Arthur Machen e il risveglio del Grande Dio Pan

La recente ristampa del capolavoro “folk horror” di Arthur Machen ci consente di fare luce su uno dei più affascinanti fenomeni di “rinascita pagana” nell’Occidente moderno: il risveglio del Grande Dio Pan nell’Inghilterra vittoriana, a cavallo tra l’800 e il ‘900.


di Marco Maculotti

« Intanto Pan l’Universale
Danzava con Grazie e Ore
La Primavera immortale. »

(John Milton, “Paradiso perduto”)

Se si ritiene pacifico che H.P. Lovecraft [1] fu il maestro incontrastato dell’ “orrore cosmico” stricto sensu e Gustav Meyrink [2] il romanziere che meglio seppe traslare in una peculiare forma letteraria le suggestioni occultistiche e spiritistiche della Mitteleuropa a cavallo tra i due secoli, ad Arthur Machen (1863 – 1947) va senza ombra di dubbio riconosciuto il titolo di romanziere punta di diamante del cosiddetto filone “folk horror” britannico, una definizione nata ben più tardi e con riguardo a un certo filone cinematografico inglese, che si potrebbe riassumere con i seguenti concetti «psychogeography, hauntology, folklore, cultural rituals and costume, earth mysteries, visionary landscapism, archaic history», come è stato già detto altrove [3].

Così si legge nella prefazione dell’autore al suo romanzo d’esordio The Great God Pan, pubblicato nel 1894, di cui parleremo in questo articolo [4]:

« Tutto scaturì da una casa solitaria che s’innalzava sul versante di una collina, sotto un grande bosco e sopra un fiume, nella regione in cui sono nato […] Per qualche ragione, o per nessuna ragione, quella casa che sorgeva ai confini e presso le verdi mura del mio giovane mondo divenne per me oggetto di misteriosa attrazione. Divenne uno dei numerosi simboli del mondo di meraviglia che mi era offerto. Divenne, per così dire, una parola importante nel linguaggio segreto mediante il quale erano comunicati i misteri. Pensavo sempre ad essa con una sorta di timore reverenziale, persino di spavento. »

I romanzi di Arthur Machen trasudano letteralmente di quella atmosfera onirica, “fatata” e “arcadica”, reminiscenza di un mondo rurale e pastorale che fu fino ai tempi della colonizzazione e conquista cristiana dell’arcipelago britannico, e che in molte aree rurali — tra le quali il Gwent gallese, in cui Machen nacque — si mantenne più o meno integro sino alla fine del XIX secolo [5]. Suddetta infatuazione quasi fiabesca e questa “nostalgia delle origini” di eliadiana memoria non sono particolarmente evidenti nell’opera prima dello scrittore, ma emergono in tutta la loro eterica meraviglia in seguito, con The Hill of Dreams (scritto dal 1895 al 1897 e pubblicato solo nel 1907), The White People (scritto nel 1899 e pubblicato nel 1904) e A Fragment of Life (anch’esso pubblicato nel 1904) [6].

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Arthur Machen

Per la stesura di The Great God Pan, una delle maggiori ispirazioni fu The Strange Case of Dr. Jekyll & Mr. Hyde (pubblicato nel 1886) di Robert Louis Stevenson, scrittore dell’Inghilterra vittoriana la cui visione fantastica — e al tempo stesso terrifica — del mondo si avvicinava non poco a quella di Machen. Quest’ultimo, da parte sua, non ne fece un mistero, arrivando pure a citarlo nella prefazione del romanzo [7]:

« Credo che Stevenson conoscesse le emozioni che sto tentando di esprimere… esistono certe vedute, certe colline e valli e pinete, le quali esigono che su di esse sia scritta una storia… le emozioni suscitate da queste cose esterne e riverberate nel cuore sono in realtà la verità stessa, o tutto ciò che conta nella storia. »

Così come Stevenson scrisse di getto il suo noto romanzo sul tema del “doppio” dopo averne “ricevuto” in sogno l’idea e la trama, allo stesso modo pure per The Great God Pan, galeotto fu un sogno che Machen fece ripetutamente nei mesi precedenti alla stesura del romanzo: un sogno ambientato a Caerlon-on-Usk, il paese del Gwent gallese che aveva dato i natali allo scrittore, «un luogo antichissimo, un tempo fortezza delle legioni, centro di una cultura romana in esilio nel cuore del mondo celtico… mi accompagnava sempre un sogno dell’antica città e dei riti a cui essa aveva assistito nel remoto passato, con le antiche colline e i boschi vetusti a cingerla come un profondo cerchio verde. Credo che siano state queste le fonti della mia storia» [8].

