Sulle spalle degli Jötnar: intervista a Ylenia Oliverio (“Il Bosco di Chiatri”, “Vanatrú Italia”)

Oggi ci troviamo in compagnia di Ylenia Oliverio, presidente dell’associazione “Il Bosco di Chiatri” e soprattutto della sezione “Vanatrú Italia”, incentrata sullo studio e sulla divulgazione dell’antica tradizione cultuale e ritualistica norrena, in particolar modo delle correnti Seiðr e, appunto, Vanatrú.

di Marco Maculotti

Copertina: John Charles Dollman, FAMINE, 1904

Ciao Ylenia, e grazie per essere qui con noi oggi! Puoi riassumerci in poche parole in cosa consiste il lavoro dell’associazione, con riferimento sia alla dimensione collettiva che a quella individuale? 

Ciao Marco. La nostra associazione opera su territorio nazionale ed estero, e incentra l’attenzione sulla pratica stregonica di matrice nord europea ed euroasiatica. Il nostro obiettivo è la preparazione a livello teorico e pratico di streghe con una specifica tutta europea, e completamente libera da contaminazione abramitica. Il tutto passa dalla preparazione collettiva a una settorializzazione individuale di ogni nostro associato.

Ci puoi parlare del processo cui solitamente nei vostri scritti vi riferite con la locuzione “mimesi rituale”? Quale importanza riveste nella vostra ritualistica?

La mimesi di cui facciamo riferimento è un processo che abbiamo estratto dalla sostanza filosofica di Baumgarten per applicarla nella demonologia e demonolatria di nostra pertinenza. L’importanza sta nella sua essenza che fa della nostra realtà rituale percezione e disciplina. Ovviamente non ci allacciamo solo alle prime teorie platoniche di mimesi, ma ci concettualizziamo nel logos e nell’estetica di autori contemporanei che hanno dato luce a molti aspetti discordanti della filosofia greca. 

Ho letto altrove del tuo interesse per la Teosofia. Trovi che esistano molti punti di contatti tra la dottrina esposta da Madame Blavatsky nel monumentale La dottrina segreta, sia nella prima parte sulla Cosmogenesi che nella seconda sull’Antropogenesi, con quanto viene insegnato nella tradizione esoterica norrena?

Ho da sempre amato la teosofia, ci possono essere diversi aspetti che accorpano i concetti di logos e di anima esposti nelle dottrine della Blavatsky con la tradizione scandinava esoterica. L’Etenismo in toto è impregnato di concetti di tale natura, ma da alcuni punti di vista dell’Antropogenesi ci discostiamo, soprattutto nelle verità fondamentali dello sviluppo umano sulla natura.

Nella tradizione norrena le rune, conosciute da Odino per mezzo dell’autosacrificio sull’albero cosmico Yggdrasil e lasciando in pegno uno dei suoi occhi a Mímir, si possono pensare come una sorta di codice segreto del cosmo, un alfabeto sacro che dà vita a tutti i mondi esistenti, visibili e invisibili. Puoi sviluppare meglio questo concetto?

Le rune sono logos e sangue. Sono generate dalla sostanza primaria del GinUr e sono matrice degli Jötnar a cui noi siamo molto legati. Grazie al sacrificio del potente sono a disposizione del genere umano. Le rune sono quindi a disposizione di tutti, ma non per questo sono per tutti. Sono archetipo che va decodificato… ma, ahimè, non tutti gli umani sensibili sanno sfruttare un codex segreto senza cadere nella trappola egoica dei sensi. 

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Nella tradizione norrena, e non ultimo nell’episodio dell’autosacrificio di Odino, ricorre l’idea che la vera conoscenza non si possa apprendere, ma unicamente ricordare. Da cui l’identità ontologica tra Conoscenza/Verità e Ricordo/Memoria e la corrispondenza tra la Fonte di Mímir e quella di Mnemosyne nella tradizione ellenica, nonché l’idea di una reincarnazione dell’anima attraverso i cicli cosmici e i diversi mondi, e quindi la ricerca di quello stato di coscienza che i Greci chiamavano anamnesi, ovvero “non-dimenticanza” (di ciò che avviene all’anima nello stato pre-natale dell’esistenza, in mondi più “sottili” del nostro). Sei d’accordo con quanto detto?

