“Il Viaggiatore di Agartha”: il realismo magico di Abel Posse

Nel romanzo iniziatico dello scrittore e diplomatico argentino, pubblicato trent’anni fa e ambientato durante le ultime battute della Seconda Guerra Mondiale, convolano a nozze il «realismo magico» di Pauwels e Bergier, le dottrine esoteriche della Scuola Teosofica di fine Ottocento che poi influenzarono le società segrete mitteleuropee Thule e Vril e la leggenda orientale del regno sotterraneo degli Immortali. Sullo sfondo, un’Europa ormai allo stremo e un Tibet che da lì a pochi anni avrebbe conosciuto la tragedia indelebile dell’invasione cinese.


di Marco Maculotti
copertina: Nicholas Roerich, “Flowers of Timur/The Lights of Victory”, 1933

Nell’estate del 1943 Walther Werner, brillante ufficiale delle SS assegnato alla segretissima associazione Ahnenerbe, sezione della macchina statale nazionalsocialista dedicata agli studi antropologici (letteralmente: «Società di Ricerca dell’Eredità Ancestrale»), viene convocato dal Führer in persona per eseguire un compito ben preciso: localizzare il mitico mondo sotterraneo di Agartha [1], occultato negli altipiani dell’Himalaya, e da lì condurre nella Germania che si stava avviando a perdendo la guerra «l’arma metafisica segreta» che avrebbe potuto mutarne le sorti, il Vril [2]: «Senza quel potere ogni nostra vittoria materiale diventa illusoria, irrilevante, senza scopo» [p. 115].

Il viaggiatore di Agartha - Abel Posse - Libro - Tre Editori - | IBSWerner, a tal fine, si sostituirà ad un archeologo inglese di nome Robert Wood, già noto per aver accompagnato Hiram nella spedizione sulle Ande peruviane che portò alla scoperta di Machu Picchu [3], di cui utilizzerà le generalità per accedere a territori allora sotto la dominazione inglese: il Tibet e l’India, dove la rivoluzione pacifica guidata da Gandhi stava progressivamente respingendo la potenza britannica senza colpo ferire. Questa in poche parole la trama de Il Viaggiatore di Agartha (El Viajero de Agartha), romanzo del diplomatico e scrittore argentino Abel Posse [4], uscito originariamente nel 1989 e pubblicato in Italia per la prima volta nel 1997 (Sonzogno, Milano) e, più di recente, da Tre Editori (2009, traduzione di Chiara Tana).

Un romanzo di viaggio e di esplorazione, si potrebbe dunque pensare, sulla falsariga di quelli che tanto andavano in voga nel XIX secolo. Niente di più riduttivo: perché il viaggio verso la Terra degli Immortali assurge nel romanzo di Posse a vera e propria esperienza iniziatica e immaginifica, dove realtà e fantasia si intersecano indelebilmente senza soluzione di continuità. «Questa è molto più che una mappa […]. È l’unione della realtà visibile con il magico e l’invisibile», viene detto a Werner prima che questi si appresti ad intraprendere il suo viaggio verso l’Ignoto. «Cerca il punto di apertura, il passaggio, tra ciò che è fisico e ciò che è metafisico. Probabilmente unisce il possibile con l’utopico, l’origine con il futuro…» [p. 16]: questa la direttiva verso cui la sua missione viene orientata sin dal principio, secondo una linea di pensiero che neanche troppo velatamente ricalca quella del «realismo magico» de Il mattino dei maghi di Jacques Bergier [5] e Louis Pauwels (1960), testo-chiave del filone della cosiddetta «realtà alternativa» che univa con disinvoltura archeologia misteriosa, occultismo ed esoterismo di stampo nazista, per una revisione a dir poco controversa — ovviamente in chiave fantastica — della storia dell’umanità e della civiltà per come la conosciamo in modo profano. 

