“True Detective”: la Weltanschauung di Rust Cohle

In vista dell’uscita, prevista per il 14 gennaio, della terza stagione di “True Detective”, riproponiamo ai nostri Lettori il ciclo di articoli da noi curato per YAWP sugli elementi esoterici del fortunato serial televisivo.


di Marco Maculotti
articolo originariamente pubblicato su YAWP: Giornale di Letterature e Filosofie

 

Uno dei punti di forza della prima stagione di True Detective è la complessa e intrigante psicologia/filosofia del protagonista Rust Cohle. Devesi in primo luogo sottolineare come — nonostante lui stesso si definisca (semplificando non poco) «realista, pessimista e agnostico» — un’analisi esaustiva della sua Weltanschauung ci conduca verso lidi filosofici se non addirittura ‘esoterici’. La visione disincantata e nichilista di Rust scandisce i momenti più metafisici del serial: talvolta il divario intellettuale esistente tra Rust e il collega Marty fa quasi apparire i dialoghi tra i due come insegnamenti occulti resi da un maestro a un iniziando, che solo raramente riesce a comprendere le riflessioni che gli vengono proposte. D’altra parte ciò è perfettamente comprensibile, in quanto il più delle volte le percezioni di Rust esulano da ogni sentimentalismo e politicamente corretto («Siamo tutti nello stesso ghetto, una fogna gigante nello spazio» [1]). Nell’ottica di Rust, le verità più profonde sovente sono anche le più amare.

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Arthur Schopenhauer (1788 – 1860)

L’influenza del pensiero di Cioran e Schopenhauer

Vale la pena domandarsi: a cosa e a chi si sono ispirati gli autori di True Detective per plasmare la Weltanschauung di Rust Cohle? Ferma restando l’ispirazione dichiaratissima dell’opera di Thomas Ligotti (in particolar modo del saggio La cospirazione contro la razza umana [2], opera da cui sono tratti quasi pari-pari diversi monologhi rustiani della serie), Nic Pizzolatto, in alcune interviste, accenna all’influenza di altri pensatori, quali il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer e il romeno Emil Cioran. L’influenza di quest’ultimo in particolare è nettissima, se andiamo ad analizzare qualcuna delle innumerevoli riflessioni che ci ha lasciato. Ne L’inconveniente di essere nati, ad esempio, egli riflette sulla sua esistenza in termini pienamente rustiani, affermando:

« So che la mia nascita è un caso, un incidente risibile, eppure, appena mi lascio andare, mi comporto come se fosse un evento capitale, indispensabile al funzionamento e all’equilibrio del mondo. »

Nello stesso testo, il filosofo romeno riflette sulla ‘realtà’ e sulla consistenza delle azioni e degli scopi umani, affermando perentoriamente:

« Mentre agiamo abbiamo uno scopo; ma l’azione, una volta conclusa, non ha per noi maggiore realtà dello scopo che perseguivamo. Non c’era dunque nulla di veramente consistente in tutto ciò, era solo gioco. Ma ci sono alcuni che hanno coscienza di questo gioco durante l’azione stessa: vivono la conclusione nelle premesse, il realizzato nel virtuale, minano la serietà con il fatto stesso di esistere. »

Questo ‘identikit’ tracciato da Cioran sembra calzare a pennello con la figura del protagonista del serial in esame in questa sede: è proprio il disincanto con cui Rust vive le situazioni in cui si trova calato a consentirgli di governarle, senza essere fagocitato da esse — al contrario del collega Marty. Per Cioran come per Rust Cohle, l’illusione che conduce a considerare la propria esistenza come più di un mero ‘gioco’ è il vero cancro responsabile della degenerazione della società umana — un tema che emerge anche nella visione filosofica del già menzionato Schopenhauer, debitrice della sapienza induista e soprattutto dalle Upanishad. Confrontiamo le elucubrazioni del filosofo romeno con quelle di Cohle, che in una puntata della serie afferma senza mezzi termini:

« Ho visto la conclusione di migliaia di vite, giovani, vecchi. Ognuno è talmente certo del proprio essere reale, che la propria esperienza sensoriale abbia costituito un individuo unico, dotato di scopo, di significato. Sono cosi sicuri di essere qualcosa di più di una marionetta biologica. Beh, poi esce la verità e tutti si rendono conto che una volta tagliati i fili, tutti cadono. »

È possibile qui avvertire la pesante influenza, ammessa dallo stesso Pizzolatto, che ebbe la filosofia di Arthur Schopenhauer, il quale ne Il mondo come volontà e rappresentazione ebbe modo di scrivere [3]:

