Sciamani in Amazzonia e “abduction aliene”: lo strano caso di Bernardo Peixoto

Con il consenso di Venexia Editrice, pubblichiamo quasi integralmente il capitolo 8 del libro di John Mack “Passport to the Cosmos” (trad. it.: “Passaporto per il Cosmo”), incentrato sulle bizzarre esperienze vissute negli ultimi decenni da alcune tribù amazzoniche brasiliane e sulla loro connessione con antiche leggende e tradizioni folkloriche.

di John Mack

Tratto da “Passaporto per il cosmo”, cap. 8
Immagine di copertina: Pablo Amaringo, Ondas de la Ayahuasca

Quando provieni da tutto e da niente, non ci sono tempo né spazio. È come se si cercasse di adeguarsi a un nuovo livello.

(Bernardo Peixoto, 10 maggio 1998)

Origini ed educazione: gettare un ponte fra due mondi

Bernardo Peixoto è uno sciamano e un antropologo, nato in una famiglia per metà brasiliana e per metà portoghese. Lavora presso la Smithsonian Institution di Washington, dove tiene lezioni individuali e di gruppo sulla cultura dei nativi sudamericani, con particolare attenzione alle piante dotate di virtù terapeutiche. […] Quando ci siamo conosciuti, nel 1996, Bernardo aveva cinquant’anni ed era reduce da un’esperienza, risalente a due anni prima, che aveva radicalmente modificato la sua percezione di sé e della vita e che descriverò brevemente nel corso del capitolo.

A presentarci furono Nona e Carol che, dopo avere assistito alle lezioni tenute da Bernardo nel novembre del 1996, in occasione della Whole Life Expo di Boston, pensarono che sarebbe stata una buona idea farci incontrare. Peixoto è un importante mediatore, impegnato a traghettare il sapere del suo popolo nella cultura bianca nordamericana e, al tempo stesso, fautore della difesa e del progresso delle comunità indigene brasiliane, che rischiano di essere spazzate via dalla distruzione delle loro terre natie.

Bernardo è nato nella piccola tribù degli Uru-Eu-Wau-Wau, nello stato di Pará, nel Brasile settentrionale, a poca distanza dal confine con il Venezuela. Date le ridotte dimensioni della sua tribù, fu mandato dagli Ipixuma, una comunità indigena molto più grande della sua, per apprendere anche le loro tradizioni e leggende. Uru-Eu-Wau-Wau significa, letteralmente, “popolo delle stelle” e, secondo la leggenda che si tramanda oralmente (la tribù non conosce la scrittura e non misura matematicamente il tempo), “molto tempo fa”, un huskerah, qualcosa venuto dal cielo che non produce suono e non è un uccello, atterrò nel bacino dell’Amazzonia, e i makuras, piccole creature venute dal cielo, luminescenti e con grandi occhi, insegnarono agli Uru-Eu-Wau-Wau a piantare i semi e a coltivare il mais.

Bernardo sostiene che sulle pareti delle caverne brasiliane siano incise alcune raffigurazioni di questi velivoli e dei loro occupanti, chiamati anche atojars, termine che può significare sia “entità venute dal cielo”, sia “possessori di una saggezza tanto grande da non poter essere di questa Terra”. Bernardo spiega che, per la sua gente, queste creature sono incarnazioni fisiche del Grande Spirito. È questo l’unico modo che gli indigeni hanno per intendere certe questioni. La leggenda vuole che il Grande Spirito, dopo la creazione, abbia detto alle sue creature celesti: “Il vostro compito qui è finito. Ho bisogno di voi altrove”, e gli atojars lasciarono la Terra. Un po’ come i cristiani, che attendono il secondo avvento del Cristo, anche la tribù di Bernardo aspetta il ritorno del popolo delle stelle.

