Il Demiurgo e la possibilità negativa: caduta

In questo quarto appuntamento del ciclo “Manvantara”, analizziamo la tematica della caduta dell’essere nella materia, a partire dal suo simbolo più celebre: la ribellione di Lucifero e degli Angeli Caduti.


di Michele Ruzzai
originariamente pubblicato su EreticaMente
copertina: Gustave Moreau, “Prometheus”, 1868

Nel precedente articolo Il Polo, l’incorporeità, l’Androgine avevamo accennato ai due punti che, nel primo capitolo del Genesi, ci erano sembrati particolarmente significativi, ovvero il concetto di «immagine di Dio» ed il tema delle l’androginia del primo Uomo. Tuttavia, com’è noto, vi sono diversi ed ulteriori elementi di carattere antropogenetico che vengono esposti anche nel secondo capitolo, il che ci pone davanti all’interrogativo delle ragioni sottostanti alla presenza di quella che sembra effettivamente essere una ripetizione narrativa. Senza voler entrare nel merito dei vari studi tesi a comprenderne le motivazioni sul piano filologico e letterario (come, ad esempio, quelli basati sugli stili di redazione dell’Antico Testamento e sulle modalità di composizione di un materiale che, in origine, dovette essere alquanto eterogeneo), qui ci interessa soprattutto tentare di cogliere, per quanto ci è possibile, le realtà più profonde adombrate dalla lettera scritta, anche alla luce di altre fonti tradizionali.

Una considerazione che, ad esempio, ci è sembrata di notevole interesse sulla natura dello iato tra il primo ed il secondo capitolo del Genesi, è quella di Jakob Böhme che lo ha interpretato come lo spazio temporale (o a-temporale?) durante il quale si verificò la caduta dell’angelo Lucifero, evento in relazione al quale, inoltre, si sarebbe generata la materia. La caduta dell’angelo e l’azione “diabolica” da esso effettuata – dal greco diaballo, il cui significato è pressappoco «colui che divide, che si mette di traverso» – implica l’ingresso in campo dell’ambivalente figura demiurgica che appunto, come Guénon ricorda, produce prima di tutto la “divisione”, situazione alla quale tutti noi ora non possiamo sottrarci, in quanto egli è di fatto il «Principe di questo mondo».

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Francis Danby, “Scene from the Apocalypse”, 1829.

Di seguito, cercheremo quindi di sviluppare una serie di considerazioni in merito alle figure mitiche coinvolte che, come vedremo, spesso sembreranno confondersi, sovrapporsi tra loro, ed effettuare azioni apparentemente contrastanti ed ambivalenti. L’elemento di partenza che in ogni caso ci sembra vada preliminarmente sottolineato è che vi è la possibilità di una doppia visuale.

La prima, come abbiamo visto nel precedente articolo, è quella relativa ad una coscienza primordiale ed unitaria, dove soggetto ed oggetto, principio e manifestazione, non si distinguono, ed un Uomo – un Adamo androginico – evidentemente molto diverso da quello attuale, conserva ancora intatta e connaturata la facoltà spirituale di intelligere, ovvero di cogliere le verità ed i fenomeni “dall’interno”, senza la necessità di alcuna mediazione sensoriale. Di Essere e di Vivere contemporaneamente il Tutto, se ci è concessa questa sintesi.

La seconda, propria alla nostra condizione attuale ed ordinaria, è invece la visuale separativa soggetto-oggetto o, cosmologicamente, Principio-Manifestazione: su questo piano, ne deriva quindi la prospettiva di un Principio supremo e trascendente, la cui immagine è costituita dall’Androgine Primordiale, che in pratica è l’aspetto più elevato della sua manifestazione. Mircea Eliade ricorda che lo stato primordiale ed androginico era quello precedente alla “individualizzazione” e quindi se, con le categorie riprese da Guénon, interpretiamo tale termine come sinonimo di manifestazione “formale”, allora l’Androgine può essere inteso come pertinente alla manifestazione “informale”, analoga, in termini cristiani, a quella angelica, di carattere universale e “sovraindividuale”. Tale immagine appare androginica ma anche, come in un gioco di rifrazioni ottiche, a sua volta “principiale” in rapporto ai livelli più bassi della manifestazione stessa.