Abbiamo già messo in evidenza in altra sede [9] come, ben più spesso di quanto sia lecito considerare casuale, l’esperienza onirica “suggerisca” o letteralmente faccia scaturire dal nulla suggestioni e idee che andranno poi a costituire alcuni dei racconti e dei romanzi più affascinanti del filone fantastico degli ultimi secoli: si pensi ad esempio al già menzionato H.P. Lovecraft che redasse per intero il folle annuncio della venuta di Nyarlathotep, il “Caos Strisciante”, dopo averne sperimentato la spaventevole visione in sogno, o al Kubla Khan di Samuel Coleridge, scritto freneticamente al risveglio di un sonno pomeridiano causato dalla consumazione di oppio o sonniferi, nel 1797.

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La copertina della nuova edizione italiana de “Il Grande Dio Pan”, edita da Tre Editori

E non si nomina qui a caso il Sognatore di Providence, giacché la recente edizione de Il Grande Dio Pan edita da Tre Editori contiene, oltre alla già citata prefazione dell’autore, una recensione di Lovecraft (“Arthur Machen e la paura cosmica”) pubblicata in Supernatural Horror in Literature (1927) [10] oltre a una corposissima e graditissima appendice, che comprende un saggio a firma di Alessandro Zabini, “Appunti su alcune fonti di Arthur Machen”, un altro dal titolo “Il risveglio della selva” di Susan Johnston Graf e, dulcis in fundo, una “Breve antologia panica” (che, a onor del merito, è tutto fuorché breve) in cui sono stati raccolti i principali componimenti poetici e fonti letterarie in onore del dio Pan: dall’inno omerico alla “morte di Pan” narrata da Plutarco, da Elizabeth Barrett Browning alla poesia “A Satana” di Giosuè Carducci; e ancora Rimbaud, Mallarmé, Robert Browning, William Butler Yeats, Aleister Crowley, Fernando Pessoa, ecc.


Tra culti antichi, scienza moderna e occultismo

Come nel caso del celebre romanzo di Stevenson — e come anche nel Frankenstein di Mary Shelley e in Beyond the Wall of Sleep [11] e altri racconti di HPL –, ne Il Grande Dio Pan è la hybris connaturata alla natura umana, coadiuvata e titanicamente accresciuta dall’avvento della scienza moderna, a far piombare il Male nel nostro mondo. Come nota infatti la Johnston Graf nel suo saggio in appendice a questa nuova edizione del romanzo [12], «è la scienza, non la magia, a provocare l’irruzione di Pan nella comune realtà sociale quotidiana» (e qui ci viene in mente quel Jack Parsons, compare di rituali di Aleister Crowley e L. Ron Hubbard, che, nell’atto di spedire i primi missili spaziali nella stratosfera, era solito recitare l’inno orfico a Pan) e aggiunge che «abilmente, Machen impiega due forze opposte che hanno contribuito a formare il pensiero del XIX secolo, ovvero l’occultismo e la scienza».

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È infatti con un abominevole e modernissimo esperimento che il dottor Raymond, in presenza di Clarke, nell’incipit del primo capitolo opera sulla sua paziente Mary (praticandole un’incisione della materia grigia) per aprire ai suoi occhi la Realtà che si nasconde dietro il velo dell’illusione dei sensi, dopo aver reso edotto il suo testimone delle sue peculiari convinzioni [13]:

« Guardatevi attorno, Clarke! Guardate la montagna, e le colline che si susseguono alle colline come onde su onde […] Mi vedete qui, accanto a voi, e udite la mia voce, nondimeno vi dico che tutte queste cose, sì, dalla stella che si è appena accesa nel cielo fino al solido suolo sotto i nostri piedi, io vi dico che tutte queste cose non sono che sogni e ombre: ombre che nascondono ai nostri occhi il mondo reale. Un mondo reale esiste, ma si trova oltre questo incanto e questa visione […] Forse pensate che tutto ciò sia un’assurda stranezza. Ebbene, può darsi che sia strano, però è vero, e gli antichi sapevano cosa significava sollevare il velo. Lo chiamavano ‘vedere il dio Pan’. »

