Usi rituali e medicinali del Papaver Somniferum

Tradizionalmente, fin dall’antichità, il papavero da oppio è stato utilizzato come rimedio medicinale, dai Misteri Eleusini alla cosiddetta “papagna” delle donne salentine. In questa sede ne ripercorriamo l’uso rituale e i miti ad esso connessi.

di Gianfranco Mele

PAPAVERI E SPIGHE

Alcuni studiosi, nei loro lavori intorno ai significati e al ruolo dei vegetali nell’ambito dei misteri eleusini e del culto demetriaco, ipotizzano una centralità simbolica e rituale al Papaver somniferum escludendo invece la presenza e l’utilizzo di Ergot: è il caso, ad esempio, di Kerényi, che, convinto di una “trascendenza prodotta artificialmente” ad Eleusi, fa riferimento all’oppio come sostanza psicoattiva là assunta, ipotizzandone la presenza nei dolcetti eleusini e/o nel ciceone [1]. Su questo stesso argomento ritorna il Burkert, il quale però, dopo aver scartato l’ipotesi di Hofmann, riprende la tesi del Kerény ma con minor convinzione e molti più dubbi [2]. Non intendo con questo scritto pormi come sostenitore dell’una o dell’altra teoria, quanto evidenziare e ribadire attraverso alcune osservazioni la possibilità, in ogni caso, non solo di un ruolo importante del Papavero nel culto, nel rito e, forse, nella composizione stessa del kykeon, ma anche una stretta correlazione a livello simbolico tra la presenza delle spighe e quella della pianta del papavero.

Come noto, chi non scorge significati più esoterici nella presenza ricorrente delle spighe (sia nell’ambito dell’iconografia legata a Cerere-Demetra, che in quello rituale dei Misteri), tende a considerare (secondo quella che peraltro è l’interpretazione più diffusa), l’importanza effettiva del grano, delle messi, dei cereali nella sfera del culto demetriaco; chi invece ha voluto vedere altri segnali nella presenza di quelle spighe, e in particolare della spiga “mostrata” solennemente in occasione dei rituali misterici, vi scorge un significato legato alla possibile presenza dell’”ospite” Ergot. In ciascuno dei due casi, la contemporanea, ricorrente presenza di spighe e papaveri non sembra rimandare ad ulteriori o diversi collegamenti tra i due vegetali.

Demetra, bassorilievo

Però, la rappresentazione figurativa di Demetra-Cerere con spighe e papaveri in mano può anche essere letta attraverso la stretta associazione delle due piante nel loro habitat: difatti il papavero nasce spesso proprio ai bordi delle coltivazioni di grano, o tra le graminacee spontanee (o comunque e soprattutto, laddove vengono effettuate pesanti arature o vangature). Di questo si accorge ad esempio il De Gubernatis, che collega l’associazione della pianta del Papavero con Cerere, Bonus Eventus e Ubertas proprio alla sua abituale e consueta crescita all’interno dei campi di grano (“nel mezzo del raccolto” scrive l’etnologo torinese, anche se più propriamente è usuale vederlo ai bordi) [3].

Il Fabbri è critico nei confronti del De Gubernatis e ritiene che quest’ultimo abbia confuso il Papaver somniferum (che preferirebbe “terreni più secchi e più aridi”) con il Papaver rhoeas “solitamente visibile nei campi di grano”) [4]. In realtà non solo il Papaver somniferum può crescere nei campi di grano (o meglio ai loro margini), ma è presente nello stesso habitat e tipologia di terreno ove cresce il rhoeas, e spesso lo si vede spuntare su cumuli di terra insieme ad altre Papaveraceae quali appunto il Papaver rhoeas e la Fumaria officinalis. Spunta dai suoi semi resistentissimi al tempo, laddove vengono operate arature e drastici rivoltamenti dei terreni (come accade appunto per le bordure di un campo arato in preparazione della semina del grano, oppure laddove pale meccaniche movimentano e depositano terra in cumuli mista a residui tufacei). Il passo del De Gubernatis è il seguente:

