“Ombra”, l’arabesco cavalleresco della poetessa che anticipò la quest-fantasy e… Jung

La novella “Ombra” della poetessa Sarah Dana Loring, originariamente contenuta negli “Arabesques” pubblicati nel 1872 con il nome del marito Richard S. Greenough, è emblematica della lungimiranza dell’autrice nell’anticipare certi filoni letterari come la Sword&Sorcery e addirittura alcune concezioni della filosofia del profondo jungiana. Disponibile adesso in italiano grazie alla Dagon Press.

di Marco Maculotti

Copertina: Arnold Böcklin, “Moonlit Landscape with Ruins”, 1849

Tra le recenti uscite della piccola ma sempre laboriosa Dagon Press, grazie alla curatela del suo factotum Pietro Guarriello e alla traduzione di Caterina Paris, va segnalata la pubblicazione di Ombra, novella tratta dalla raccolta Arabesques (Boston, 1872) di Richard S. Greenough, in realtà uno pseudonimo della poetessa Sarah Dana Loring (1827-1885), che nel momento di dare alle stampe alcuni suoi racconti horror e fantastici — i quali probabilmente, al tempo, si ritenevano poco consoni a una scrittrice con ambizioni mainstream — decise di usare il nome del marito.

Nell’opera originale le novelle erano quattro: oltre a Ombra, di cui si dirà a breve, l’opera comprendeva anche Monare, in cui un cavaliere errante, venuto in possesso di un anello magico grazie una Monare del titolo (una sorta di stregonessa nana egiziana adibita a spirito-aiutante), si cimenta in un viaggio iniziatico verso l’Oriente, dove affronta antagonisti umani dediti alla magia nera e creature non-umane, come licantropi e doppelgänger; Apollyona, dove un giovane durante un’escursione sui Pirenei si imbatte in una strega che lo conduce magicamente al regno sotterraneo, per tenerlo prigioniero come amante, testimone di infinite meraviglie che in realtà non sono altro che un’illusione ordita dall’entità demoniaca; infine, Domitia è incentrato sulla trasmigrazione dell’anima di una malvagia sacerdotessa pagana nel corpo e nella mente di una matrona romana [1].

Già da questi brevi accenni si può intuire la grande passione della Loring per la letteratura cavalleresca e per il folklore, spesso legato ad antichi miti, dell’ecumune sia occidentale che orientale, ma soprattutto la ripresa nelle diverse novelle della struttura squisitamente iniziatica del mito dell’eroe, incentrato sul suo viaggio nell’Altro Mondo e sullo scontro con le forze caotiche che ivi albergano; un canovaccio che, negli ultimi secoli, passò dall’alveo delle saghe cavalleresche a quello, ben più popolare, delle fiabe per l’infanzia, come dimostrato a suo tempo dal linguista e antropologo russo Vladimir Propp [2]. Con queste premesse, è facile comprendere l’inquadramento stilistico che Guarriello fa dell’autrice, definendo la sua opera fantastica una versione barocca della prosa di Clark Ashton Smith [3].


Storie vere di fantasmi

Nella recente pubblicazione di Dagon Press, come detto, delle quattro novelle originariamente pubblicate dalla Loring negli Arabesques troviamo la sola Ombra; ma in compenso sono state aggiunte, in appendice, diverse Storie ‘vere’ di fantasmi scritte da un’altra importante penna femminile contemporanea alla Loring, cioè la giornalista e spiritista Jessie Adelaide Middleton (1861-1921), pubblicate per la prima volta nel 1907 sul Pearson’s Magazine e poi inserite insieme a molte altre nella storica trilogia (The Grey Ghost Book, 1912; Another Grey Ghost Book, 1914; The White Ghost Book, 1916) che raccoglieva «tutto un campionario di storie di fantasmi, di precognizioni, apparizioni, vampirismo, case infestate e altri eventi soprannaturali raccolti dalla voce di coloro che […] “hanno varcato la soglia che ci separa dal regno dell’invisibile e sono tornati indietro per raccontarne la storia».

