L’origine dei Siculi e la loro migrazione fino in Sicilia

Andiamo alla scoperta dell’origine della popolazione dei Siculi, dall’età del bronzo a quella del ferro, mediante la lettura sinottica dei testi antichi in lingua greca e latina, l’analisi linguistica e i ritrovamenti archeologici.

di Alessandro Bonfanti

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Da poco più di una decina di anni mi occupo del problema ”Siculi” all’interno del quadro etnografico e culturale della compagine preistorica e proto-storica della Sicilia. Pochi archeologi, assieme ad un numero ancor più ristretto di antropologi, si sono interessati alle prische popolazioni siciliane dell’età del Bronzo e della prima età del Ferro, traendo molto spesso conclusioni sin troppo superficiali e senza alcuna obiettività scientifica che desse una precisa descrizione dell’oggetto della ricerca ed allo stesso tempo desse nuovi impulsi a nuove indagini sul campo. Bene, non è stato così per me. Quel poco che ho letto sui saggi finora editi e disponibili nelle accademie universitarie non hanno mai soddisfatto la mia curiosità scientifica, sebbene sia stata proprio la sciatta faciloneria di questi studiosi a farmi prendere l’iniziativa di dar vita a questo grande lavoro di ricerca, ché a tutt’oggi non può dirsi definitivamente concluso, nonostante gli esiti siano stati sempre positivi, copiosi di dati al punto di permettermi di ricostruire con tanta meticolosità la profonda spiritualità e la straordinariamente vivace cultura delle genti anelleniche (o pre-greche) della Sicilia: ovvero Siculi, Sicani ed Elimi.

Quando si sente parlare di ”Siculi”, tutti, soprattutto in non siciliani, pensano sempre al cliché proposto per il ‘’siciliano’’ di fine ottocento: un ometto di complessione bruna, spesso basso di statura, con capelli e baffoni corvini, la tipica coppola, lupara a tracolla, che avanza per un sentiero arido al suono del marranzano tra piante di fichi d’India ed erbacce secche ingiallite dal sole rovente. Questo ”tipo” è ormai nell’immaginario collettivo di tutto il mondo a causa di una pessima pubblicità che niente ha a che fare con la realtà: basta notare quanto siano diffusi i capelli biondi e gli occhi chiari; così come il marranzano è un antichissimo strumento di origine nordica presente nella musica popolare scandinava, celtica e slava; così come i fichi d’India provengono dall’America centrale e sono dunque una recente importazione, e così ancora come tante altre piante presenti nell’isola. Nei film spesso è proposto proprio questo fenotipo e molto spesso gli attori non sono siciliani, per non parlare poi dei souvenirs, quelli che riproducono ”u siculu”, i quali non servono tanto a stimolare la pessima capacità di osservazione di quei turisti giunti nell’isola per cogliere e vivere quanto ci sia di reale in tutto ciò, ma addirittura infirmano con la loro irrealtà figurativa quanto già nella mente di costoro è stato distorto dalla fantasia degli alloctoni.

Tutti infatti pensano che ”Siculi” siano tutti i siciliani, in maniera indistinta, sebbene nessuno, e neanche molti tra gli isolani, sappia chi fosse stata questa popolazione che diede il nome attuale alla nostra meravigliosa isola. Si parla infatti di Sicilia greca, di Sicilia romana, di Sicilia bizantina, di Normanni, Svevi, Aragonesi e così via, ma quasi mai di coloro che molto tempo prima hanno abitato quest’isola, dandole il nome di Sikelia ”Sicilia” (forma ellenica attestata, di certo riconiata sul coronimo siculo Sikulia) e, ahimé, anche se impropriamente, agli abitanti attuali considerati ”Siculi” e non propriamente ‘’Siciliani’’. Io cercherò di spiegare succintamente chi erano i Siculi, chi i Sicani, chi gli Elimi, chi i Sicelioti ed infine chi sarebbero dunque i Siciliani attuali. Il mio lavoro si è basato principalmente sulla lettura sinottica dei testi antichi in lingua greca e latina (ossia una lettura condotta contemporaneamente su diversi testi posti l’uno accanto all’altro per svolgere un immediato confronto): direttamente Storie o Guerra del Peloponneso di Tucidide (V sec. a.C.), Antichità romane di Dionisio di Alicarnasso (I sec. a.C.), Biblioteca storica di Diodoro Siculo (I sec. a.C.); indirettamente, tramite i testi già summenzionati, Sikelikà o Fatti di Sicilia di Antioco di Siracusa (V sec. a.C.), Sikelikà di Filisto di Siracusa (IV sec. a.C.), ed ancora Sikelikà di Timeo di Tauromenio (III sec. a.C.) detto il ‘’detrattore’’; e poi leggendo ancora l’Eneide di Virgilio, il poeta ‘’archeologo’’ nel vero senso della parola, così come molti altri testi ancora. A seguire ho confrontato le letture sinottiche con i dati ricavati dalle analisi del materiale archeologico; poi ho proceduto con l’analisi linguistica ed infine con l’analisi antropologica, la più difficile ma anche la più soddisfacente. Tutto questo mi ha permesso di fare una ricostruzione dei popoli pre-greci siciliani dell’età preistorica e proto-storica molto accurata, sebbene, aggiungo, sia sempre avido di molte altre scoperte. Da indoeuropeista posso dire che è stato un lavoro molto impegnativo, quello della decifrazione delle lingue dei Siculi, degli Elimi e dei Sicani (questi ultimi non hanno lasciato testi scritti ma molti toponimi ed idronimi), alla fine del quale però ho visto uno dei miei sogni realizzarsi: la classificazione di altre tre lingue di filiazione schiettamente indoeuropea e la loro sistemazione all’interno dell’albero genealogico. Tutto questo è ovviamente presente nei miei due lavori già richiamati nel precedente articolo, rispettivamente Siculi: popolo Ario venuto dal Nord (ovvero Historia Siculorum) e Siculi indoeuropei. Le origini nordiche dell’ethnos, tomi I-II.