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Arnold Bôcklin, “Pan, the Syrinx-Blowing”

Poco dopo l’esperimento, la povera Mary verrà ricoverata, ormai completamente pazza, in un ospedale psichiatrico, dove da lì a un anno morirà. Nondimeno, non è questo l’orrore massimo: quello che è accaduto veramente durante il nefasto esperimento del dottor Raymond si evincerà con il proseguo della storia: poco prima di morire, la sfortunata paziente, Rosemary ante-litteram, ha partorito una bambina che si rivelerà essere progenie diabolica del dio Pan, la cui immagine ornava, fin dai tempi dei romani, il tempio di Nodens limitrofo alla cittadina («una testa in pietra di aspetto ripugnante… di un fauno o di un satiro» [14]).

Il “frutto” del sinistro esperimento da lì a qualche decennio si tramuterà nella femme fatale Helen, una giovane «di aspetto molto diverso dagli abitanti del villaggio… [con un] colorito di un chiaro e puro olivastro, con lineamenti molto marcati e alquanto esotici» [15] e che viene definita «la donna più bella su cui avessero mai posato gli occhi, e al tempo stesso la più ripugnante» [16]; personaggio, come ora vedremo, paradigmatico della crisi collettiva che la società inglese vittoriana di fine secolo versava negli anni in cui Machen scrisse il romanzo.


La “venuta di Pan” nell’Inghilterra vittoriana

Con lo scorrere dei capitoli, infatti, inizia a delinearsi in modo sempre più netto una scia di bizzarri suicidi da parte di uomini altolocati della società vittoriana, i quali sembrano tutti, in un modo o nell’altro, aver conosciuto Helen. Quest’ultima, sin dal nome (si pensi all’Elena ellenica, casus belli della guerra di Troia) incarna l’elemento caotico, panico appunto, che una volta immesso nella bigotta e perbenista Londra vittoriana conduce i “rispettabili” gentlemen alla follia e alla morte. A tal riguardo, la Johnston Graf suggerisce che [17]:

« Se si interpreta il racconto come una critica dei costumi sessuali del tardo XIX secolo, si comprende che Machen mostra le vittime di Helen come distrutte dal condizionamento del bigottismo vittoriano. Quando si aprono alla corrente di Pan, cioè a una libera espressione dell’energia sessuale, che è energia vitale, gli amanti di Helen si autodistruggono perché la repressione sociale ha soffocato i loro impulsi naturali. »

Se la lettura della Johnston Graf si rivelasse corretta, si dovrebbe riconoscere ad Arthur Machen il merito di essere stato in anticipo sui tempi: il nostro pensiero va innanzitutto alla teoria freudiana della libido e agli studi di Wilhelm Reich, e ancora al noto Saggio su Pan di James Hillman, allievo di C.G. Jung. Forse Machen, aggiunge ancora l’autrice, «considerava Pan come una divinità capace di rovesciare la sensibilità vittoriana» [18], e a suo parere non è un caso se in seguito lo scrittore fu iniziato nel 1899, sotto insistente pressione dell’amico Arthur Edward Waite, all’ordine occulto della Golden Dawn, i cui membri riconoscevano l’energia sessuale come una «delle forze più spaventose e segrete che giacciono al fondo di tutte le cose» [19].

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Arnold_Böcklin, “Sleeping Diana Watched by Two Fauns”, 1877

E a tal proposito possiamo citare lo stesso Hillman, il quale ipotizzò che «quando la visione dominante che tiene insieme un periodo della cultura si incrina, la coscienza regredisce in contenitori più antichi, cercando fonti di sopravvivenza che offrano anche fonti di rinascita» [20]; aggiungendo inoltre (il che ci sembra straordinariamente in linea con le nefaste conseguenze dell’ “incontro con Pan” nel romanzo d’esordio di Machen) [21]:

« Noi possiamo […] concludere che Pan è tuttora vivo, anche se lo sperimentiamo soltanto attraverso dei disturbi psicopatologici, poiché gli altri suoi modi di manifestarsi sono andati perduti nella nostra cultura […] gli Dei rimossi ritornano come nucleo archetipico dei complessi sintomatici. »