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Fra testimonianze di spiriti irrisolti, psicometria e apparizioni del doppio astrale, questa selezione si pone a metà strada tra i racconti di frontiera di Ambrose Bierce e la casistica fairy collazionata da folkloristi come il reverendo Kirk (The Secret Commonewealth, 1692) ed Evans-Wentz (The Fairy Faith in Celtic Countries, 1911). Questi i titoli degli episodi riportati:

  • La Casa Stregata di Notthing Hill
  • La Vecchia Signora in Nero
  • Tre Storie Strane:
    • I Passi sulle Scale
    • La Ragazza delle Arance
    • I Becchini
  • Il Fantasma dal Volto Maligno
  • Il Visitatore Misterioso
  • Il Fantasma di Nell Gwynn e Altri Visitatori Misteriosi  

La quest-fantasy della Loring 50 anni prima dello Sword&Sorcery

Che dire invece dello scritto che dà il titolo a questa pubblicazione? Ombra viene ritenuta dai critici una delle prime quest-fantasy mai pubblicate: vale a dire un’opera narrativa che, come le quest classiche, si dispiega lungo le tappe di un viaggio iniziatico che ha crismi di una missione, intrapreso da un protagonista tipicamente ascrivibile all’ordine “cavalleresco”, per raggiungere uno scopo ben preciso, spesso mistico o sacrale; qui si può parlare di quest-fantasy per il disinvolto utilizzo da parte della Loring di espedienti tipici della letteratura fantastica e precisamente del filone Fantasy, come una serie continua di avvenimenti sovrannaturali e l’uso della magia in tutte le sue forme, elementi che diverranno poi imprescindibili nello Sword&Sorcery che si svilupperà mezzo secolo più tardi. In questo, alla Loring va riconosciuta una certa lungimiranza, che appare ancora più meritevole se si tiene conto del fatto che il genere, a parte la breve parentesi di cui si dirà in questa sede e pochi altri eccezioni, fu sempre interpretato con più successo da autori di sesso maschile.

Se delle trame delle altre novelle originariamente contenute negli Arabesque (1872) abbiamo brevemente accennato (una descrizione più particolareggiata è data nella prefazione del libro recensito in questa sede), quella di Ombra si potrebbe definire di primo acchito come un poutpourri delle suddette, fin dalla breve descrizione che ne fa il curatore e traduttore Pietro Guarriello [4]:

Il protagonista è un cavaliere solitario che intraprende un viaggio periglioso in lande oscure e selvagge, tra castelli diroccati e cimiteri abbandonati, dove incontrerà diabolici negromanti e streghe rianimartici di cadaveri. Deve anche vedersela con un suo doppio creato magicamente, un topos preferito dall’autrice.

Un incipit che ricorda quello de Gli elisir del diavolo di E.T.A. Hoffmann (1817) ci introduce fin da subito in un mondo fantastico eppure a tinte fosche, in cui sogno e incubo si alternano senza soluzione di continuità. A Mazitka, crudele negromante, alchimista e astrologo dedito a riti innominabili, fa da contraltare il personaggio femminile costruito sul leitmotiv folklorico della «sposa sovrannaturale» che, dopo aver attirato il protagonista con la sua musica elfica attraverso città in rovina, lo conduce nella casa dell’orco, sinistra wunderkammer in cui sono accumulate meraviglie e artefatti inquietanti. Se il primo, «arcinemico del genere umano» [5], esibisce fin dalla nettezza dei suoi lineamenti una cattiveria diabolica e al tempo stesso entusiastica, il profilo della seconda sembra «mutevole e vacillante», le uniche cose certe essendo «i suoi occhi delicati e profondi e la gloria dei suoi capelli» [6]. I suoi simili sono, per sua stessa ammissione, «le nuvole del mattino, gli spruzzi della cascata, le gocce di rugiada sull’erba, le onde del mare» [7]. Il suo nome è Ombra.

Ed è lei, ovviamente, a iniziare, al chiaro di luna, il protagonista ai misteri di quello che potremmo definire il Coro Cosmico, con un’esposizione che presenta singolari punti di contatto con le descrizioni visionarie della santa Ildegarda di Bingen, recentemente rilette dal teologo Matthew Fox e dal biologo Ruper Sheldrake in corrispondenza con le più moderne concezioni della fisica e dell’astronomia [8]:

Me lo hanno chiesto le stelle […] le loro voci riempiono tutto lo spazio. Non le sentite? […] Le loro canzoni potrebbero non poter essere tradotte in discorsi umani […]. Parlano dei misteri che esistevano prima che il mondo nascesse, che esistono, e che sempre esisteranno. Ognuno a modo suo, nel suo posto prefissato, alza la voce e canta della Gloria di Dio, delle meraviglie di quelle leggi segrete attraverso le quali la Bellezza si è diffusa attraverso la grandezza della creazione e grazie alle quali l’amore ha riempito la solitudine dello spazio.