La madre di Bernardo era una Uru-Eu-Wau-Wau, mente suo padre era un portoghese cattolico. Quando sua madre lo presentò agli anziani della sua tribù, questi le dissero che il bambino possedeva doti speciali e sarebbe diventato uno sciamano. Gli insegnarono tutto ciò che un uomo di medicina deve sapere, soprattutto in merito alle piante sacre e alle erbe medicinali. Nella tribù di Peixoto, gli sciamani operano solo con forze “luminose” o terapeutiche, a differenza degli stregoni, che possono praticare riti volti a nuocere alle persone. (Nella cultura di Credo Mutwa questa distinzione non esiste e le funzioni sciamaniche e stregonesche possono essere incarnate dallo stesso individuo.) Fra le prove di iniziazione a cui Bernardo dovette sottoporsi, ci fu quella di stendersi su un tappeto cosparso di miele e brulicante di grosse formiche carnivore che, ovviamente, lo morsero fino a ridurlo in lacrime. Al termine della prova, aveva tutto il corpo gonfio, compresi pene e testicoli. L’obiettivo era quello di verificare la sua resistenza al dolore.

Bernardo fu per la madre un duplice motivo di orgoglio. In primo luogo, la donna considerò una benedizione aver partorito un figlio destinato a diventare uno sciamano, e non smise mai di ringraziare il Grande Spirito per il privilegio concessole. In secondo luogo, considerava una fortuna il fatto che Bernardo fosse per metà bianco, poiché la sua gente credeva che un giorno gli uomini bianchi sarebbero giunti a rispettare gli indigeni e le loro tradizioni.

[…]


Bernardo, gli UFO e gli ikuyas

Bernardo spiega che, fra la sua gente, l’invisibile può diventare visibile e gli enti che risiedono nel regno dello spirito possono assumere forma fisica e apparire agli esseri umani. È solo grazie a queste incarnazioni che ci è possibile percepire e comprendere il Grande Spirito. Da bambino, Bernardo sentì gli anziani della tribù parlare di piccoli uomini provenienti da un altro regno e chiamati curipiras. Facevano parte del loro popolo anche gli ikuyas, spiriti che possono apparire nel nostro mondo sotto sembianze umane. Il termine ikuya era considerato talmente sacro che lo si poteva pronunciare solo in presenza di persone di fiducia.

Dalle sue descrizioni, gli ikuyas sembrerebbero molto simili ai piccoli alieni grigi incontrati dagli esperienti delle società occidentali. Ma Bernardo, come anche Credo Mutwa, distingue gli uni dagli altri e ha poca stima dei secondi, che tendono a portare scompiglio e sono meno evoluti degli ikuyas. Gli alieni grigi sono i responsabili della fecondazione delle donne umane e della creazione degli ibridi, e incontrarli può essere un’esperienza molto traumatica. A suo parere, tuttavia, anche queste creature possono tramutarsi in esseri di luce. Per converso, come abbiamo visto nel capitolo precedente, gli ikuyas possono manifestarsi sotto forma di animali.

Nel maggio del 1998 invitai Bernardo Peixoto a partecipare alla conferenza Star Wisdom del PEER, che vedeva riuniti scienziati occidentali, guaritori indigeni, ufologi ed esperienti. La sera prima della conferenza, io e Bernardo eravamo a cena con alcuni esperienti americani. Notai che parlò poco e mi parve piuttosto nervoso. In seguito, mi confermò che la presenza di tutti quei rapiti lo aveva messo in grande agitazione, riportandogli alla memoria uno dei suoi incontri e il timore dell’ignoto che quell’esperienza gli aveva ispirato. Il giorno seguente, durante il mio intervento alla conferenza, Bernardo mi vide attorniato da un alone luminoso e capì che “loro” erano presenti. Il giorno successivo ci intrattenemmo a parlare per cinque ore.