I Siculi erano una popolazione di stirpe indoeuropea e di ceppo proto-illirico, la quale nella lontana età della pietra, intorno al IV millennio a.C. era ancora un tutt’uno con le altre genti proto-illiriche stanziate nel centro dell’Europa, molto sopra il corso medio del Danubio, nell’area centrale e meridionale situata tra i fiumi Elba e Vistola, confinando con altri macro-gruppi indoeuropei, precisamente con quello da cui emersero i proto-Latini, gli Osco-umbri ed i Veneti (Paleoveneti o Venetici) ad Ovest, con quello da cui emersero gli Elleni, i Macedoni ed i Frigi ad Est e Sud-Est, con parte del gruppo celtico (al tempo proto-celtico) e parte di quello germanico a settentrione (che con quello proto-celtico e poi ur-celtico ha avuto una lunga ed intensa osmosi), e subendo anche qualche processo osmotico culturale con il gruppo indoeuropeo definito ”Altoeuropeo” o ”Paleoeuropeo” od ancora ”Indoeuropeo A”, a cui appartenevano invece i Sicani, conterranei dei Siculi anche in tempi molto posteriori (a partire dal 1270/1250 a.C. in Sicilia). Con quest’ultimo gruppo, l’influenza era comunque ostacolata dal corso danubiano, poiché questo gruppo di origine carpatica detto ”A” si estendeva a quei tempi a partire dalla riva meridionale del fiume. Tutto questo si evince non soltanto dalle analisi antropometriche, ma anche e soprattutto dalle analisi fonetiche che caratterizzano la lingua dei Siculi (metodo delle aree laterali, glottocronologia attraverso analisi fono-componenziale, rilevazione delle isoglosse primitive e dunque nell’individuazione dei foni originari: ovvero il trattamento delle sonanti, le catene di spinta e trazione fonetiche, rotazioni consonantiche, rilevamento delle laringali originarie con ricostruzioni dei sistemi vocalici primitivi etc.).

Questo gruppo di proto-Illiri, crescendo in numero, abbandonarono le loro sedi ancestrali centro-europee, attraversando il Danubio nel suo medio corso, nella regione dell’attuale Ungheria, riversandosi nei Balcani alla fine del IV o agli inizi del III millennio a.C., occupando così tutta la penisola sino all’estremità della Grecia conosciuta in epoca storica con il nome di Peloponneso. Si crearono molte tribù a partire dalle propaggini più settentrionali della penisola balcanica, tra le quali vi erano i Liburni, i Siculi, gli Ausoni, i Dauni, i Peucezi, i Messapi, i Caoni, i Coni, i Pelasgi e gli Enotri. I Liburni ed i Siculi, vicini e parenti più stretti dei primi, occuparono rispettivamente le sponde e l’entroterra della Dalmazia, precisamente i territori dall’attuale Slovenia all’Albania, seguiti in successione dai Dauni, poi dai Peucezi (questi accolsero parte degli Enotri una volta giunti in Italia), i Caoni, i Coni, gli Ausoni, i Pelasgi (questi giunti fino in Grecia), i Messapi ed infine gli Enotri, i quali ebbero un’estensione massima dall’Epiro fino al Peloponneso. Non molto tempo dopo, carestie ed altre calamità spinsero una parte di tutte queste tribù verso la costa prospiciente bagnata dal Mar Adriatico, ossia la nostra penisola. Prima giunsero gli Ausoni, nella seconda metà del III millennio a.C. dalla costa Sud-orientale, spingendosi fino all’attuale Lazio, sicché l’Italia fu denominata Ausonia; poi giunsero i Siculi assieme ai Liburni nel centro peninsulare, tra Emilia-Romagna, Umbria e Marche, intorno agli inizi del II millennio a.C.; poi ancora gli Enotri, i quali giunsero intorno al XVII sec. a.C. sempre da Sud-Est e ricacciando gli Ausoni più a settentrione, nella Campania e nel Lazio principalmente, e dando una nuova denominazione a quell’area, ossia Enotria. I Pelasgi furono gli ultimi ad arrivare, agli inizi della seconda metà del II millennio a.C., giungendo dapprima alle foci del Po, percorrendo gran parte della penisola seguendo gli Appennini in direzione Sud ed unendosi a gruppi proto-latini dei centri terramaricoli, con i quali cacciarono via i Siculi ed i Liburni da quei territori, facendo salpare via i Liburni e respingendo più a Sud nel Lazio i Siculi. 

