Apologia delle streghe. Il “De Lamiis” di Johann Wier

In pieno XVI secolo Johann Wier, medico e demonologo allievo di Cornelio Agrippa di Nettesheim, si esprime contro i metodi e le dottrine dell’Inquisizione cattolica a difesa delle streghe, attraverso una tesi che unisce le conoscenze scientifiche a quelle occulte sulla scia di Agrippa e di Paracelso.

di Mariachiara Valentini

Quella di Johann Wier (1515-1588) è una figura tanto importante quanto poco nota. Giovane allievo di quell’Agrippa autore del De occulta philosophia, proseguì gli studi del maestro parallelamente a quelli ufficiali di medicina. È proprio l’unione di esoterismo, fisiologia e psicologia a rendere Wier uno studioso così peculiare: possiamo descrivere il suo percorso come una perenne tensione volta a unire l’occulto e le scienze. Wier si distacca da Agrippa sostenendo che sia impossibile modificare volontariamente l’opera della natura, e dunque non lascia spazio alla pratica della magia, ma allo stesso tempo è un demonologo che crede fermamente nell’esistenza del Diavolo e nell’esercizio dei suoi poteri. In quest’ottica si inserisce il libello De lamiis del 1577, un compendio del terzo libro di un più vasto trattato, il De praestigiis demonum et incantationibus ac veneficii (1563), in cui Wier analizza le questioni connesse all’azione dei demoni e alla loro influenza sugli uomini; obiettivo di questa riedizione è il raggiungimento di un pubblico più vasto e meno colto al fine di divulgare le proprie idee a proposito delle streghe. 

Gli scritti di Wier hanno suscitato diverse reazioni fra i suoi contemporanei: non mancano i consensi ma numerosi sono i duri attacchi da parte di celebri inquisitori, come Bartolomeo Spina, che hanno infine portato all’inserimento delle opere di Wier nell’Indice dei libri proibiti. E tuttavia questo non si è mai tradotto in un reale procedimento giudiziario, probabilmente grazie alla carica prestigiosa ricoperta da Wier, ovvero quella di primo medico del duca Guglielmo III di Jülich-Clèves-Berg. Fra le più gravi accuse figura certamente quella di Jean Bodin, che nell’appendice alla sua Démonomanie des sorciers del 1580 accusa Wier esplicitamente di stregoneria e complicità con il demonio. Wier, da parte sua, sosteneva che una strega

è per lo più una vecchierella stupida di mente, ignorante, illetterata, sedotta dallo spirito demoniaco che la incanta coi suoi prodigi, invasa e corrotta dal demonio ma soltanto col pensiero e le immaginazioni fallaci, sì che giunge a confessare sempre cose che non avrebbe in realtà mai potuto fare perché la natura non lo permette.

Johann Wier (1515 – 1588)

Da una parte, dunque, l’uomo di scienza Wier ritiene ridicolo anche soltanto supporre che possano compiersi realmente atti del genere, così lontani dalla ragione e dall’esperienza, ma allo stesso tempo, in quanto credente, egli non nega, anzi conferma una reale influenza demonica su questi soggetti deboli e in un certo senso già predisposti a essere affetti da modificazioni dei sensi e della mente. Viene messa in evidenza anche l’incoerenza delle confessioni strappate sotto tortura, i cui resoconti sono riportati nel Malleus Maleficarum: si tratta di un curioso manuale del 1487, curato dai due domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger al fine di reprimere eresia e stregoneria in Germania, in cui vengono dettagliatamente descritte le modalità del patto con il demonio.

