, depositaria della tradizione del Nord. Sarà lei a raccontargli le storie sugli estranei, sulla magia dei primi uomini, sulla foresta incantata, sulla barriera, e — come accade nella mente degli anziani — Bran si confonderà nei racconti con l’antico Bran costruttore della barriera, antenato storico in cui sembra rivivere il giovane nobile. Nan intanto tesse, come una vecchia sapiente accanto al fuoco.

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L’incontro onirico di Bran con il corvo a tre occhi.

Sarà in una sorta di dormiveglia [3] che Bran comincerà a vedere un corvo a tre occhi, un’immagine costante che lo condurrà alla visione. Del resto il ragazzo, in seguito alla sua caduta, aveva perduto alcune qualità mondane e come spesso accade sia nella tradizione mitica che nella metaforologia filosofica, ne acquisterà altre, superiori, peculiari. La sorte di Bran è segnata: come un novello sciamano il ragazzo diventerà un essere mitico, vale a dire un metamorfo, un uomo capace cioè di mutare forma, di entrare in una primordiale sintonia con le forme del reale, in special modo con gli animali, e di vedere il mondo attraverso i loro occhi [4].

Non solo: Bran diventerà esperto della dimensione spaziale e temporale, riuscirà quindi a districarsi nella trama e nell’ordito degli elementi fondativi della realtà: spazio e tempo, qualità e quantità, essenza e sostanza — per dirla con René Guénon. Per far questo occorre ritrovare la sapienza più radicale, quella dei ritmi, quella della croce, quella della tessitura.

Lo spiegava già l’indimenticato Elémire Zolla in Verità segrete esposte in evidenza:

« Kerkizein in greco significa tessere ed il rumore che fa il subbio rassomiglia al gracchiare del corvo (korax). »

Ecco dunque identificato un nesso simbolico-semantico fra il telaio ed il corvo. In più, sempre Zolla ci ricorda di Circe (Kirke) la grande iniziata all’arte tessile, donna legata a culti solari, capace di ricondurre magicamente gli esseri alla forma da lei desiderata:

« …non tesse semplici panni, ma configura l’arazzo di ciò che vuole magicamente accada, il suo è l’arcaico telaio oracolare, massimo strumento di magia dei sacerdozi femminili. »

Chi possiede l’iniziazione alla magia tessile sa vedere fra le trame del reale e può modificare gli eventi a piacere, nel passato e nel futuro. Circe è la donna-maga conoscitrice delle forme — anche lei metamorfa — ed era sempre lei ad impartire l’iniziazione della tessitura, in virtù della quale i compagni di Ulisse furono ricondotti alla forma di maiali. Inoltre, Zolla noterà che:

« …la radice indoeuropea di Circe… genera anche il medioirlandese crain, scrofa, e si ravvisa il nesso tra la funzione di Circe, che largisce la transe suina, e quella di Varahi, l’amante soprannaturale suina degli adepti del tantra tibetano. »

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Wright Barker, “Circe”, 1889.

Tale iniziazione infatti doveva condurre al punto immanifesto che risiede immutabile oltre ogni forma, un punto dal quale, le forme stesse e gli esseri tutti discendono e si generano. Così Circe avrebbe impartito la conoscenza della coniunctio oppositorum, tanto cara a tutta la tradizione alchemica. Tale congiunzione degli opposti doveva essere sperimentata — ecco il nesso con il tantrismo — quale fonte di energia pura, nella quale poteva rivelarsi il divino (anche e soprattutto come potenza immanente).

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Il tessere kerkizo, il gracchiare del subbio ed il corvo korax, la maga Circe Kirke che impartisce l’iniziazione della tessitura attraverso la conoscenza delle forme e dei loro intrecci — ecco le chiavi tradizionali-simboliche per comprendere appieno la figura di Bran. Adesso possiamo scorgere i rimandi che esotericamente si celano nelle storie del Trono di Spade, vicende che sembrano voler comunicare quei significati immutabili che spesso, nella nostra epoca, appaiono sotto la veste di una narrativa fantastica.