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A sinistra, ricostruzione della camera funeraria di una tomba a grotticella artificiale della Cultura sicula della facies eneolitica di Rinaldone presso il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini, Roma (la tomba detta ‘’della Vedova’’, rinvenuta nella località Ponte San Pietro, nel territorio di Viterbo, Lazio); a destra, esemplare di vaso a fiasco, tipico della Cultura rinaldoniana sicula centro-peninsulare e laziale, esposto in una delle teche del Museo. Crani dolicomorfi ellissoidi, rintracciabili dai Balcani alla Sicilia (noti gli esemplari di Pantalica, molti dei quali consegnati dal messinese Sergi agli enti di studi antropologici capitolini), un vero filo d’Arianna per la ricostruzione dell’iter migratorio dei Siculi e l’individuazione delle molteplici facies culturali succedutesi nel tempo.

I Siculi intrapresero la fuga per la salvezza, trovando l’ostilità di molte altre tribù, soprattutto osche (gli eredi della Cultura delle tombe a fossa), giungendo infine nel territorio dei loro cugini Enotri, i quali li accolsero. Lì, nell’attuale Calabria, i Siculi divennero numerosi e molto potenti, al punto che un loro re, il cui nome era Italo ”Torello”, prese possesso di tutta la Enotria e che dopo la sua morte fece cadere in odio tutto il suo popolo tra gli Enotri, al punto che dovettero fuggire nuovamente in Sicilia (ricordo sempre che l’antroponimo Italos, detto così alla greca, è attestato solo nelle iscrizione sicule, e mai rinvenuto nelle terre enotrie, dalla Basilicata alla Calabria, ragion per cui vide bene il buon Tucidide [2] nelle origini sicule e non enotrie di Italo [1]). Era questo l’anno 1270 a.C. ed i Siculi, ”un grande esercito”, così come specifica Tucidide, conquistarono tutto il settore orientale dell’isola, dando vita alla Sikelia, ossia la ”Terra dei Siculi”, devastando e respingendo con una lunga e sanguinosa guerra i Sicani [3], quel gruppo paleoeuropeo (dunque sempre indoeuropeo) che si era insediato nell’isola intorno alla seconda metà del III millennio a.C., fuggendo anch’esso dall’Italia (e non dall’Iberia) a causa dell’arrivo degli Ausoni [4]. In Sicilia giunsero poco dopo gli Elimi, sempre di stirpe proto-illirica, perché, come i Morgeti, erano il risultato di una frammentazione del gruppo enotrio, tra i quali confluirono per sinecismo altri elementi etnici, come una piccola parte dei Sicani e una grossa parte di Elleni (precisamente quegli Elleni di ceppo acheo che presero possesso nel Bronzo medio della roccaforte anatolica, quella Wilusa che poi divenne nota con il nome di Troia, essendo l’Iliade la narrazione di uno scontro avvenuto nel Bronzo finale tra due gruppi achei, l’uno della madrepatria, l’Ellade, l’altro della colonia anatolica nella Troade). I Sicani, strano a dirsi, sono stati confinanti dei Siculi non solo nel cuore dell’Europa in tempi molto remoti, ma anche, sebbene in piccolissima parte, nella stessa penisola balcanica (ove permangono non poche tracce toponomastiche nell’attuale Slovenia) ed infine in Sicilia. Tutto questo è difficile, veramente molto difficile, da intuire a prima lettura dalle fonti storiche, soprattutto se sono lette singolarmente e senza conoscere bene la lingua greca e quella latina.

Tutti gli storici ci forniscono notizie discordanti, alcune apparentemente inverosimili ma reali, altre ancora credibili ma invero false. Esso è tutto un puzzle che per completarlo mi ci sono voluti molti anni e soprattutto molto rigore scientifico. In questa ricerca ho usato un’infinità di dati provenienti da diverse branche scientifiche, non solo dalla filologia dunque, per ricostruire bene le fonti antiche, ma molto dall’antropologia fisica e dalla glottologia. Posso addurre un semplice esempio. Tucidide (storico ateniese del V sec. a.C.) sosteneva che i Siculi provenissero dall’Italia e che fossero diversi dagli Enotri, che i Sicani fossero di origine iberica e che gli Elimi fossero un gruppo di Troiani e di Elleni confinanti ed in buoni rapporti con i Sicani, ma non fusi con quest’ultimi. Dionisio di Alicarnasso e Diodoro Siculo, entrambi vissuti nel corso del I sec. a.C., come già detto, hanno riportato diligentemente e fortunatamente ampie parti (lectiones) dei testi ormai perduti di questi storici sicelioti molto più antichi, i quali, essendo anche a diretto contatto con queste popolazione epicorie, potevano di certo dissertare molto di più su esse; riferendomi nuovamente ad Antioco e Filisto di Siracusa, vissuti rispettivamente nel V e nel IV sec. a.C., Ellanico di Mitilene, vissuto nel V sec. a.C., e Timeo di Tauromenio, vissuto nel III sec. a.C.