L’azione di Helen sulle sue “vittime” prescelte non viene mai esplicitata in modo chiaro, sebbene si alluda implicitamente a una sessualità sregolata al limite del diabolico — ovviamente, in base ai dettami della società vittoriana di fine Ottocento. Ma soprattutto si pone l’accento sulla conoscenza da parte di Helen di certi “misteri antichi” al cospetto dei quali l’uomo comune non potrebbe far altro che perdere il raziocinio, che si presuppongono naturalmente trasmessi per via paterna. Sono, questi, passaggi tipicamente lovecraftiani: si pensi per esempio alla testimonianza di tale Herbert, che in seguito si toglierà la vita con un gesto estremo [22]:

« Raccontò cose che persino ora non oserei sussurrare nella notte più nera di una terra selvaggia […] Voi, Villiers, pensate forse di conoscere la vita, e Londra, e ciò che accade, giorno e notte, in questa terribile città. Per quanto ne so, potete aver ascoltato i discorsi degli individui più abietti, ma vi dico che non avete idea di ciò ci cui sono a conoscenza io […] Vidi l’incredibile, orrori tali che talvolta mi fermo in mezzo alla strada e mi chiedo se sia possibile a un uomo contemplare simili cose e sopravvivere. »

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Arnold_Böcklin, “Spring Evening”

Ritorno all’Origine

« In ogni chicco di grano giace nascosta l’anima di una stella! » [23]

L’esperienza panica, cui Helen sottopone le sue vittime sacrificali, ha a che fare in qualche modo con il ritorno al pre-formale”, al Chaos primigenio, visto in netta contrapposizione con la ferrea struttura moralistica su cui si fonda la società vittoriana; d’altra parte, il nome stesso “Pan” in greco antico stava a significare “Tutto”, e gli Orfici lo ritenevano esotericamente essere l’Universo considerato come un “tutto vivente”, composto di spirito, anima e corpo. Nei Misteri era il dio primigenio Phanes Protogonos (“primo nato”) e Erikepaios (“donatore di vita”) [24], identico all’Eros della Teogonia esiodea ed exotericamente connesso a divinità della fertilità come Priapo [25].

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È d’altronde accertato che Machen, per la stesura de Il Grande Dio Pan, abbia pescato a piene mani anche dal saggio di Richard Payne Knight A Discourse on the Worship of Priapus (1865), le cui tesi di fondo sono ben riassunte dalla Johnston Graf nel suo ricco commento in appendice a questa nuova edizione [26]:

« In questo saggio Pan è identificato con Bacco, con Priapo e con Amore, la divinità creatrice dell’orfismo, considerata dall’autore la più antica religione greca. Origine e fonte di tutte le cose, spirito privo di forma che pervade ogni cosa e anima la materia infondendovi movimento, vita e generazione, Pan è divino e umano, umano e animale, animato e inanimato, luce che è anche tenebra, tenebra che è anche luce, maschile e femminile, attivo e passivo […] I suoi adoratori danzano perché è lui a creare e a dirigere la danza degli dèi, e suonano flauti e cembali perché la musica simboleggia l’armonia universale di cui egli è personificazione. »

Si noti d’altra parte come suddetto “ritorno all’indifferenziato”, al caotico mondo nebbioso delle origini del mondo, nel romanzo si mostri chiaramente e in maniera molto più prosaica sul cadavere della stessa Mary, che di Pan la progenie ha partorito, in virtù del temerario esperimento del dottor Raymond: così, nel rapporto sull’autopsia redatto dal dottor Matheson, si legge che, improvvisamente [27]:

« …si ripeteva dinanzi ai miei occhi l’intero processo che aveva condotto alla creazione dell’essere umano. Ho visto la forma ondeggiare da sesso a sesso, scindersi e poi ricomporsi. Ho visto il corpo discendere alle bestie da cui era asceso, e ciò che era in cima cadere nelle profondità, persino nell’abisso dell’intero essere. Il principio della vita che crea l’organismo permaneva, mentre la forma esterna mutava. La luce all’interno della stanza si è trasformata in tenebra, ma non la tenebra della notte, in cui gli oggetti si scorgono indistintamente, perché potevo vedere chiaramente e senza difficoltà. Eppure era la negazione della luce […] per un istante ho visto modellata nella semioscurità dinanzi a me una Forma che non intendo descrivere ulteriormente. Tuttavia il simbolo di questa forma può essere visto nelle antiche sculture e nei dipinti che sono sopravvissuti, sepolti dalla lava, troppo osceni perché se ne possa parlare […] una cosa orribile, né umana né bestiale, si è mutata in forma umana, poi finalmente è giunta la morte. »