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Purusha-Prakriti.

Se ora, per effetto dell’anzidetta “divisione demiurgica”, con la relativa ed inevitabile prospettiva duale alla quale dobbiamo sottostare, poniamo l’osservazione dal punto di vista della manifestazione, il Principio primo viene colto solo come uno dei due poli dell’Essere (per esempio, raffigurato nella coppia indù Purusha–Prakriti, o anche, rispettivamente, nel Centro e nella Circonferenza della figura del Cerchio), e quindi tale visuale porta con sé la correlativa definizione di un, per così dire, “spazio” intermedio, e la connessa possibilità di una sua doppia attualizzazione. Doppia possibilità che dalla potenza demiurgica viene percorsa “contemporaneamente” ed a-temporalmente, perché altrimenti non risulterebbe “ambivalente” da un’osservazione esterna, come lo è la nostra.

Oppure possiamo ricorrere ad un’altra rappresentazione di questo concetto: un “aspetto” del Demiurgo segue una strada, l’altro “aspetto” ne percorre un’altra, itinerari obbligati e connaturati a questo livello di esistenza che, ripetiamo, deve necessariamente soggiacere alla prospettiva duale. Per fare un paragone in ambito “microcosmico” (ma pensiamo che l’analogia possa essere attinente), ciò accade anche all’interno dell’Uomo, come ricorda A.K. Coomaraswamy, nel rapporto che si instaura tra il Sé immortale, centrale e principiale e tutta quella serie di “soffi” (i Marut) che da esso dipendono e che corrispondono ad altrettante facoltà visive, uditive, pensanti ecc.., le quali compongono quella compagine estremamente eterogenea che, al fine, è la nostra “anima”: avviene cioè che i Marut possono obbedire al Principio che li regge, ma possono anche ribellarvisi.

Nello stesso ordine di considerazioni si pone, a nostro avviso, quella che per Jakob Böhme è l’ambivalenza del Serpente – tipica figura demiurgica – che tra le sue possibilità ha sia quella di apparire come una vergine celeste, ma anche di essere simbolo di una femminilità maligna; e non manca Julius Evola a fornire anch’egli uno spunto in tale direzione, quando ad esempio ricorda che alcune leggende celtiche identificarono i divini Tuatha de Danann con gli angeli caduti o discesi dal cielo col Graal: spiriti condannati a precipitare sulla terra perché colpevoli di aver seguito Lucifero o perché rimasti neutrali al momento della sua ribellione. Ebbene, una fonte celtica definisce i Tuatha de Danann, significativamente e contemporaneamente, «dèi e falsi dèi», mentre altri testi celtici cristianizzati non esitano a definirli addirittura «demoni».

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Tuatha de Danann.

Ugo Bianchi in definitiva ci ricorda come la figura che nell’ambito degli studi etnologici è stata definita “demiurgo-Trickster non vada confusa o ridotta a quella di un’essere puramente distruttore e diabolico, trattandosi invece di un personaggio che piuttosto presenta aspetti “prometeico-epimeteici”: in sé è notevolmente ambivalente, spesso maligno e animato da spirito di rivalità, ma a lui si fanno risalire pure elementi dell’esistenza e della cultura umana oggi essenziali ed imprescindibili.

Ecco quindi rapidamente tratteggiate quelle che a nostro avviso possono essere state le “due vie” contemporaneamente percorse dal Demiurgo: una è quella “negativa”, dove egli non si riconosce come immagine del Principio e guarda solo “separativamente” a sé stesso, cadendo. L’altra invece è quella “positiva”, nella quale non si distoglie dall’Androgine, lo riconosce come diretta immagine del Principio e, identificandosene, lo prende a modello e si fa strumento per operare nella materia, come vedremo più avanti.