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[…]

John Mack

Spiegò innanzitutto che nella sua terra d’origine gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati sono piuttosto frequenti. A volte gli UFO sono silenziosi, altre volte la loro apparizione è accompagnata da un ronzio o da un rombo acuto e insistente. Molti sciamani affermano di aver parlato con entità provenienti dal cielo e circola voce che delle strane donne conducano le persone nei boschi per mostrare loro i punti in cui crescono piante dotate di virtù particolari. Lo stesso Bernardo ha visto con i propri occhi grandi sfere di luce blu sfrecciare nel cielo o fluttuare lentamente sulla superficie dell’acqua o sopra le cime degli alberi. Emanano una luce talmente intensa che le ragazze preferiscono non fare il bagno nude di notte, per paura di essere sorprese da quel chiarore. La gente del posto crede che quelle luci siano spiriti della foresta e si dice che nel punto in cui confluiscono il Río Negro e il Río delle Amazzoni ci sia una radura con una profonda cavità dalla quale emergono le sfere di luce.

Non appena prese a raccontarmi del suo incontro con gli umanoidi, Bernardo cominciò a sentirsi inquieto e dovette stringermi la mano per sentirsi “connesso”. Varie figure, disse, non troppo alte, ma con le braccia particolarmente lunghe e con indosso vesti luccicanti, apparvero all’improvviso sull’altra sponda del fiume Irunduba. Sembravano circondate da un’aura o da una capsula di luce purissima, che le isolava dall’ambiente circostante. I loro corpi, tuttavia, avevano una loro consistenza fisica e pareva che si muovessero al rallentatore, cosa che lo spaventò molto. Avevano un colorito grigiastro e il viso di forma triangolare, con il mento a punta, “come le lucertole”. Gli occhi erano “davvero enormi”, neri e leggermente inclinati, e sembravano in grado di vedere nel buio. Bernardo non riuscì a distinguere chiaramente la forma del naso e della bocca, che dovevano essere di dimensioni ridotte. Malgrado il loro aspetto “strano”, non sembravano “aggressivi”.

Gli parve che uno degli umanoidi svolgesse la funzione di “esploratore”, un altro quella di “ingegnere” e che un terzo fosse interessato a stabilire un contatto con lui. “Era quello predisposto a trasmettere messaggi e, quando allungò le braccia verso di me, sentii una forza d’attrazione indescrivibile”. In uno stato di torpore, Bernardo cominciò a guadare il fiume per raggiungerli. Arrivato sulla sponda opposta, li seguì nel cuore della foresta. Aveva al collo la sua macchina fotografica, quasi fosse un turista in gita.

Bernardo domandò alle creature da dove venissero e la loro risposta lo lasciò interdetto: “Non veniamo da nessun luogo”, gli dissero. E lui pensò che se non provenivano da un qualche luogo, doveva essere “perché erano ovunque”. A questo pensiero, gli parve che “un milione di molecole si disintegrassero” dentro di lui, come a dimostrazione che “anche noi non veniamo da nessun luogo”. A preoccuparlo, inoltre, era la credenza tribale secondo cui il suo popolo discendeva da creature umanoidi provenienti dalle stelle. Ma queste entità, che erano al tempo stesso dappertutto e in nessun luogo, non sembravano avere molto a che spartire con gli “uomini delle stelle” [nel senso dei membri della tribù degli Uru-Eu-Wau-Wau, che significa letteralmente appunto “uomini delle stelle”, ndr].

Nel corso del tempo, Bernardo andò scoprendo che gli ikuyas erano messaggeri diretti del Grande Spirito, inviati fra gli uomini per permetterci di “entrare in contatto con un’energia altrimenti troppo potente per noi”. Ci appaiono sotto forma di umanoidi perché “i grandi spiriti sanno che siamo in grado di comprendere le cose solo attraverso la forma esteriore”. E si convinse che ogni cultura ha i suoi messaggeri e i suoi intermediari, necessari a mettere in collegamento gli esseri umani con le energie divine. Dopo questo incontro, Bernardo cominciò a sospettare che l’idea di entità provenienti dalle stelle fosse per lo più metaforica, e questa scoperta ebbe gravi ripercussioni sulla sua concezione del mondo. “Ora sono confuso”, mi confidò. “Ho tante porte chiuse davanti a me, che attendono di essere aperte, e non so cosa troverò oltre la soglia. Nessun luogo… Ma come si può spiegare il niente? Non c’è modo di farlo.”

