Il viaggio al termine della notte di William Hope Hodgson

Il 19 aprile del 1918 William Hope Hodgson veniva colpito da una granata sul fronte belga e lasciava prematuramente questo mondo. Vogliamo ricordarlo così, parlando della nuova pubblicazione dei tipi del Palindromo, che contiene il suo romanzo “Il sogno di X”, versione ridotta de “La Terra dell’Eterna Notte”, oltre a sei racconti sovrannaturali e una nutrita selezione di componimenti poetici dal respiro «oceanico».


di Marco Maculotti

E non riesco a toccare il suo viso
E non riesco a toccare i suoi capelli
E mi chino innanzi alle vacue forme
Solo memorie della sua grazia;
E la sua voce che canta nel vento
E negli spasimi dell’Aurora
E tra le infiorescenze notturne
E dai ruscelli al sorger del sole
E dalle maree al tramonto… 

— W.H. Hodgson, “Prefazione aggiunta da X al proprio sogno”, da “Il sogno di X”

Di William Hope Hodgson abbiamo già parlato in precedenza sulle nostre pagine: ci ha pensato Andrea Casella a prendersi l’onere di analizzare quello che, probabilmente in gran parte grazie alla recensione di H.P. Lovecraft nel seminale saggio Supernatural Horror in Literature (1927), è ad oggi l’opera più nota dell’autore in questione, vale a dire La casa sull’abisso (1908). Ma Hodgson, che raggiunse la maturità tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e che, anche in virtù di questa coincidenza cronologica, esprime così bene il profilo paradigmatico di quello che potremmo definire un “indagatore dell’ignoto” della sua epoca, nella sua breve esistenza (morì infatti prematuramente, durante il quarantesimo anno di età, nell’anno 1918) si distinse in un’ampia gamma di specializzazioni che: «poeta, conferenziere, fotografo, atleta, marinaio e, infine, soldato» [1].

L’elenco delle molteplici anime di William Hope Hodgson è tratto dall’appendice di Maria Ceraso (“L’anima errante di William Hope Hodgson”) alla recentissima pubblicazione, ad opera dei tipi de Il Palindromo di Palermo per la collana “I tre sedili deserti” (di cui abbiamo già precedentemente recensito sulle nostre pagine le uscite di Machen, Merritt e Bergier) di Sogno di X, versione ridotta del romanzo La Terra dell’Eterna Notte, “ritagliata” appositamente per il mercato statunitense (e, in primis, per i diritti d’autore che da tale pubblicazione sarebbero derivati).

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William Hope Hodgson (1877 – 1918)

A onor del vero, e per la gioia del lettore appassionato di letteratura del Fantastico, la suddetta edizione del Palindromo contiene molto di più che la rimaneggiata versione a stelle e strisce di quello che fu uno dei suoi massimi successi: ai curatori dell’edizione, infatti, va riconosciuto il merito di aver aggiunto ulteriori contenuti — alcuni dei quali precedentemente inediti nel nostro paese — come diversi racconti brevi (La Dea della MorteLa Valle dei Bimbi PerdutiLa Locanda del Corvo NeroLa stanza della paura La promessa di Jacobeous DeaconLe memorie di Carnacki: cacciatore di spettri) oltre a una significativa selezione poetica che, in confronto alla produzione in prosa, certo non rischia minimamente di passare in secondo piano.

Troviamo infatti qui riproposti, in traduzione italiana, alcuni dei lavori poetici più esaltanti di Hodgson, come Al di là dell’albaIl richiamo del mareGiù per le lunghe costiereOtto campaneGrigi mari sognano la mia morteTempestaCanzone della naveIl luogo delle tempesteLa naveTu mare viventeI piratiLa canzone del CapodoglioIl pianto del fiumeLe terre del mattinoPerduta Riposo. Tutte composizioni “oceaniche” che tuttavia tradiscono immancabilmente un sentimento cosmico nel peculiare approccio di Hodgson verso l’ignotoperfettamente esemplificato in questi versi (così come nel romanzo “di mare” Naufragio nell’ignoto del 1907, recentemente edito in Italia dalle edizioni Hypnos), nella imperscrutabile distesa oceanica, fin dalle più antiche cosmogonie elevata a simbolo della fluidità del Caos che precede la Creazione e, per quanto riguarda l’ambito prettamente umano, a immagine del regno dei morti e delle entità disincarnate.