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Nicholas Roerich, “Remember”, 1924

D’altronde, romanzo di Posse a parte, le spedizioni e le ricerche antropologiche naziste in Tibet come altrove (per es. in Amazzonia) furono storicamente fondate su una visione altrettanto fantastica, notevolmente debitrice alle dottrine esoteriche teosofiche et similia (si può pensare a Gurdjieff [6], peraltro menzionato a più riprese nelle pagine del Viaggiatore di Agartha): «Non ci interessa l’Oriente come una nostalgia da imperialisti che raccolgono i resti di ciò che hanno distrutto e lo mettono in un museo», afferma a un certo punto del romanzo Hausofer [7] lanciando una frecciatina all’Impero Britannico: «Per noi in Oriente si trova l’embrione primordiale che è ancora vivo» [p. 31]. E questo «embrione primordiale ancora vivo» sarebbe, nelle teorie più esoteriche che vanno da Gurdjieff e dalla Dottrina Segreta della Blavatsky [8] fino alla Società Thule e, per suo tramite, all’esoterismo nazionalsocialista, l’Uomo Originario esistente prima della Caduta veterotestamentaria, della drammatica fine dell’Età Aurea e del Diluvio che ne seguì, che mise fine ad Atlantide e ai suoi Sacri Misteri. La cerca mistica di Werner si concentra dunque sui cosiddetti «poteri magici» dell’Uomo Primordiale, denominati siddhi o kundalini degli Indiani e mana dai Polinesiani, con cui sono entrate in contatto persino alcune anime privilegiate dell’Occidente moderno [p. 153]:

« Sono i poteri di Nietzsche nella visione di Sils Maria [9]. Il potere dei profeti è il potere di unire e condurre le masse verso l’unica meta valida: la rinascita, il superuomo. »

Per quanto riguarda i Sacri Misteri di cui sopra, l’autore lascia intendere come Werner li sentisse scorrere nel suo stesso patrimonio genetico fin dall’infanzia, in virtù di quella che viene talvolta denominata memoria del sangue: «Nel periodo del raccolto e della vendemmia, durante le nostre feste contadine, si manifestava il vero dio sepolto, dionisiaco e solare. Era come un’esplosione in gente repressa all’interno di una censura di provincia e sagrestia. […] Un dio occulto appariva con l’esplodere di ogni primavera» [10] [p. 24]; così che egli vive «questa marcia nella zona più solitaria del mondo come una festa. La festa del [suo] ritorno» [p. 114]. A livello macro-storico, com’è risaputo, nella dottrina nazionalsocialista sono i monoteismi ad aver prodotto questo imperdonabile distacco dall’uomo primigenio, con le sue assurdità ed i suoi dogmi, primo fra tutti quello del peccato originale: «È difficile liberarsi dagli inganni con cui veniamo castrati dal giudeo-cristianesimo», rileva a un certo punto del romanzo Werner: «vivere portando sulle spalle un grande crimine innominabile. La Colpa. Sopravvive dentro me il ripugnante altro» [p. 68]; «Nell’Io profondo esiste però un’altra vita, un essere interiore fedele alla tradizione della sua caduta» [p. 91]. Più avanti il protagonista rincara la dose, giungendo addirittura a giustificare la “Soluzione Finale” secondo la stessa logica che avrebbe indirizzato le sue ricerche in Asia Centrale [pp. 87-88]:

« È un sacrificio supremo. È la rottura definitiva con la cultura della degradazione. Con questo sacrificio ci estrometteremo una volta per tutte dalla Storia. Il Führer spiegò nell’Ahnenerbe il senso della soluzione finale… Dopo di essa non ci sarà più ritorno né rifugio per noi. […] Gli Ebrei sono i portatori del germe letale della corruzione ideologica dell’uomo occidentale. Hanno trasmesso il virus del dio che succhia ogni forma di vita umana, il distruttore di tutto ciò che è nobile, di cui che è sanamente animale, di ciò che è istintivo. Il dio che ha insegnato a disprezzare la terra, a temere la natura. »

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Nicholas Roerich, “Star of the Morning”, 1932

Non sarà mai sufficientemente sottolineato come storicamente le spedizioni naziste nell’Himalaya — delle quali la più nota è quella compiuta nel 1938-39 sotto la guida di Ernst Shäfer [11] — che legarono la Germania e il Tibet in una posizione geopolitica privilegiata siano state intraprese sotto questa sorta di afflato mistico, secondo il quale i tedeschi si convinsero di poter trovare nelle aree più inaccessibili dell’Asia centrale confraternite misteriche che portavano avanti, ancora nel XX secolo, i rituali sacri delle epoche ormai scivolate nell’ambito del mito. Non era questa, come detto, una idea esclusivamente nazista: nel romanzo stesso di Posse vengono menzionati personaggi storici di grande rilievo che compirono, nel secolo che precedette la presa del potere di Hitler, spedizioni nell’area himalayana, volte a trovare il regno segreto dei Venerabili: oltre al già menzionato Gurdjieff e alla spedizione della Società Thule che vide come esploratori Sebottendorff [12] ed Eckart [13], si parla di Ossendowski [14], autore della controversa opera Bestie Uomini Dèi (1922), del Re del Mondo dell’esoterista francese René Guénon (1927), dei viaggi mistici di Theodoric Von Hagen — un frate benedettino che era scappato a più riprese dal monastero di Lambach per trovare Agartha — e del gesuita Theilard de Chardin [15], al punto che tale «stranissima navigazione» del protagonista sembrava avere «come tappa finale non un porto, ma piuttosto un mito o una realtà magica» [p. 94].

