Voci notturne a ponte Sublicio

Trasmesso per la prima volta il 24 settembre 1995, lo sceneggiato televisivo scritto da Pupi Avati e diretto da Fabrizio Laurenti oggi compie ventisei anni. Andiamo a ripercorrerne, per l’occasione, gli elementi esoterici ed occultistici che emergono dalla visione dei cinque episodi che lo compongono.

di Marco Maculotti

“ANNERITO: pianeta che causa la morte. Nelle condizioni di somma magnitudine si produce il fenomeno che gli antichi chiamavano il doppio e che noi sappiamo essere l’egregoro, la materializzazione dell’energia del pensiero che produce fenomeni di ubiquità. Trae vita dal sacrificio, legato ad esso, con scongiuri, misteri, nomi divini e segni sacri. La vittima unta e benedetta sarà condotta prima del sacrificio in un triangolo posto fuori dal luogo, nel quale i costruttori del passaggio saranno ad attenderlo. Il giorno e l’ora astrale idonei al passaggio verranno stabiliti dal computo dell’ora di nascita nella triangolazione con il 24 di Artemis (24 agosto), il 5 di Ares (5 ottobre) e l’8 di Priamo (8 novembre).”

Voci notturne, ep. V (1995)

Qualcuno [1] ha fatto notare che il destino televisivo di Voci notturne, sceneggiato RAI andato in onda a partire dal 24 settembre 1995, ideato e sceneggiato da Pupi Avati e diretto da Fabrizio Laurenti, non è stato molto dissimile da quello di Twin Peaks, la celeberrima serie tv del duo Lynch/Frost che solo qualche anno prima, su Canale5, vide i suoi ascolti scemare di puntata in puntata, non appena svelato il nome dell’assassino della protagonista [2]. D’altronde, riguardo alla scarsa predisposizione al mistero dell’italiano medio (e della famiglia italiana media) degli ultimi decenni, già da tempo si è intuito come il pubblico, in seguito all’abbuffata di prodotti più o meno “esoterici” negli anni ’60 e ’70 (ex multis, Il segno del comando, 1971), sembra aver perso irrimediabilmente il gusto del misterioso e del misterico, come se a un certo punto abbia raggiunto la soglia della saturazione. Lo dimostrerà anche, da lì a un anno, l’uscita un po’ in sordina del terzo film “occulto” dello stesso Avati, quell’Arcano incantatatore (1996) che, pur essendo del tutto all’altezza delle precedenti pellicole del regista ascrivibili al filone del cosiddetto “Gotico Padano”, non riuscirà a bissare il successo di pubblico né de La casa dalle finestre che ridono (1976) né di Zeder (1983).

Se ciò non bastasse, si dica subito che concettualmente Voci notturne rappresentò un esperimento ancora più coraggioso dei precedenti film, sebbene il background di credenze esoteriche (una su tutte, quella sulla sopravvivenza dell’anima al decesso fisico e sull’Aldilà in cui continuerebbe a dimorare; un leitmotiv presente in tutti e tre i titoli sopra menzionati) sia grossomodo lo stesso. Come era già precedentemente accaduto con le necropoli e i “terreni K” di Zeder — e similmente a film degli anni ’70 e ’80 come L’etrusco uccide ancora (Armando Crispino, 1972), Il medaglione insanguinato (Massimo Dallamano, 1975) e Assassinio al cimitero etrusco (Sergio Martino, 1982) — il regista emiliano continua a prendere spunto dalle antiche e sinistre leggende connesse agli ancora poco conosciuti culti ctonî degli Etruschi [3] in epoca preromana. In ciò possiamo vedere un espediente narrativo tipico del filone folk-horror britannico, dove ovviamente le suggestioni utilizzate hanno a che fare con la tradizione celtica [4].


Al centro della misteriosa vicenda vi è infatti il ricordo (che solo ricordo non è) di ancestrali riti sacrificali con vittime umane, officiati dai sacerdoti del culto dal ponte Sublicio, che fu il primo ponte sacro per i Romani, evidentemente continuatori di una tradizione più arcaica, di ecumene etrusca. Il ponte da cui il sacrificio veniva effettuato era stato edificato, secoli prima del dominio romano, in legno senza l’utilizzo dei chiodi (Sublicius significa proprio “che poggia su pali”): peculiarità da connettere forse alla credenza diffusa anticamente, ad es. anche nei paesi celtici, sull’effetto negativo del ferro sugli spiriti dimoranti nell’Altro Mondo. 