Il tutto viene impreziosito dalle note critiche e dal commento alla produzione poetica dell’autore di Pietro Guarriello, vera e propria voce autorevole per quanto riguarda la letteratura fantastica, nonché dal commento della già menzionata Maria Ceraso e dall’introduzione di Gianfranco de Turris e, infine, da una nota biografica ad opera di Stephen E. Fabian. Senza dimenticare, dal punto di vista squisitamente visivo, le venti tavole dello stesso Fabian che vanno ad abbellire ulteriormente questa edizione.

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“Il sogno di X”

Abbiamo già specificato come Il sogno di X sia la versione rimaneggiata per il pubblico statunitense de La Terra dell’Eterna Notte (Night Land, 1912), romanzo con cui Hodgson, come ben sottolinea Guarriello nella nota critica aggiunta a questa nuova edizione, ha saputo fondere abilmente il sovrannaturale e la fantascienza, l’orrore e la scienza, in modo tale da elevare l’orrore e il mistero (ma anche, aggiungiamo noi, l’amore) su scala cosmica [2]. Certo le suggestioni orrorifiche e fantascientifiche in questa opera sono molte, al punto che si potrebbe classificare Il sogno di X come un anticipatore di «quel filone della letteratura fantastica più apocalittica denominato “terra morente”» [3]: eppure forse, tirando le somme, è l’aspetto sentimentale ad emergere maggiormente da questa versione ridotta del romanzo.

Non stiamo parlando — si badi bene — di un sentimentalismo spiccio sulla falsariga della “letteratura” americana d’intrattenimento; nulla di più lontano dalla poetica di Hodgson, ben ravvisabile nella prosa così come nella poesia (e anche nella fotografia, quasi interamente di ispirazione oceanica). È infatti per raggiungere e salvare Naani, una fanciulla in pericolo che il protagonista percepisce come una futura incarnazione di Mirdath (la moglie che egli perdette drammaticamente anni addietro), che egli compie — con le parole di Guarriello — «una incredibile e folle spedizione in solitaria, che vede l’eroico protagonista, l’Io narrante perso tra due mondi, affrontare un viaggio impossibile in un paesaggio notturno e ultraterreno, per riuscire a strappare alle tenebre la donna di cui si è innamorato, inseguendo un legame che va oltre le barriere del Tempo» [4].

X, novello Ulisse, compie così una sorta di viaggio iniziatico attraverso «bizzarrie paesaggistiche e architettoniche al limite del surreale» [5], quasi una quest mediovale, volta come nella migliore delle tradizioni cavalleresche alla ricerca, al ri-trovamento e alla salvazione dell’anima gemellaLa Terra dell’Eterna Notte (e, di conseguenza, anche la versione ridotta pubblicata ora dal Palindromo) «intreccia amor cortese, battaglie epiche e cupe descrizioni di terre inospitali solcate dalle forze del male» [6], e si può in ragione di ciò paragonare al viaggio dell’eroe di cui parla Joseph Campbell nella sua opera più celebre, L’eroe dai mille volti.

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Guarriello individua anche pregnanti corrispondenze con il viaggio infernale di Dante ne La Divina Commedia: i Campi Sotterranei, «l’uno sovrapposto all’altro», che scendono per centinaia di chilometri sotto terra formando «un’imponente e incredibile Piramide di Giardini» [7], in cui il protagonista si avventura alla ricerca della propria amata richiamano le Bolge i Gironi danteschi, così come il Pandemonium del poeta fiorentino trovano un parallelismo nella folta schiera di mostri con cui Hodgson popola il suo personale Inferno [8].