Antioco sosteneva la provenienza iberica dei Sicani, l’origine troiana e greca degli Elimi e l’origine peninsulare ed enotria dei Siculi [5]; Ellanico sosteneva l’origine peninsulare ed enotria degli Elimi e peninsulare ed ausonia dei Siculi [6]; Filisto, molto vicino alla cultura sicula, essendo un generale al comando di Dionisio I ed avendo nell’esercito un numeroso gruppo di Siculi (la fondazione di colonie nel centro dell’Italia, come ad esempio Ancona, ne è una prova [7]), sosteneva l’origine iberica dei Sicani e quella peninsulare dei Siculi, ma a torto considerati Liguri [8], ben sapendo però che i suoi ”Liburni”, parenti molto prossimi dei Siculi, furono ritenuti Liguri dai copisti più antichi e così l’unico che aveva ben inteso la verità fu considerato il peggiore; infine Timeo, il quale ha riportato invece molti errori tacciando però tutti di ignoranza, affermava che i Sicani fossero autoctoni, come ”spuntati fuori dal nulla”, e che i Siculi fossero sempre di origine peninsulare. Sempre Tucidide sosteneva che i Siculi fossero stati cacciati via dalla popolazione osca degli Opici, i quali abitavano la Campania, e che la migrazione fosse avvenuta nell’XI sec. a.C.; Antioco sosteneva che i Siculi fossero stati cacciati via dagli Enotri, ma non sapeva collocare con precisione tale migrazione; Filisto affermava che nell’ottantesimo anno prima della distruzione di Troia, dunque nel 1264 a.C., avvenne la migrazione dei Siculi in Sicilia a causa degli Enotri; Ellanico collocava tale migrazione con molta precisione nel ventiseiesimo anno di sacerdozio di Alcione ad Argo, dunque nel 1270 a.C., ma con la variante consistente nella cacciata degli Elimi sempre a causa dell’ostilità degli Enotri, i quali sarebbero giunti nella parte più occidentale dell’isola, e dopo cinque anni quella dei Siculi fuggiti dagli Iapigi che abitavano il Nord della Puglia, in quanto i Siculi erano secondo lui Ausoni.

Come ben si vede, c’è tanta confusione, tante discordanze, ma se si sovrappongono tutte queste informazioni attraverso la lettura sinottica delle fonti e successivamente si accolgono tutti i dati attraverso un filtro di analisi antropologica, linguistica ed archeologica, ciò che se ne ricava alla fine è la verità dei fatti. Tanto per cominciare i Sicani non erano Iberi, nella maniera più assoluta, poiché nella loro lingua (ricavata da antroponimi, idronimi, oronimi e toponimi) non vi è niente di iberico ma di Indoeuropeo A (tra l’altro ben documentato dal Prof. Villar [9], anche se mai ha incluso nel gruppo proprio i Sicani, contribuendo comunque molto nella ricostruzione degli strati indoeuropei più antichi, quelli caratterizzati dalla isoglossa laringale h2, dalla quale e + h2 > a, cosa, questa, persistita nel gruppo germanico e subendo un’ulteriore evoluzione nello Slavo antico con h2 > h3, dunque con esito o). Poi erano presenti ab antiquo in Italia settentrionale e centrale, ove avvenne il loro scontro con i Liguri, i quali erano stanziati tra Liguria e Piemonte. Certamente esiste un fiume Sicano nella penisola iberica, ma trattasi della storpiatura di un idronimo celtico in area iberica, il quale era inizialmente Sekwanos, ossia ”Fiume che divide due territori”, e che con questa radice semantica sik– ”taglio” era presente in tutta la Francia (da cui il nome del fiume Senna da Sequana). Questi fiumi infatti, tanto nella penisola iberica tanto nella regione francese, confinavano tribù celtiche come i Sequani ed i Segobrigi, nei cui etnonimi si può leggere la radice sik– presente anche nei Sicani (da qui la palese ascendenza celtica e non ‘’ibero-mediterranea’’ sulla quale insistono tuttora alcuni). Successivamente i Sicani si scontrarono con gli Ausoni, una volta giunti nel Lazio, e da quel momento -metà del III millennio a.C.- passarono in Sicilia. Molti toponimi dal Lazio fino in Calabria, dunque lungo il versante tirrenico, riportano una tipica suffissazione sicana, non presente invece in Puglia e dunque nel versante adriatico o ionico.

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Virgilio ricorda infatti nell’Eneide i veteres Sicani e lo scontro tra questo ethnos e gli Ausoni, il quale pose fine all’età dell’oro [10]. I Sicani diedero vita alla facies di Castelluccio e di Thapsos dal 2200 al 1270 a.C. Alcuni elementi della precedente cultura dolmenica si fuse con essi e forse questo infirmò l’antica tesi dell’origine iberica, sebbene quel gruppo fosse proto-celtico e non iberico. Alcuni crani di Castelluccio (nel territorio di Noto) sono infatti del tipo sfenoide. Molti archeologi, a cominciare dal roveretano Paolo Orsi, sostennero che nessun cambiamento avvenne al tempo della migrazione sicula e che Pantalica sarebbe stata la continuazione culturale di Castelluccio. Cosa, questa, da rigettare assolutamente. Non soltanto è cambiata totalmente la cultura materiale, ma le calotte craniche corroborano proprio la tesi della migrazione: i crani di Pantalica sono nella maggioranza dei casi del tipo ellissoide, un po’ differenti dunque da quelli delle culture di Castelluccio e Thapsos [11]; inoltre, la ceramica tipicamente sicana (di impasto grigio-giallo decorata dapprima a bande dipinte formanti vari intrecci romboidi e triangolari e successivamente ad incisione) continuò ad esistere nel versante occidentale dell’isola, mentre nella parte orientale ne comparve una nuova e con una forte percentuale di ferro, di colore rosso-granato, la cui composizione non sembra essere insulare ma peninsulare.