Dopo l’incontro con gli umanoidi, Bernardo ricorda di aver passato molte ore nella foresta, stanco, disorientato e zuppo fino alle ossa, dato che nel frattempo aveva cominciato a piovere. Pur non sapendo esattamente dove fosse, riuscì in qualche modo a ritrovare il fiume, lo attraversò e infine, alle 11:00 di sera, fece ritorno alla sua capanna.

Gli anziani del villaggio non si stupirono quando udirono la sua storia: “Si chiamano ikuyas e anche noi a volte ci parliamo”, gli dissero. Sapevano da sempre della loro esistenza e affermavano che da millenni quelle creature si prendevano cura di loro. Per dimostrarglielo, lo condussero in una grotta sacra. All’interno era buio ma, al lume delle torce, Bernardo poté vedere graffiti risalenti a centinaia se non migliaia di anni prima, che rappresentavano figure molto simili agli ikuyas. “Si manifestano in forme diverse”, gli spiegarono, “come nel caso delle sfere di luce blu che fluttuano sopra la foresta”. Neanche sua moglie, che è di origine peruviana, rimase sorpresa dal racconto: quelle entità, infatti, erano ben note sugli altopiani del Perù. Al termine del nostro colloquio, ebbi l’impressione che Bernardo avesse vissuto altre esperienze con gli “umanoidi” e che non fosse ancora pronto per parlarne. Ad ogni modo mi disse: “Non so se li rivedrò stanotte, domani o fra due mesi, ma non appena succederà verrò a dirglielo”.

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Fra due prospettive: giungere all’unità

Per Bernardo non è stato semplice conciliare la sua identità indigena e sciamanica con i suoi studi occidentali. “Non riesco a trovare punti di contatto fra le due cose”, mi disse nel corso del nostro lungo colloquio. Questo dissidio, divenuto ancora più inconciliabile dopo il suo incontro con gli ikuyas, si approfondì ulteriormente con la nostra analisi dell’accaduto. In quanto sciamano, Bernardo era sicuro di sé e delle proprie pratiche curative e si sentiva a suo agio nel trattare con spiriti familiari tanto a lui quanto alla sua comunità. Le sue vaste conoscenze linguistiche gli permettevano di operare come uomo di medicina fra popolazioni diverse e la sua leggendaria provenienza dal popolo delle stelle trovava fondamento in una tradizione ben radicata nella sua tribù, mettendolo a confronto con entità concrete, provviste di forme a lui note.

L’incontro con gli ikuyas assestò un duro colpo alla sua visione del mondo, lo spaventò e lo condusse ai confini dell’ignoto. Rivolgendosi a me, sperava che potessi aiutarlo a comprendere le molteplici implicazioni di quell’esperienza e a ricomporre la sua identità frantumata. La comunità indigena aveva accettato senza troppa fatica la storia dei suoi incontri. “Nessuno nella mia tribù ha avuto a che ridire”, mi raccontò. La sua gente, infatti, era abituata a interagire quotidianamente con entità invisibili, quantomeno a noi occidentali. Ma i suoi parenti bianchi, di origine europea, reagirono al suo racconto irridendolo. Sua nuora, ad esempio, prese a chiamarlo “il mio genero alieno”. “Non mi piace essere preso in giro”, mi disse. D’altro canto, quando si “calava nei loro panni”, quell’esperienza appariva anche a lui “anomala”, al punto che arrivò a dirmi: “A volte mi chiedo se non stia impazzendo”.

