Il Logos e la conoscenza di Dio nel Neoplatonismo di Clemente Alessandrino

Negli “Stromateis”, scritti nel III secolo, Clemente Alessandrino istituisce una più profonda analogia tra la verità-Logos, coeterna e coestensiva a Dio, e l’eone cosmico, aiȏn, che raccoglie in sé presente, futuro e passato: alla scansione temporale, espressione tipica della creazione, si connette l’articolazione della parti del cosmo; così «colui che ricomporrà le parti diverse e le riunificherà, contemplerà senza rischio […] il Logos nella sua perfezione, cioè la verità».

di Claudio Capo

Un comune denominatore delle grandi tradizioni del passato è la ricerca gnoseologica ed ontologica del divino attraverso il simbolo. Questa, spesso e nelle forme più varie, si è visto come ruoti attorno ad un principio originario posto al di fuori dei limiti del sensibile rappresentando, almeno sul piano simbolico, il problema della conoscenza di e su Dio. Nel cristianesimo primitivo del III secolo dell’era volgare assistiamo alla costruzione, da parte di Clemente Alessandrino (150 – 215), di un impianto filosofico – prima che teologico – che tenta di rispondere al quesito tanto dibattuto sulla natura di Dio e i metodi di comprensione dell’uomo.

A muovere gli intenti dell’alessandrino è il tentativo di sistematizzare ed armonizzare il contenuto del pensiero comune alla grande Tradizione – intesa nella accezione guénoniana di unità trascendente riposta nelle varie tradizioni – che, montando dalla sapienza presocratica, passando per le letture neoplatoniche andrebbe a rafforzarsi nella figura del Cristo Logos. Clemente crede fortemente – e il carattere delle sue composizioni lo dimostra – che nel sottosuolo di ogni tradizione, che potremmo rappresentare come il cuore pulsante di queste, vi sia una stessa matrice di ordine sapienziale. L’occlusione allo sguardo dell’uomo verso questa “concordia similare” sarebbe data dall’osservare il carattere delle tradizioni sotto una lente letteraria anziché simbolica, dogmatica e indiscutibile anziché razionale e comprensibile.


In tal senso il carattere singolare degli Stromati (Stromateis) – testo del III secolo in cui il filosofo alessandrino tenterà di indagare il rapporto tra l’uomo e Dio con l’intercezione del Logos – è che questi richiedono lo sforzo a chi intende cogliere “nel prato i fiori che sbocciano variopinti” [1], di avvicinarsi ai continui enigmi affrontandoli razionalmente al fine di essere portati ai limiti della zona nel noumenico e scorgere le verità che risiedono al di fuori di questo. Il contenuto del testo, espresso in una forma che si colloca nel solco di una dialettica ibrida tra oralità e scrittura propria della tradizione classica, sembra aprirsi esclusivamente ad un tipo di approccio protrettico e filosofico, spingendosi a suggerire di esaminare le Sacre Scritture alla luce di un “significato nascosto” al quale risalire tramite l’allegoria e la simbologia. In un quadro simile assume, dunque, una curvatura importante il tema della “tradizione segreta” – più volte accennata – nella quale vengono inseriti e velati i “grandi misteri”. La distanza tra le dottrine platoniche e l’insegnamento del Cristo sarebbe solo apparente trattandosi, infatti, di una diversa discussione semantica con la quale si intende delineare una stessa conoscenza di Dio e del mondo delle Idee.

Agli occhi di Clemente la tradizione giovannea, sintetizzata tout court nel Prologo dello stesso apostolo, avrebbe raggiunto – e addirittura superato – il discorso intorno all’Uno e alla sua entità riportato nel Parmenide di Platone. Nel Logos che Platone associa al rendere manifestazione del pensiero tramite la voce o alla proiezione in uno specchio o nell’acqua dell’immagine, per rendere una credenza vera [2], verrebbe a manifestarsi, in un cifrario simbolico, il volto del dio. Il Cristo, pur conservando la propria natura terrena sarebbe, a detta di Clemente, una manifestazione nella quale si andrebbe a riversare la sapienza dei misteri. Il Verbo, cantato nell’inno che accenna i temi principali del Vangelo di Giovanni, corrisponderebbe al Logos platonico in quanto chiarisce come la manifestazione terrena sia speculare alla natura dei mondi celesti [3]:

e il Verbo [Logos] era presso Dio
e il Verbo [Logos] era Dio.

Clemente Alessandrino (150 – 215)

La differenza tra l’immagine di Dio ed egli stesso è la medesima che intercorre tra colui che, guardandosi allo specchio, riesce a coglie il proprio volto riflesso: apparente. Tuttavia non basterebbe questo a rendere evidente la natura di Dio, questa si rivelerebbe all’uomo nella misura in cui guardandosi allo specchio, anziché se stesso vi vedrebbe riflesso il mondo.  La reale comprensione di Dio avviene solo dopo un progressivo processo di assimilazione al Logos che porti ad eliminare la distanza tra l’oggetto contemplato dal soggetto della contemplazione. Tuttavia, anche se il Logos stesso conserva una natura contingente e intercede nel mondo tramite questa, resta comunque l’immagine del principio ab origine senza il quale la manifestazione non potrebbe venire esistere.