In un altro passaggio topico del romanzo, il potere ambivalente e terrificante del Grande Dio Pan viene descritto in questi termini [28]:

« Si, è orribile, ma dopotutto si tratta di una vecchia cosa, un antico mistero celebrato ai nostri giorni, e nelle buie strade londinesi anziché fra le vigne e gli uliveti. Sappiamo cosa accadeva a coloro i quali capitava di incontrare il Grande Pan, e i saggi sanno che tutti i simboli, lungi dall’essere vuoti simulacri, rappresentano sempre qualcosa. E Pan era il simbolo meraviglioso con cui anticamente gli uomini velavano la conoscenza delle forze più spaventose e segrete che giacciono al fondo di tutte le cose, forze dinanzi alle quali le anime avvizziscono e muoiono e diventano nere, come neri sono ridotti i loro corpi dalla corrente elettrica. Simili forze non possono essere nominate, non possono essere descritte o discusse, né immaginate, se non celate da un velo e da un simbolo, un simbolo che appare ai più come un’eccentrica fantasia poetica, e ad altri come una storia priva di senso. Ma voi e io abbiamo appreso qualcosa del terrore che può annidarsi nel segreto della vita, e che si è manifestato nella carne; l’informe che assume una forma. »

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Maschera di Pan, epoca romana, Museo Archeologico ed Etnografico di Cordoba, Spagna

Pan e il “Piccolo Popolo”

A quanto esposto finora, va aggiunta un’ulteriore prospettiva tematica che emerge dal romanzo in esame in questa sede, nonché dai libri successivi di Machen: la nuova venuta del Grande Dio Pan è in qualche modo connessa, nella visione dell’autore, all’imminente ritorno in auge, così palpabile a cavallo tra i due secoli, dei culti precristiani; culti che in una certa misura la Golden Dawn — di cui egli fu membro — fece tornare in voga, sebbene in un ambito iniziatico molto selezionato e intimo. Così si esprime Alessandro Zabini nel suo saggio in appendice [29]:

« Machen collega la sopravvivenza dell’innominabile culto primitivo a quella del popolo primitivo che abitava il Gwent e le isole britanniche prima dell’arrivo dei Celti e dei Romani, ovvero il Piccolo Popolo, le Fate della tradizione popolare, le quali compaiono nei suoi racconti successivi a Il grande dio Pan. »

Lo stesso tempio di Nodens, tra le cui rovine i personaggi del romanzo notano una “testa di fauno”, esiste per davvero, a nord di Caerwent, sul crinale della cosiddetta “Collina dei Nani”, «un colle boscoso dai ripidi versanti… così chiamato perché si credeva che le rovine appartenessero a una costruzione delle fate» [30]. Si aggiunga che “Deus Nodens” sembra essere britanno romanizzato, derivante dall’originale Deus Noddyns, letteralmente “il Dio dell’Abisso”: e si noti che «negli antichi miti celtici l’Oltremondo in cui dimorano gli esseri soprannaturali si trova nelle profondità della terra e delle acque, analoghe tra loro» [31].

Per Machen, quindi, in un’ottica psico-geografica Pan assurge a Genius Loci, dio-dèmone degli antichi abitanti della Gran Bretagna, e con ciò Machen vuole intendere il “Piccolo Popolo” delle leggende, i FairiesSiddhe, o in antico gaelico Tylwyth Teg, secondo le diverse definizioni che il folklore ha affibiato loro durante i secoli. Helen, figlia di Pan, manifesta sin dall’aspetto fisiognomico la sua discendenza, similmente ad un altro personaggio di un successivo romanzo dello scrittore gallese, il Lucian Taylor protagonista de La collina dei sogni, che viene espressamente descritto come «simile a un fauno», e «discendente del “piccolo popolo”» [32].

D’altro canto, il corredo genetico dei moderni gallesi presenta una considerevole percentuale, rispetto a quello più trascurabile dei moderni inglesi, di “elementi genetici residuali” di questa antica stirpe proto-indoeuropea, che secondo gli storici occupò il Galles fin da 29.000 a.C. e che si estinse nell’arco di una manciata di secoli (2.500 – 1.900) sotto le spinte colonizzatrici di popolazioni di origine proto-celtica (“cultura del vaso campaniforme”). Ed è proprio di questo piccolo mondo antico che Arthur Machen si sentì contemporaneo, sebbene fisicamente egli visse nella Londra tra il XIX e il XX secolo.