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Così per esempio Dietrich Eckart della Società Thule — che fu storicamente il maestro occulto di Hitler —, durante il «viaggio dei poteri» in Mongolia in compagnia di Sebottendorff, iniziò ad allucinare sostenendo di essere assistito da dervisci invisibili e perdendo del tutto la cognizione del tempo e dello spazio: «Visitò dimensioni, parlò con esseri»; e quando poi in seguito tornò in Germania dovette lottare disperatamente per «riacquistare la logica del nostro linguaggio», come se la sua mente fosse riuscita ad accedere per un certo tempo a una realtà del tutto avulsa a quella su cui si fonda la civiltà occidentale [p. 98]. La Società Thule si era precedentemente impossessata dei tre misteriosi Quaderni Neri” dell’abate benedettino Von Hagen, il quale era convinto che il vero messaggio cristico — originariamente detenuto dalla setta degli Esseni [16] — fosse stato travisato per secoli a causa dall’inganno ordito da Saulo di Tarso (San Paolo). Verso la metà del XIX secolo egli scriveva [p. 103]:

« Abbiamo vissuto quasi duemila anni nella falsificazione di un dio falso, nella superstizione giudeo-cristiana di cui ho demolito l’inganno a rischio della mia stessa vita. Il risultato di questo imbroglio sono il sottouomo e la sottocultura occidentale. Nonostante l’arroganza europea, siamo però soltanto delle caricature. Il vero uomo dovrà nascere e prevalere. Il suo seme e il suo potere sono conservati nell’Oriente più recondito. Il suo parto sarà terribile e cruento. Però sarà, e riconquisterà il posto esatto che gli spetta nel Cosmo: apparentemente sarà meno, però sarà più. »

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Nicholas Roerich, “Stronghold of the Spirit”, 1932

È questa, commenta laconicamente a un certo punto del romanzo Werner, l’unica via che rimane all’Europa morente per uscire dal suo inferno: «la voce della nostalgia degli dèi perduti […]. Il resto, tutta la nostra famosa Cultura, non è altro che uno schiamazzo di puttane colleriche e di figli di commercianti cacciati dalla casa paterna» [p. 197]. In quest’ottica le popolazioni nomadi della steppa mongola e degli altipiani himalayani si pongono come un’immagine pura dell’umanità, ancora al giorno d’oggi immune al virus occidentale e monoteista — quegli «strani nomadi eterni che gioiscono alla vista degli altopiani desertici. Vivono notti intense attorno al fuoco dell’accampamento, raccontandosi storie, ridendo. Esseri vicini a un primigenio ordine cosmico che noi, i cosiddetti civilizzati, abbiamo perduto. In loro tutto sembra chiaro, semplice, puro. Si addormentano avvolti da spesse coperte con lo sguardo perso in un cielo dove gli astri brillano come fari» [pp. 84-85]. «Qui», chiosa più avanti, «non esiste altro spazio che quello della triade dei mistici cinesi: Terra-Uomo-Divinità. […] Non c’è morte né tempo per loro […]. Perché quando nulla si calcola né si pesa né si misura si è già nel quieto lato del non essere. Chi può parlare di morte o di vita? […] Si è davvero nell’essere? Si può perdere l’essere?» [p. 201].

È di fronte a questa realtà completamente diversa da quella tedesca — e occidentale tutta — che il protagonista comincia a porsi delle domande sulla sua missione: «Per la prima volta sentivo di essere il rappresentante di un mondo futile», confessa a un certo punto; «un mondo caotico, rumoroso, se paragonato alla serenità del monastero dei Lama davanti al deserto lunare, al silenzio cosmico del Takla Makan» [p. 143]. In confronto alle distese atemporali dell’Asia centrale l’Europa gli appare improvvisamente «come un animale frenetico, schiacciato contro i bordi della carta geografica che avev[a] visto nel monastero dei Lama di Tatelang» [p. 196]. Di colpo l’intera cultura europea sopravvissuta fino ai giorni nostri gli sembra «una cultura infranta […] una cultura isterica e di miti morti» [p. 197]. Un’amara consapevolezza, quella di Werner, che conosce il suo climax quando gli viene detto senza mezzi termini dal Venerabile tulku Gomchen Rimpoche, per incontrare il quale ha compiuto il suo folle viaggio [p. 222]:

