Il Demiurgo e la possibilità positiva: plasmazione

In questo quinto appuntamento del ciclo “Manvantara” andiamo ad analizzare, dopo la “via negativa del Demiurgo” tracciata nell’articolo precedente, la speculare “via positiva”: la plasmazione dell’uomo o antropogenesi.


di Michele Ruzzai
originariamente pubblicato su EreticaMente
copertina: William Blake, “The Ancient of Days”, 1794

Come dicevamo nel precedente articolo (Il Demiurgo e la possibilità negativa: caduta), esiste per l’Angelo la via della ribellione luciferica, ma esiste anche quella dell’azione in piena conformità al superiore Principio spirituale che lo regge. È, quest’ultima, la prospettiva nella quale, in ambito cristiano, si sottolinea come Dio nella creazione sembri avvalersi dell’aiuto di entità subalterne, facendo anche ipotizzare a Meister Eckhart che l’uso della persona plurale nel passo genesiaco «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» rappresenti una chiara indicazione dell’intervento di potenze intermedie tra il Principio e gli enti gerarchicamente inferiori; un tema, quello delle entità ausiliarie, che peraltro è stato ribadito anche dalla Controriforma.

Ma anche in contesto extra-cristiano sono numerosi in ogni tradizione i riferimenti ad un Demiurgo creatore del Cosmo e dell’Uomo. Ci limitiamo a ricordare, ad esempio, il serpente Ofione, detto anche Borea, presente sia nel mito ebraico che in quello egiziano (ed altrove inserito nella stirpe dei Titani; oltretutto ricordato dai Pelasgi come loro «Antenato Mitico»), del quale ci sembra significativa sia la natura ofidica – in questo caso evidentemente non malefica – che il nome Borea, dai chiarissimi rimandi nordico-polari. Dall’altro capo del mondo, anche i nativi australiani ricordano i loro Antenati Mitici che, durante il Dreamtime, non generarono la realtà attuale partendo dal nulla ma, operando appunto in modo demiurgico, trasformarono un materiale preesistente, informe ed indifferenziato («masse semiembrionali di bambini sviluppati a metà») per creare l’uomo qual è oggi. Degno di particolare nota, ci sembra pure il mito dei Mordvini della Russia centrale, per i quali fu proprio lo stesso Sajtan, qui chiaramente visto nel suo aspetto “benevolo”, a creare l’uomo.

Al contrario della situazione di “ribellione”, ora, quindi, la potenza demiurgica guarda e riconosce l’Androgine come diretta immagine del Principio, e sovente ciò avviene fino al punto di identificarsi/sovrapporsi ad esso, se è vero che, ad esempio, in alcune versioni degli articolati sistemi gnostici si può riconoscere nello stesso primo Adamo, quello “pre-fisico”, caratteristiche demiurgiche direttamente incarnate da lui stesso. In un’altra versione di questi miti, è invece l’entità chiamata Sofia-Zoe che crea l’Adamo “psichico”, denominato anche Eva o Afrodite, da cui il rapporto con la bisessualità primordiale. Nell’elaborata antropogonìa gnostica trovano posto anche un Adamo “pneumatico”, parte spirituale ed immagine più vicina al Principio, e l’Adamo “terrestre”, che si manifesterà più tardi ancora, ma in questa sede è proprio la figura di Sofia-Zoe che ci sembra particolarmente interessante in quanto presenta attributi femminili rispetto a Dio (in quanto sua “manifestazione”), ma contemporaneamente androginici rispetto all’umanità.

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Tavoletta sumera: rappresentazione di un Nephilim?

Fu probabilmente questa situazione di equidistanza tra una fisicità non ancora completatasi ed una uranicità non più assoluta, in quanto ormai rivolta verso il mondo, che orientò Platone a porre l’Androgine sotto la tutela della Luna, a metà strada tra Cielo e Terra, e ciò forse anche per la sua già segnalata “relativa” femminilità in rapporto al Principio supremo. La stessa traccia interpretativa ci sembra ravvisabile nei passi evoliani dedicati agli enigmatici Nephilim: in alcune situazioni questi assumono chiaramente le vesti dei «caduti», secondo la linea demiurgica discendente descritta nell’articolo precedente, mentre invece altrove, ad esempio nello stadio in cui anticamente furono essi stessi gli «uomini gloriosi» citati nel sesto capitolo del Genesi, corrispondono tout-court alla «razza originaria, potente e divina, androginica» della paradisiaca fase aurea.