Nel Malleus leggiamo infatti che esistono due diverse tipologie di commercio con il maligno: la prima è “privata”, attuabile singolarmente, mentre la seconda è cerimoniale; si tratta del classico sabba delle streghe, in cui solitamente il Diavolo appare in forma umana per impartire ordini e imporre l’abiura della fede cristiana ai novizi. A questo proposito viene descritto un dettaglio interessante, su cui Wier si sofferma a lungo: un certo magico unguento, che spalmato su un legno permette di volare, se bevuto rende immediatamente complici del demonio, se spalmato sul corpo è capace di modificare e ringiovanire le fattezze. Esso è ricavato dalla cottura (“fino a che le carni, separate dalle ossa, non si liquefacciano”) di neonati battezzati e non, e poi conservato accuratamente – ma, obietta Wier, “se verranno aperte le tombe che esse [le streghe] sostengono di aver profanato, in quelle tombe si troveranno ancora giacenti e inviolati i cadaveri”.

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La vera suggestione satanica sta proprio nel fatto che qualcuno possa realmente credere a simili scelleratezze, che vanno contro il retto uso della ragione, e spingersi a sostenere “che quella vecchia ha veramente compiuto tutte le azioni di cui si è convinta di essere artefice”. A ciò si aggiunge la possibilità di spiegare razionalmente questa situazione: proprio come in chi è affetto dal morbo melanconico si riscontra una forte alterazione della facoltà immaginativa, allo stesso modo il fenomeno delle “streghe” può essere ascritto all’insorgenza di simili condizioni. L’ipotesi avanzata da Wier è che le confessioni delle streghe sotto tortura siano sì sincere, ma provocate non da un reale compimento dei fatti ammessi, quanto piuttosto da stati allucinatori individuabili fisiologicamente, e tuttavia comunque causati da un intervento diretto delle potenze demoniache:

Ottenuta (sempre con il consenso di Dio) la facoltà di produrre tali immagini e di imprimerle in esseri viventi, i demoni, mediante queste forme, fanno vedere apparenze fittizie di esseri ora allegri […], ora tristi […] e quelle sensazioni rimangono impresse in loro con la forza della realtà. […] Ed è per questo che cose del genere si verificano solo di notte, perché si verificano durante il sogno; mentre di giorno non accadono se non a persone affette da morbo melanconico […] che soffrono di allucinazioni anche nella veglia.

Illustrazione di Jack Wilson

E chi è che, nelle visioni oniriche, non si è mai sentito trasportato a tal punto da credere di trovarsi nella realtà? Proprio nei sogni, negli stati estatici o allucinatori, si insidia il Diavolo, la cui presa è forte su una coscienza addormentata, e agisce per mezzo della persuasione al fine di rendere impossibile la distinzione tra la realtà e la visione, in modo da convincere pienamente il soggetto di essere stato cosciente durante il compimento di quegli atti. Se a ciò aggiungiamo che il prototipo della strega è quello di una persona resa debole dalla sua anzianità e dalla sua stupidità, possiamo facilmente comprendere come essa sia una preda fin troppo facile per il Diavolo, il quale spesso si serve anche dell’aiuto di “certi preparati naturali” dalle proprietà allucinogene.

Wier è consapevole che questa sua teoria in parte scientifica, in parte metafisica (nel senso che si situa al di là della spiegazione meramente fisica delle cose, e non in senso strettamente filosofico) possa sembrare una mera fantasticheria; per questa ragione cita un passo del Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV pubblicato da Giovanni Battista Della Porta (1535-1615) nel 1558: qui viene raccontato un episodio autobiografico, in cui Della Porta riesce a ottenere da una strega una dimostrazione dei suoi poteri. Dopo che la donna si era completamente ricoperta del magico unguento che aveva preparato (a base di grasso di neonato, aconito, sangue di pipistrello e numerose erbe aromatiche), si chiuse in una stanza e ordinò a Della Porta e ai suoi di osservare dallo spiraglio della porta, ma tutto ciò che essi videro fu la vecchia addormentata in un sonno profondo, tant’è che non furono capaci di risvegliarla sino al termine degli effetti dell’unguento; e quando alla fine ella si risvegliò e iniziò a “fare discorsi deliranti, a dire […] cose evidentemente non avvenute”, negando fermamente che si trattasse di allucinazioni, Della Porta comprese le proprietà di quei preparati naturali.