« In questa guerra sono stati vinti tutti i tuoi popoli. I cardini delle porte del tempo hanno girato, ma nel verso opposto. È ormai l’inizio della vostra fine, di voi che vi siete impadroniti di ogni cosa. Di coloro che prendevano tutto, lo misuravano, lo trasformavano: dei distruttori del mondo. Niente di ciò che avete preso vi appartiene: passate senza essere, come il cigno che passa sulle acque del lago senza inzupparsi. »

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Nicholas Roerich, “Path to Kailas”, 1931

Cosa rimane, allora, all’uomo europeo, le cui piaghe sanguinano copiosamente di fronte a una disfatta che ha il crisma della tragedia cosmica? Rimane appunto Agartha, quel regno segreto che si trova, come disse Gurdjieff, «dove termina la geografia e ha inizio il labirinto dei simboli» [p. 247]; quel luogo, secondo le parole di Ossendowski, «dove la terra e il cielo trattengono il respiro» [p. 244] o, secondo quelle di Von Hagen, che si trova «in un tempo fermato al margine del tempo» [p. 166]. Perché, ancora citando Von Hagen, «[f]inché ci si inoltra nella realtà le paure e le difficoltà sono quelle ovvie e prevedibili. Le cose si complicano quando si comincia a passare dalla cosiddetta realtà alla transrealtà. Quando ciò che è invisibile avvolge e rende confuso, come una nebbia, ciò che è visibile. […] E quello è il vero habitat dell’uomo, che l’uomo tenta di ignorare» [p. 130].

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Un habitat primevo ed essenziale, persino terrificante per il suo potere di attrarre ed accecare il visitatore, trasformandosi in una passione che brucia costantemente allontanandolo dalle cose terrene, di cui ne mette in risalto i limiti illusorî, in primis dalla sua stessa individualità e personalità (o persona, nel senso etrusco-latino di maschera): «Chi cede ad essa è inevitabilmente attratto verso il suo centro, come l’insetto dalla luce della notte. Vicino ad Agartha l’iniziato si sentirà distaccato dalla sua vita interiore. Proverà paure incontrollabili, ma questo è un buon segno. Agartha esige il passaggio a un’altra dimensione» [p. 215]. A maggior ragione perché, come viene specificato a un certo punto del romanzo, «di sicuro la mezzanotte non è ancora finita e i più malvagi devono ancora nascere» [p. 175] [17].

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Nicholas Roerich, “Maytreya, Keyong”, 1931

Note:

[1] Aghartha (o Aghartta o Agharti; anche conosciuto come Shambhala) è un regno leggendario che si troverebbe all’interno della Terra (teoria della Terra Cava), descritto per primo dall’occultista francese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre (Missione dell’India in Europa, 1881), nonché in seguito dallo scrittore Willis George Emerson (Il Dio Fumoso, 1908), dal polacco Ossendowski [vedi nota 14] e dall’esoterista francese René Guénon (Il Re del Mondo, 1927). Secondo alcuni, Aghartha/Shambhala sarebbe «situato in India e coincidente col Monte Meru o Polo Nord prima dello spostamento dell’asse terrestre, centro del mondo e terra originaria dell’umanità» [cit. Wikipedia.it: “Agarthi”]. Sull’argomento, oltre ai testi già menzionati, cfr. W. Kafton-Minkel, Il regno sotterraneo; J. Godwin, Il mito polare e A. Znamenski, Shambhala Rossa. Vedi anche M. Maculotti: Civiltà “sotterranee” nel mito, nell’occultismo e nella “realtà alternativa” e V. Pisciuneri, Roerich, Gurdjieff, Blavatsky: i segreti del deserto del Gobi. Sul Dio Fumoso di Emerson, cfr. M. Maculotti: Civiltà del mondo sotterraneo nella narrativa fantascientifica.

[2] Il Vril è un’ipotetica forma di energia descritta in varie opere attinenti al moderno esoterismo, come La razza ventura di Edward Bulwer-Lytton (1871) e Il mattino dei maghi di J. Bergier e L. Pauwels (1960), che permetterebbe ad una misteriosa civiltà residente nella Terra Cava di sviluppare poteri sovrannaturali (omologhi ai siddhi della tradizione indiana) che li renderebbero simili a divinità.