Ma il Demiurgo non è tale se non posto in relazione ad una materia prima da plasmare. Come dicevamo più sopra, tale materia, che corrisponde alla “terra” utilizzata da Dio per modellare Adamo nel secondo capitolo del Genesi, è quella che nel frattempo è venuta a crearsi proprio con la contemporanea caduta luciferica. Anche in ambito extra-biblico si trovano significative analogie sull’origine di questo primario elemento di base. Ad esempio, secondo alcune versioni del mito greco, gli uomini sarebbero stati creati utilizzando le ceneri dei Titani folgorati da Zeus nel momento conclusivo della Titanomachia; a rigore, andrebbe detto che tale violento episodio dovrebbe collocarsi solo alla fine dell’età primordiale (il Satya Yuga, in termini indù) ed inaugurare la reggenza olimpica che, successiva a quella di Kronos, tradizionalmente segna il passaggio ad una fase contraddistinta dall’alternarsi delle stagioni.

Ma, come ebbe modo di notare anche Ugo Bianchi, nel Mito il riferimento a “Zeus” molto spesso è del tutto generico e quindi può riguardare accadimenti anteriori al suo effettivo avvento; ciò, riteniamo, secondo una trasposizione analoga a quella dei “Figli di Dio”, che nel Genesi appaiono appena nel sesto capitolo, ma purtuttavia, come abbiamo visto, potrebbero rappresentare (anche) fatti ben precedenti. Mircea Eliade ricorda anche altri miti, di origine mesopotamica, nei quali la materia prima della quale sarà poi costituito l’uomo è, pure qui, di natura demoniaca: è il caso del sangue di Kingu, che anticamente era stato uno dei primi Dei celesti ma poi era divenuto il capo della fazione dei Demoni, e la cui analogia alla figura del Lucifero caduto ci sembra quindi piuttosto chiara.

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Kingu e Tiamat.

Ora però il Demiurgo estrinseca l’aspetto “positivo” e pienamente conforme al Principio, apparendo come un suo mero strumento per la creazione antropo-cosmica: in tale visuale corrisponde a Ruach, il soffio divino (assimilabile anche all’indù Hamsa, mitico cigno-veicolo di Brahma e sul quale torneremo più avanti) che, agendo sulla materia primordiale, costruisce l’Adam Ha-Rishon immortale, “principio” di quello che più tardi sarà l’uomo sensibile. Ma la presenza dell’anzidetto elemento materiale, pone ora l’intervento demiurgico al livello della manifestazione che, per utilizzare le categorie guénoniane, è quello “formale” o “individuale”, ancorché secondo noi, ancora “sottile” e non grossolano: prendendo a modello l’Androgine bisessuato, viene quindi plasmato il sottostante Adamo del secondo capitolo del Genesi, il quale, non a caso, Leopold Ziegler ricorda essere ancora «unico della sua specie e non accoppiato».

Per Titus Burckhardt questo «soffio vitale», esso stesso costituito di materia sottile, appartiene al mondo intermedio posto tra Cielo e Terra, “vento” che – associato anche al Mercurio – nel proprio ventre porta il “germe” spirituale: rispetto al Principio trascendente ricopre quindi una funzione passiva e ricettiva, esattamente come riceve ed “assume” l’immagine androginica. In tale prospettiva, Evola segnala come in ambito gnostico il mondo del Demiurgo rivesta infatti carattere femminile (più sopra avevamo accennato alle caratteristiche di Sofia-Zoe) di cui la “mercurialità” è senz’altro un carattere distintivo. Ma il mondo animico – “serpentino” – può assumere, a seconda del punto di vista dal quale lo si considera, gli attributi dell’Essenza o quelli della Sostanza il che, come ricorda Guénon, gli conferisce una parvenza di “duplice natura”; e, quindi, la potenza demiurgica appare anche, nello stesso momento, attiva e formatrice in rapporto al complesso della sottostante manifestazione formale in tutte le sue estensioni.