Museo Regionale Paolo Orsi, Siracusa: ceramica tipica del Periodo siculo I (Pantalica I Nord, XIII-XI sec. a.C.); grossi bracieri regali, vasi a fiasco, hydriai, patere svasate per le libagioni. Si noti anche lo stile ‘’gessato’’ del grande braciere regale (a torto confuso nella letteratura archeologica con una ‘’grande coppa’’). Questo tipo di decorazione a solchi paralleli campiti di impasto bianco è un’eredità della Cultura proto-appenninica peninsulare, la quale a sua volta fu la diretta evoluzione della Cultura di Rinaldone, transitata essa dai Balcani via mare nel centro dell’Italia (Romagna, Marche, Umbria, e poi Maremma toscana e Lazio) nel corso del’età eneolitica. Alle facies proto-appenninica e appenninica parteciparono anche gli Enotri.
Museo Regionale Paolo Orsi, Siracusa: a sinistra, fibula a Svastica polare (Sauvastika) del Periodo siculo II da Pantalica (Sicilia Sud-orientale, XI-IX sec. a.C.); a destra, ceramica dello stile piumato (skyphoi, anche provvisti di manico, disposti alle estremità) e geometrico siculo (i due askoi al centro) della facies del Monte Finocchito (IX-VII sec. a.C.), contrada che ospita una ben nota necropoli sicula, nel territorio di Noto, città dello scrivente.
Museo Civico di Caltanissetta: a sinistra, tre oinochoai (brocche da vino) a collo trilobato, provenienti dal centro vicanico di Sabucina, databili tra VIII e VII sec. a.C., decorati con Svastica (radiante, avente i bracci volti a destra) sul campo metopale; a destra, sinossi della decorazione vascolare, comprendente anche la tematica geometrica ed una interessantissima teoria di serpi visualizzata a meandro (simbolo di bipolarità, dunque di ciclicità).

La ceramica sicula successiva, quella propriamente isolana, presenta infatti un impasto grigio-giallo, poiché la terra d’impasto è quella del territorio ed è da lì che nacque la ceramica piumata, la quale è presente soltanto nel versante orientale e non in contesto sicano. Gli archeologi italiani, soprattutto quelli siciliani, hanno ‘’visto’’ semplicemente il falso fino ad oggi. Gli Elimi erano chiaramente di origine proto-illirica e di certo con infiltrazioni acheo-troiane ed altre di ceppo prettamente ellenico (l’elemento focese) e sicano: la loro lingua infatti è molto simile a quella degli illiri Siculi (emi ‘’io sono’’ presente nelle iscrizioni di entrambi gli ethne, in Siculo anche nella variante iemi, o meglio dire con leggera aspirazione sulla e); e la loro ceramica si presenta di impasto grigio-giallo, proprio come quella dei Sicani e quella piumata dei Siculi (tutte produzioni isolane dunque), anche se cambia nelle fogge e nei simboli adottati nelle decorazioni (le famose protomi taurine non sono presenti nelle fogge ceramiche sicane o sicule). 

A sinistra, hydria, vaso per attingere l’acqua, della facies castellucciana (2200-1450 a.C.), con tipica decorazione a bande intersecate, dalla necropoli sicana di Valle Oscura della montagna di Balate, conservata nel Museo Regionale di Marianopoli; a destra, tipica anfora elima con decorazione taurina a rilievo (protome centrale) e graffita (VIII-VII sec. a.C.).

Siculi, Sicani ed Elimi, e tutti questi rispetto ai Greci che giunsero qualche generazione dopo (a partire dall’VIII sec. a.C., epoca della seconda colonizzazione) presentano elementi antropologici, linguistici e culturali ben differenziati, ma sempre in forma molto relativa e dunque piccola, rimanendo sempre e comunque nell’ambito indoeuropeo. Sul significato dei nomi etnici dei Siculi, dei Sicani e degli Elimi, così sulla loro lingua e cultura potrei dire molto, anzi moltissimo, ma riservo questa sorpresa ai lettori dei miei libri. Posso terminare questo breve (e piacevole, spero) articolo dicendo che i Siculi erano i proto-Illiri che occuparono la parte orientale dell’isola, inglobando qualche elemento ausonio (già entrato nell’orbita culturale del proto-villanoviano, tra l’Ausonio I e II dell’arcipelago eoliano), affiancando la tribù enotria dei Morgeti a partire dall’inizio del XIII sec. a.C., e attraverso altri fenomeni di migrazione successivi (fino al sec. XI a.C.), e soprattutto che si denominarono tali, ovvero ”Siculi”, già a partire dal loro primo stanziamento balcanico (altrimenti, Plinio il Vecchio non avrebbe mai parlato di Siculi balcanici nella sua Naturalis Historia, ivi presenti ancora al tempo suo [12]); che i Sicani erano gli Indoeuropei A di origine sub-carpatica che migrarono dall’Italia in Sicilia alla fine del III millennio a.C.; che i Morgeti erano un frazionamento della nazione enotria, pertanto sempre proto-Illiri, e che una volta giunti in Sicilia orientale mantennero una certa distanza dai Siculi, anche se la ceramica piumata è stata trovata nelle vestigia della loro più celebre fondazione, ossia Morgantina (e poi le note tombe a grotticella artificiale); che gli Elimi erano anch’essi proto-Illiri, perché distaccatisi dagli Enotri, accogliendo nel tempo anche altri elementi etnici ed in minima quantità, tanto da non stravolgere la loro lingua, e che occuparono il versante occidentale della Sicilia poco dopo l’arrivo dei Siculi; ed infine che gli Ausoni, sempre proto-Illiri, furono davvero cacciati da Nord-Est dall’arrivo degli illirici Iapigi (Dauni), migrando in parte verso Sud e raggiungendo dunque le isole Eolie e poi le coste della Sicilia settentrionale (l’area di Milazzo), fondendosi in parte con i Siculi fino in quel di Pantalica e Lentini (l’antica Xuthia [13]).