[3] Le numerose menzioni nel romanzo all’area geografica andina e alla relativa cultura tradizionale non è peregrina: corrispondenze tra Ande e Tibet sono state notate anche dal colonnello Percy H. Fawcett durante le sue esplorazioni in Sudamerica (Esplorazione Fawcett, 1953) e da Harold T. Wilkins (Mysteries of Ancient South America, 1946). Si possono, per esempio, menzionare le orecchie dilatate dei membri più elevati della classe sacerdotale (sia nell’iconografia buddhista che, tra gli Incas, per quanto riguarda i cosiddetti Orejones), i «Lama corridori», capaci di percorrere grandi distanze in trance mistica, senza mai fermarsi, quasi non toccando terra con i piedi (anch’essi hanno degli omologhi identici nell’antico Perù), o ancora i pattern artistici dei coloratissimi vestiti tradizionali (i quali, sia nell’area himalaya che in quella andina, denotano una preferenza per i toni del rosso/magenta e del giallo); senza dimenticare le leggende speculari riguardanti mondi segreti e tunnel sotterranei. Sugli Orejones cfr. M. Maculotti: Viracocha e i miti delle origini: creazione del mondo, antropogenesi, miti di fondazione.

[4] Abel Posse (nato 7 gennaio 1934), autore, fra le varie opere, anche di Daimón (1978), affresco storico dell’America ispanica che ricevette non pochi plausi da parte della critica; I cani del paradiso (1983), con cui vince il Premio Rómulo Gallegos, fra i più prestigiosi riconoscimenti letterari in America latina; e I Diari di Praga (1998), incentrati sulla figura di Che Guevara.

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[5] Su Jacques Bergier, cfr. M. Maculotti: Il “Grande Gioco” di Jacques BergierJacques Bergier e il “Realismo Magico”: un nuovo paradigma per l’era atomica; A. Scarabelli: Colin Wilson & Jacques Bergier: ovvero, la congiura della StoriaMircea Eliade: «Pauwels, Bergier e il Pianeta dei maghi».

[6] Georges Ivanovič Gurdjieff (1872 – 1949); filosofo, scrittore e mistico armeno; il suo insegnamento, incentrato sulla «dottrina del risveglio», combina sufismo (ivi comprese le danze sacre dei dervisci), misticismo islamico e altre tradizioni religiose (cristianesimo, sikhismo, buddhismo, induismo), esoteriche e filosofiche.

[7] Karl Ernst Haushofer (1869 – 1946); generale e politologo tedesco; nel primo decennio del Novecento compì diversi viaggi in Oriente (Giappone, India, Tibet, ecc), paesi di cui studiò la cultura religiosa ed esoterica. Nel 1918, rientrato in Germania dopo aver combattuto nella Prima Guerra Mondiale, fondò la Società Vril, una società segreta per vari aspetti assimilabile alla Società Thule.

[8] Helena Petrovna Blavatsky (1831 – 1891); filosofa, saggista, occultista, medium e co-fondatrice della Società Teosofica nel 1875; autrice di alcuni dei testi-base della Teosofia, tra cui La dottrina segreta (1888) e Iside svelata (1877); compì viaggi in tutto il mondo, in Europa (Inghilterra, Italia, Francia, Grecia), Nordafrica (Egitto), Medio-Oriente (Turchia), America (Stati Uniti, Canada) e soprattutto Asia (India, Ceylon, Tibet, Giappone, Siberia), dove si interessò particolarmente alle tradizioni segrete induiste, buddhiste e sciamaniche.

[9] Friedrich Nietzsche (1844 – 1900) trascorse sette soggiorni estivi negli anni Ottanta del XIX secolo presso Sils Maria, dove ebbe la “rivelazione” del concetto di «Eterno Ritorno», che svilupperà poi in Così parlò Zarathustra, pubblicato in quattro parti tra il 1883 e il 1885. Alla suddetta “rivelazione” dedicò anche un componimento poetico, intitolato appunto Sils Maria:

« Qui me ne stavo e attendevo, nulla attendevo,
al di là del bene e del male, or della luce
godendo, or dell’ombra, tutto semplice gioco,
e mare e meriggio, tutto tempo senza meta.
E d’improvviso, amica! Ecco che l’Uno divenne Due –
e Zarathustra mi passò vicino… »

Su Nietzsche e l’Eterno Ritorno, cfr. M.C. Valentini, Il pensiero abissale: Friedrich Nietzsche e l’eterno ritorno.