L’incontro in riva al fiume sollevò interrogativi complessi e di non facile soluzione. In un mondo fatto di luoghi, immagini e forme concrete, l’idea di discendere da creature provenienti dalle stelle non generava particolari difficoltà. Ma come avrebbe potuto spiegare al suo popolo il concetto di entità che esistono ovunque e in nessun luogo e dalle quali forse noi tutti discendiamo? Senza contare che la loro esistenza sembrava svolgersi al di là di ogni idea di tempo e di distanza. Si trattava di questioni alle quali neanche le sue letture in ambito fisico avevano saputo dare risposta. Bernardo, inoltre, era turbato dai poteri acquisiti in seguito al suo incontro, che non avevano nulla a che fare con la sua esperienza sciamanica. Per giunta, il suo corpo era attraversato da energie nuove e tumultuose, mai sperimentate prima. “Mi sento carico di un’energia eccessiva, come un guscio che sta per esplodere”, mi disse.

Per consentirgli di colmare la divisione interna che lo lacerava e di assegnare il giusto significato al suo incontro con gli ikuyas, lo sottoposi ad alcuni esercizi di rilassamento che lo indussero in un leggero stato di trance. Bernardo si rivide nei luoghi a lui familiari della foresta amazzonica, in compagnia di sua madre e di altri indigeni. Il suo cuore era diviso fra due mondi e quel conflitto si esprimeva in un lacerante dolore fisico, “perché è nel corpo”, disse, “che risiede l’anima”. Nel suo stato di coscienza alterata, sentì di essere “pura essenza” ed ebbe la sensazione che la morte non esistesse. Proprio come gli ikuyas, riuscì a essere “ovunque e in nessun luogo”. Pur sapendo che non trovava manifestazione nella sua vita quotidiana, il regno percepito in stato di trance gli parve “completamente reale”.

Al termine della seduta, disse: “Mi sento meglio, come se avessi scaricato un accumulo di energia che mi opprimeva il corpo”. Cosa ancora più importante, avvertì un maggiore equilibrio tra la sua identità indigena e la sua ascendenza bianca, e si disse pronto ad “assimilare quell’esperienza straordinaria [il suo incontro con gli ikuyas] nella sua vita quotidiana” e ad “adeguarsi alla nuova realtà”. Era la prima volta, disse, che apriva davvero il suo cuore a qualcuno. Ma la “prossimità dell’ignoto” continuava a ispirargli dei timori. Di fronte all’esistenza di esseri “al di là di ogni possibile comprensione”, venuti dal nulla e presenti ovunque, e dai quali probabilmente tutti noi discendiamo, disse di sentirsi “come un bambino piccolo che non ha ancora imparato bene a camminare”.

Pablo Amaringo, Ayahuasca Chayana

Proteggere la foresta amazzonica e i suoi abitanti: diffondere la profezia

In seguito al suo incontro (o ai suoi incontri), Bernardo si è impegnato attivamente nella difesa del suo popolo e delle terre che gli appartengono. “La gente continua a morire, spazzata via”, dice. La distruzione di Pachamama, la Madre Terra, causata dall’industrializzazione, dagli allevamenti intensivi e dall’ecoturismo, spezza un numero infinito di vite. Gli incendi appiccati dagli allevatori nell’intento di ricavare zone di pascolo si espandono a macchia d’olio, come conseguenza del disboscamento incontrollato. Migliaia di animali vengono macellati ogni giorno senza pietà. Bernardo ha visto centinaia di coccodrilli galleggiare morti nel fiume, uccisi da turisti giapponesi, americani e tedeschi che navigavano armati di fucili con mirini telescopici. Sparano ad animali di ogni specie e poi posano in fotografia con le loro prede. Ma in quanto intermediario fra bianchi e indigeni, Bernardo riconosce di avere un ruolo politico e sociale che oltrepassa i confini della sua comunità. Tutti i suoi sforzi sono tesi ad arrestare la devastazione ambientale, richiamando gli individui alla loro essenziale relazione con il cielo e con la terra e sensibilizzando l’opinione pubblica nazionale e internazionale sui rischi che minacciano la foresta amazzonica.