Si trattava, dunque, di un rito antichissimo, espressione esteriore di un culto in parte acquatico officiato in epoca romana dal collegio sacerdotale degli Argei: ogni anno le vestali gettavano dal ponte alcuni manichini di vimini, come reminiscenza dei mai dimenticati (e, forse, mai realmente interrotti) sacrifici umani che venivano compiuti nel medesimo luogo in epoca preromana. La vittima veniva precedentemente cosparsa di unguenti e le si faceva ingurgitare una sostanza purificatrice, un estratto di silfio, per separarla dal mondo profano. Il suddetto background storico degli avvenimenti narrati nei cinque episodi che compongono Voci notturne ci viene riferito nel bel mezzo di un dialogo dell’episodio IV: viene pure riportata una testimonianza di Marco Terenzio Varrone, secondo cui le vittime designate (due per volta) venivano annegate nel Tevere, anticamente chiamato Albula.

Fin dai tempi della dominazione etrusca — si rivela in seguito — i costruttori del ponte (pontifex) avevano mantenuto il più stretto riserbo sul segreto iniziatico connesso ai sacrifici rituali, di cui essi erano e — lasciano intendere gli eventi narrati in Voci notturne — sono tuttora gli unici depositari. Da tale confraternita semisegreta derivò successivamente, come viene esplicitato nel IV episodio, quella dei Fratelli Muratori e dei Costruttori delle Cattedrali gotiche. Viene anche detto che i membri della setta, che tra di loro si chiamano alternativamente “custodi del passaggio”, “costruttori del passaggio” e “costruttori del ponte”, si ricordano le rispettive vite passate e si credono immortali, oltre a essere capaci di uccidere pur di mantenere gelosamente i proprî segreti.

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Uno di questi sta proprio nell’utilizzo del silfio: proprio semi di silfio vengono rinvenuti nello stomaco di Giacomo Fiorenza, il ragazzo morto improvvisamente in apertura dell’episodio pilota del serial… peccato solo che la pianta del silfio sia estinta da almeno 1500 anni! Più avanti (ep. IV) viene ad ogni modo rivelato che il suo utilizzo provoca effetti stupefacenti: nella massa cerebrale del giovane Giacomo, infatti, continuano a registrarsi deboli segnali elettrici anche a mesi di distanza dalla sua dipartita.


Fin dal secondo episodio si comprende che Giacomo era entrato in contatto, tramite Emily Sabina Cohen — un’ambigua ragazza americana, seppur di origini ebraiche come lui, che il giovane stava da poco frequentando — con una misteriosa setta denominata “Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originale”, che viene detta avere svariati “uomini dentro molti centri di potere” [5]. È proprio dalla sede di Saint Louis della Società, nel Missouri, che partono le sinistre telefonate con la voce del giovane di cui è già stato ritrovato il cadavere, come se essa provenisse direttamente dall’Oltretomba. Il mistero si infittisce quando gli investigatori realizzano che, chiamando il numero da cui provengono le disperate richieste di aiuto, risponde sempre una segreteria telefonica, che scandisce a chiare sillabe il seguente ammonimento: 

“Non cercate più qui il creatore dell’energia: gli uomini della terra l’hanno cacciato per sempre.”

(ep. III)

Intorno alla Società Teosofica e al misterioso omicidio rituale di Giacomo Fiorenza aleggia inoltre la figura sfuggente di un tale erudito di nome Norberto Sinisgalli, dedito negli anni ’30 e ’40 a studi di carattere esoterico ed occultistico, che pure interessavano la sua ricca e affascinante compagna Maria Valover, la cui nipote Elena è ora anziana e impossibilita a letto nella “Pensione Rosetta” che ospitava Giacomo. Sebbene anche Sinisgalli fosse di origine ebraica, nondimeno corre voce che abbia collaborato con i tedeschi e lucrato sulla deportazione dei suoi corrazziali durante gli anni conclusivi della Seconda guerra mondiale, e che “dopo che sono arrivati gli Alleati, Sinisgalli è scomparso… come se fosse stato risucchiato nel nulla”. Di lui Elena afferma che “sapeva tante cose senza averle studiate, e diceva che bastava ricordarsi quello che si era stati prima… nelle vite precedenti (ep. III). Si vocifera inoltre che portasse sempre, all’asola della giacca, una spilla d’oro a forma di spiga di grano: simbolismo connesso alla metafisica del seme e della spiga su cui erano incentrati, nell’antica Grecia, i Misteri Eleusini.