Assolutamente sì. Questo è stato oggetto di studio e di espansione nel nostro testo chiamato HelVíti. Svarturgaldur. Manuale pratico opera necromantica nord europea (edito da Anael Sas). Tutto il processo esoterico nord europeo (e non di meno euroasiatico) si basa sull’atto del ricordo e sulla sua percezione nell’atto iniziatico della nostra tradizione.

Ylenia Oliverio

Cosa ci puoi dire della similitudine tra la Fylgja e la Valchiria della tradizione norrena e figure similari di altre tradizioni, quali il Daimon dei Greci, la Fravashi/Peri dei Persiani, la “sposa celeste” o lo “spirito aiutante” delle tradizioni sciamaniche, il “doppio astrale” degli occultisti e l’Angelo Custode dei Cristiani?

La Fylgja è completamente diversa dalla natura della Valchiria. Uno è un guardiano e l’altra è un guerriero. Uno è su un piano strettamente personale e astrale; l’altra è su quello fisico e “bellico”. L’aspetto del Daimon lo possiamo riscontrare sulla pratica mediatica del demone del nord, che per similitudini associamo alla natura del gigante primigenio. La Fylgja si dissocia dal concetto di angelo custode perché non dipende da una natura divina di controllo umano. La Fylgja per l’Etenismo è parte della stessa anima umana. Il doppio astrale invece è il risultato di una pratica specifica del Fjölkyngi.

In tutte le tradizioni antiche l’essere umano non è mai visto come un’entità omogenea, ma piuttosto composita, formata da varie “anime” e diverse componenti più o meno “sottili”. In quali termini viene esposta questa dottrina esoterica nella tradizione norrena e quali applicazioni trova nel vostro lavoro ritualistico?

Direi fondamentale per tutto il processo eteno. Infatti, nelle articolate divisioni che compongono il sistema eteno europeo l’essere umano ha un’anima che vanta più elementi che ne fanno da fondamento di alcune pratiche stregoniche di cui riscontriamo presenza in gran parte delle saghe. Se dovessi incentrare la risposta a questa tua interessantissima domanda nel contesto di nostra pertinenza, il vanatrú, allora posso dirti qualcosina in più. Tutte le componenti dell’anima fanno sì che i processi stregonici si completino nell’arte più oscura che caratterizza il folk scandinavo: la necromanzia europea. Questo per poi generare nelle forme base di vendetta, controllo ed estasi che sono le fondamentali interazioni con il popolo vanico (vættir e jötnar).

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La figura dello skald nella tradizione norrena è grossomodo equivalente a quella del bardo in quella celtica o dell’aedo in quella greca, essendo lo skald il poeta, il cantore, il saggio, ma spesso anche il veggente, colui che “avendo memoria” conosce gli accadimenti al di là delle barriere dello spazio-tempo; tutte corrispondenze riscontrate, nell’ambito dello sciamanesimo eurasiatico arcaico, negli studi di Francesco Benezzo e Mario Alinei. Quali sono le caratteristiche caratteriali dello skald? In che modo guarda alla cosiddetta “realtà”? Lo skald è una figura esemplare nella vostra visione sacrale ed esperienziale o, nell’antica tradizione norrena, ve ne sono altre a cui vi ispirate maggiormente?

Nella nostra tradizione ha un ruolo fondamentale, soprattutto perché nasce da un processo di trasmutazione attraverso la bevanda sacra che diviene simbolo di estasi poetica. Lo sviluppo dei kenningar che ne consegue è una delle fasi esoteriche più importanti della tradizione. Ma oltre questo abbiamo altre realtà molto più presenti negli approcci esoterici legati al nostro culto, come per esempio le Völur.

Si può ravvisare una corrispondenza tra il Niflheimr, il “Mondo delle Nebbie” dell’Edda, e il mondo dei fairies nella tradizione celtica? Il Niflheimr, che molti cronisti cristiani hanno visto come l’Inferno, si può pensare alla stregua di un “magazzino di protoplasma”, o di un “deposito di anime” o di “vita non ancora individualizzata”? Oppure è più corretto vedere in tali termini il Ginnungagap, l’“Abisso bisbigliante” che esisteva prima che la manifestazione cosmica fosse avviato?

Nessuna correlazione con il celtismo. La natura sottile della “forma” celtica discosta enormemente da quella scandinava. Inoltre, il Nifheimr è regno delle nebbie, luogo di nascita di Hel: semplicemente il regno di alcune tipologie di giganti. Il Ginnungagap è invece una realtà superiore (matrice dei giganti) di cui non è composta l’anima umana, con tutto ciò che ne consegue.