Nondimeno tra le massime ispirazioni di Hodgson per questa opera è anche da citarsi anche il cupo componimento poetico Darkness di Lord Byron (che tra l’altro, ironia della sorte, morì anch’egli il 19 aprile), che Hodgson conosceva bene e ammirava forse ancora di più, perché le atmosfere oscure e nebulose del Sogno di X echeggiano quel mondo crepuscolare che Byron immaginò sorgere nel momento in cui il sole fosse tramontato per sempre [9]:

Ho fatto un sogno non soltanto sogno.
Il sole splendente s’era spento e le stelle
vagavano al buio nello spazio eterno
senza raggio né direzione; la terra gelata
girava cieca abbuiandosi nell’aria illune… 

Nel romanzo di Hodgson, per di più, l’entropia e l’involuzione biologica sono dovute anche all’influsso di potenze ostili e sovrannaturali che si sono introdotte furtivamente nella nostra realtà, come attraverso le fenditure nella muraglia di guénoniana memoria: nondimeno, similmente a quanto avviene ne Il vascello di Ishtar di Merritt e contrariamente alla mitopoiesi fantastica di autori come Lovecraft o Ligotti, il cosmo di Hodgson non è del tutto nichilista e senza speranza: l’oscurità travolgente può essere per un istante respinta dall’umanità che si dimostri degna di tale nome, e che faccia fruttare i valori dell’«amore, onore, coraggio e lealtà» [10].

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Stephen Fabian, “The Light”, illustrazione per W.H. Hodgson, “Dream of X”

Soprattutto l’amore, come abbiamo già sottolineato, muove i passi del protagonista in questo mondo morente. Non solo egli considera Naani la reincarnazione della defunte moglie, ma la vede come una compagna sovrannaturale a lui destinata fin dalla notte dei tempi: sono intuizioni che nascono improvvisamente nella mente del protagonista, tanto da lasciarlo esterrefatto per l’intensità e la certezza con cui esse si palesano alla sua anima: «restai sbalordito da ogni cosa che sapevo, intendevo e sentivo», afferma, [11]

e il desiderio provato per Colei che avevo perduto in quei tempi lontani crebbe — Lei, che aveva cantato per me in quei radiosi giorni fatati, Lei che era stata una realtà, non un sogno. I pensieri propri di quell’Era affioravano nell’abisso dell’oblio inducendo in me uno stupore colmo di nostalgia.

E così come nell’abisso del Tempo balugina, alla stregua di un segreto dorato, la purezza e la perfezione di un amore cosmico, di cui quello terreno non costituisce che una copia sbiadita e peritura, ugualmente l’abisso della Terra cela il tesoro inestimabile che nel romanzo rappresentano «le Statue e le Steli del Ricordo»: «tutto, in quel grande livello sotterraneo, riecheggiava di Eternità, di Rimembranze, d’Amore e Grandezza. Girovagare per quelle terre era come tornare allo stupore e al mistero dell’Infanzia» [12].

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I richiami al Ricordo e alle Rimembranze sono significativi, in quanto potrebbero costituire a nostro avviso un rimando alla tradizione arcaica, e precisamente a quella Memoria-Mnemosine che per gli antichi Greci costituiva la fonte che conferiva a chi beveva delle sue acque la liberazione dalle ronde delle reincarnazioni e, quindi, l’immortalità; ciò essendo precisamente l’anelito, conscio o meno, che fa muovere il protagonista nel suo folle viaggio alla ricerca del volto dell’amata.