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Ma c’è di più. C’è ragione di ritenere che la fantasia visionaria di Machen abbia influenzato non solo l’ambito letterario e psicanalitico ma persino quello degli studi antropologici ed etnologici: è infatti impossibile non rilevare la coincidenza significativa tra la tesi, apparentemente solo romanzesca, propugnata dello scrittore gallese riguardo il “Piccolo Popolo” e gli antichi culti della fertilità e l’ipotesi sostenuta dalla antropologa anglo-indiana Margaret Murray nelle sue due opere più conosciute, The Witch-Cult in Western Europe (1921) e The God of the Witches (1933) [33] (sebbene quest’ultima riducesse la querelle mitologica del “Piccolo Popolo” al solo ambito storico ed empirico, a differenza di Machen che, in accordo con le tradizione folkloriche, considerò i fairies come creature altre rispetto all’umanità propriamente detta, entità appartenenti alla storia passata del genere umano ma, soprattutto, da diversi secoli, a una dimensione sottile e per l’appunto ferica). A tal punto, dunque, si spinse l’influenza del genio letterario di Arthur Machen sui suoi contemporanei e successori.

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Prima pagina della prima edizione di “The Witch-Cult in Western Europe”, di Margaret Alice Murray

Ma ancora maggiore — e qui ci avviamo alla conclusione del nostro articolo — fu la fascinazione per il Grande Dio Pan nell’Inghilterra a cavallo tra l’800 e il ‘900. Vogliamo a tal riguardo concludere con un estratto dalla composizione poetica di William Butler Yeats, un altro eccelso letterato britannico (in questo caso irlandese) appassionato di mitologia e folklore (pre-)celtici, intitolata semplicemente “Pan”, che ci pare riassumere al meglio le tematiche trattate in questa sede [34]:

« Canto Pan e il suo dolce flautare,
Re d’ombra e di luce solare
Danzante fra le fiamme del grano.
Canto la rugiada che balza
Dall’impronta del passo sicuro,
Canto la solitudine,
Il tempio di Pan adornato
Dalla stirpe di misteriosi sacerdoti,
I quali il gran nume videro in viso,
E di Pan, loro sovrano melodioso,
Udirono tra le foglie il sommesso parlare
Udirono i ruscelli cantare il racconto
D’una stirpe di angeli vissuti sulla terra
Con il munifico Pan come Sovrano.
Ma un nuovo dio sorse ostile al genere umano;
E perirono, e le loro ombre posseggono la terra,
E il munifico Pan fuggì nelle selve.
E gettò l’oblio sopra ogni cosa
Perché amava e compativa il genere umano
Tuttavia chiamò alcuni a seguirlo
E in questo tempio di bellezza perfetta
Rivela loro cose meravigliose e strane
E insegna loro a divinare
E li prepara per la profezia… »


Note:

[1] Cfr. S. Fusco, Lovecraft, o l’inconsistenza del reale e A. Scarabelli, Bestie, uomini o dèi: i culti alieni di H. P. Lovecraft, su AXIS mundi.

[2] Cfr. M. Maculotti, Gustav Meyrink alle frontiere dell’occulto, su AXIS mundi.

[3] Cfr. M. Maculotti, “Penda’s Fen”: il daimon sacro dell’ ingovernabilità, su AXIS mundi.

[4] A. Machen, Il Grande dio Pan, Tre Editori, Roma, 2016, prefazione dell’autore, p. 11.

[5] Cfr. M. Maculotti, Da Pan al Diavolo: la ‘demonizzazione’ e la rimozione degli antichi culti europei, su AXIS mundi. Si aggiunga anche quanto afferma James Hillman (Saggio su Pan, Adelphi, Milano, 1977, p. 18): «è stato detto che il grande Dio Pan morì quando Cristo divenne il sovrano assoluto. Leggende teologiche li descrivono in opposizione inconciliabile, e il conflitto dura tuttora, giacché la figura del Diavolo non è altro che Pan visto attraverso l’immaginazione cristiana».

[6] Tutti e tre questi romanzi/racconti sono stati ristampati di recente in italiano: La collina dei sogni da Il Palindromo-I tre sedili deserti (2017) e l’accoppiata Un frammento di vita / Il popolo bianco dalle Edizioni Hypnos (2018).

