Il servizio divino dei Greci

L’antica religione ellenica «viveva dell’armonico e reciproco rispondere della realtà e della volontà divina. La fede dell’uomo greco è nel cosmo, nel ritmo ordinato delle stelle; e all’intreccio dei loro moti non può che sovrintendere il dio». La concezione ellenica del Sacro si fonda infatti su una fitta rete di corrispondenze mitico-storico-astrologiche, che consente allo storico delle religioni di considerarla sotto vari aspetti fra loro concatenati: Teogonia, storia esoterica del cosmo e delle stirpi umane, escatologia dei Misteri, sciamanesimo iperboreo.

di Marco Maculotti

originariamente pubblicato su Mediterranea, Italian Sword&Sorcery Books 2018 [ISBN: 9788894323016]
copertina: giulio romano, gli dèi dell’olimpo

«Non v’è mai stato un servizio divino pari a quello greco: per bellezza, sfarzo, varietà e unità esso è unico al mondo e rappresenta uno dei prodotti più alti dello spirito universale» [1]. Nell’antico Egeo, millenni di riti e credenze sacre, in una prima fase “preistorica” pre-indoeuropea (o forse, piuttosto, proto-indoeuropea) [2] e in una seconda fase “storica” indoeuropea [3], si sono stratificati e armonizzati sorprendentemente, al punto che spesso risulta difficile comprendere con esattezza a quale delle due fasi cultu(r)ali essi appartengano. Storie di dèi ed eroi, disseminate su tutto il territorio dell’antica Ellade, col passare dei secoli hanno plasmato un corpus mitologico che non ha meramente il carattere della leggenda e del folklore, essendo anche fortemente impregnato di corrispondenze esoteriche ed astrologiche.

L’antica religione ellenica «viveva dell’armonico e reciproco rispondere della realtà e della volontà divina. La fede dell’uomo greco è nel cosmo, nel ritmo ordinato delle stelle; e all’intreccio dei loro moti non può che sovrintendere il dio» [4]. La concezione ellenica del Sacro, che a partire dal VIII secolo a.C. si sarebbe riversata nelle maggiori correnti filosofico-esoteriche del tempo [5], lungi dal poter essere interpretata come una “religione” strictu sensu [6], si fonda infatti su una fitta rete di corrispondenze mitico-storico-astrologiche, che consente allo storico delle religioni di considerarla sotto vari aspetti fra loro concatenati: Teogonia, storia esoterica del cosmo e delle stirpi umane (dottrina delle età esiodee [7]), escatologia dei Misteri, sciamanesimo iperboreo [8].

«La Teogonia esiodea sembra riflettere la dottrina teogonica dei sacerdoti di Apollo delfico. In origine sarebbe stato il Χάος, il “vuoto primordiale” e poi Γαῖα, la Terra, ed Ἔρως o amore, come attrazione reciproca e principio di unione ed armonia» [9]. La prima fase della Teogonia vede la sola esistenza di Chaos (Abisso) e Gaia, la Mater-ia, da cui ogni cosa viene in esistenza, prime tra tutte le potenze numinose del mondo della Natura. In questo scenario entropico di cosmo primordiale, Eros Protogonos funge da forza attrattiva, la cui funzione è di attirare i simili e respingere i contrari. Così l’emanazione delle divinità e la «suddivisione delle funzioni divine» fra di esse ha inizio, e con essa il «Gioco Cosmico» [10]. A questa prima fase teogonica corrisponde, nell’epopea dell’umanità, l’epoca remota delle Grandi Dee Madri [11], «Signore delle Animali» e dee lunari [12], nonché le dee del grano dei Misteri Eleusini [13].