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La sequela Christi viene a rappresentare nella dottrina clementina lo strumento par exellence con il quale varcare la “porta stretta” attraverso cui si avrà visione dei mondi celesti. Allo stesso modo l’Uno delle dottrine platoniche – collocandosi in termini di unità assoluta – si pone al di là del fenomeno ma entra in contatto con questo rendendosi conoscibile tramite le leggi razionali: il Logos platonico – similmente a quello immaginato da Clemente – è razionalità immanente alla realtà e, allo stesso tempo, conoscenza di questa sotto forma di dialogo o di Idee. Perciò l’Uno non è enunciabile né comprensibile né dal nous né dal noeton se non fosse per il Logos reso manifesto e posto su un piano di esatta parità ontologica. Lo sguardo viene spostato dalle “cose lontane” a quelle invece “più vicine” in quanto, essendo riflesse l’una all’altra nella misura in cui si fanno partecipe entrambe di una stessa realtà della quale sono espressione indistinta [4].

Il percorso per risalire l’aperion e scrutare l’esistenza oltre le sedimentazioni della materia consiste, quindi, nell’homoiosis theo – il divenire simile agli déi tanto caro ai precetti delfici. La volontà di congiunzione tra l’uomo e il Logos maturata dalla consapevolezza acquisita durante il tentativo di condurre se stessi fino ai limiti della ragione alla quale zona di confine appare netta e chiara la condizione umana quale immagine (kat’eikona) di Dio. Pertanto il mondo della manifestazione dei fenomeni costituisce un continuum che l’uomo è chiamato ad percorrere per cogliere l’essenza più profonda della creazione nonché il simbolo del principio originario. Il Logos viene a definirsi, dunque, come immagine ed espressione conoscibile di Dio senza il quale le molteplici articolazione della creazione risulterebbero scisse, separate e inaccessibili alla loro natura più nascosta.


L’importanza del simbolo nella Tradizione è messa in luce anche da Guénon quando, parlando del Verbo e del Simbolo, afferma che tutto ciò che è, sotto qualsiasi forma lo si trovi, avendo il suo principio nell’Intelletto divino, traduce o rappresenta questo principio secondo la sua maniera e secondo il suo ordine d’esistenza. Proprio così tutte le cose si concatenano e si corrispondono per concorrere all’armonia universale e totale, del quale sono un rifesso dell’Unità divina stessa; tale corrispondenza sarebbe per lo stesso Guénon il vero fondamento del simbolo, del Logos dove, proprio per questa profonda corrispondenza, verrebbero a trovarsi ad un tempo come principio e come fine [5].

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Tornando a Clemente: “Greci e barbari partecipano tutt’ora al Logos di verità”. Clemente istituisce una più profonda analogia tra la verità-Logos, coeterna e coestensiva a Dio, e l’eone cosmico, aiȏn, che raccoglie in sé presente, futuro e passato: alla scansione temporale, espressione tipica della creazione, si connette l’articolazione della parti (merê) del cosmo; così “colui che ricomporrà le parti diverse e le riunificherà, contemplerà senza rischio, stiamone certi il Logos nella sua perfezione, cioè la verità” [6]

In altre parole Clemente tenta di cucire assieme le sorti dell’uomo a quelle di Dio nella misura in cui tutto è di un solo Dio – l’uomo rappresenterebbe la coscienza riflessiva di questo – e non c’è nessuno la cui natura sia totalmente straniera al mondo, poiché una è la sostanza della quale tutte le cose si rendono partecipi [7]. Ne consegue, dunque, una rappresentazione complessiva ed unitaria del reale, l’unità originaria del cosmo e la sua reintegrazione nella coscienza dell’uomo avverrebbe tramite un atto di contemplazione o, se si preferisce, di illuminazione in senso cristiano. Proprio a tal proposito il metodo simbolico con il quale Clemente avanza negli Stromati rappresenta il miglior strumento di cognizione che permetterebbe di unire i diversi aspetti del reale. Ancora una volta per legittimare il suo sguardo sul mondo Clemente fa affidamento ai maestri presocratici riprendendo un celebre frammento dell’Oscuro di Efeso che rende esplicito come il dio si manifesti tramite i misteri [8]

Il Signore che ha l’oracolo in Delfi non dice e non nasconde, ma accenna.