« Gli uomini somigliano a orologi che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta che un uomo viene generato e partorito, è l’orologio della vita umana di nuovo caricato, per ripetere ancora una volta, fase per fase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata. »

« Ciascun individuo, ciascun volto umano e ciascuna vita non è che un breve sogno dell’infinito spirituale naturale, della permanente volontà di vivere; non è che una nuova immagine fuggitiva, che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello spazio e del tempo, lasciandola durare un attimo appena percettibile di fronte all’immensità di quelli, e poi cancellandola, per dar luogo ad altre. »

« È davvero incredibile come insignificante e priva di senso, vista dal di fuori, e come opaca e irriflessiva, sentita dal di dentro, trascorra la vita di quasi tutta l’umanità. È un languido aspirare e soffrire, un sognante traballare attraverso le quattro età della vita fino alla morte, con accompagnamento d’una fila di pensieri triviali. »

Similmente alla visione filosofica schopenhaueriana e alla psicologia di Rust Cohle, Emil Cioran mise in relazione la «visione della non-realtà» e del «vuoto universale» con la rivelazione massima che abbiamo riportato sopra: l’esistenza è fondamentalmente un «gioco», epperò non un’esperienza ludica e divertente, bensì un meccanismo fagocitatore che tuttavia, se affrontato senza illusioni o abbellimenti di sorta, avrebbe il merito di condurre il ‘risvegliato’ ad una trasformazione profonda (come quella che investe Cohle nelle battute conclusive del serial, segnatamente nel suo ‘viaggio nell’aldilà’). Così osserva Cioran a proposito:

« La visione della non-realtà, del vuoto universale, è il risultato combinato di una sensazione quotidiana e di un fremito brusco. Tutto è gioco — senza questa rivelazione, la sensazione di trascinarsi lungo i giorni non avrebbe quel marchio di evidenza di cui le esperienze metafisiche hanno bisogno per distinguersi dalla loro contraffazione, i malesseri. Perché ogni malessere non è altro che una esperienza metafisica abortita. »

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Emil Cioran (1911 – 1995)

La nascita come maledizione

Uno dei pensieri centrali della psicologia di Rust Cohle ci viene esposto nel secondo episodio della serie, quando egli afferma: «Pensate alla hybris che ci vuole per strappare un’anima dal piano della non esistenza e ficcarla in questa…carne, introdurre di forza una vita dentro questo immondezzaio» [4]. Per dimostrare come anche questa riflessione sia pienamente in linea con la Weltenschtaung cioraniana citiamo i seguenti aforismi del filosofo romeno:

« Non mi perdono di essere nato. È come se, insinuandomi in questo mondo, avessi profanato un mistero, tradito un qualche impegno solenne, commesso una colpa di inaudita gravità. »

« Se l’attaccamento è un male, bisogna cercarne la causa nello scandalo della nascita, perché nascere significa attaccarsi. Il distacco dovrebbe quindi cercare di far scomparire le tracce di quello scandalo, il più grave e intollerabile di tutti. »

« Non nascere è indubbiamente la migliore formula che esista. Non è purtroppo alla portata di nessuno. »

La nascita in ‘questo mondo’ appare così come la peggiore delle maledizioni per l’essere umano: eppure non vi è modo di evitarla, dal momento che è proprio la nascita sul piano fisico — la ‘caduta’ dell’anima dal “piano dell’esistenza” — che parimenti alla filosofia indiana si configura come la dimensione della non-vita o meglio della non-esistenza fisica — a permettere a chiunque di ‘esistere’… pur essendo questo tipo di ‘esistenza’ una sorta di inganno, una trappola da cui non si può fuggire. Con queste premesse trovano un senso anche le elucubrazioni più nichiliste di Cioran, il quale confessa perentoriamente: «Se un tempo, davanti a un morto, mi chiedevo: “A che gli è servito nascere?”, ora mi pongo lo stesso interrogativo davanti a ogni vivo».

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L’umanità come incidente

Tuttavia, a parere dello scrivente, non ai soli Cioran e Schopenhauer (e, naturalmente, Ligotti) si è ispirato Pizzolatto per la genesi della psicologia del suo personaggio più complesso. In questa sede, vogliamo proporre questo estratto [5]:

« Questa nostra razza umana non è che un banale incidente nella storia dell’universo. Negli annali dell’eternità e dell’infinito non ha più importanza del pupazzo di neve di un bambino nella storia dei popoli e delle nazioni di questo pianeta. Di più: l’umanità non potrebbe essere altro che un errore — uno sviluppo anomalo — una malattia della natura — un’escrescenza sul corpo infinito dell’evoluzione, come una verruca su una mano? Non potrebbe la completa distruzione dell’umanità, e della vita in generale, essere di beneficio alla Natura nel suo complesso? »