« I Greci rappresentavano Hypnos, il sonno, con la testa coronata di papaveri o con papaveri in mano; allo stesso modo rappresentavano Thanatos, la morte, e Nyx, la notte. Gli effetti sonniferi del papavero sono troppo conosciuti perché tali immagini necessitino di essere spiegate. Si dice che Cerere, disperata per il rapimento di sua figlia, per dimenticare il suo grande dolore, si sia addormentata mangiando papaveri. Il papavero, che di solito cresce nel mezzo del raccolto, diventa facilmente l’attributo della dea del grano; ecco perché vediamo Cerere, Ubertas e Bonus Eventus, incoronati di papaveri. In un mirabile dipinto che faceva parte del Pantheon di Pompei, abbiamo visto una sacerdotessa che teneva in mano papaveri e spighe di grano. I papaveri e le spighe si fondono. Così, nel quinto libro di Erodoto, le spighe prendono il posto dei papaveri di Tarquinio. Trasibulo, tagliando le spighe che sporgono, fa capire a Periandro, con un silenzioso consiglio, che deve uccidere i primi cittadini di Corinto. La spiga e la testa di papavero sono stati paragonati a teste umane. Non solo è stata vista una testa umana nella testa del papavero, ma un’intera città, con le sue mura merlate. La grande quantità dei suoi semi ha fatto pensare a un’intera popolazione. »

[5]

Il Fabbri è talmente critico nei confronti delle affermazioni del De Gubernatis, da contestargli anche il fatto che l’etnologo ottocentesco non riporta fonti a conferma della associazione tra Hypnos, Thanatos etc. con il Papavero [6], quando invece una serie di evidenze anche di tipo iconografico dimostrano che nell’antichità, in area greca e romana, tale associazione era ricorrente [7]. Allo stesso modo, il Fabbri contesta che De Gubernatis non fornisce riferimenti rispetto alla fonte secondo la quale Cerere spezza il digiuno “mangeant des pavots[8]. Detto episodio invece è chiaramente riportato nei Fasti di Ovidio:

« …e la dea, prima di entrare nell’umile capanna, raccoglie dal suolo agreste delicato papavero dalle virtù soporifere. Si dice che nel coglierlo, lo gustò con immemore palato rompendo involontariamente il suo lungo digiuno. »

[9]

Di più, nei Fasti la dea addirittura cura il piccolo Trittolemo con il Papavero:

« ….ma non mangia la santa Cerere, e ti dà, fanciullo, infuso di papaveri che procurano il sonno, da bere con latte tiepido. »

[10]

Per ritornare all’associazione tra papavero e spighe di grano, altro elemento è nel fatto che il papavero matura parallelamente al grano. Lo stesso significato attribuito al nome Trittolemo [11] (Τριπτόλεμος) come derivante da “τρίπολος“ (colui che ara tre volte) potrebbe aver relazione non solo e semplicemente con l’arte dell’agricoltura (dono della Dea al fanciullo e all’umanità per tramite del fanciullo stesso) ma anche con la comparsa e la crescita, ancora una volta, del papavero, le cui condizioni ideali sono appunto il drastico e ripetuto rivoltamento della terra che ospita i suoi semi. 

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UN KYKEON SALENTINO

In un recente documentario di Christian Manno, una donna salentina “nel giorno del Corpus Domini” (che ricade tra gli ultimissimi giorni di maggio e la metà di giugno, a seconda degli anni) recide e raccoglie le capsule di “Papagna” insieme agli steli, per la preparazione di un elaboratissimo decotto nel quale sono presenti vari ingredienti (li vedremo appresso) [12]. Dice la donna: “il giorno del Corpus Domini, passa il Signore e benedice tutto, allora tu puoi raccogliere qualsiasi tipo di erba”.