[7] Machen, op. cit., prefazione dell’autore, p. 12.

[8] Ivi, p. 13.

[9] Cfr. M. Maculotti, “Oniricon”: H.P. Lovecraft, il Sogno e l’Altrove, su AXIS mundi.

[10] Edito in italia col titolo Teoria dell’orrore, Bietti, Milano, 2011.

[11] Cfr. R. Giorgetti, H.P. Lovecraft, le “porte della percezione” e le “fenditure nella Grande Muraglia”, su AXIS mundi.

[12] S. Johnston Graf, “Il risveglio della selva”, appendice a Machen, op. cit., p. 137.

[13] Machen, op. cit., p. 28.

[14] Ivi, p. 43.

[15] Ivi, p. 40.

[16] Ivi, p. 56.

[17] Johnston Graf, op. cit., p. 142.

[18] Ivi, p. 145.

[19] Ivi, p. 143.

[20] J. Hillman, op. cit., p. 11.

[21] Ivi, p. 47.

[22] Machen, op. cit., p. 50.

[23] Ivi, p. 32.

[24] Su Phanes, cfr. M. Maculotti, Il dio primordiale e triplice: corrispondenze esoteriche ed iconografiche nelle tradizioni antiche, su AXIS mundi.

[25] Su Priapo, cfr. A. MB., Priapo “svelato” in un’antica tradizione molisana, su AXIS mundi.

[26] Johnston Graf, op. cit., pp. 120-121.

[27] Machen, op. cit., pp. 96-97.

[28] Ivi, pp. 90-91.

[29] A. Zabini, “Appunti su alcune fonti di Arthur Machen”, appendice a Machen, op. cit., p. 126.

[30] Ibidem.

[31] Ivi, p. 128. Si veda anche J. Markale, Jean Markale: l’Altro Mondo nel Druidismo e nel Cristianesimo Celtico, su AXIS mundi.

[32] Ivi, p. 129.

[33] Secondo l’ipotesi della Murray, «Fate ed elfi… furono i discendenti delle prime popolazioni che abitarono nell’Europa settentrionale; erano dediti alla pastorizia ma non erano nomadi; vissero nelle zone non boscose del paese dove c’erano buoni pascoli per i loro armenti, usarono la pietra nel periodo neolitico e il metallo nell’età del bronzo per fare gli utensili e le armi… erano popolazioni pagane i cui costumi e la cui religione li rendevano del tutto refrattari agli insegnamenti dei sacerdoti cristiani.» (Il dio delle streghe, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1972, pp. 49-53). Lo stesso H.P. Lovecraft riassunse questa ipotesi nel saggio “Sulle fate” in Supernatural Horror in Literature (ed. it.: Teoria dell’orrore, op. cit.).

[34] W.B. Yeats, “Pan” (1880 – 1889), riportata in appendice a Machen, op. cit., p. 217.


Bibliografia citata in questo articolo:

  • S. Coleridge, “Kubla Khan”, in La ballata del vecchio marinaio / Kubla Khan, Feltrinelli, Milano 2016
  • J. Hillman, Saggio su Pan, Adelphi, Milano 1977
  • H.P. Lovecraft, “Nyarlathotep”, in Tutti i racconti 1897-1922, Mondadori, Milano 1989
  • H.P. Lovecraft, “Oltre il muro del sonno”, in Tutti i racconti 1897-1922, Mondadori, Milano 1989
  • H.P. Lovecraft, Teoria dell’orrore, a cura di G. de Turris, Bietti, Milano 2011
  • M. Murray, Il dio delle streghe, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1972
  • A. Machen, La collina dei sogni, il Palindromo, Palermo 2017
  • A. Machen, Un frammento di vita / Il popolo bianco, Hypnos, Milano 2018
  • A. Machen, Il Grande Dio Pan, Tre Editori, Roma 2016
  • J. Milton, Paradiso perduto, Mondadori, Milano 2016
  • R. Payne Knight, Il culto di Priapo, Club del libro Fratelli Melita, La Spezia 1988
  • M. Shelley, Frankenstein, Feltrinelli, Milano 2013
  • R.L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, BUR.-Rizzoli, Milano 1988
  • W.B. Yeats, “Pan”, 1880 – 1889.

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