[…]

Nel 1997, Bernardo affrontò un impervio viaggio, tra una fitta vegetazione e canali difficilmente navigabili, per raggiungere la sperduta tribù dei Krenacroro, che vivevano in pace lungo l’alto corso del fiume. I Krenacroro, a differenza degli Uru-Eu-Wau-Wau, non avevano dimestichezza con il popolo delle stelle e i dischi volanti. Una donna della tribù si era presentata alla sua capanna al termine di un viaggio durato tre giorni e, consegnandogli i piccoli doni che aveva portato in omaggio, gli aveva detto: “Sappiamo che il suo popolo discende dalle stelle. Può venire da noi domani?”. Gli spiegò che, negli ultimi giorni, molti abitanti del villaggio avevano visto oggetti nel cielo, comprese sfere luminose di vario colore, un enorme penebialpa (ovvero, “qualcosa che c’è ma che non si conosce”) e strane creature che sembravano camminare lungo le sponde del fiume senza posare i piedi a terra. Questi fatti avevano seminato il terrore fra la sua gente.

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[…]

Alla fine decise di andare. Un suo conoscente si offrì di accompagnarlo per scattare delle foto e scrivere un reportage, ma Bernardo rifiutò, dicendogli che i Krenacroro non amavano ricevere visite dagli uomini bianchi, e partì da solo. Il viaggio fu lungo e faticoso e lo obbligò ad attraversare il territorio degli Yanomami, famosi per la loro ferocia, ma alla fine giunse a destinazione sano e salvo. Ben ottantatré abitanti del villaggio, fra cui bambini di cinque o sei anni e anziani di età molto avanzata, gli raccontarono suppergiù la stessa storia. “Il tuo popolo sta arrivando”, gli dissero, conoscendo la leggenda degli Uru-Eu-Wau-Wau sugli uomini delle stelle. Credevano che le sfere di luce fossero apus, divinità o spiriti della foresta. Un uomo lo portò in canoa nel punto del fiume in cui aveva visto un penebialpa luminoso, molte volte più grande della sua capanna e con una miriade di “lucciole” posate sul fondo, che sembravano possedere una forza inimmaginabile. L’oggetto gli si era avvicinato e tutt’a un tratto era svanito nel nulla, senza emettere il più piccolo rumore. Colto dal terrore, l’uomo si era nascosto sotto le foglie e non era riuscito a chiudere occhio per tre giorni consecutivi.

Una donna e un bambino gli riferirono di aver visto un uomo che non parlava, con gli occhi grandi come quelli di un “gufo gigante” e la pelle di un colore mai visto. Malgrado la paura, i Krenacroro avevano sentito che quelle creature emanavano amore. Quando Bernardo spiegò loro ciò che sapeva a riguardo, gli abitanti del villaggio sembrarono capire e si sentirono rassicurati. “Li vidi appacificati e so che ora stanno bene. Vivono tranquilli e tutto procede al meglio”, mi disse. Tuttavia, il pensiero che quell’avvistamento potesse essere il primo di una serie di contatti che avrebbero finito per nuocere alla tribù continuò a preoccuparlo nel tempo. Gilberto Macuxi, capo di un’altra tribù, fu contrariato quando apprese del viaggio di Peixoto: “Ora c’è un altro uomo che sa. E il prossimo? Chi potrà essere?”, commentò.