Il nome “Papagna” (in alcune varianti dialettali pronunciato “papania”, “papannia”), probabilmente riferito in origine al decotto, è indifferentemente usato in Salento per designare sia il preparato a base di Papaver somniferum che la pianta stessa. L’etimo, probabilmente e secondo gli studi della Carpitelli, è da ricercare nel composto tra il suffisso latino aneus [13] e il nome-basepap”-“papa [14].

 Scene dal documentario “Papagna” di Christian Manno

Ritornando al documentario di Christian Manno, la donna, nelle scene riprese, prepara il suo jacottu (decotto) mescolando in acqua: capsule e steli di Papaver somniferum, camomilla, finocchio, limone, alloro, bucce d’arancia e di limone, fichi secchi e aggiungendo abbondante quantità di miele a fine cottura. A tutti gli effetti, quindi, una bevanda composita, risultato di mescolanza di vari ingredienti (quale appunto è, anche nel suo significato letterale, il κυκεών). Il documentario è assai interessante perché ben spiega anche la differenza tra il preparato oppiaceo utilizzato come “medicina” dagli adulti, e quello somministrato ai bambini: difatti, in relazione a tali diverse tipologie di assuntori, cambiano drasticamente dosaggi e preparazioni. Mentre per gli adulti vengono utilizzate quantità abbondanti di capsule e steli mescolati in un’unica soluzione con gli ingredienti di cui sopra, ciò che viene somministrato ai bambini per acquietarli o procurar loro il sonno è una mollica di pane appena imbevuta nel decotto a base di Papaver. La mollica veniva modellata tra le mani a forma di piccola palla e avvolta in una pezzuola di lino, dopodiché veniva intinta nel decotto. La forma che prendeva era quella di un succhiotto, che le donne salentine chiamavano pupieddu.


DALLE SACERDOTESSE DI DEMETRA ALLE DONNE SALENTINE

Il papavero da oppio riveste una fondamentale importanza nella tradizione demetriaca e nei relativi misteri (ereditati anche nella tradizione della antica Roma). Ugualmente, nella civiltà dauna (che fiorì nella Puglia settentrionale dal IX al IV secolo a.C.) si ritrovano importanti tracce di una tradizione centrata sull’utilizzo del papavero da oppio, gestito da sacerdotesse-guaritrici:

« I Dauni sicuramente conobbero e valorizzarono ogni proprietà della droga, la cui dipendenza dovette essere sapientemente manovrata dalla casta sacerdotale, riconoscibile nelle stele femminili che ne sfruttò a suo vantaggio il monopolio e la gestione. E forse non solo in senso esoterico e religioso ma anche politico ed economico, dal momento che nelle scene s’individuano categorie sociali e specializzazione dei ruoli. Così i kimbala-papavero, insieme alla veste talare e ad altri elementi, rappresentano lo status-symbol della casta a cui si votavano i monumenti che forse ritraevano una divinità protettrice o la grande sacerdotessa del sistema ierocratico. »

[15]

Nei miti dell’antichità dunque il papavero è onnipresente, ed è associato a storie e raffigurazioni inerenti sia le guarigioni sia l’area sacro-rituale. La “gestione” del farmaco avviene per mano delle sacerdotesse, il papavero è attributo della dea stessa, e assume molteplici significati relazionati alla divinità e al suo culto; inoltre, è sia strumento taumaturgico che divinatorio

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Demetra eredita attributi della più antica Dea Madre e di altre divinità femminili. È, tra le altre cose, protettrice e guaritrice dei bambini e dei giovani. Conoscitrice di rimedi e scongiuri contro i malefici, guarisce sia attraverso le sue competenze “magiche” che attraverso l’uso del papavero. Nel mito raccontato da Ovidio, la dea, come abbiamo già visto, guarisce l’ammalato Trittolemo (il bimbo figlio del re di Eleusi del quale diviene nutrice) somministrandogli il papavero da oppio, del quale lei stessa si è cibata ritualmente interrompendo il suo sacro digiuno. 