Sono parole di Rust Cohle? Non proprio, ma ci vanno molto vicino. Il testo è tratto da una missiva che lo scrittore H.P. Lovecraft inviò, nell’agosto del 1916, a tre suoi corrispondenti. Riportiamo ora un monologo di Rust nella prima puntata della serie, per apprezzarne le similitudini [6]:

« Penso che l’autocoscienza sia un tragico passo falso nell’evoluzione umana. Siamo diventati troppo consapevoli di noi stessi, la natura ha creato un aspetto della natura separato da se stessa. Siamo creature che per diritto naturale non dovrebbero esistere. Siamo cose che si illudono di avere un sé, una secrezione di esperienze sensoriali e di sensazioni, programmati per avere la totale certezza che ognuno di noi è qualcuno, quando in realtà siamo nessuno. Credo che la cosa onorevole per la nostra specie sia negare la nostra programmazione, smettere di riprodurci, camminare mano nella mano verso l’estinzione, un’ultima mezzanotte, fratelli e sorelle che si tirano fuori da un destino infame. »

Il pessimismo cosmico di Rust si spinge fino a quelli che, agli occhi del collega Marty, appaiono come i paradossi più ingiuriosi che si possano contemplare: la negazione dell’antropocentrismo, l’insensatezza dell’evoluzione umana, la totale assenza di un significato nell’esistenza e, infine, l’auspicio ad un’estinzione definitiva. L’influenza del pensiero di Lovecraft sulla genesi psicologica di Rust Cohle emerge in più punti consultando l’ampio corpus epistolare dello scrittore di Providence: in una missiva a R. Kleiner datata 1921, egli afferma perentoriamente [7]:

« Non esiste qualcosa come un epilogo finale, perché la vita nell’universo non è altro che un’infinita catena senza scopo, senza origine né punto d’arrivo. […] La vita non ha un significato o un principio guida — l’uomo non è altro che un microscopico frammento in quel cosmico ammasso di materia che è il luogo d’elezione di capricciose, incontrollabili forze naturali. In un dato momento, noi siamo ciò che siamo semplicemente perché esistiamo. Talvolta ci è possibile prevedere, a partire dal nostro stato presente, ciò che presumibilmente sarà di noi: ma le vere cause all’opera sono nelle mani di forze che non possiamo conoscere. »

Per Lovecraft, dunque, l’esistenza umana non ha alcun fondamento spirituale o superiore: semplicemente è, con tutti i problemi e i mali che ciò presuppone. La vita degli esseri umani, lungi dall’essere salda nelle mani di chi la vive, sembra piuttosto governata da una serie di «incontrollabili forze cosmiche» che non possiamo contrastare in alcun modo, essendo gli uomini null’altro che marionette nelle mani di un sistema mostruoso e fagocitatore, miseri ingranaggi facenti parte di un organismo imponderabile. In questa visione dell’uomo in completa balia delle forze elementali del cosmo ci pare di avvertire echi di Nietzsche, il quale affermò che «le terribili energie — ciò che si dice il male — sono i ciclopici architetti e pionieri dell’umanità» [8].

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La stessa visione nichilistica riguardo la posizione dell’umanità nel dramma cosmico la ritroviamo in True Detective, ovviamente per bocca di Rust: «Ora sappiamo di essere paradossi inquietanti. E la cosa peggiore possibile che si possa sapere – peggio che sapere di discendere da una massa di microrganismi – è che siamo nullità invece che essere qualcuno, pupazzi invece che persone». A riprova di ciò — o forse inconsciamente —, durante l’interrogatorio del 2012, Rust modella con le sue mani le lattine vuote di birra per dare loro la forma di burattini antropomorfici, rappresentanti le persone che negli anni sono rimaste invischiate nei delitti.

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Ritratto di Howard Phillips Lovecraft (1890 – 1937)

Un fatalismo cosmico

L’influenza che il pensiero di Lovecraft ha esercitato su True Detective emerge chiaramente anche leggendo il saggio di Michel Houellebecq sullo scrittore di Providence; vi si legge, ad esempio, che per Lovecraft [9]:

« L’universo non è altro che una accidentale combinazione di particelle elementari. Una figura di transizione verso il caos, che finirà per inghiottirla. La razza umana scomparirà. Altre razze compariranno per poi scomparire a propria volta. I cieli saranno distese gelide e vacue, solcate dalla fioca luce di stelle mezze morte [le  “Stelle Nere” di Carcosa, n.d.r.]. Che, a loro volta, scompariranno. Tutto scomparirà. E le azioni umane sono libere e prive di senso esattamente come i liberi movimenti delle particelle elementari. Il bene, il male, la morale, i sentimenti? Pure “finzioni vittoriane”. Solo l’egoismo esiste. Freddo, intatto e radioso. »