Tale concetto, in merito al particolare caso dell’antropogenesi, è probabilmente riassunto dall’idea, sempre originante dalle correnti gnostiche, che il Demiurgo creò sia il corpo umano, sia la sua forma sottile, indicata come Psyché. Quindi, per questa sua posizione intermedia e per quel complesso gioco di rifrazioni e sovrapposizioni funzionali già accennato, è il Demiurgo stesso in qualche modo a rappresentare l’Anima del ternario composto dalla sovrastante immagine archetipica androginica, che simboleggia lo “Spirito”, e dal sottostante Adamo terrestre che ne è il “Corpo”; come dicevamo, però, questo “corpo” consta di un elemento sostanziale che nell’Adam Ha-Rishon viene definito “polvere” sottile e che non può ancora corrispondere a quello attuale e solidificato.

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William Blake, “Elohim Creating Adam”, 1795-1805 circa.

In effetti, su questa “polvere” e sul suo impiego per la formazione di Adamo nel secondo capitolo del Genesi, l’esegesi biblica si è spesso soffermata e da più parti è stato significativamente osservato come tale plasmatura non possa essere intesa (non ancora, almeno) nel senso dell’elemento corporeo dell’uomo. Sono infatti piuttosto precisi i riferimenti all’utilizzo non della parte grossolana e “spessa” della terra (’adamah), ma del suo stato più leggero (‘afar): a quell’elemento, cioè, più puro e “meno materiale” della materia stessa che secondo il Talmud fu preso dal Centro del mondo, sul monte Sion. Per Jakob Böhme, a costituire la parte sostanziale di Adamo, «uomo virginale» plasmato a perfetta immagine di Dio, fu infatti la «terra paradisiaca» (tratto che, sorprendentemente, appare in modo quasi identico anche tra i Dogon del Mali), terra  che in lui assume un valore “quintessenziale”, tradizionalmente associabile all’elemento Etere.

Anche per Schuon è l’etere stesso – quinto elemento – che di fatto rappresenta l’uomo primordiale, l’Uomo come tale, e questa “protomateria sottile” costituisce il punto di partenza del mondo corporeo, che si estende senza soluzione di continuità dagli stati più sottili ed impalpabili a quelli più opachi, densi e pesanti. René Guénon ricorda come l’etere, elemento nel quale l’azione del guna Sattwa si estrinseca al massimo grado, rappresenti, nel suo ordine, la “non-manifestazione” principiale e cosmologicamente l’idea del Centro, mentre, nei confronti del mondo corporeo, ne costituisca il principio più immediato per il tramite degli altri quattro elementi classici (Aria, Fuoco, Acqua, Terra); nello stato di indifferenziazione primordiale, Guénon segnala inoltre come l’etere contenga in potenza tutti i corpi e la sua stessa omogeneità lo renda capace di ricevere tutte le possibili forme nelle loro varie modificazioni.

Ma il metafisico francese ricorda anche come l’etere corrisponda, in ambito indù, alla casta primordiale Hamsa (il cui nome è analogo a quello del cigno e del soffio divino, già più sopra incontrati), ovvero la prima “razza” unitaria, che anche Julius Evola riconosce essere anteriore ad ogni successiva differenziazione. Le caratteristiche chiaramente auree di tale super-entità originaria, collegata al primo grande anno del Manvantara – e della quale nessuna delle attuali popolazioni umane può considerarsi erede diretta ed esclusiva – erano tali che Hamsa, dal punto di vista delle caste tradizionali, presentasse una situazione di perfetto equilibrio dei tre gunas, sintetizzando nel contempo, a livello superiore, le funzioni delle due più importanti caste sottostanti, ovvero quella sacerdotale (brahmana) e quella guerriera (kshatriya).