La seconda fase della Teogonia si sviluppa in tre cicli caratterizzati da reggitori divini: si tratta di divinità maschili e uranico-celesti, connesse alla fase storica delle grandi invasioni dei popoli indoeuropei, ragion per cui sovente i nessi funzionali con le divinità di altre culture indoeuropee [14] sono evidenti. Se la fase precedente presentava una visione del sacro di tipo «orizzontale» [15], questa seconda si distingue invece per la sua «verticalità»: non più tanto le forze della Natura e della Terra, bensì quelle dei Cieli e del Cosmo vengono riverite. Il primo dei tre sovrani celesti fu Urano [16], dio primordiale che governava quando il continuum spazio-temporale non sussisteva e il cielo e la terra erano ancora avvinti — la loro divisione avvenendo solo con l’evirazione da parte del figlio Kronos [17] che in tal modo, avviando il divenire (Chronos), lo detronizzò. L’episodio rappresenta una versione particolarmente cruenta del mito arcaico di separazione del Cielo e della Terra. Come terzo governò Zeus [18], che ottenne la sovranità precipitando il padre Kronos nel Tartaro, in compagnia della sua progenie titanica, o in qualche altra regione atemporale [19].

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Le guerre di Zeus e degli dèi olimpici contro le potenze ribelli si svolgono a loro volta in tre fasi: Titanomachia, Gigantomachia e battaglia finale con Tifone. Le descrizioni di tali scontri producono l’impressione di una regressione allo stato pre-cosmogonico: il trionfo definitivo di Zeus, nonostante le “macchinazioni” di Gaia, divinità primordiale, equivale alla creazione di un nuovo cosmo. Seguono numerose ierogamie di Zeus con varie divinità femminili [20]. Come rileva Eliade [21], «il significato di questi numerosi matrimoni e delle molte avventure erotiche è allo stesso tempo religioso e politico. Con l’appropriarsi delle dee locali pre-elleniche, venerate da tempi immemorabili, Zeus le sostituisce e, così facendo, avvia il processo di simbiosi e di unificazione che fornirà alla religione il suo carattere specifico».

Si ha qui da notare, come ben sottolinea D’Anna [22], che «i tre cicli divini hanno una temporalità diversa, esprimono qualità cosmiche non omogenee che rendono ogni ciclo completo e conchiuso in se stesso, non assimilabile in alcun modo agli altri, ricco di una propria specificità spirituale. […] a Uranos corrisponde un universo indistinto; a Kronos un cosmo armonico e perfetto con un tempo immoto e un “antico” sole; a Zeus una nuova carta celeste “segnata” dalle 12 stazioni che l’attuale sole tocca nella sua corsa sull’eclittica. Tre spazi cosmici e tre cicli temporali corrispondenti». È chiaro che qui non si tratta semplicemente di leggende o ricordi evemeristici riguardanti antichi sovrani terrestri, essendo tale aspetto da leggersi insieme alla dottrina greca delle età e dei cicli cosmici [23]. Come scrive la Philippson [24], «tre miti d’inganno e controinganno sono inseriti in questa linea in tre punti che si succedono nel suo corso in modo ritmico, e precisamente sempre in occasione della minaccia di perdere la dignità sovrana». Indubbiamente, una sapienza di tipo astrologico-sacrale ha influenzato non poco la genesi di questi miti.

Vi è qui da rimarcare con Reinhardt [25] come il concetto di kósmos debba intendersi nel suo significato arcaico, secondo cui «non significa né il mondo né la sua struttura, ma un determinato stato, una fase del mondo, in confronto ad altri kósmoi, altre fasi precedenti e future». Ogni ciclo è dunque, sebbene interconnesso  ai precedenti e ai successivi come perle inanellate su un filo invisibile, ontologicamente diverso dagli altri, completo in sé stesso. Nello iato intercorrente fra un ciclo e il successivo si verifica una «Guerra Cosmica» in cui il cosmo viene distrutto per poi essere ricreato dal nuovo reggente [26]. Siamo nello stesso ambito delle «Guerre Celesti» tra Deva e Asura della tradizione indiana, o fra Asi e Vani in quella nordica.