Il papavero nel mito demetriaco è strumento-rimedio all’insonnia e al dolore [16], e spesso le capsule vengono offerte dai fedeli a Demetra come ex-voto per la guarigione stessa. Il papavero è perciò legato all’aspetto di Demetra come divinità della salute e della guarigione, e Demetra con Asclepio, dio della medicina, non solo si “contende” tale ruolo, ma condivide anche gli attributi serpentini [17], feste, e iscrizioni nelle quali è esplicitamente menzionata insieme ad Asclepio come divinità salutare [18]. L’oppio veniva impiegato anche nei templi asclepiadei come farmaco di supporto alla pratica dell’incubatio.

Gli studiosi del mito demetriaco rimarcano come il papavero da oppio di Demetra sia da leggere come simbolo della salute a causa delle proprietà terapeutiche della capsula [19]. Negli Inni Orfici Demetra è espressamente citata come dispensatrice di salute, e i suoi due attributi combinati, la spiga e la capsula di papavero, indicherebbero secondo alcune interpretazioni la dea come protettrice della vita (simboleggiata dal frumento) e della salute (simboleggiata dalla capsula di papavero) [20]. In questo ambito dunque, e di sicuro, l’oppio è sacralizzato e utilizzato come medicina, sacra ad una dea e gestita dalle sue sacerdotesse. Questa caratterizzazione sacrale e questo utilizzo a scopi medici, han fatto si che non si verificassero utilizzi impropri e fenomeni d’abuso.

Il corrispettivo romano di Demetra, Cerere, è associato anch’esso al culto del papavero da oppio, caratteristico anche delle varie divinità collegate a Demetra-Cerere. Il culto di Tellus (dea romana della Terra e protettrice della fecondità, dei morti e contro i terremoti) è uno dei più antichi della religione ufficiale romana e si ricollega a quello della Grande Madre. Tellus è Associata e fusa spesso con Cerere. Anche questa divinità è raffigurata come divinità guaritrice, associata al papavero, e nutrice dei bambini.

 Ara Pacis, Tellus

Nonostante la larga diffusione e popolarità dell’oppio in antichità, e il suo largo utilizzo per mano femminile, questa sostanza non fu mai adoperata a scopi voluttuari né si crearono fenomeni d’abuso. Gli antichi romani prendevano decotti di oppio, preparati dalle donne, per svariati problemi: mal di testa, dismenorrea, mal di denti, dolori articolari, ecc ecc. Si trattava di una medicina popolare e di larghissimo impiego, eppure in latino non esiste una parola per indicare l’oppiomane, per il semplice fatto che questa droga non si caratterizzava come sostanza d’abuso.

L’uso terapeutico dell’oppio, gestito dalle donne, si tramanda in Italia nel mondo contadino sino a oltre la prima metà del XX secolo, con la tradizione della cosiddetta “papagna”, utilizzata per far dormire i bambini (o curarli da coliche e altri dolori), ma anche per curare o lenire i dolori degli adulti. Eravamo otto figli… la famiglia era numerosa … mia madre, se pensava a uno, piangeva l’altro, e l’altro…, dice una donna intervistata da C. Manno per spiegare e giustificare il ricorso alla papagna. Un’altra delle donne intervistate, evidenzia come il ricorso al rimedio oppiaceo fosse finalizzato anche a placare fame e povertà: ..o per fame, o perché non avevano niente… insomma piangevano, i bambini: allora, davano loro questa “papagna”, cosiddetto “papàuru”… e si addormentavano!

Conserva qualche traccia di sacralità il ricorso a questo rimedio popolare, nel momento in cui la sua raccolta viene effettuata, a mò di solenne, rinnovato rituale, nel giorno del Corpus Domini come ci spiega la donna che nel documentario coglie le capsule e prepara poi il decotto. Curioso anche il fatto che fino alla prima metà del ‘900 fossero commercializzate nelle farmacie italiane pastiglie a base d’oppio recanti il nome e l’immagine della Madonna, come in una sorta di continuum (e rinnovo e “cristianizzazione”) di quella antica tradizione che attribuiva ad una divinità femminile competenze e identificazione intorno alla pianta del papavero


DROGA POPOLARE MA NON D’ABUSO

Come noto, recenti scoperte archeobotaniche hanno rivelato che l’Italia è il paese nel quale si son ritrovate tracce delle più antiche stazioni di Papaver somniferum, presente un tempo allo stato spontaneo o spontaneizzato [21] in quasi tutta la penisola. Laddove non cresceva spontaneo, era coltivato e facilmente coltivabile. Era dunque una droga diffusissima e estremamente a portata di mano. Eppure non costituì un problema sociale e d’abuso sino addirittura a metà del Novecento.