Beato Angelico, Danza dei Santi, dettaglio del Giudizio Universale, 1432-1435

Ricordiamo come la rivelazione degli déi all’uomo per la sapienza greca avviene esclusivamente tramite l’enigma. Giorgio Colli ricorda ne La nascita della filosofia l’elaborazione aristotelica secondo la quale l’enigma è la formulazione di un’impossibilità razionale che esprime tuttavia un oggetto, o una conoscenza, reale. L’uomo sapiente – in sintonia con quanto sostenuto da Clemente – domina la ragione e scioglie l’enigma. Questo, tuttavia, quando entra nell’agonismo della sapienza deve assumere una forma contraddittoria [9], diventando così inaccessibile alla ragione in quanto implicando un principio diametralmente opposto e mutualmente escludentesi. In buona sostanza, l’enigma viene risolto tramite la ragione ma la sua comprensione non è conseguibile tramite questa. La contraddizione verrebbe innalzata, dunque, a protezione dei misteri, protezione da chi li vuole comprendere con logica e ragione e non con un atto contemplativo, di fede nel caso cristiano: cosa di più contraddittorio che risolvere la dualità Logos/Dio nell’Uno? 

Sono stati i filosofi Greci per primi, nel periodo della classicità ellenica, a proporre un’interpretazione dei racconti mitici narrati da chi, vissuto in comunione con la sapienza, ha preceduto la filosofia. Nei miti presocratici vi era l’intento di tramandare la visione dei regni celesti sotto un più profondo significato filosofico e sapienziale a tutti coloro che avrebbero avuto il coraggio di affrontare le “rivelazioni di Sileno”. I miti trasponevano su ogni singola figura un evento che avveniva ciclicamente su un piano di esistenza differente e superiore [10]:

Insomma tutti, per così dire, quelli che si occuparono di cose divine tennero sempre nascosta la spiegazione dei principi della realtà e tramandarono la verità mediante rappresentazioni e simboli, allegorie e metafore, ed altri procedimenti simili a quelli in cui sono espressi gli oracoli Greci: Apollo Pizio del resto è detto “Tortuoso”. Ed invero anche le sentenze di quelli che i Greci chiamano “Sapienti” vogliono significare con poche parole una realtà più grande. Per esempio […] l’altro motto “Conosci te stesso” vuole indicare tante cose: […] sappi per che cosa sei nato, di chi sei l’immagine, e quale è la tua essenza e come sei stato creato, quale la tua affinità con Dio, e altre cose simili.


In conclusione, ad un livello più profondo per Clemente il valore del simbolo è dato dalla sua coincidenza con il pensiero della Tradizione la quale non se ne discosterebbe pur “cambiando abito”. L’alessandrino vede nella natura una condizione che ad un tempo accenna e nasconde la verità. Per cogliere il “frutto proibito”, il Logos, è necessario riconnettere i vari frammenti in virtù di un’interpretazione del reale coincidente con quella simbolica. Se la realtà consiste nella linea di successione diramata da un principio increato non si può precludere all’uomo la possibilità di passare dalla manifestazioni esteriori alle progressive percezioni dell’intima unità dell’esistenza.

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In definitiva il sistema filosofico clementino parte dalla concezione del kosmos e della zoé che, presenti in tutti gli esseri viventi, si trasformano progressivamente, grazie all’atto di contemplazione, in una realtà spirituale al quale l’uomo si concede, quali immagini speculari a Dio. L’uomo è un frammento di questa immagine che è chiamato ad ampliare fino alla comunione con il divino tramite un progressivo processo di assimilazione. La teofagia cristica descritta nei Vangeli dove il Redentore spezza il pane e versa il vino ai discepoli invitando a cibarsi delle propria carne e a bere il proprio sangue [11] rappresenterebbe, così come il mito orfico di Dioniso Zagreo al quale si accompagna il rito di sbranare il toro in quanto ierofania del dio, un tentativo di divorare il mondo e congiungersi al divino.

Pertanto ci ricorda sempre il Colli come il mito di Dioniso sbranato dai Titani è un’allusione all’eterogeneità metafisica tra il mondo della molteplicità e il mondo dell’unità divina, così come la doppia natura di Apollo rappresenterebbe una frattura tra il mondo degli uomini e quello degli déi da rinsaldare tramite il Logos-Parola [12]. Tutta la creazione nelle sue componenti duali di visibile e invisibile, sensibile e intellegibile e così via, costituisce un’unità alla quale, data la condizione carnale dell’uomo, si accede solo tramite il simbolo nella misura in cui questo viene visto come “Stele di Rosetta” per tradurre il linguaggio di Dio e rendersi simile agli déi – o ai principi sottostanti all’Uno.


Note:

[1] Stromati VI, 2, 1.

[2] Platone, Teeto, 206D.

[3] Gv, Prologo, 1,1.

[4] Parmenide, Fr. 28B4.

[5] R. Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano 1975, p. 22.

[6] Gli Stromati, Introduzione di M. Rizzi, p. XXX.

[7] Ivi, IV, 165, 4.

[8] Eraclito, fr. 66.

[9] G. Colli, La Nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1975, p. 62.

[10] Stromati V, 22,23-1.

[11] Mt. 26, 26.

[12] G. Colli, op. cit., p. 40.

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