Le streghe sono semplicemente ingannate dal demonio, anche al riguardo dei loro presunti poteri sulle cose naturali, il quale le illude che per mezzo certi riti esse possano provocare effetti che il Diavolo ha già predisposto, mentre da sole “non avrebbero potuto procurare nemmeno la caduta di una goccia d’acqua”. A maggior ragione un “uomo sano di mente” potrebbe mai credere che il corso naturale delle cose stabilito da Dio possa essere così stravolto dalle “futili operazioni di donnette pazze”? Il fulcro dell’apologia messa in atto da Wier sta tutto nell’impostare l’immagine della strega come quella di una vecchia tonta e ignorante, vittima del demonio e incapace di compiere quelle azioni in totale autonomia.

Illustrazione di Jack Wilson

Per quanto riguarda il congiungimento carnale della strega con il demonio, è innanzitutto inconcepibile una simile relazione “tra uno spirito privo di carne e un uomo mortale”: dal momento che uno spirito non possiede e non può possedere organi genitali, non c’è “nè il desiderio, né la possibilità di coito”, in quanto “se manca la causa manca anche l’effetto”. Si può obiettare a questa tesi facendo ricorso al celebre passo dell’Antico Testamento (Gen 6,1-8) ove si afferma che 

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. […] E queste partorirono loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.

Si tratta di un passaggio difficile da interpretare: fino al IV secolo dopo Cristo esso veniva utilizzato come testimonianza della colpa angelica dalla quale sono sorti i demoni; con i Padri della Chiesa si sviluppa una concezione più spirituale degli angeli per cui i “figli di Dio” sono interpretati come i discendenti di Set e le figlie degli uomini come le discendenti di Caino. Ed è proprio su questa difficoltà che si poggia Wier, rispondendo all’obiezione con l’aiuto dell’interpretazione patristica di questo passo, che per lui si riferisce inequivocabilmente alla stirpe di Set.

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Inoltre, nel Malleus è scritto che il Diavolo debba unirsi prima a un uomo e poi a una donna, sottraendo il seme all’uomo e immettendolo nel ventre della donna nell’atto del coito in modo da poter concepire e generare un feto – feto che però, come molti riconoscono, non è figlio del demonio ma dell’uomo succubato da esso.  Questo è per Wier semplicemente ridicolo: non solo il trasporto del seme causerebbe il deperimento della sostanza (mentre per Tommaso d’Aquino il Diavolo sarebbe stato abbastanza scaltro da aggirare le problematiche fisiologiche e riuscire nel suo intento), ma soprattutto lo stesso genere umano sarebbe andato già incontro alla distruzione se fossero state possibili tali creature orrorifiche nate dall’unione di donne e demoni. Ancora una volta, dunque, possiamo imputare tali racconti a stati allucinatori particolarmente intensi. 

Illustrazione di Jack Wilson

L’obiettivo di Wier è quello di scagionare le streghe dalle accuse perché non sussistenti dal punto di vista razionale, considerando che le stesse confessioni sono false e frutto di immaginazione. Il riferimento alla licantropia o alla più generica metamorfosi animale si fa necessario: l’assurdità di un’affermazione del genere rende assurde anche le presunte azioni compiute in condizione animale, e rende folli quegli uomini sapienti (ovvero gli inquisitori) che anche solo per un momento abbiano creduto che questi fatti potessero essere realmente accaduti. E nuovamente con riferimento al morbo melanconico, Wier prosegue:

Non è difficile al demonio trarre alla follia un essere umano, stimolandone gli spiriti idonei, quando si tratti di persone il cui cervello viene spesso invaso dai vapori della bile nera; ed esiste un tipo di uomini proclivi in tal senso alla fascinazione e alla follia.