Perché nell’antichità greca e romana, nonostante un larghissimo impiego, l’oppio non ha dato luogo a fenomeni d’abuso? Ci sono due motivi fondamentali. Il primo, è la sua caratteristica di strumento, a quei tempi, essenzialmente medicinale, nonché la sua sacralità come pianta simbolica e rituale, affidata a gestione e competenze femminili. L’altro, il fatto che queste società avevano costruito, come afferma il Nencini, “un assai sofisticato sfruttamento delle proprietà gratificanti del vino” [22].

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Nella seconda metà dell’Ottocento la dipendenza da oppiacei in Europa e Nord America si espande fortemente, ma ha prevalentemente una eziologia di tipo iatrogeno in questo periodo, e sembra colpisca più le donne che gli uomini. Questo accade sia per le dipendenze da oppio che per quelle da morfina. Si registra un forte uso di queste sostanze da parte femminile, almeno fino alle leggi proibizioniste della prima metà del ‘900, che invertono la tendenza assegnando il primato alla popolazione maschile (forse perché le donne, per una serie di fattori, tendono meno sia a trasgredire che ad assumere farmaci a scopo meramente voluttuario). Fino a prima di allora, difatti, non solo queste sostanze non sono soggette a divieti o stigma, ma sono comunemente utilizzate sia sotto prescrizione medica che a fini di auto-medicazione.

Fonti mediche dell’epoca e storici, ritengono che c’era una prevalenza di consumo femminile di oppio e morfina, dovuta al fatto che si trattava di sostanze largamente utilizzate e prescritte specialmente per trattamenti di alcuni disturbi tipicamente femminili (mestruazioni, disturbi dell’apparato genitale) [23]. Erano insomma gli stessi medici che promuovevano l’uso di tali droghe a fini medicinali e contribuivano a creare una popolazione dipendente. Tuttavia, nell’ambito della classe contadina la gestione delle preparazioni a base d’oppio ha continuato (in Puglia fino ai primi anni ’80) ad essere autonoma (rispetto a prescrizioni mediche), di tipo “artigianale” e sotto forma di raccolta (dai campi in cui il papavero si presentava allo stato spontaneo) o di autoproduzione

Pubblicità pastiglie Alberani a base di “polvere d’oppio”

Note:

[1] Karl Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Adelphi, Milano, 1992, pag. 43

[2] Le posizioni del Burkert e del Kerényii sono riassunte, e in parte condivise, nel testo di Paolo Nencini, Il fiore degli inferi. Papavero da oppio e mondo antico, Muzzio Editore, Roma, 2004, pp. 152-159 

[3] Angelo De Gubernatis, La mythologie des plantes ou les légendes du règne végétal, Paris, Reinwald & C., 1882, p. 283-284

[4] Lorenzo Fabbri,  Angelo De Gubernatis pioniere degli studi di mitologia vegetale in Italia. Esame critico della Mythologie des plantes, in: Studi e Materiali di Storia delle Religioni, 84/1 (2018), Dipartimento di Storia, Cultura, religioni, Univ. Sapienza, Roma, Morcelliana Ed.,  Pag. 314

[5] Angelo De Gubernatis, op. cit., pp. 283-284

[6] Lorenzo Fabbri, op. cit. pag. 313

[7] Cfr. Nicoletta Poli, A proposito del papaver somniferum raffigurato su due monumenti funerari da Aquileia, in: Bruno Callegher (a cura di), “Studia archaeologica Monica Verzár Bass dicata”, EUT Edizioni Università di Trieste, 2015 (West & East Monografie, 1)  pp. 147-153

[8] Testualmente, nell’opera in francese del De Gubernatis

[9] Ovidio, Fasti, Libro IV, vv. 531-534

[10] Ivi, vv. 547-548

[11] Il dio romano Bonus Eventus del quale parla il De Gubernatis, è spesso associato a Trittolemo, e rappresenta la buona fortuna, l’agricoltura, il buon raccolto, la fertilità. Suoi attributi, sono i papaveri e il grano.