Soffermiamoci per un attimo su alcuni aspetti legati alla “possibilità negativa” del Demiurgo. René Guénon ricorda che Dio ordinò agli angeli di adorare l’Essere primordiale e prototipico – che nella tradizione islamica è l’Uomo Universale – nella sua forma, anche qui definita sferica, raffigurante la manifestazione totale; ma, come già dicevamo, e sottolinea anche Titus Burckhardt, l’Uomo Universale non è realmente separato da Dio perché rappresenta il suo volto nell’insieme delle creature. Il ribelle si rifiutò quindi di venerare l’immagine divina che era in Adamo, pur partecipando di quella globalità, giacché Böhme ricorda infatti che gli angeli hanno anch’essi forma umana, oltretutto rappresentata in modo supremo dal più bello, Lucifero. La sua “invidia”, ricordata da Coomaraswamy, e la conseguente insubordinazione, si configura quindi come un atto di pura negazione, come il non voler accettare di conformarsi, pur facendone parte, a quel “Tutto” fatto «a immagine e somiglianza di Dio»: Lucifero quindi agisce come colui che non ammette di appartenere a un dato ordine della Manifestazione e nega obbedienza ad un ruolo assegnato nell’economia cosmica, preferendo piuttosto affermare una propria illusoria individualità.

Ma nel momento in cui Lucifero sceglie la sua esistenza distintiva e non subordinata al Principio primo per il tramite dell’immagine divina, non può che precipitare. In merito all’invidia luciferica verso Adamo, Coomaraswamy propose un’interessante corrispondenza “microcosmica” tra Adamo e lo Spirito e tra Satana e l’Anima, rappresentando quest’ultima, nell’ambito del ternario Spirito-Anima-Corpo, la parte mediana (analoga alla Psyche greca), che Guénon ci ricorda appartenere al dominio della manifestazione formale o individuale, ancorché “sottile” e non grossolana come la corporeità pesante. In effetti, anche nel testo coranico è presente uno spunto simile, in quanto il rifiuto di inchinarsi davanti ad Adamo, da parte dell’angelo chiamato Iblis, ne determina la caduta e la trasformazione in un Jinn, ovvero in un essere della categoria dei “Geni”, entità immateriali che Titus Burckhardt segnala appartenenti al mondo psichico, intermedio.

Ma l’azione “diabolica”, oltre ad essere gravida di conseguenze a livello cosmologico, contemporaneamente prepara anche sul piano antropologico le condizioni della successiva caduta umana; non a caso Onorio da Ratisbona, Leopold Ziegler e Martin Lings descrivono il movimento discendente come un processo che si sviluppa per tappe e si conclude con l’evento definitivo della perdita irreversibile del paradiso edenico (ed all’interno del quale, non a caso, il Serpente è una delle creature già ivi presenti).

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Gustave Dore, “The Fall of the Rebel Angels”, 1868.

Secondo tradizioni successive a Cristo, raccolte e commentate da diversi autori, tra i quali Julius Evola e Mircea Eliade, gli angeli ribelli vengono avvicinati ai «figli di Dio», o «figli di Elohim» (e, in questo contesto interpretativo, certa letteratura siriaco-ebraica identifica gli angeli caduti anche con gli enigmatici «Veglianti»), che si unirono alle «figlie degli uomini», evento che nel Genesi viene narrato appena nel sesto capitolo; altrove, Evola identifica gli angeli ribelli con i Nephelin (Giganti), i Titani ellenici e, ancora, «coloro che vegliano» con gli uomini che anticamente furono “gloriosi” (citati sempre nel sesto capitolo del Genesi) leggendo tale fase “gloriosa” come quella aurea ed androginico-primordiale. Una chiave di lettura, quella evoliana, che quindi sovrappone i vari attori sulla scena, ponendo di fatto l’accento sull’unità di fondo di queste entità, evidentemente narrate nelle varie fonti tradizionali secondo aspetti e prospettive diverse, ma mai del tutto separabili l’una dall’altra.