Avendo letto un’altra intervista a cui ti sei sottoposta, conosco la tua ammirazione per l’opera di Ernst Jünger. Fondandosi in larga parte il vostro lavoro su Vanir e Jötnar, come giudichi la sua concezione riguardante le cosiddette “potenze mitiche”, ctonie e titaniche nel suo scritto Al muro del tempo?

Sono la base della nostra visione della realtà, nella stessa crudezza esposta da Ernst Jünger. Il legante basta assaporarlo nel nostro costante lavoro per generare sempre più Ragnarök evolutivi.

Peter Nicolai Arbo, Natten, 1887

Quali correlazioni vedi — ovviamente, sempre se ne vedi — tra la figura di Loki e quelle di altre tradizioni come Lucifero, Efesto e Prometeo?

Loki è mutamento e sincronia legata al Caos; cercare una correlazione di tale natura è quasi impossibile. Nella nostra tradizione non esiste una figura similare che possa accorpare le tre realtà esposte. Tuttavia, posso dire che Surtr si lega molto con certe caratteristiche luciferine.

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I Norreni credevano che la fine dei tempi, il Ragnarøkkr o “crepuscolo degli dèi”, sarebbe venuta col fuoco portato da Surtr, che si può in qualche modo interpretare come la scintilla di fuoco primordiale dell’Essere che, una volta intrappolata dall’avanzare del ghiaccio cosmico (cioè dal flusso del divenire che, per mezzo della creazione demiurgica, congela le forme e lo spirito in esse), attende il rivolgimento delle ère per potersi liberare e ritornare al suo stato originario. Esiste una correlazione, anche etimologica, con il Saturno latino, mitico dio-re dell’Età dell’Oro che giace in uno stato di “sonno” presso un’isola atemporale, in attesa del ritorno dell’età aurea di cui, dopo il rivolgimento dei tempi, tornerà ad essere re? D’altronde Saturno/Kronos era nella tradizione greca il più potente dei Titani, e la Titanomachia combattuta contro gli Olimpi capitanati dal figlio Zeus sembra essere equivalente alla battaglia cosmica del Ragnarøkkr tra Aesir e potenze del caos?

Certamente! La correlazione è alquanto azzeccata. Unica specifica da fare: la natura non generata perché sempre esistente del signore del fuoco surtriano, che rende ciclico il ritorno dei Ragnarök e la vita dei giganti.

Hai letto il saggio di C.G. Jung Wotan? Cosa ne pensi? Ritieni che una riscoperta e una introiezione dell’archetipo wotanico possa essere utile all’uomo occidentale per evadere dal cul de sac esistenziale ed ideologico in cui si è infilato negli ultimi secoli sull’onda del razionalismo e del materialismo oppure, praticando la corrente vanatrú, ci sono altri archetipi divini che consideri più efficaci a tale scopo?

Ho letto l’opera, e per certi aspetti colloco Wotan come l’idea “etena” del processo proposto da Jung, quindi non lo identifico proprio a una distinta tra Asatrú e Vanatrú. A parer mio, un archetipo più sostanziale e come evasione sarebbe uno di natura pre-indo, come per esempio Nerthus, nella sua forma di morte e rinascita.

Grazie per il tuo tempo e per la tua disponibilità Ylenia, è stato un piacere conversare con te! Mi permetto, in amicizia, di consigliarti la lettura — sempre che tu non li conosca già! — dei Racconti macabri dei Mari del Nord (recentemente tradotto in italiano dalla Dagon Press) di Jonas Lie, scrittore norvegese di fine ‘800 la cui narrativa, fortemente ispirata alla tradizione mitico-folklorica scandinava, pullula di Troll, Jötnar, Draugar e di richiami allo sciamanesimo e alla stregoneria Sami. Mi sembra proprio nelle tue corde. Siamo arrivati alla fine della nostra conversazione. C’è un messaggio particolare che vuoi lasciare ai nostri lettori?

Grazie a voi per lo spazio dedicato, procederò all’acquisto e alla lettura del testo consigliato, arricchirà di certo la mia anima. Un messaggio ai lettori? Certo! Ritornare alla vecchia Europa permette il recupero delle origini del pensiero libero, spero dunque che la natura etena sia oggetto di maggior interesse in Italia e all’estero.

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