Zeus si distingue dai precedenti sovrani celesti soprattutto per il suo ruolo di ordinatore: lungi dal farsi nemici tutti gli dèi che lo precedettero, di molti ne riconosce l’autorità, stringendo con essi alleanze propizie. Zeus si distingue inoltre dal padre per il possesso del Nous, «mente infallibile», che si contrappone alla «mente contorta» di Kronos [27]. Nell’idea di Zeus sono comprese «la forza, la potenza, la mente più profonda, l’eterna legge e la solida fusione dell’intero cosmo» [28]. Per questo, le sacerdotesse dell’oracolo di Dodona cantavano: «Zeus era, Zeus è, Zeus sarà!» [29].

Altre divinità che conosciamo come «olimpiche» risentono palesemente di influssi pre-indoeuropei, apparendo sovente connesse a concezioni sacre di tipo «afroditico» o «demetrico» [30] proprie della fase culturale più arcaica: ad es. Poseidone (lett.: «Sposo della Terra»), che prima di ottenere il dominio sui mari dovette essere una divinità ctonia similare ad Ade/Dis Pater [31]. O ancora Efesto, dio demiurgo che presenta al tempo stesso le caratteristiche dello sciamano [32] e del fabbro [33]. Lo stesso Hermes, nume dell’intelletto e dell’astuzia, delle strade e del commercio, dovette sovrapporsi a una divinità ben più antica, ora della fertilità [34], ora del mondo infero e dei misteri sciamanici [35]. Persino Zeus e Apollo, divinità uraniche ed indoeuropee per antonomasia, presentano nei miti caratteristiche apparentemente contraddittorie che risentono di influssi arcaici [36]. Gli dèi greci appaiono dunque come forme ‘fluttuanti’, dai caratteri non definiti in modo granitico una volta per tutte: essi si adattano alle diverse sensibilità e concezioni del Sacro delle civiltà che si succedettero nell’antico Mediterraneo, cosicché studiando le loro ‘evoluzioni’ diventa possibile anche farsi un’idea della Weltanschauung dei vari flussi civilizzatori che segnarono le diverse epoche.

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E in diverse epoche gli antichi greci suddivisero pure la storia esoterica del mondo. La dottrina delle età esiodee, ripresa tra gli altri da Ovidio e Virgilio, si fondava non su una concezione evolutiva-ascendente, bensì involutiva-discendente, di progressivo allontanamento da una perfezione primigenia, perduta in seguito a una repentina «caduta» avvenuta in illo tempore: qui sta il «dramma cosmico» dell’uomo. Così, se in origine un’umanità perfetta e non ancora suddivisa nei due sessi condivideva la beatitudine degli dèi, insieme ai quali era solita banchettare, sotto l’egida di Saturno/Kronos [37], già a partire dall’Età dell’Argento, con la quale si fa iniziare il dominio di Zeus, si assiste alla creazione di successive umanità, ontologicamente ben differenti da quella primordiale. La razza argentea è probabilmente una reminiscenza dell’epoca delle Grandi Dee Madri, mentre quella bronzea, caratterizzata da una hybris e da una ferocia senza pari che si esplica soprattutto in ambito bellico, sarebbe grossomodo connessa a quella che parimenti, nella storia delle civiltà che si studia nelle scuole, viene ugualmente denominata «età del bronzo», sebbene talune dottrine esoteriche ritengono la razza bronzea una denominazione per gli Atlantidei.

In questo quadro di cicli cosmici, qual è il ruolo del singolo, soprattutto in un’epoca così oscura come questa età del ferro? Culianu [38] ha dimostrato egregiamente come dietro alle massime concezioni greche tardo-antiche riguardo all’uomo e al suo posto nel cosmo si intravedano frammenti di uno sciamanesimo iperboreo, connesso alla figura divina di Apollo, il migliore (àristos) fra tutti gli dèi. Così, le esperienze mistiche di catabasi del tipo di Orfeo e l’intera dottrina degli Orfici, nonché quella dei Pitagorici prima e dei Platonici e Neoplatonici poi, sarebbero reminiscenze di una Sapienza Sacra estremamente arcaica, ora quasi del tutto perduta.