Viene però da chiedersi, in questo contesto, a chi corrispondano le «figlie degli uomini», dal momento che l’umanità nella forma attuale non esiste ancora. A tale quesito, Evola risponde che questi enti femminili sono interpretabili con la stessa potenza degli angeli ribelli, potenza che può etimologicamente essere collegata alla “potenzialità” materiale – tradizionalmente sempre di segno femminile – di fatto contenuta in essi stessi; una materialità che, tuttavia, appartiene con ogni probabilità ancora al livello “sottile” della manifestazione, dal momento che anche secondo Guénon i «Veglianti», corrispondenti agli angeli ribelli, sono entità che appartengono al mondo intermedio. Quindi un connubio dei figli di Elohim con le figlie degli uomini come una delle possibili raffigurazioni di quella progressiva materializzazione dell’entità adamica sottile ed incorporea: in effetti anche Frithjof Schuon ci ricorda che l’età primordiale fu tale proprio per questa sua continua apertura tra l’alto ed il basso, per questa comunicazione non ancora interrotta con il mondo sottile e durante la quale si potevano quindi produrre con facilità fenomeni di quest’ordine.

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Pur essendo narrata appena nel sesto capitolo del Genesi, che si situa dopo l’uscita umana dall’Eden, è dunque probabile che questa unione possa riguardare, su un diverso piano ontologico e cioè a livello “sottile”, anche situazioni di inizio Manvantara; ma ciò non toglie che analogamente l’evento possa essersi riprodotto in un secondo tempo e ad un livello più basso, questa volta però tra attori diversi, seppur in qualche modo corrispondenti a quelli iniziali. In effetti, come metodo generale di analisi, è stato rilevato che nell’ambito degli studi tradizionali debba sempre essere tenuta presente quella legge di analogia che rende possibile una certa polivalenza dei simboli ed una loro interpretabilità a più livelli, come anche la possibilità che un elemento particolare possa essere preso a prototipo di un insieme più ampio (o, viceversa, che dal caso più generale si proceda per analogia verso uno più specifico e particolare).

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Alexandre Cabanel, “Fallen Angel”.

Questa è quindi la via “negativa” del Demiurgo, quella nella quale – riassumendo – l’Angelo non riconosce l’immagine del Principio e, dando seguito ad un impulso “egoico”, si rivolge/congiunge alla sua stessa potenza, connotata in senso “femminile”. Qui evidentemente corrisponde a Lucifero, che così viene a cadere ad un livello più basso di manifestazione, ora di ordine “individuale”, cioè soggetta alla vincolante condizione della “forma”, anche se di livello “sottile”: attinente cioè a quella sfera che, pur non essendo ancora corporea e completamente densificata, non è già più di ordine spirituale. Di quest’ambito intermedio, Lucifero diviene quindi un’entità demonica, e la sua caduta genera contemporaneamente il mondo della materia, in tutte le sue estensioni, che verrà ripresa più avanti.

Ma, a margine della via negativa del Demiurgo, riteniamo opportuno soffermarci ancora un attimo sul tema dell’unione dei «figli di Dio» con le «figlie degli uomini». Come sappiamo, tale incontro tradizionalmente porta all’origine dei “Giganti”: siccome però va detto che, nella letteratura generale, tali entità sono state interpretate nei modi più disparati, è lecito interrogarci ora su chi avrebbe potuto corrispondervi dal punto di vista storico-antropologico. A nostro avviso, un’utile spunto per tentare una risposta può indirettamente arrivare dall’osservazione di Frithjof Schuon, che rileva come il rifiuto di Lucifero di inchinarsi davanti ad Adamo potrebbe aver prodotto la creazione anticipata di una forma “parodistica” dell’uomo; il pensatore perennialista si riferisce alla scimmia, ma riteniamo che il concetto si potrebbe estendere anche alle forme antropoidi subumane che erroneamente la visuale evoluzionista considera la base dalla quale l’attuale umanità si sarebbe elevata.