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Stephen Fabian, “The Lesser Redoubt”, illustrazione per W.H. Hodgson, “Dream of X”

Nondimeno, per giungere a questo livello più profondo, l’eroe deve scendere, come Dante, attraverso i vari Gironi del suo inferno personale, che qui si rivela da una parte, a un livello macrocosmico, attraverso le esteriori lande morenti in cui si ritrova a vagare e dall’altra, a un livello microcosmico, nella disperazione interiore dello stesso nel sentirsi fatalmente separato dalla sua anima gemella, che da sempre lo accompagna nell’eterno viaggio al termine della notte terrestre: «solo per Lei avevo attraversato la notte del mondo», asserisce dopo averla alfine trovata, mentre lei stava finalmente al suo cospetto «dimostrando di essere [sua] fino alla più intima essenza dell’anima» [13].


Racconti brevi

Passiamo ora ai racconti hodgsoniani presenti in questa nuova edizione della collana “I tre sedili deserti”. Il primo, La Dea della Morte (1904) dà l’impressione di essere notevolmente ispirato a Montague Rhodes James, ma forse ancora di più ai racconti soprannaturali di Rudyard Kipling (soprattutto Il marchio della bestia): Guarriello [14] lo definisce ascrivibile alla corrente letteraria dell’orrore coloniale, «narrazioni in cui il controverso rapporto del Regno Unito con i suoi lontani possedimenti assumeva sfumature gotiche, prendendo forma in racconti che trattavano di magia, mostruosità e vendetta». Qui, segnatamente si narra di una «statua vivente assassina» che semina il terrore in città — una statua che sembra rappresentare la Kali indiana, adorata dagli adepti dalla setta dei Thug, l’origine della quale, così come gli abominevoli rituali da essi celebrati, rimangono avvolti nel mistero.

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Segue La Valle dei Bimbi Perduti (1906), nel quale viene tratteggiato un “paradiso dei bambini” che sembra recuperare certe visioni macheniane per piegarle a suggestioni più cristiane: contrapposta alla Valle delle Ombre, quella dei Bambini Perduti si presenta come un luogo dove «v’è luce, gioia e vita eterna» [15], una dicotomia che anticipa in maniera sensazionale i Realms of Unreal di Henry Darger. Viene automatico assumere, come rileva Guarriello nella nota critica, che tale locus amoenus fu parzialmente suggerito all’autore dal dramma personale della di lui madre, la quale perdette tre dei dodici figli che diede alla luce nei primi anni di vita [16]. Nondimeno, «l’idea di un regno fantastico oltre la morte, una valle nascosta agli occhi degli uomini dove si radunano le anime dei trapassati era un tema comune nel folklore inglese» [17], e più precisamente gaelico-celtico: oltre a La Valle Perduta (1910) di Algernon Blackwood, menzionata da Guarriello, si possono qui fare riferimento ai più significativi studi del folklore sui Faries di inizio Novecento, quali Fairy Faith in Celtic Countries di Evans-Wentz e British Fairy Origins di Lewis Spence.

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Le concitate fasi narrative in cui il protagonista de La Locanda del Corvo Nero (1915), «una sorta di efficace thriller poliziesco tinto di foschi passaggi notturni e completo di strane e complesse geometrie» [18], si trova intrappolato nella suddetta portano alla mente del lettore gli omologhi passaggi della Maschera di Innsmouth (1931) di Lovecraft, che sicuramente da Hodgson fu parzialmente influenzato per la creazione della sua mitopoiesi orrorifica e cosmica. La stanza della paura (uscito postumo nel 1983) riprende invece un topos del folklore delle isole britanniche, quello della gigantesca mano che, comparendo nottetempo nella camera da letto solitamente di un bambino, lo terrorizza talvolta al punto di rapirlo o di causarne la morte [19]; nel folklore si allude spesso ad essa come alla mano rossa, richiamata nel titolo di un racconto del 1906 del già menzionato Machen. La promessa di Jacobeous Deacon (pubblicato postumo solo nel 1996) è un tipico racconto di fantasmi di fine Ottocento modellato su una psicosi “gotica” debitrice di Edgar Allan Poe, ma anche (e forse soprattutto) di scrittori quali Ambrose Bierce e M.R. James.