Sulla singolarità del personaggio di Norberto Sinisgalli e sulla possibile ispirazione, ai fini della genesi della sua figura, ad eventuali personaggi storici realmente esistiti, vari critici hanno avanzato ipotesi eterogenee, la maggior parte delle quali tuttavia sembra letteralmente campata per aria. Quella forse che, tra tutte, risulta la più convincente è a parere di chi scrive quella avanzata da Andrea Scarabelli [6], che mi onora della sua amicizia, durante una conversazione amichevole: a suo parere, Sinisgalli potrebbe essere stato “disegnato” sulla figura del filosofo tradizionalista Julius Evola (che Pupi Avati certo conosce e con tutta probabilità già conosceva al tempo di Voci notturne), personaggio in un certo senso “luciferino” e “prometeico” che, com’è risaputo, durante tutta la sua vita si interessò di dottrine esoteriche (e non della sola teoria, bensì anche della pratica). 

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Altri due indizi che potrebbero corroborare l’ipotesi di Scarabelli sono il presunto (e sedicente [7]) “collaborazionismo” di Evola con i tedeschi e una sorta di gioco di parole contenuto nel cognome della sua collaboratrice Maria vALOVEr: se omettiamo la prima e l’ultima lettera e lo leggiamo al contrario, infatti, lo stupefacente risultato sarà proprio… il cognome del pensatore tradizionalista! (Si potrebbe forse ipotizzare che le rimanenti lettere “VR” siano un’allusione a “UR”, la rivista di studi esoterici a cui Evola collaborò sul finire degli anni ’20?) In aggiunta, se ciò non fosse sufficiente, si potrebbe pensare anche a un rimando alla poetessa e occultista russa Maria de Naglowska, nota praticante di magia sexualis che di Evola fu, per un certo periodo della sua vita, “amante magica”. In tal senso, Maria Valover potrebbe anche essere interpretato come una contrazione di… Maria (E)V(ol)a-lover.

Sebbene Evola non fosse affatto di origine ebraica, non è indifferente il fatto che lo sia nel serial televisivo Sinisgalli, così come lo è Giacomo Fiorenza e la sua famiglia, Emily Sabina Cohen e, con tutta probabilità, un elevato numero di membri della Società nella sua interezza. Ciò potrebbe forse essere connesso, tra le altre cose, alla consuetudine della circoncisione: nel secondo episodio viene citato esplicitamente un passaggio degli Stromata di Clemente Alessandrino in cui ci si riferisce a tale pratica come azione richiesta “per avere accesso ai Misteri Pitagorici”. E nel quinto episodio si parla esplicitamente della circoncisione alla stregua di un “sacrificio alle divinità lunari e della fertilità, come protezione delle forze rigenerative”, o alternativamente di un “corollario al sacrificio e alla purificazione”; e viene citato pure il parere autorevole di sir James Frazer, secondo il quale si riteneva anticamente che tale pratica avrebbe assicurato una futura rinascita, ragion per cui fu praticata da numerosi popoli primitivi.


Veniamo dunque finalmente al “nucleo esoterico” vero e proprio di Voci notturne. Tenendo conto dei tasselli che abbiamo già unito, andiamo con la mente all’appartamento in cui trascina gli ultimi anni della sua esistenza l’ormai anziana Elena Valover, appartamento all’interno della fittizia “Pensione Rosetta” che un tempo l’ava Maria condivideva con il compagno Norberto Sinisgalli. Tra le varie stanze ve n’è una perennemente chiusa a chiave, piena di corone funebri e di mazzi di fiori [8], nonché di giornali accumulati, sui cui necrologi cui sono state cerchiate le date di nascita e di morte (o, come vedremo, di passaggio). L’anziana inquilina afferma sibillinamente che tra le due date esiste un rapporto misterioso (“un giochetto segreto” con cui Maria “chiamava i giorni e i mesi con nomi misteriosi”) e che “aveva cominciato quando ancora c’era Norberto”. Sebbene Sinisgalli sia letteralmente sparito nel nulla al termine della guerra, Elena Valover giura che egli la aiuta tuttora “a fare quei calcoli strani” (ep. IV).