E «reminescenza» è davvero un termine chiave nella concezione ellenica: l’idea centrale è che «conoscere» sia uguale a «ricordare». La dea Mnemosine [39], per dirla con Colli [40], «ci insegna che l’origine di tutti i ricordi — là dove il tempo non è ancora cominciato — è quello appunto che si deve recuperare. Tale è l’insegnamento misterico, tutto il tempo che bisogna attraversare all’indietro per raggiungere il senza tempo, tutte le generazioni di dèi e di uomini, tutti i miti narrati da Orfeo, non sono altro se non giuochi di apparenza». Qui sta, in poche parole, il servizio divino dei Greci.


NOTE:

[1] Così l’incipit di Der Gottesdienst der Griechen (ed. it. Il servizio divino dei Greci. Adelphi, Milano, 2012) di F. Nietzsche.

[2] Traci, Pelasgi, Minoici, ecc.

[3] Micenei, Achei, Dori.

[4] D. del Corno, introduzione a Plutarco, Dialoghi delfici. Adelphi, Milano, 2012, p. 16.

[5] Orfismo, pitagorismo, platonismo e neo-platonismo.

[6] Vale a dire nel senso dei monoteismi di provenienza medio-orientale.

[7] Esiodo, Le Opere e i Giorni, VIII sec. a.C.

[8] I maggiori filosofi della Grecia antica furono tutti iatromanti, vale a dire sciamani “emanazioni” (o, per dirla in maniera induista, Avatara) di Apollo Iperboreo. A riguardo, cfr. I.P. Culianu, I viaggi dell’anima. Mondadori, Milano, 1991, cap. VIII.

[9] I. Ramelli e C. del Grande, “Teogonia” in Enciclopedia filosofica vol. 11. Bompiani, Milano, 2006, p. 11416.

[10] Equivalente al concetto induista di līlā. Così Eraclito, custode di antichissime tradizioni primigenie, poté sentenziare che (fr. 52) «Aion è un fanciullo che gioca spostando i pezzi sulla scacchiera: a un fanciullo appartiene il potere sovrano».

[11] Gea, Rea, Era.

[12] Cibele, Ecate, Artemide.

[13] Demetra e Kore/Persefone.

[14] Come ad es. quella induista/vedica, con la quale metteremo brevemente in evidenza di volta in volta le corrispondenze. Sull’analisi comparata delle religioni indoeuropee, si cfr. l’opera di G. Dumézil. 

[15] Matriarcato, comunione dei consociati e degli animali intorno a una Grande Dea Madre, alla quale si accompagna un paredro maschile al tempo stesso figlio e sposo della Dea. A riguardo, cfr. l’opera di M. Gimbutas.

[16] Similare al Varuna vedico.

[17] Per la sua funzione di eroe civilizzatore e regnante dell’età dell’origine (come il Saturno romano) da una parte, e per quella di dio del tempo (e quindi della morte) dall’altra, Kronos presenta notevoli punti di contatto con Yama.

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[18] Omologo di Indra nella tradizione dei Veda.

[19] Le «Isole dei Beati» o Ogigia, «ombelico del mare», dove secondo la leggenda l’antico sovrano dell’età aurea giace in stato comatoso all’interno di una caverna dorata. A riguardo cfr. M. Maculotti, Apollo/Kronos in esilio: Ogigia, il Drago, la “caduta”, AXIS mundi, 10 aprile 2017.

[20] Metis, Mnemosine, Demetra, Latona, ecc.

[21] M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I. Sansoni, Firenze, 1979, p. 275.

[22] N. D’Anna, Il gioco cosmico. Tempo ed eternità nell’antica Grecia. Mediterranee, Roma, 2006, pp. 27 – 28.

[23] Che ricorda quella indiana dei quattro Yuga. Per uno studio sulle corrispondenze fra le varie dottrine dei cicli, cfr. G. Georgél, Le quatre âges de l’humanité. Arché, Milano, 1975 (ed. it. Le quattro età dell’umanità. Il Cerchio, Rimini, 1982).

[24] P. Philippson, Untersuchungen über den griechischen Mythos. Rhein Verlag, Zürich, 1944 (ed. it. Origini e forme del mito greco. Boringhieri, Torino, 1983, p. 48).

[25] Cit. in Philippson, op. cit., p. 57.

