“Weird” Far West

In occasione della presentazione del libro domani a Torino, pubblichiamo in esclusiva per i nostri Lettori la prefazione da noi curata.


di Marco Maculotti
prefazione al libro di Gian Mario Mollar “I misteri del Far West. Storie insolite, macabre e curiose dalla frontiera americana”, Edizioni Il Punto d’Incontro, 2019
copertina: George Catlin, “Interior View of the Medicine Lodge/Mandan O-kee-pa Ceremony”

 

Ho avuto il piacere di entrare in contatto con Gian Mario Mollar in virtù della mia posizione di fondatore e curatore del sito AXIS mundi, rivista online di storia delle religioni, antropologia del sacro, folklore, esoterismo, letteratura del “Fantastico”. I suoi scritti mi colpirono da subito, per la capacità non comune che va riconosciuta all’Autore di saper sviscerare in brevi narrazioni argomenti “di frontiera” come quelli che il lettore avrà l’occasione di leggere in questa pubblicazione.

Se li definisco in tal modo, ciò dipende dal fatto che l’ampio ventaglio di credenze, racconti e curiosità che il Mollar collaziona in questa sorta di “bigino del Weird nel Far West” oscilla fra due poli opposti, quello che potremmo definire “mitico” e quello prettamente storico o scientifico-razionalista. E tuttavia — si noti bene — raramente gli argomenti in esame in questa raccolta di scritti appaiono suscettibili di essere letti da una soltanto delle due prospettive; l’interpretatio foklorica e la storicità dei fatti narrati costituendo, in tal modo, due binari paralleli ai fini dell’indagine sul “Misterioso” — binari paralleli ma che nondimeno, più spesso di quanto si possa credere, finiscono per incontrarsi in maniera curiosa e inaspettata.

Ma non solo le tematiche trattate dal Mollar ben si possono definire “di frontiera”, dal momento che il loro ambito spazio-temporale è, come si è detto, quello di particolari “zone d’ombra”, intercapedini occulte esistenti fra la categoria della Storia e quella Mito; “terreni K” dell’immaginario che ancora all’alba del XX secolo, come ben dimostrerà l’Autore, costituivano parte fondante della “vita mentale” di “indiani e cowboys”. “Di frontiera” sono anche i luoghi che la penna del Mollar si prefissa di indagare: il Far West selvaggio, in cui i coloni europei si riversarono dal sedicesimo secolo in poi, in cerca di fortuna e di avventura, spesso trovandosi calati in una realtà peculiare, ben diversa da quella cui erano abituati nel “Vecchio Continente”, ancora intrisa dal folklore amerindio (si vedano i capitoli sul Wendigo, su Yenaldooshi, sui Si-Te-Cah) eppure non per questo restia ad assorbire al suo interno il corpus di credenze popolari di importazione europea (il capitolo sui Ghost Riders e la “Caccia Selvaggia” è indicativo a tal proposito).

Di più: l’approccio stesso adottato dal Mollar si può definire “di frontiera” poiché, evitando saggiamente di propendere per una interpretatio piuttosto che per un’altra — favorendo ad esempio una visione di tipo storico o scientifico a dispetto dell’aspetto “mitico” degli argomenti trattati, o viceversa —, egli si limita a ricostruire i fatti testimoniati dalle fonti antiche e le diverse prospettive da cui essi possono essere analizzati, rimanendo per così dire equidistante da ognuna di esse: in mezzo ai due binari paralleli — quello tipico delle società tradizionali dell’antichità (non sempre, come si vedrà, così lontana in termini cronologici dal nostro Terzo Millennio) e quello, agli antipodi, dell’Occidente moderno — spostandosi con accortezza e mai a sproposito ora sull’uno, ora sull’altro.

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George Catlin, “Prairie Meadows Burning”.

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I temi della mitologia locale e del mistero sono predominanti nella prima parte dell’opera, “Il lato oscuro del folklore”: si passa dalla descrizione e l’inquadramento mitico-storico di figure leggendarie della tradizione dei nativi americani, quali il Wendigo e lo “Skinwalker” Yenaldooshi, alla trattazione di entità comuni alle mitologie di tutto il mondo o quasi, come i vampiri o i giganti, che la tradizione Paiute del Nevada denomina “Si-Te-Cah” e i cui capelli rossicci (connessi alle presunte stirpi antidiluviane di colossi in diversi corpus foklorici del globo terracqueo, dal Perù [1] alla Nuova Zelanda) vengono considerati una “medicina” [2] molto potente all’interno del corpo sapienzale di tipo sciamanico del Sud-Ovest.