Pertanto la Sicilia fu detta prima Trinakria ‘’Trinacria’’, poi Sikania “Sicania’’ ed infine Sikelia, ossia “Sicilia’’ [14]. Il nome dell’Italia deriva dal nome del re siculo Italo [15], essendo prima Ausonia e poi Enotria. Anche il Mare Adriatico ha nel nome un’origine spiccatamente siculo-illirica e così anche il nome di persona che ne è derivato, Adriano: entrambi i nomi hanno la comune origine dal Dio Adranòs (in lingua sicula Hatranus), Dio del Cielo, della Luce, della Folgore e del Fuoco venerato dai Siculi, direttamente dalla forma radicale sicula hat– ‘’fuoco/calore’’, di chiara filiazione indoeuropea, essendo quella ancestrale aidh-. I Greci nati nella nostra terra furono denominati Sicelioti, ovvero ”Greci della Sikelia”, ma non erano per niente Siculi; così come i Greci nati in Italia meridionale, successivamente detta Magna Grecia, erano denominati Italioti, ovvero i ”Greci nati nella terra governata dal re siculo Italo”. Ma la denominazione di ”Siciliano” da dove deriverebbe allora? Semplice, la suffissazione in n rivela l’arcano: sono tutti coloro che provengono dalla Sikelia, l’isola che fu conquistata dai Siculi.

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L’Urheimat dei proto-illiri individuata dallo scrivente tramite glottocronologia, situata tra i medi corsi dei fiumi Elba (o Oder) e Vistola, tra le attuali Germania e Polonia. Da questa sede ancestrale emersero i Siculi assieme a tutte le altre popolazioni dello stesso ceppo. Le frecce indicano la linea di migrazione dei Siculi a partire dal V millennio a.C. fino alla prima metà del XIII sec. a.C., ossia fino al periodo in cui ebbe inizio la Cultura di Pantalica I Nord in Sicilia Sud-orientale. Dall’archivio di Daudeferd.
Necropoli di Pantalica, Sicilia Sud-orientale. Complesso di tombe rupestri a grotticella artificiale.
A sinistra, capitello templare basaltico su colonna a sezione ottagonale dal centro vicanico del Mendolito di Adrano, decorato con Ruote solari (Museo Civico di Adrano); a destra, Scene di caccia a cavallo graffite sulle pareti della tomba a camera di Caratabia (vicino Mineo, Sicilia centro-orientale); entrambi realizzazioni del VI sec. a.C., Periodo IV siculo, facies di Licodia Eubea. Si noti una Crux Solaris  apotropaica incisa sulla coscia destra dell’equide.

Per concludere, voglio dirvi un’ultima cosa, abbastanza importante e che sia da premessa a tutti gli articoli a seguire, ossia dal terzo in poi. L’Archeologia e l’Antropologia, così come tutte le scienze (nel mio specifico caso anche la Glottologia, della quale ne faccio copioso uso e soprattutto qualificato), necessitano costantemente di neologismi, spesso creati proprio ad hoc, o addirittura ex abrupto, i quali permettono al ricercatore di restringere con grande facilità una vasta gamma di concetti, molto spesso stratificati o intrecciati l’un l’altro in modo variamente complesso, sino a formare una nuova entità semiologica, quasi fosse un simbolo. Ciò permette a noi ricercatori l’acquisizione di una grande mole di dati e di poter a sua volta creare quadri di sintesi molto precisi e con il precipuo scopo che niente possa essere lasciato così all’oblio, ma che tutto sia sempre disponibile nel momento della fruizione dei dati medesimi. Capisco che ai non addetti ai lavori tutte queste ‘’parolone’’ possano sembrare astruse, addirittura impronunciabili, delle quali non è possibile trovare alcuna traccia nei vari dizionari, perché sin troppo specifici e soprattutto coniati sempre e continuamente ex novo. Noi ricercatori siamo fatti così, purtroppo. Ma è grazie a noi e soprattutto al nostro operato che a tutti voi è possibile seguire di pari passo le nostre ricerche, rendendo voi tutti partecipi delle nostre esperienze. I neologismi nascono comunque da una buona padronanza delle lingue classiche, ovvero greca e latina, molto spesso attraverso un processo non solo di conio ma di rifonologizzazione di certe locuzioni estrapolate dai molteplici testi che compongono il corpus della Letteratura greca e di quella latina.