[26] Si tratta del tema della «regressione al Chaos» e al pre-formale, una regresso ad uterum cosmica similare alla «Notte di Brahmā» susseguente il Pralaya nella dottrina induista (Pachakuti in quella andina).

[27] E di altre figure titaniche, ad es. Prometeo.

[28] P. Philippson, op. cit., p. 60. 

[29] A questa forma ontologica di «Essere», Parmenide contrappose quella caratteristica dell’Essere atemporale (Urano o Kronos prima della «caduta», vale a dire Aion), di cui afferma (fr. 8,5): «Esso non era mai, né sarà, anzi è adesso insieme come totalità».

[30] Intendiamo tali definizioni secondo l’esempio di J.J. Bachofen. Cfr. Das Mutterrecht: eine Untersuchung über die Gynaikokratie der alten Welt nach ihrer religiösen und rechtlichen Natur. Krais & Hoffmann, Stuttgart, 1861 (ed. it. Le Madri e la virilità olimpica. Storia segreta dell’antico mondo mediterraneo. A cura di J. Evola, Mediterranee, Roma, 2010).

[31] O anche, in una fase forse ancora più arcaica, all’Erlik Khan mongolo-siberiano: ad Erlik come a Poseidone sono considerati sacri i cavalli, animale psicopompo che nella tradizione sciamanica eurasiatica conduce l’orante in stato di trance sciamanica presso il «Signore degli Inferi».

[32] Cfr. la «padronanza sul fuoco», il «potere di legare e sciogliere» e la mutilazione fisica.

[33] Anticamente la metallurgia dovette essere indelebilmente connessa a un certo tipo di Misteri propri delle confraternite iniziatiche di costruttori, che forse ebbero il proprio centro sull’isola di Samotracia, nota per i Misteri dei Kabiri, connessi a loro volta alla figura pre-indoeuropea della Dea Madre Cibele. Su ciò, cfr. M. Eliade, Arti del metallo e alchimia. Bollati Boringhieri, Torino, 1980, e K. Kerényi, Miti e misteri. Einaudi, Torino, 1950, cap. “I Misteri dei Kabiri”.

[34] Cfr. il carattere itifallico, che lo connette al Priapo romano e all’adorazione in India dello Shiva lingam.

[35] Cfr. la sua funzione di psicopompo, il caduceo e il cappello dell’invisibilità, tipici oggetti magici che lo avvicinano al Wotan/Odhinn della tradizione norreno-germanica.

[36] Su Apollo come divinità oscura e terrifica, cfr. M. Detienne, Apollon le couteau à la main. Gallimard, Paris, 1998 (ed. it. Apollo con il coltello in mano. Adelphi, Milano, 2002) e G. Colli, La sapienza greca I. Adelphi, Milano, 1990, introduzione, pp. 26 – 27.

[37] Saturno/Kronos si presenta come il Basileus primigenio, essendo Urano una potenza numinosa al di fuori del tempo e dello spazio. Saturno è il Re divino dell’Età dell’Oro. Si cfr. la denominazione indiana di Satya Yuga per l’età primordiale e aurea, laddove il radicale sanscrito *sat– esprime «verità», «purezza», nonché l’Essere nel suo aspetto indiviso e primigenio.

[38] I.P. Culianu, op. cit.

[39] La fonte di Mnemosine trova un corrispettivo nella tradizione nordica nella «fonte di Mímir», presso la quale Odhinn/Wotan conquista la conoscenza sacrificando un occhio. Significando Mímir «memoria», ne deriva che «conoscere» e «ricordare» erano visti come strettamente connessi. A proposito della fonte di Mímir, scrive M. Polia: «Attingere la verità non è crearla, ma “ricordarsi” di essa, che è da sempre e per sempre. Tale ricordo è la “memoria divina”, il ritrovamento della realtà celata dietro il mondo sensibile […]» (in Le rune divine. I quaderni di Excalibur n. 2, supplemento al n. 1/78 di Excalibur, tip. Nuova Impronta, Roma, 1978).

[40] G. Colli, op. cit., introduzione, p. 41.

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