Questi due poteri, nell’ambito mitologico della Tradizione Romana, vengono ancora da Guénon ricordati e riassunti nella figura unitaria di Giano che, come già notavamo, regnò in un periodo antecedente a quello di Saturno; emblematizzati nei simboli del cinghiale (sacerdoti) e dell’orso (guerrieri), anche secondo altri autori furono dominati ed armoniosamente conciliati dalla divinità bifronte, prima della loro separazione/polarizzazione che ebbe luogo in un momento sicuramente posteriore (ed il cui significato verrà approfondito in seguito).

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William Blake, “Sconfitta”, frontespizio per “La canzone di Laos”.

Nel mito ellenico un analogo ricordo di tale fase primordiale ed unitaria, oltre al già citato Androgine platonico, è rappresentato dalla prima delle cinque razze riportateci da Esiodo, ovvero quella aurea, beata ed immortale, che al termine del suo ciclo venne mutata in una compagine di demoni epictonii (ma non nell’accezione negativa veicolata dal Cristianesimo); furono entità che, divenute invisibili per gli uomini delle ere successive – ma non costrette ad un soggiorno sotterraneo – sono descritte con caratteristiche sicuramente benigne e, in qualche modo, “protettive” nei confronti di una più recente umanità “ordinaria”. Julius Evola le identifica ai già incontrati Veglianti, evidentemente anch’essi considerati non nel loro aspetto “infero”, ma in quello positivo.

Il ricordo di questa prima umanità esiodea si sovrappone e si avvicina, secondo vari studiosi tra cui Ugo Bianchi, a quella menzionata nel filone mitologico facente capo al titano Prometeo, che secondo alcune versioni ne sarebbe anche il plasmatore, assumendo quindi quelle caratteristiche pienamente demiurgiche più sopra descritte. È stato notato come questa umanità prometeica appaia in effetti informe, prototipica e “non terrestre”, risultando sottoposta a delle condizioni di esistenza chiaramente diverse da quelle attuali; ma sarà proprio Prometeo, intermediario-separatore con gli Dei superiori, che per mezzo dei suoi atti, spesso maldestri e fraudolenti, creerà tutta una serie di conseguenze che finiranno con il condurre quell’umanità ancora mitica alla situazione attuale. Da un’esistenza indistinta ed una vita in comune con le entità divine, si arriverà quindi alla separazione ed alla definizione dei rispettivi ruoli nell’incontro di Mecone; dopo questo cruciale evento, come punizione per i sotterfugi del Titano, le divinità superiori invieranno all’uomo Pandora – la prima donna – ad ulteriore conferma del fatto che l’umanità prometeica viveva in una condizione probabilmente analoga a quella androginica già altrove descritta.

In definitiva, sulla base degli elementi raccolti, quali conclusioni possiamo trarre in merito al primo Grande Anno del nostro ManvantaraA nostro avviso, la più importante è che raffigurazioni quali l’Adamo plasmato di polvere sottile, la casta Hamsa sostanziata di etere, la prima razza immortale di Esiodo, l’informe umanità prometeica, ecc… rappresentino diverse immagini per definire una stessa realtà di fondo: quella di un’umanità – se così possiamo già definirla – non ancora fisicizzata secondo i canoni odierni e quindi praticamente impossibile da rinvenire sotto forma di resti fossili. Resti che infatti, nel periodo tra 65.000 e 52.000 anni fa, o latitano, o sono comunque fortemente controversi.

Dall’unità primordiale, prototipica ed androginica del primo Grande Anno si giungerà quindi alla dualità maschio-femmina: indubbiamente ciò costituirà – pur rimanendo sempre all’interno del Satya Yuga – uno dei passaggi di maggior discontinuità nella storia arcaica dell’Uomo, contestualmente all’avvento del secondo Grande Anno del nostro Manvantara. Ci ripromettiamo in un futuro più o meno prossimo di abbozzare, per quanto possibile, un’analisi più dettagliata di questa importante fase del nostro percorso.

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William Blake, “Adamo ed Eva”.

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