Particolarmente interessante, nel capitolo dedicato ai Si-Te-Cah, è il discorso sui Mounds, tumuli precolombiani risalenti a migliaia di anni prima della nostra epoca, i cui costruttori rimangono tuttora ignoti: infatti, gli studiosi non sono mai riusciti a dimostrare che la loro edificazione sia stata opera delle tribù di amerindi conosciute dagli etnologi. Dal canto loro, le tradizioni native stesse mettono in relazione tali enigmatiche costruzioni con misteriose razze “proto-umane”, ben più antiche e nettamente distinte da quelle stanziatosi sul territorio più recentemente: stirpi, per l’appunto, di giganti e titani, che le tradizioni di tutto il mondo connettono all’èra precedente alla nostra e al celeberrimo Diluvio Universale. Tematiche, queste, che riprendono quelle teosofiche [3] particolarmente in voga tra XIX e XX secolo e che, in parte, si ritrovano anche nella più celebre letteratura del Fantastico del Novecento [4], come per esempio nelle allucinanti visioni di H.P. Lovecraft [5].

Il capitolo dedicato alla leggenda texana dei Ghost Riders consente al Mollar di analizzare mitologemi simili in altre parti del mondo, soprattutto quello europeo della “Caccia Selvaggia” e dell’exercitum mortuorum [6], che vede come proprio conduttore divinità “infere” (o, meglio, dell’Altro Mondo — che è quello dei morti ma anche degli spiriti) del tipo di Odino/Wotan, Re Artù e Hellequin/Erlik Khan; tutte figure numinose che ricalcano la funzione archetipica del Sovrano Antico spodestato dal proprio trono, che si ritiene tornerà a regnare ancora, in un tempo futuro («Rex quondam, Rexque Futurus»), la cui venuta segnerà il ritorno dell’Età dell’Oro.

Lo studio che chiude questa prima parte è dedicato alla missione esplorativa a ovest del Mississippi (1804-1806) di Meriwether Louis e William Clark. Il diario di viaggio dei due arditi avventurieri pullula di richiami alle tradizioni native le cui origini si perdono nella notte dei tempi (come quella del fantasma del Mound di Black Bird Hill o quella sul Piccolo Popolo) nonché di fenomeni peculiari come quello dei “brontidi”, sorta di “rombi di tuono a ciel sereno” provenienti dal sottosuolo. Anche stranezze di questo tipo — in uno spazio-tempo così liminale com’è quello del Far West in cui il Mollar cala il lettore — si prestano a essere interpretate secondo le prospettive più varie, quella scientifico-razionalista così come pure quelle più borderline, facenti capo al folklore delle popolazioni tribali residenti nell’area battuta dai due esploratori.

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George Catlin, “Butte de Mort/Sioux Burial Ground, Upper Missouri”.

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La seconda sezione del libro, “Fuochi e draghi nel cielo”, si concentra su temi egualmente misteriosi, sebbene per certi versi più — per così dire — “fantascientifici”. Qui, un capitolo è dedicato agli avvistamenti di oggetti volanti non identificati nei cieli del Far West, alla caduta di ambigui corpi celesti e a presunti incontri con bizzarre creature aliene che un Jacques Vallée [7] non esiterebbe a far provenire dall’oscura intra-dimensione di Magonia né un John Keel [8] si farebbe problemi a situare nel cosiddetto super-spettro [9]. Si tratta di testimonianze risalenti alla seconda metà del XIX secolo: in un periodo, dunque, in cui il “mito moderno” dei dischi volanti e degli incontri con gli esseri extra-terrestri non era ancora “sbocciato” [10].

Si accenna anche alle leggende sul Monte Shasta, un vulcano californiano attivo fino al XIX secolo che fin dall’antichità veniva additato dalle popolazioni autoctone come dimora di esseri misteriosi, tra cui gli Shupcher, giganti (simili ai già menzionati Si-Te-Cah) che uccidevano gli indiani o li rapivano per poi condurli nei loro dedali sotterranei, e una razza di esseri piccoli e invisibili del tipo dei Fairies, di cui spesso si può udire la risata, simile a quella di un bambino. Il mito nativo del Monte Shasta fu riesumato nel 1886 da Frederick S. Oliver che, firmandosi come «Phylos il Tibetano», plausibilmente influenzato dalle concezioni teosofiche blavatskiane, inquadrò la leggenda del vulcano californiano in un romanzo occulto dal titolo A Dweller on Two Planets, nel quale si affermava la presenza da ère incalcolabili di una supposta colonia segreta di “Lemuriani” nelle sue viscere [11].

L’altro capitolo di questa seconda parte del libro è invece una parentesi criptozoologica: l’avvistamento (e talvolta persino la riportata uccisione) nel Far West di sauri alati antidiluviani del tipo dei pterodattili, che il Mollar connette ai miti amerindi sui cosiddetti “Uccelli del Tuono”, esseri leggendari che, conformemente alla tradizione autoctona, sarebbero spiriti ausiliari del Grande Spirito, connessi ai temporali, ai fulmini e alle iniziazioni delle “Società di Medicina”.