Si scopre dunque che i membri della “Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario”, proseguendo l’antica tradizione etrusca e romana, sono in grado di calcolare alla perfezione quello che Elena Valover definisce il giorno del passaggio: ovvero la data, ricavata tenendo conto del rispettivo tema natale di ogni adepto, in cui la persona che muore può rinascere in un’altra forma, evidentemente più “sottile” e impalpabile della comune esistenza. Questi giorni si possono mettere in relazione, come viene fatto esplicitamente nel quinto episodio, con i Parentalia e i Lemuria, i giorni in cui secondo la tradizione romana si spalancava il Mundus Patet (o Mundus Cereris) e dunque i vivi potevano entrare in comunicazione con gli spiriti dei morti dimoranti nell’Oltremondo. Una volta immolate nelle date corrette — ci viene detto — queste persone non sono più semplici adepti, ma “entrano attraverso la conoscenza in un mondo più vasto, in cui la morte non esiste” (ep. IV). Si tratta insomma di “liberarsi dall’idea del tempo” (ep. IV) e, come viene detto nell’episodio conclusivo sotto forma di rimando ai Misteri Eleusini e alla spilla a forma di spiga di grano che il Sinisgalli soleva portare, di 

morire nel mortaio e rinascere spina di grano mietuto.

(ep. V)

Tuttavia, la testimonianza ultraterrena dell’ormai trapassata Maria Valover (giunta dall’altra parte grazie al rito di passaggio officiato dalla nipote Elena) nella sequenza finale girata nel cimitero lascia intendere che — come nei precedenti film “esoterici” di Pupi Avati e analogamente all’Aldilà di Fulci (1981) — l’Altro Mondo a cui accedono le anime sacrificate secondo i protocolli della Società, lungi dal presentarsi in guisa di locus amoenus e paradisiaco, si rivela al contrario essere un tenebroso luogo di dannazione eterna, un silenzioso limbo di eterna attesa concettualmente prossimo a quella Zona del Crepuscolo tristemente paventata da Tiziano Sclavi in un nota storia a fumetti [9] uscita in nelle edicole italiane qualche anno prima della realizzazione di Voci notturne

“Alcuni membri della setta” — chiosa la Valover — “hanno varcato la soglia proibita, inoltrandosi in percorsi nel buio che conducono al Nulla. Solo alla grande paura di se stessi e alla paura degli altri…”

“Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi… Una terra che ha regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzatili in alcun modo… Noi in questo territorio possiamo solo subire un mistero che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile… Io non so dire se questa sia un pena o un premio, io non so dire nulla… ma so che questo luogo dove sono non deve essere in alcun modo cercato, né in alcun modo trovato…”

(ep. V)

Note:

[1] Raffaele Meale, Voci notturne, su “quinlan.it“, 15 luglio 2019.

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[2] Tra l’altro, il parallelismo tra i due serial non è del tutto peregrino, a partire dal fatto curioso che l’episodio pilota di entrambe si apre con lo zoom su un giovane cadavere avvolto in un telo di plastica, appena ripescato da un bacino idrico — là Laura Palmer che si arena sulla sponda del lago limotrofo a Twin Peaks, qui Giacomo Fiorenza che si incaglia come un manichino di vimini in una secca del Tevere.

[3] Cfr., ad es., Giovanni Feo, Il mondo sotterraneo degli Etruschi, ECIG, Genova 2005.

[4] Cfr. Marco Maculotti, “The Wicker Man”: dal folklore al folk-horror & “Penda’s Fen”: il daimon sacro dell’ ingovernabilità, su “AXISmundi.blog” e il nostro primo albo cartaceo AXIS MUNDI n.1/anno I, LAMMAS – Estate 2021. Speciale FOLK HORROR.

[5] Una suggestione forse debitrice dei racconti del ciclo del King in Yellow di Robert W. Chambers, in particolar modo de Il riparatore di reputazioni, e forse anche di The Guests of the Hodoo Room di Robert E. Howard.

[6] Tra le altre cose, collaboratore della nostra rivista digitale [cfr. Archivio: articoli suddivisi per autore: SCARABELLI, Andrea].

[7] L’accusa venne avanzata a più riprese dai suoi detrattori, e tuttavia sul piano storico e pratico non trovò mai un riscontro effettivo.

[8] Forse un rimando a una celebre scena de La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado, 1971; ma pure, indubbiamente, un rimando all’anima vegetativa.

[9] “Dylan Dog” n.7, La Zona del Crepuscolo, Sergio Bonelli Editore, 1 aprile 1987.

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