Ad esempio, il grande prof. Paolo Orsi, il quale trascorse tutta la sua vita nello studio della preistoria siciliana (proprio lui, di Rovereto) inventò diversi neologismi, tuttora in uso nel nostro campo, come il conio enchytrismòs, indicante la sepoltura, spesso infantile, ‘’entro un grosso vaso’’, entro la giara che in Greco antico era detta pithos. Ma è chiaro che il neologismo in questione non si trova nei dizionari Greco antico–Italiano e neanche in quelli di solo Italiano. Eppure, grazie al buon Orsi, noi ricercatori d’oggi sappiamo indicare un rito funerario specifico grazie ad una sola parola, invece di utilizzare una sfiancante locuzione. Io stesso, ormai stanco delle obsolete ‘’formule’’ e dei vetusti ‘’formulari’’ trasmessimi dall’ambiente accademico, ho dovuto per forza creare nuove ‘’formule’’ e più efficienti ‘’formulari’’ per meglio muovermi nelle mie ricerche, senza così cadere negli stessi errori in cui tutti i miei predecessori sono incappati. Se così non fosse, non si andrebbe mai avanti, si brancolerebbe nel buio pesto. Io ho dovuto, e ciò mi piace farlo, coniare ad uopo neologismi d’ogni tipo, sovvertendo molto spesso i quadri disciplinari imposti perché fallaci. Ma mi sono sempre attenuto a tutti i crismi dell’onestà intellettuale, avvertendo sempre i miei lettori all’inizio di ogni lettura di questa mia dura presa di posizione e spiegando agli stessi il nuovo metodo d’indagine ed il nuovo sistema di glosse da adottare per assimilare al meglio i frutti della mia ricerca.

Capisco pertanto lo sconforto di alcuni lettori nel non comprendere subitaneamente certe ‘’nuove’’ parole, delle quali la mia unica mancanza, e dunque non imperizia, è stata non aver dato una spiegazione propedeutica. Di questo effettivamente ne provo sempre rammarico. Il tempo a disposizione è quello che è, purtroppo, e forse io non sono proprio abituato a parlare con un pubblico molto variegato, ma sempre sin troppo ristretto. Ma posso, anzi devo, sempre sanare ogni lacuna. Pertanto, se alcuni di voi, miei cari lettori, non riuscite a comprendere certi neologismi, quali ad esempio Urvolk, macro-gruppo, proto-gruppo, proto-celtico e ur-celtico, proto-illirico (dunque un po’ diverso da illirico, con il quale si designano rami genealogici susseguenti), calco semantico, calco fonetico, altoeuropeo/paleoeuropeo, sub-carpatico, xantocroismo etc., basta semplicemente chiedere e tutto vi sarà dato. Nel caso specifico del lemma Urvolk (forma tedesca), abbiamo a che fare, così come in tutti i neologismi d’ambito scientifico, con una mera convenzione intellettuale, una creazione da laboratorio ad uso e consumo degli specialisti. Ma vista la portata che il lemma in questione ebbe nel corso della prima metà del XX sec., periodo storico in cui l’Archeologia e l’Antropologia ebbero una grande importanza nella vita del popolo tedesco, lo stesso lemma finì persino nei dizionari, e questo per un noto processo che in Linguistica è conosciuto come ‘’acclimatamento’’. Nelle altre lingue europee, ciò non è avvenuto infatti, anche perché le scienza antropologica e quella archeologica non ricoprirono nelle altre nazioni d’Europa un ruolo così importante nella formazione degli individui.

Ma è chiaro che il lemma ‘’tedesco’’ Urvolk non è proprio ‘’tedesco’’, ma è un’invenzione accademica, poiché il primo elemento radicale e caratterizzante, ur-, non è precisamente ‘’tedesco’’ ma prettamente indoeuropeo. Trattasi infatti di una forma radicale ancestrale presente in tutte le lingue indoeuropee, dunque rilevabile nelle aree laterali, e pertanto assolutamente indoeuropea. Questo elemento radicale si trova infatti in varie forme, delle quali vi cito solo quelle più importanti: ur̥– ‘’forza’’, comprendente nel suo nucleo una r sonante, dunque con possibilità di vocalizzazione, ha generato in Latino rispettivamente vis ‘’forza’’ e vir ‘’uomo’’ (nel senso di ‘’dotato di forza’’), ma anche urus ‘’toro’’ (perché ‘’maschio’’ e dunque ‘’forte’’); in Norreno verr ‘’uomo’’ (dalla forma più antica wirar); nell’attuale Gaelico irlandese fear ‘’uomo’’ (con metafonia di u/v > f); in Greco antico, sebbene con leggera deriva semantica, abbiamo βία ‘’forza/violenza’’ (attraverso il noto fenomeno del betacismo, ossia il render occlusiva bilabiale sonora b la fricativa labio-dentale sonora v, che a sua volta deriva dalla vocale posteriore chiusa arrotondata e non arrotondata, ossia il noto digamma indoeuropeo). Pertanto, questo elemento radicale ur– non significa ‘’primevo’’ o ‘’primordiale’’, ma ‘’forza’’, avendo dunque subito un processo di deriva semantica sino a significare ‘’uomo’’, ‘’toro’’ etc. Ora, ed è qui che vi voglio, solo entrando nella Weltanschauung indoeuropea, ci si accorge che è proprio nella forma mentis indoeuropea indicare qualsiasi atto creativo, dunque primordiale, evocando la ‘’forza’’, l’essere attivi appunto sulla inerte soggiacente materia plasmandola ai propri scopi. L’atto di forza, ur, principio maschile, è proprio questo: energia attiva plasmante la soggiacente materia passiva, che è il principio femminile; essendo comunque il ‘’primo’’ atto, quello della creazione, sull’immobilità passiva della inerte materia. Infatti, nei dizionari di qualsiasi lingua europea moderna non potremmo mai trovare questo elemento radicale, ur-, sì tanto importante come singola glossa. Questo elemento radicale è visibile persino nell’antroponimo siculo Uitalus, ossia il re Italo, il quale con la sua forza riuscì ad evincere dalla federazione enotria divenendo signore di quel territorio, creando così la Italia, la terra di Italo, la nostra Patria.