L’incontro con gli ikuyas ha ampliato gli orizzonti di coscienza di Bernardo e lo ha costretto a ripensare i suoi compiti e i suoi obiettivi. Gli ikuyas, dice, sono più vicini al Grande Spirito di quanto non lo siamo noi, sono suoi “messaggeri”, e la loro natura erratica riflette la sua essenza incommensurabile. Come Yahweh nella Bibbia, così anche l’energia del Grande Spirito è troppo alta “per essere colta dagli uomini”, e i messaggeri, come gli angeli della tradizione cristiana, sono mandati sulla Terra per rendercela accessibile. Gli ikuyas vengono a farci visita “perché sanno che stiamo distruggendo la vita su questo pianeta e, amandoci, non vogliono vederci morire”. Vanno e vengono, spiega, si manifestano in forme a noi familiari e, a volte, entrano in contatto con qualcuno, “ma non vogliono costringerci a fare niente”. Come altri apus, così anche gli ikuyas appartengono a un altro livello di realtà e ci fanno dono della loro saggezza, insegnandoci soprattutto a riconoscere il vincolo che ci lega gli uni agli altri e con la Terra. Il loro intento è farci capire che “siamo solo una piccola parte del tutto”.

Pablo Amaringo, Alto Cielo

Bernardo pone in stretta relazione l’arrivo degli ikuyas e la fine della sesta pachacuti, ovvero l’intervallo di cinquecento anni che, secondo una profezia largamente diffusa in Sudamerica, scandisce le epoche dell’umanità, e che sta attualmente volgendo al termine. La nuova epoca in cui stiamo per entrare vedrà la caduta di tutti gli ostacoli che attualmente impediscono il rinnovamento e non conoscerà limiti di tempo e di spazio. “L’aquila e il condor voleranno uno accanto all’altro”, dice Bernardo. Il condor è un uccello del Sud, originario delle Ande; ha uno spirito “ambientalista” e ripulisce il suolo dalle carcasse. L’aquila è originaria del Nord, è una temibile predatrice e, fino a oggi, ha cercato di imporre il suo dominio anche al Sud. Il condor rappresenta la saggezza del Sud e l’aquila la forza del Nord: è giunto il tempo che si alleino e imparino l’uno dall’altra.

Bernardo ha l’impressione che gli occidentali si stiano aprendo sempre più alla conoscenza “dell’altro mondo” e immagina prossimo il crollo delle barriere che separano i popoli, “così che non ci sarà più differenza alcuna tra un uomo indigeno e un medico di Washington”. Ritiene importante che chi ha avuto incontri interdimensionali li condivida con altri esperienti, perché sa quanto può essere doloroso sostenerne il peso in solitudine. Poter parlare con gli altri, sapendo di essere capiti, reca un grande sollievo a chi ha vissuto esperienze difficili. È certo, inoltre, che più gli uomini si allontaneranno dal “grande potere”, più gli ikuyas intensificheranno le loro visite sulla Terra.

Bernardo mi ha detto di aver dedicato tutta la sua vita allo studio delle lingue parlate dalle tante tribù brasiliane. Ma l’incontro con gli ikuyas gli ha fatto capire che “siamo una cosa sola”, non c’è alcuna distinzione fra noi, perché “per chi proviene dal nulla ed è ovunque non esistono distanze, né limiti di spazio e tempo”. E ha aggiunto: “Dovremo imparare ad adattarci a un nuovo livello”, pensando forse a un nuovo ordinamento sociale che potremmo definire “transtribale”. Gli sciamani che come Bernardo Peixoto hanno modificato le loro prospettive dopo l’incontro con gli umanoidi tendono a interpretare il loro ruolo in termini di più ampio respiro e lavorano per trovare punti di contatto fra il sapere tradizionale delle popolazioni indigene e le nuove sfide lanciate dalla società contemporanea. Una volta Bernardo domandò agli ikuyas perché avessero gli occhi così grandi: “Per vedere più di quanto non vediate voi”, gli rispose uno di loro. “Dobbiamo imparare a vedere attraverso i loro occhi”, ci avverte Bernardo.

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