Questa congiunzione degli opposti la ritroviamo infatti nella narrazione di Games of Thrones, e precisamente in misura massima nelle nozze alchemiche (hieros gamos) fra Jon Snow e Daenerys Targaryen, a loro volta personificazioni degli opposti: il ghiaccio ed il fuoco, di cui appunto George R.R. Martin scrive le cronache [5].

Vi è anche da sottolineare come l’immagine della Vecchia Nan che tesse non sia casuale. Nan è la donna-maga assimilabile in tutto e per tutto a Circe. Sarà lei ad impartire l’iniziazione tessile-metamorfica a Bran, attraverso le sue narrazioni fiabesche che porteranno il ragazzo all’identificazione con il corvo, cioè con l’adepto della sapienza tessile, e più tardi alla visione sciamanica [6].

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Bran Stark e il corvo, suo ‘doppio’ teriomorfo.

In Filosofia perenne e mente naturale ancora Elémire Zolla, nel capitolo iniziale in cui tratta dell’origine delle parole che designano irrazionalità, ci ricorda che:

« …dalle radici indoeuropee e rēidh provengono in latino ōrdo, ordine, e ōrdior, ordisco, ma anche exōrdior che denota l’inizio di una tessitura. Questa connessione risponde ad una precisa concezione arcaica della tessitura quale sortilegio tramato mediante l’intreccio dei fili sul telaio… La spoletta in questa opera magica ha la funzione di una freccia. I fili colorati si connettono in modo da operare sortilegi o predire la sorte; il telaio è pertanto la macchina mediante la quale la donna stregonesca, tessendo (in testo i termini Weib-weben, in inglese wife-weave sottolinea l’affinità fra donna e tessitura), abbindola, avvolge e lega: corregge, “razionalizza” la realtà nel senso che “razionalità” poté avere nei primordi. »

Di qui anche la concezione operativa dell’ornamento, il quale non è da considerarsi come un’inutile aggiunta, bensì quale elemento essenziale per fini magici e rituali.

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Una volta chiarito il contesto tradizionale a cui Martin vuol fare riferimento, potremmo chiederci in che modo un simile sapere può tornare ad inverarsi nel nostro tempo, nella nostra condizione storica che, come sappiamo, da un punto di vista tradizionale è connotata da una precisa qualità temporale che sembra ostacolare ogni tentativo di elevazione spirituale e di ascesa all’ambito del qualitativo. In un mondo in cui l’immagine viene costantemente moltiplicata, manipolata, ostentata, ed in cui il reale sembra costretto nelle dimensioni ristrette e stereotipate delle medesime narrazioni, dei soliti discorsi, della chiacchiera e dell’impersonalità del Si heideggeriano, in una condizione dominata dal peso della quantità, che cosa significa tornare ad essere “veggenti”, cosa vuol dire acquisire la capacità della visione? Credo che le metafore ed i simboli usati da Martin per descrivere le vicende di Bran possano aprirci a prospettive interessanti in questo senso.

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Il fine, anticipando la conclusione, potrebbe consistere nel superamento degli idoli visivi, cioè dalle visioni già date del reale, per rifondare il reale stesso secondo una volontà libera. Ad indagare a fondo la cosa verremmo condotti in questioni filosofiche che riguardano non solo l’idealismo filosofico ma anche la sua attualizzazione, ovvero l’idealismo magico di cui parlò Julius Evola. Difatti, essere ricondotti all’origine delle forme significa ritrovarsi in quel luogo di unione dei due poli che sempre la filosofia ha tentato di analizzare, conoscere e connettere: io e mondo.

Risalendo all’originaria indistinzione — come direbbe Hegel, una volta arrivati al momento della sintesi siamo ritornati ancora indietro, siamo risospinti all’inizio —, risalendo filosoficamente, magicamente o iniziaticamente fino all’Uno in cui tutto l’essere è in ogni cosa e dove soggetto ed oggetto non sono più distanti e separati, diventiamo liberi in quanto cessiamo di pensarci come separati, come degli in-sé, e spezziamo così l’incantesimo della separazione io-mondo. Ogni cosa è in relazione con tutto e si determina attraverso tutto ciò con cui entra in relazione: ogni cosa è intrecciata e il mondo è un tessuto.