Questo fatalismo cosmico e la conseguente, terribile consapevolezza che l’umanità non detenga alcuna funzione o ruolo particolare all’interno dell’immensa matrice cosmica — visioni che accomunano il protagonista di True Detective e lo scrittore di Providence — sono comuni anche al rivoluzionario e teorico socialista francese Louis Auguste Blanqui, il quale già nell’Ottocento derideva con feroce ironia il «mito del progresso» e il positivismo, tuonando [10]:

« In questo momento, l’intera esistenza del nostro pianeta, dalla nascita alla morte, si riproduce in ogni particolare, giorno dopo giorno, su miriadi di astri fratelli, con tutti i suoi crimini e le sue sventure. Quel che chiamiamo il progresso è imprigionato su ogni terra, e con lei svanisce. Sempre e dovunque, sulla superficie terrestre, lo stesso dramma, lo stesso scenario, lo stesso angusto palcoscenico, un’umanità turbolenta, infatuata della propria grandezza, che crede di esser l’universo e che vive nella sua prigione come se fosse un’immensità, per scomparire ben presto insieme al globo che ha portato con il più profondo disprezzo il fardello del suo orgoglio. Stessa monotonia, stesso immobilismo in tutti gli altri astri. L’universo si ripete senza fine, e scalpita senza avanzare. L’eternità recita imperturbabilmente nell’infinito le stesse rappresentazioni. »

Dal confronto delle visioni assolutamente non-antropocentriche degli autori — Cioran, Schopenhauer, Lovecraft e Blanqui; oltre a Ligotti — che abbiamo proposto in questa sede come principali ispiratori della Weltanschauung di Rust Cohle in True Detective emerge lo stesso spettro che incuteva timore al Nietzsche dello Zarathustra, vale a dire la terrificante consapevolezza che [11] «dinanzi alle leggi inflessibili della natura, la volontà umana non è che capriccio» e che l’umana turbolenza «certo sconvolge l’umanità» ma «non disturba l’ordine cosmico» [12], a tal punto che «le stesse rivoluzioni sociali sembrano vanificate da quelle cosmiche» [13].

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Ritratto di Louis Auguste Blanqui (1805 – 1881)

Note:

  1. True Detective, puntata 1, Rust Cohle
  2. T. Ligotti, La cospirazione contro la razza umana, Il Saggiatore, Milano 2016
  3. A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, §58
  4. True Detective, puntata 2, Rust Cohle
  5. H.P. Lovecraft: L’orrore della realtà, a cura di G. de Turris e S. Fusco, Mediterranee, Roma 2007, p. 30
  6. True Detective, puntata 1, Rust Cohle
  7. H.P. Lovecraft: L’orrore della realtà, p. 63
  8. F. Nietzsche, Umano, troppo umano, Adelphi, Milano 1965, § 246
  9. M. Houellebecq, H.P. Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita, Bompiani, Milano 2005, p. 18
  10. A. Blanqui, Contre le positivisme, disponibile online: https://www.marxists.org/francais/blanqui/1869/positivism.htm
  11. F. Desideri, postfazione a L.A. Blanqui, L’eternità attraverso gli astri, SE, Milano 2005, p. 85
  12. Ibidem
  13. Ibidem

 

10 commenti su ““True Detective”: la Weltanschauung di Rust Cohle

  1. Ce qui est intéressant c’est que la plupart de ces vues philosophiques sont / vont être bouleversées / obsoletisées par les connaissances qu’on a maintenant dans les domaines des neurosciences (conscience, sentience), des impacts psychologiques de la violence, de la psychologie de l’attachement, mais aussi en éthologie, en philosophie morale, etc. et qui démontrent – entre autres choses – que l’espèce humaine est loin d’avoir le monopole de la conscience de soi, de la conscience de la mort, des rituels, ds troubles mentaux, de la dépression, des conditionnements et croyances limitantes, etc. (toute chose qui peuvent influencer / biaiser / limiter des raisonnements philosophiques / métaphysiques) mais aussi en quoi notre culture spéciste (cf. Lumières, suprématisme humain) et le clivage psychique lié à cette situation (déni, aveuglement, hypocrisie) limite affreusement nos capacités de raisonnement dans ces domaines.
    J’aurais payé cher pour voir ce qu’un Cioran ou un Schopenhauer se déconditionnant du spécisme (et – partant – de l’idée de Nature, de tout essentialisme, etc.) auraient alors écrit. 🙂

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