Probabilmente nella stessa direzione possono andare anche altri episodi tramandati nel corpus tradizionale di vari popoli, come ad esempio quello, ricordato da Ugo Bianchi, presente nelle mitologie dei nativi americani, dove il Coyote (che riveste un ruolo demiurgico) tenta di imitare la Divinità che ha creato l’uomo, riuscendo però solamente a produrre esseri deformi. Schuon nota inoltre la notevole concordanza tra un altro mito amerindiano, nel quale il Grande Spirito generò l’uomo in fasi successive, distruggendo però ogni volta quanto fatto in precedenza perché ne derivavano creature abnormi, con quanto presente del Saura-Purana indù, dove si rileva che nella fase aurorale di ogni nuova creazione emergono dapprima le più infime forme viventi, derivanti dal tamas. Tamas è infatti il più basso dei tre gunas (le fondamentali qualità costitutive della manifestazione nel sistema filosofico indù Samkhya; le altre due sono rajas e sattwa) che, anche per Evola, caratterizza tutto ciò che è inerte potenzialità: probabilmente, la stessa potenzialità insita nel “femminile” che ebbe a determinare la caduta luciferica e della quale il lato oscuro è rappresentato dalle creature teriomorfe e mostruose che nei miti vengono sempre collocate nei tempi aurorali. Dal canto suo, Julius Evola aggiunge infatti come gli organismi antropoidi subumani avrebbero rappresentato i «primi vinti» nel processo antropogenetico, in quanto popolazioni apparse fin da subito “degenerescenti” perché travolte da queste “potenzialità animali” che l’Uomo primordiale recava in sé.

Qualche altro autore ha inoltre osservato come i mitici Giganti potrebbero corrispondere alle specifiche popolazioni neanderthaliane, in quanto la parola “gigante” andrebbe in questo caso interpretata non in senso letterale, ma piuttosto per enfatizzare concetti quali forza e coraggio (o, forse, anche prossimi a “brutalità”, o “forza elementare”?), dal momento che in greco la parola si esprime con il termine kyklops. Rileviamo peraltro che un’interpretazione dei Giganti in chiave “subumana” – almeno in questo contesto e senza per forza doverne escluderne una diversa (ad esempio, quella proposta nel nostro primo articolo La fine dell’età primordiale e la Caduta dell’Uomo in relazione ai Cro-Magnon) – potrebbe forse fornire anche una spiegazione all’accenno, in verità rimasto sempre piuttosto oscuro, che nel sesto capitolo del Genesi testualmente recita «C’erano sulla terra i giganti a quel tempo, e anche dopo…»; ovvero, nel momento in cui l’episodio dell’unione tra i figli di Dio e le figlie degli uomini viene posto su un piano crono-ontologico più recente e post-edenico, i biblici Giganti “antecedenti” rappresenterebbero, in questo caso, il risultato dell’unione precedentemente avvenuta, come sopra ipotizzato, ad inizio Manvantara e sul piano “sottile”.

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Tale interpretazione, infine, potrebbe anche avere una qualche relazione con i frequenti miti, in effetti alquanto paradossali, come sottolineato anche dall’antropologo Massimo Centini, di esseri subumani storicamente precedenti l’umanità attuale, che tuttavia sembrano essere stati particolarmente esperti nelle arti magiche, almeno nelle tecniche più grossolane di manipolazione delle forze naturali; non andrebbe cioè esclusa l’ipotesi di alcuni rudimenti “operativi” trasmessi dagli angeli ribelli alla loro imperfetta discendenza – e magari conservati ad un livello basso, “stregonesco” – che tuttavia avrebbe rappresentato una primissima stratificazione culturale, poi indirettamente passata anche ai nostri antenati Sapiens. Angelo Brelich, forse in relazione ad una tale possibilità, accenna infatti alla natura contemporaneamente sovrumana e subumana della figura del Trickster, mentre, d’altro canto, ci sembra degno di nota e convergente nella stessa direzione, il fatto che ad esempio nell’arte medievale raffigurazioni di uomini dalle spiccate caratteristiche semianimalesche vennero spesso accostate a Satana.