Se quindi la realtà è inevitabilmente una realtà sempre percepita, intenzionata ed insieme ri-creata dal soggetto che entra in relazione con il mondo, per modificare il mondo occorre fare come Bran: così, una volta raggiunto il grado zero dell’origine di ogni forma, dopo aver osservato ed imparato tutti i ritmi del reale, saremmo capaci di riconoscere la radice di ogni manifestazione e quindi di generare nuovi intrecci.

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La caverna del corvo con tre occhi è un’immagine dell’ordito cosmico. A sua guardia, un anziano saggio che ricorda la figura di Odino/Wotan, dio nordico della sapienza sciamanica, a cui è sacro il corvo.

L’iniziazione consisterà quindi in un affinamento dell’udito e della vista, in una distruzione delle visioni già date, degli intrecci consueti: si tratterà cioè di disfare la tela della realtà per tesserne una nuova, giorno per giorno. Cucire, tessere, connettere nessi inediti! Questa l’operazione dell’idealista magico che non vede più le cose di questo mondo ma scorge direttamente la radice ritmica di ogni cosa, l’idea, l’archetipo. Allora il Bran-sciamano-filosofo sarà il liberato in vita, trasformatore di se stesso e trasformatore del mondo.

Concludendo mi piace ricordare una provocazione zolliana, ripresa in un altro contesto dallo stesso Fachinelli, per cui la grande invenzione della modernità sarà la realtà virtuale: gli occhiali magici che oggi sono in effetti a portata di tutti. Attraverso la realtà virtuale la modernità sarà costretta ad implodere in quanto emergerà lampante non solo l’inconsistenza relativa all’oggettività del reale ma persino quella dell’io [7]. Si potranno sperimentare le antiche iniziazioni, si potrà volare, si potranno esplorare altre dimensioni e mondi impensati, oppure, ancora una volta, l’immaginazione rimarrà schiava degli istinti più bassi e verrà depotenziata, smembrata e distrutta finché non sarà ridotta a mera fantasticheria.


Note:

[1] Cfr. Mircea Eliade: “I miti del mondo moderno”.

[2] Il tema della malattia iniziatica durante l’infanzia del novello sciamano, cui segue una «nuova nascita» è tipico dello sciamanesimo. Cfr. M. Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi. Mediterranee, Roma, 2005.

[3] Anche questo è in piena linea con le credenze sciamaniche.

[4] È questo un topos che si ritrova pure nella stregoneria europea, che d’altronde in ultima analisi si presenta, come abbiamo dimostrato altrove, come una forma sui generis e degenerata di sciamanesimo. Cfr. M. Maculotti, I benandanti friuliani e gli antichi culti europei della fertilità e Metamorfosi e battaglie rituali nel mito e nel folklore delle popolazioni eurasiatiche.

[5] La contrapposizione tra ghiaccio e fuoco ricorda, oltre ovviamente alla cosmologia mitica norrena, quella più recente e di carattere (più o meno) scientifico di Hans Hörbiger; cfr. Pauwels e Bergier, Hans Hörbiger: la teoria del Ghiaccio Cosmico.

[6] Il corvo è connesso alla sapienza sacra e sciamanica in tutto l’emisfero settentrionale, sia in Europa (Apollo e Wotan) sia nell’ambito della tradizione nord-americana.

[7] È questo un tema caro, come abbiamo visto, anche al regista David Cronenberg; cfr. R. Siconolfi, David Cronenberg: il Demone nella Materia.


Roberto Cecchetti e Silverio Zanobetti hanno creato un canale YouTube— “Filosofi Maledetti” — in cui i due filosofi vogliono recuperare il carattere dialogico delle filosofia. Si tratta di una serie di video in cui la teoria non è decisa a priori ma si sviluppa nel corso della discussione. Nel canale ci saranno grandi ospiti e vengono trattati sia temi più strettamente filosofici che altri di carattere più pop.


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