Dalla reintegrazione “sotterranea” di Ombra all’anabasi con il doppio-daimon

Col recupero del leitmotiv iniziatico della sposa sovrannaturale, la Loring reintegra l’elemento femminile in una visione mitopoietica che esula sia dal filone prettamente Romantico, in cui la figura verginale dell’amata brillava quasi unicamente per la sua purezza (eccezion fatta, forse, per la Lamia keatsiana), sia quello Decadentista che al contrario pedissequamente ne esaltava gli elementi oscuri e caotici, come per esempio accade nei racconti di Poe, nei Fiori del Male di Baudelaire (1857), nel Carmilla di Le Fanu (1872) o nel Grande dio Pan di Machen (1890).

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In questo si distingue la ferale presenza femminile della novella della Loring dalle muse e femmine fatali della letteratura a lei contemporanea: l’Ombra della novella omonima — personaggio che incarna il mistero sacrale della femminilità come poche sue coeve — non abdica agli elementi ambivalenti insiti nella natura femminile ma, lungi dal darne libero sfogo, le pone al servizio della missione del protagonista, a cui sussurra, simile a una Sirena, «le dolci melodie dal fascino persuasivo e irresistibile» [9]. Impossibile non notare come la scelta del nome Ombra anticipi in modo peculiare le teorie della psicologia del profondo di Jung (il quale nacque tre anni dopo la pubblicazione degli Arabesques e maturò le sue concezioni diversi decenni dopo), che connettevano in una rete simbolica l’elemento femminile e “acquatico” proprio dell’Anima a quello notturno e selenico dell’Inconscio. Teorie poi riprese, con splendidi studi sul simbolismo delle fiabe, anche da un’allieva dello psicologo svizzero, Marie-Louise von Franz.

Differentemente dall’epica omerica, qui i canti non conducono il viaggiatore alla perdizione, ma anzi lo connettono magicamente e analogicamente al resto del creato, conducendolo prima sulla montagna su cui si erge un pino, poi nel tempio — tutti simbolismi, come ampiamente dimostrato dagli studi di Mircea Eliade, del centro e dell’assialità della dimensione altra e del tempo sacro [10] — per accedere infine alle cripte sotterranee, simboleggianti la dimensione “sottile” dietro il velo del reale, a cui il cavaliere accede passando attraverso il proverbiale passaggio stretto [11]. Dalla katabasis, infine, l’eroe riemerge fianco a fianco con il suo doppelgänger, doppio-sostituto di Ombra, essendosi purificato unendosi misticamente con la sua Ombra-Anima (femminile), che nella parte conclusiva della novella assume i contorni del daimon della tradizione greca platonica e socratica; quel daimon, efficacemente tratteggiato da James Hillman nel suo Soul’s Code (1996), che ci conduce attraverso le catabasi e le anabasi dell’esistenza, come una sorta di angelo custode [12]:

Sembrava il mio fermo proposito, in carne ed ossa, che si manifestava al mio buon senso. Era il mio volere che camminava affianco a me sulla sabbia ardente con lo sguardo irremovibile rivolto verso il lontano sud.

Così come trova un corrispettivo nella sapienza greca, oltre che nella poetica di Edgar Allan Poe, la natura umbratile e onirica dell’essere umano che emerge nella conclusione della novella, quando il protagonista si interroga sulla realtà effettiva di tutto quanto ha vissuto [13]:

Quella torre silenziosa era stata mai abitata da un essere terreno? Mazitka era stato solo un’illusione? Ombra era solo un sogno? E io che ho raccontato queste storie, cosa sono anche io, se non un fantasma, irreale, transitorio, che svanisce in fretta anche nel pronunciare queste parole?

Sarah Dana Loring

Note:

[1]  S. Greenough (alias S.D. Loring), Ombra, Dagon Press, Pineto (TE) 2020 p. 8

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[2] Cfr. V. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate (1949)

[3] P. Guarriello, prefazione a Ombra, cit., p. 7

[4] Ivi, pp. 8-9

[5] Ombra, cit., p. 47

[6] Ivi, pp. 42-43

[7] Ivi. p. 47

[8] Ivi, p. 46

[9] Ivi, p. 50

[10] Cfr. M. Eliade, Il sacro e il profano (1957)

[11] Ombra, cit., p. 59

[12] Ivi, p. 66

[13] Ivi, p. 80

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