[10] A riguardo dei culti agrari dell’antica Europa, cfr. James Frazer, Il ramo d’oro (1890).

[11] Ernst Shäfer (1910 – 1992); ornitologo e zoologo tedesco, compì diverse spedizioni in Tibet e Cina: le prime due, in un team statunitense capitanato dal naturalista Brooke Dolan II, nel 1931-32 e nel 1934-36; la terza, per conto del Terzo Reich, nel 1938-39. La spedizione tedesca giunse a Lhasa il 19 gennaio 1939 e vi rimase due mesi, durante la quale i suoi membri stabilirono buoni rapporto con i funzionari tibetani e Schäfer incontrò personalmente il reggente Reting Rinpoche. Schäfer osservò i rituali tibetani, tra cui la sepoltura celeste, nonché fotografò e filmò diverse cerimonie folkloriche.

[12] Rudolf von Sebottendorff (1875 – 1945); ingegnere tedesco, figura di rilievo della Società Thule, si interessava di pratiche e dottrine esoteriche (meditazione sufi, astrologia, numerologia, alchimia, cabala); passò gran parte della sua vita in Turchia, dove forse si convertì all’Islam.

[13] Dietrich Eckart (1868 – 1923); politico tedesco, fra i primi membri del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, fece parte della Società Thule.

[14] Ferdynand Ossendowski (1876 – 1945); scrittore, giornalista, esploratore e attivista politico polacco; nel 1920 si arruolò in funzione anti-comunista nell’«armata bianca» del barone Von Ungern-Spernberg. Alla fine del 1921 pubblicò il suo primo libro in lingua inglese, Bestie, Uomini e Dei, in cui descrive i suoi viaggi durante la guerra civile russa. Su tale opera, cfr. D. Palmieri: Bestie, Uomini, Dèi; per un estratto cfr.: Il Regno Sotterraneo (F. Ossendowski, «Bestie, Uomini, Dèi»); su Von Ungern, cfr. A. Della Guerra: La religiosità di von Ungern-Sternberg: tra buddhismo, sciamanesimo e cristianesimo.

[15] Pierre Theilard de Chardin (1881-1955); gesuita, filosofo e paleontologo francese. Conosciuto in vita soprattutto come scienziato evoluzionista, la sua notorietà da teologo si deve alla pubblicazione postuma dei suoi principali scritti, fra cui vanno menzionati Il fenomeno umanoL’energia umanaL’apparizione dell’uomo e L’avvenire dell’uomo. Nota è la sua teoria escatologica del «Punto Omega», termine da lui coniato per descrivere il massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione, dottrina che ispirò fra gli altri anche Terence McKenna [cfr. M. Maculotti: Verso il “TimeWave Zero”: Psichedelia ed Escatologia in Terence McKenna e Terence McKenna e il “cibo degli dèi”].

[16] Gli Esseni furono un gruppo ebraico di incerta origine, nato forse attorno alla metà del II secolo a.C. e organizzato in comunità monastiche isolate che conducevano una vita eremitica o cenobitica. Ad essi vengono attribuiti i cosiddetti «rotoli di Qumran», rinvenuti nel 1947 in alcune grotte sulla riva occidentale del Mar Morto, dove storicamente sono esistite alcune confraternite essene. «Secondo Martin A. Larson, gli oggi incompresi Esseni erano Ebrei Pitagorici, che vivevano come monaci. In quanto vegetariani e celibi, in comunità autosufficienti, che evitavano il matrimonio e la famiglia, essi predicavano una guerra incombente con i “Figli del Buio”. In quanto “Figli della Luce”, ciò rifletteva un’influenza separata dallo Zoroastrismo attraverso la loro ideologia parente del Pitagorismo. Secondo Larson, sia gli Esseni sia i Pitagorici ricordavano i thiasoi, o le unità di culto dei misteri orfici. Giovanni il Battista viene ampiamente considerato come un ottimo esempio di Esseno che aveva lasciato la vita comunitaria…» [cit. Wikipedia.it: “Esseni”].

[17] A riguardo di questa profezia rimandiamo al capitolo del libro di Ossendowski “Il regno sotterraneo” [cit. in nota 14] e al già menzionato saggio di Znamenski [cit. in nota 1]; tale profezia si potrebbe anche riferire all’invasione del Tibet da parte della Cina comunista, avvenuta nel 1950.

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