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Il racconto conclusivo Le memorie di Carnacki: cacciatore di spettri è in realtà un poutpourri delle storie, scritte da Hodgson nel biennio 1909-10, che vedono come protagonista «il detective dell’occulto forse più popolare della letteratura fantastica» [20] Carnacki, ispirato ad altri personaggi omologhi della letteratura del mistero britannica quali il dottor Hesselius di Joseph Sheridan Le Fanu, il dottor Nikola di Guy Boothby e il John Silence di Algernon Blackwood [21], nonché anticipatore, in quanto «vive in un appartamento da scapolo a Londra» al nostrano «indagatore dell’incubo» Dylan Dog, personaggio fumettistico nato dalla penna di Tiziano Sclavi. È doveroso sottolineare come Carnacki, emblema del detective tra i due secoli, risolva i misteriosi casi che gli vengono sottoposti grazie a un «uso combinato di scienza e magia» [22]: Hodgson, con tutta probabilità, si ispirò tra le altre cose agli studi di Sir William Crookes, i cui esperimenti sono peraltro menzionati in ben due racconti lovecraftiani che sarebbero usciti da lì a qualche anno: Oltre il muro del sonno (1920) e La casa sfuggita (1928).

Ancora più notevole, comunque, è la corrispondenza tra una situazione narrativa ideata da Hodgson in questo pluri-racconto e le più moderne ricerche scientifiche riguardanti il mondo dell’inconscio. Se qui, infatti, leggiamo che il narratore, dopo aver assistito incredulo a un’animazione indescrivibile del pavimento della stanza in cui si trova — che ricorda da molto vicino quello del televisore in Videodrome di David Cronenberg («la parete in fondo si era gonfiata verso di me, fino a giungere a un metro dal mio viso, acquisendo la forma di due labbra gigantesche, livide e mostruose» [23]) — si ritrova «sconcertato, a fissare il pavimento della stanza solido e intatto» [24], egualmente possiamo trovare un allucinante corrispettivo in un caso psichiatrico realmente avvenuto e documentato quasi un secolo dopo dal neuropsicologo Oliver Sacks, il quale in Allucinazioni raccontò di una coppia che vide il pavimento della stanza in cui trovava spalancarsi improvvisamente, rivelando ai loro occhi un mondo alieno e infernale al di sotto di esso, per poi chiudersi e ritornare come era sempre apparso ordinariamente.

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William Hope Hodgson (1877 – 1918)

Note:

[1] M. Ceraso, L’anima errante di William Hope Hodgson, appendice a W.H. Hodgson, Sogno di X, Il Palindromo, Palermo 2020, p. 318

[2] P. Guarriello, nota critica a Hodgson, Il sogno di X, p. 106

[3] Ivi, p. 107

[4] Ivi, p. 109

[5] Ibidem

[6] Ivi, p. 110

[7] W.H. Hodsgon, Il sogno di X, p. 49

[8] Guarriello, op. cit., pp. 110-111

[9] Ivi, pp. 111-112

[10] Ivi, p. 113

[11] Hodsgon, Il sogno di X, p. 32

[12] Ivi, p. 53

[13] Ivi, p. 65

[14] P. Guarriello, nota critica a La Dea della Morte, in W.H. Hodgson, Sogno di X, p. 146

[15] W.H. Hodgson, La Valle dei Bimbi Perduti, in W.H. Hodgson, Sogno di X, p. 158

[16] Ivi, p. 164

[17] Ivi, p. 167

[18] P. Guarriello, nota critica a La Locanda del Corvo Nero, in W.H. Hodgson, Sogno di X, p. 195

[19] L. Spence, British Fairy Origins, Watts &Co., London 1946, p. 39

[20] P. Guarriello, nota critica a Carnacki, cacciatore di spettri, in W.H. Hodgson, Sogno di X, p. 237

[21] Ivi, p. 238

[22] Ivi, p. 239

[23] W.H. Hodgson, Carnacki, cacciatore di spettri, in Sogno di X, p. 236

[23] Ivi, 235


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