Se qualcuno può darvi sempre una spiegazione sul suo operato allora il suo operato è sempre sincero e leale, diversamente è mendace. Finora ne ho sentito dire davvero tante, sia in sede accademica sia altrove, sui Siculi o sui Sicani: chi ha visto ‘’glifi runici’’ (sic) nei grafemi delle iscrizioni sicule sparse nella parte insulare orientale; chi è addivenuto alla derivazione del Siculo dal Sanscrito; più altre oscene amenità. L’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno oggigiorno è la serietà, soltanto la serietà.


Note:

[1] Tucidide, Storie, VI, 2, 4 (Italo, re dei Siculi); Cfr. Aristotele, Politica, IV, 9, 1-3; Antioco siracusano in Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 35, 1-3 (Italo, re degli Enotri, notizia da non intendere come ‘’re di origine enotria’’, trattandosi di un errore, ma come ‘’reggenza sugli Enotri’’); Virgilio, Eneide, VII, vv. 176-181. 

[2] Tucidide, Storie, VI, 2, 5; Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 22, 5.

[3] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 6. 

[4] Pausania, Periegesi della Grecia, V, 25, 6; Strabone, Geografia, VI, 2, 4 (nel cui testo è Eforo cumano a dire che i primi ad abitare la Sikelia furono gli Iberi, o meglio dire gli Iberici, dunque il popolo del bicchiere campaniforme).

[5] Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 22, 5. 

[6] Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 22, 1-3.

[7] Ciò è confermato anche da Plinio (Naturalis Historia, III, 13, 111): Numana a Siculis condita, ab issdem colonia Ancona

[8] Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 22, 4-5.

[9] Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa, Ed. Mulino, Bologna, 1997. 

[10] Virgilio, Eneide, VIII, vv. 322-332.

[11] Giuseppe Sergi, Crani preistorici della Sicilia, in Atti della Società Antropologica Romana, Vol. VI, Roma 1899, pagg. 3-13; Giuseppe Sergi, Crani siculi neolitici, in Bull. Paletnologia italiana, Vol. XVII, Roma 1891; Giuseppe Sergi, Crani antichi di Sicilia e di Creta, in Atti Soc. rom. di Antropologia, Vol. II, Roma 1895. Questi testi devo essere letti sempre con le dovute riserve. I crani preistorici ed antichi sono stati da me studiati principalmente cum manu; facendo anche molti confronti (non proprio diretti, perché avrei destato orrore nelle persone, ma usando ad uopo un corredo fotografico o la mia buona capacità mnemonica) con quelli delle popolazioni attuali, ossia quelle ancora abitanti i piccoli borghi o sperdute contrade di campagna, soprattutto nell’area iblea, luoghi di forte retaggio siculo (comuni come Buscemi, ad esempio, dove ho notato questo ellissoidismo accompagnato da un bellissimo biondo, xantocroismo, e complessione molto chiara, leucodermia, di un roseo molto tenue e soggetto a facile rubescenza emotiva).  

[12] Plinio, Naturalis Historia, III, 22, 141. 

[13] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 8. 

[14] Diodoro Siculo, Biblioteca storica, V, 2, 1-2.

[15] Tucidide, Storie, VI, 2, 4.

7 commenti su “L’origine dei Siculi e la loro migrazione fino in Sicilia

  1. Post molto interessante, complimenti. Si sa qualcosa di più sul popolo dei Coni o Choni, citato nell’articolo? Grazie.

    1. Copio e incollo da una mail dell’autore:

      « Nei miei libri tratto proprio di tutti in maniera molto dettagliata. I Coni furono esuli della nazione dei Chaoni dell’Epiro e si fusero con gli Enotri dando vita alla Cultura delle tombe a camera dei Coni della Basilicata. »

  2. Sarebbe tempo di mettere a Corredo le foro delle Spade Naue II e le composizioni funerarie Urnfield dei Siculi a Lipari (( Incendio del Castello) di cui Brea ha illustrato molto bene nel suo lavoro.

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