Eppure, costantemente “uomini assennati” non esitano a pronunciare condanne a morte contro queste persone, nonostante anche la sola ipotesi di una simile trasformazione non appaia credibile, nascondendo dietro le loro accuse una inestinguibile sete di sangue. La seconda parte del De lamiis è infatti interamente dedicata alla fallacia dei processi per stregoneria: le stesse prove utilizzate dagli inquisitori per provare che si tratti realmente di una strega sono esperimenti inventati dal Diavolo che i veri cristiani dovrebbero combattere. Ne è un esempio la prova dell’acqua, secondo la quale immergendo una strega in acqua con mani e piedi legati, essa galleggerebbe senza difficoltà. La prima cosa da fare nell’istruttoria di un processo per stregoneria è verificare  se le confessioni trovino un riscontro concreto nella realtà, ricorrendo all’aiuto di medici famosi, ma le cose purtroppo non vanno in questo modo:

In questi processi per maleficio […] molte cose sono di natura emotiva […] e sono distorte da malevolenza e malvagità.

Se a ciò aggiungiamo le torture indicibili a cui sono sottoposte le accusate, una confessione sarà estorta per forza di cose, e sarà accolta dagli animi dei giudici che sono già predisposti a vedere in esse null’altro che il male. Wier accusa gli inquisitori di essere “sanguinari al massimo grado” e di utilizzare droghe sulle accusate per poter estorcere racconti così fantasiosi; e proprio nell’utilizzo di stupefacenti sta per Wier l’invalidità della confessione, in quanto in un processo non è possibile accettare una confessione fatta in uno stato mentale alterato. 

Ma il demonologo si spinge ancora più a fondo: essendo le cosiddette streghe povere donne ottuse, la cui mente è obnubilata dal demonio che le utilizza come meri strumenti passivi, non sono pericolose per nessuno (anche perché, come abbiamo già notato, è fisicamente impossibile che possano verificarsi gli eventi di cui le se accusa) e devono essere salvate piuttosto che mandate al rogo. (In particolare, Wier chiama il rogo un “sacrificio a Vulcano”, come se con questa caratterizzazione pagana volesse sottolineare maggiormente che i veri operatori del Diavolo sono gli inquisitori e i giudici). Nel momento in cui si accerta la natura immaginaria dei fatti esposti sia dall’accusa che dalla strega, la pena di morte non sussiste, e bisogna indurre queste donne a ripudiare il demonio e prestare giuramento di fede a Cristo. L’alternativa all’esecuzione proposta da Wier è una pena pecuniaria o, nei casi più gravi, l’esilio: è impossibile non notare come questa proposta sia una grande contraddizione del Wier, il quale basa tutta la sua apologia su alcuni punti fondamentali tra cui proprio lo stato di massima indigenza delle streghe, per poi proporre un pagamento in denaro di cui tali donne non potrebbero disporre, se corrispondessero perfettamente alla descrizione del De lamiis.

Se da una parte dobbiamo riconoscere l’intento lodevole di Wier, ovvero quello di salvare la vita a migliaia di povere innocenti, non possiamo evitare di essere duri nei confronti dei presupposti su cui l’intera tesi wieriana si fonda. La descrizione delle streghe ci pone davanti a una concezione della donna intesa come un essere debole “nella mente e nell’indole”, di cui le lamie sono soltanto un caso estremo; eppure è tratto imprescindibile che le streghe siano stupide e facilmente manipolabili, e che a differenza di maghi e stregoni non siano capaci di apprendere dottrine da libri o maestri in quanto nella natura della donna è inesistente l’impulso alla ricerca della natura delle cose: esse “non possono eccellere in niente di peculiare, data la crassezza della loro mente e la inabilità del loro spirito”, sono esseri “insensati”. 

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È facile inquadrare alla perfezione il concetto di donna presente alla mente del Wier, e quindi giustificarlo per i fondamenti dati alla sua tesi; il vero punto debole dell’argomentazione wieriana è l’eccessiva presenza di autocontraddizioni, e addirittura la totale assenza del suo presupposto fondamentale: Wier è costantemente ambiguo, gli manca sempre l’appoggio di una sicura e totale spiegazione scientifica, e in alcuni casi anche dottrinale (come ad esempio per l’unione carnale tra le streghe e il demonio, in cui egli contraddice ciò che è invece sostenuto dalla stessa scuola demonologica da cui proviene).

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