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George Catlin, “Medicine Buffalo”.

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La terza parte dell’opera, intitolata “Incontri insoliti nel vecchio west”, è incentrata su alcuni personaggi caratteristici del mondo di frontiera del XIX secolo, ormai entrati a far parte del folklore più “basso” e “popolare” delle eterogenee e colorite comunità di coloni: vagabondi, predatori di tombe, venditori di pretese panacee universali come l’olio di serpente. Il capitolo a mio avviso più pregnante di questa sezione è quello dedicato alla misteriosa casa edificata dalla signora Sarah Winchester, che non sfigurerebbe in un racconto di Borges:

« Ci sono stanze contenute all’interno di altre stanze… porte enormi che conducono in stanze piccole e porte piccole che conducono in stanze enormi… scale che finiscono direttamente contro il soffitto, altre che hanno gradini bassissimi, altre ancora le cui rampe ascendono in modo assolutamente bizzarro… L’impressione collettiva è quella di trovarsi catapultati all’interno di un quadro di Escher. »

Il Mollar si interroga sul significato da attribuire ad una struttura così astrusa, prendendo in esame varie ipotesi, tra cui la “pista esoterica” e quella “spiritista”. Segue, come capitolo conclusivo, una triplice sezione dedicata ai più noti e temuti “Serial killer della frontiera”, anch’essi in qualche modo entrati a far parte del foklore delle comunità fondate dai coloni europei: Queho, Boone Helm il “cannibale del Kentucky” e i sanguinari fratelli Harpe.

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In questa agile prefazione abbiamo voluto anticipare alcune tematiche dell’opera e le diverse prospettive da cui confluiscono le svariate interpretazioni del Mollar. Speriamo in tal modo che, fin dal principio, il lettore possa calarsi con lo spirito giusto — quello proprio dell’“esploratore dell’ignoto” — in questo testo che, secondo le parole dell’Autore, è stato «concepito come una sorta di Wunderkammer, una “camera delle meraviglie” in versione western». Perché mai come oggi, in un’epoca del tutto desacralizzata e totalmente privata di quello che possiamo definire “piacere dell’ignoto”, noi reputiamo essenziale recuperare il Meraviglioso e il Misterioso come categorie interpretative e finanche esperienziali, nella loro accezione più vasta e “giocosa”, senza pretese di dogmatismi o di aridità dottrinali.

Big Bend on the Upper Missouri, 1900 Miles above St. Louis
George Catlin, “Big Bend on the Upper Missouri, 1900 Miles Above St. Louis”.

Note:

[1] Cfr. M. Maculotti, Umanità antidiluviane, giganti, “gentili”, su AXIS mundi, 2017.

[2] Concetto pan-amerindio con cui le popolazioni native del Nord America denominano tutto ciò che, esulando dalla sfera della razionalità umana, viene avvertito come “sacrale”, potremmo dire (citando Rudolf Otto) come “Totalmente Altro”. Il termine quechua huaca ne è il corrispettivo sudamericano, così come orenda tra le popolazioni autoctone dell’Artico e del Sub-Artico.

[3] Cfr. H.P. Blavatsky, The Secret Doctrine (1888).

[4] Cfr. M. Maculotti, Civiltà del mondo sotterraneo nella narrativa fantascientifica, in Dimensione Cosmica #2, Edizioni Tabula Fati, Primavera 2018.

[5] Cfr., in particolare, H.P. Lovecraft, The Mound (1930) e The Curse of Yig (1928).

[6] Cfr. K. Meisen, La leggenda del cacciatore furioso e della caccia selvaggia, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2001.

[7] Cfr. J. Vallée, Passport to Magonia. From Folklore to Flying Saucers (1969).

[8] Cfr. J. Keel, UFOs: Operation Trojan Horse (1970).

[9] Cfr. M. Maculotti, Chi si nasconde dietro la maschera? Le visite dall’Altrove e l’ipotesi parafisica, su AXIS mundi, 2018.

[10] L’Ora Zero del “mito moderno” dei dischi volanti e dei visitatori alieni viene, infatti, unanimemente riconosciuta nell’episodio di Roswell, avvenuto nel 1947; ma casi di avvistamenti misteriosi dello stesso tipo sul territorio statunitense sembrano essere avvenuti, come riporta il Mollar in questa sede, da molto prima.

[11] Tale credenza rimase in vita per tutto il Novecento e ha tuttora dei sostenitori, mischiandosi talvolta con le testimonianze sui flying saucers e sulle loro supposte basi sotterranee nonché inquadrata nelle più recenti correnti spiritualistiche di tipo New Age. Cfr. M. Maculotti, Civiltà “sotterranee” nel mito, nell’occultismo e nella “realtà alternativa”, su AXIS mundi, 2018.


Chiunque fosse interessato, può acquistare il libro di Gian Mario Mollar sul sito della casa editrice.

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