[12] Christian Manno, Papagna (documentario) https://www.youtube.com/watch?v=bDu19YrPBb0 

[13] Elisabetta Carpitelli, “Papaveri e papere” Le designazioni del papavero in alcuni dialetti italo-romanzi centrali e meridionali: strutture e motivazioni, in “Rudiae, Ricerche sul mondo classico, Studi in memoria di Ciro santoro, 15, 2003, Congedo Editore, pag. 40

[14] Per ulteriori approfondimenti su questo aspetto: Gianfranco Mele, Il Papaver somniferum e la “papagna”: usi magici e medicamentosi, e rituali correlati dall’antichità al 1900. Dal mito di Demetra alle guaritrici del mondo contadino pugliese, https://www.academia.edu/15228124/Il_Papaver_somniferum_e_la_papagna_usi_magici_e_medicamentosi_e_rituali_correlati_dallantichit%C3%A0_al_1900_Dal_mito_di_Demetra_alle_guaritrici_del_mondo_contadino_pugliese. Da non trascurare però il fatto che esiste un vocabolo greco molto simile a “papagna” o “papania”, Πόπανον, Πόπανα che è riferito a  pani cerimoniali e votivi (torte, focacce) offerti alle divinità, in genere tondi e con un “nodo” o “bottone” al centro. Tali focacce erano caratteristiche del santuario di Demetra e Kore a Corinto, ma anche del santuario demetriaco di monte Papalucio ad Oria (BR): cfr. Milena Primavera, Pani, focacce e taralli: le più antiche evidenze archeologiche nel Salento antico, in L’Idomeneo, n. 20, Dipartimento di Beni Culturali Università del Salento, 2016,  pag. 50. Il pane in antichità viene preparato miscelando farina di cereali ed acqua, con l’aggiunta di ingredienti come sale, latte, semi di papavero, fichi secchi e aromi vari, e il corrispettivo latino di “pappa per bambini” o “pan cotto in acqua per i bambini” è “papa”, “pappa”, “papparium”.

[15] Maria Laura Leone,  Oppio: Papaver somniferum – la pianta sacra ai Dauni delle stele, Bollettino Camuno Studi Preistorici Vol. 28: pp. 57-68 – 1995

[16] Cfr. Rivista Hellenismo, XXXI “I papaveri di Eleusi…” https://www.academia.edu/11521531/Rivista_Hellenismo_-_Trentunesimo_numero 

[17] Il serpente appare spesso accanto a Demetra: simbolo ctonio, e successivamente attributo di Asclepio collegato alla guarigione 

[18] Rivista Hellenismo, XXXI, cit.

[19] P.G. Kritikos, S. G. Papadaki,  The history of the poppy and of opium and their expansion in antiquity in the eastern Mediterranean area – Bulletin of narcotics, UNODC, 2001  https://www.unodc.org/unodc/en/data-and-analysis/bulletin/bulletin_1967-01-01_4_page003.html 

[20] Ibidem

[21] Non entro qui nel merito del dibattito che vede ancora da una parte i sostenitori della derivazione del Papaver somniferum dal setigerum per domesticazione, e dall’altra coloro che evidenziano le differenze cromosomiche tra le due varietà

[22] Paolo Nencini, Abuso di sostanze e differenze di genere nella storia, in MDD Medicina delle Dipendenze, Italian Journal of the Addiction, SITD, n. 16, 2014

[23] Ibidem

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