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Homo Selvaticus con sembianze demoniache, Vicenza.

Bibliografia:

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  • Ugo Bianchi – Il dualismo religioso. Saggio storico ed etnologico – Edizioni dell’Ateneo – 1983
  • Ugo Bianchi – Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religiose sul destino, il male, la salvezza – Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri – 1976
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  • Titus Burckhardt – Simboli – Edizioni all’insegna del Veltro – 1983
  • Massimo Centini – L’angelo decaduto – De Vecchi Editore – 2004
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  • Ananda Kentish Coomaraswamy – Chi è Satana e dov’è l’Inferno ? – in: Rivista di Studi Tradizionali, n. 43 – Luglio/Dicembre 1975
  • Ananda Kentish Coomaraswamy – Induismo e buddismo – Rusconi – 1994
  • Ananda Kentish Coomaraswamy – L’albero, la ruota, il loto – Editori Laterza – 2009
  • Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – Documento disponibile in rete su vari siti
  • Mario Del Gatto – La Creazione, l’Uomo, la Caduta – Atanor – 1990
  • Mircea Eliade – Il mito della reintegrazione – Jaca Book – 2002
  • Mircea Eliade – Storia delle credenze e delle idee religiose. Vol. 1: Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini  – Sansoni – 1999
  • Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni – Bollati Boringhieri – 1999
  • Julius Evola – Il mistero del Graal – Edizioni Mediterranee – 1997
  • Julius Evola – La Tradizione ermetica – Edizioni Mediterranee – 1996
  • Julius Evola – Lo yoga della potenza – Edizioni Mediterranee – 1984
  • Julius Evola – Metafisica del Sesso – Edizioni Mediterranee – 1996
  • Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988
  • Faivre / Tristan (a cura) – Androgino – ECIG – 1986
  • Roberto Fondi – Fratello Neandertal – in: Systema Naturae. Annali di Biologia Teorica. Vol. 2 – anno 1999
  • Vittorino Grossi – Lineamenti di antropologia patristica – Borla – 1983
  • René Guénon – Forme tradizionali e cicli cosmici – Edizioni Mediterranee – 1987
  • René Guénon – Il Demiurgo e altri saggi – Adelphi – 2007
  • René Guénon – Il simbolismo della Croce – Luni Editrice – 1999
  • René Guénon – Iniziazione e realizzazione spirituale – Luni Editrice – 1997
  • René Guénon – L’uomo e il suo divenire secondo il Vedanta – Adelphi – 1997
  • René Guénon – La Grande Triade – Adelphi – 1991
  • René Guénon – La Tradizione e le tradizioni – Edizioni Mediterranee – 2003
  • René Guénon – Pensieri sull’esoterismo – Fratelli Melita Editori – 1989
  • Martin Lings – Antiche fedi e moderne superstizioni – Il leone verde – 2002
  • Claudio Mutti – Il Demiurgo nella tradizione Magiara – in: Heliodromos, n. 24 – Dicembre 1985
  • Onorio di Ratisbona – Cos’è l’Uomo – Il leone verde – 1998
  • Ugo Plez – La preistoria che vive – Mondadori – 1992
  • Jean Robin – UFO. La grande parodia – Edizioni all’insegna del Veltro – 1984
  • Frithjof Schuon – Dal divino all’umano – Edizioni Mediterranee – 1993
  • Frithjof Schuon – Immagini dello Spirito – Edizioni Mediterranee – 2006
  • Frithjof Schuon – Le stazioni della saggezza – Edizioni Mediterranee – 1983

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