Italia arcana: l’ipogeo di Piagge e i Misteri Mithraici

A Piagge, nel comune sparso di Terre Roveresche nelle Marche, la recente scoperta di questo ipogeo diventa l’occasione per un viaggio nel simbolismo ermetico. Un luogo straordinario e unico nel suo genere che porta il visitatore a vivere l’atmosfera di antichi riti iniziatici.

di Giovanni Bigazzi

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(tranne laddove specificato altrimenti)

Le Marche, il “bel paese con li dolci colli” così come venivano descritte nel Trecento da Cecco d’Ascoli, sono una delle regioni italiane col più alto indice di ruralità e, forse proprio per questo motivo, più arcane e intonse alle trasformazioni della modernità. Una terra naturale e antica che si caratterizza “per la tipica successione di rilievi collinosi, digradanti dall’interno verso il mare, con lunghi, tortuosi e fertili avvallamenti, e con una dozzina di fiumi che discendono paralleli il loro breve corso insinuandosi fra colle e colle, in solchi pianeggianti, fecondi, e soltanto dove fu d’ostacolo d’altri monti, fatta la breccia, tagli profondi, lunghe gole precipiti, come nel corso dell’Esino la “Rossa”, del Metauro il Furlo, del Tronto l’Arquata”. Una terra geologicamente giovane, bionda e tufacea, che si è prestata nei secoli ad essere modellata dai suoi abitanti, come vediamo nelle decine di rocche difensive medievali che caratterizzano molti di questi borghi sorti sul declivio dei monti o sulle alture collinari dalle quali si possono godere ampie vedute del glauco orizzonte adriatico.

Questo toponimo di Piagge che troviamo anche in altre zone dell’Italia appenninica, come ci suggerisce lo storico ascolano Giulio Amadio nel saggio Toponomastica marchigiana, deriverebbe dal basso latino plagia (pendio, costa di monte), da cui anche l’italiano spiaggia, riferito a quegli ampi spazi posti tra l’abitato e la campagna vera e propria che costituivano luoghi di adunanza popolare per i culti del pagus come in occasione delle paganalie in quello che fu l’Ager Gallicus della Regio VI augustea.

Non è un caso se proprio a Piagge, nel comune di Terre Roveresche (PU), noi troviamo questo straordinario ipogeo, unico nel suo genere, del quale non si ha notizia alcuna prima della sua scoperta ad opera di un architetto del posto che, facendo delle ricerche storiche nella zona, scovò nel 1996 questo spazio sotterraneo adibito a magazzino di insaccati sotto la macelleria del paese. Caratterizzato da un eccezionale stato di conservazione nonostante la friabilità della roccia nel quale è stato scavato, l’ipogeo è aperto al pubblico dal 2016.

Una delle prime cose che colpiscono, dopo aver disceso la ripida scala di tufo che conduce in questo angusto ambiente sotterraneo ed essersi abituati all’oscurità che vi regna, sono i simboli solari impressi sulla roccia calcarea posizionati sopra sei delle sette nicchie laterali e sulla volta a botte della grotta come a rappresentare un cielo stellato. Questo antico simbolo, chiamato anche Fiore della Vita, Rosa Celtica o Sole delle Alpi, rappresenta l’astro solare e la sua potenza creativa, un talismano con funzioni scaramantiche e protettive comune a molte civiltà dell’antichità. Per cui lo troviamo in ambito etrusco nella stele funeraria di Vetulonia, della seconda metà del VII secolo a.C., in cui si vede un principe guerriero che impugna nella destra un’ascia bipenne, mentre con la sinistra regge un enorme scudo tondo sul quale è disegnato il fiore a sei petali.

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Lo troviamo tra i Celti, come nel pannello d’argento chiamato la dea degli elefanti del Calderone di Gundestrup del I secolo a.C. Non è raro imbattercisi nell’Alto Medioevo, presso i Longobardi, che lo adottarono nella loro conversione al cristianesimo come relitto della loro tradizione pagana. Eccolo allora nella superba pieve romanica di Gropina presso Loro Ciuffenna (AR) magnificamente scolpito sul sontuoso ambone longobardo. E andando oltre, in epoca medievale, gli esempi diventano decine: nelle pievi del contado, nei chiostri, nelle decorazioni policrome cosmatesche romane, nelle chiese e nelle abbazie di tutta Italia.

Anche se è possibile che questo luogo fosse stato adibito in epoca medievale ai riti di iniziazione degli ordini cavallereschi, come quello dei templari, è probabile un’origine più antica e riferita all’ampia diffusione in epoca imperiale romana di culti solari orientali come il mitraismo e, successivamente ai decreti di Teodosio che abolivano il paganesimo, alla nascita dei primi culti paleocristiani. È proprio del mitraismo il riunirsi delle comunità di adepti in luoghi che avevano la duplice caratteristica di essere occulti e sotterranei che si chiamavano antrum. Il mitraismo era una religione misterica che traeva origine dal culto del dio persiano della luce celeste Mithra che ebbe una grande diffusione ed uno sviluppo autonomo nel basso impero soprattutto in ambito militare tra i reparti di cavalleria leggera ausiliaria che, reclutati regionalmente, lo introdussero nelle province dell’impero anche molto lontane dalla loro terra di origine, dove si stanziavano per anni, si pensi al mitreo di Londinium (Londra). Nel 175 Marco Aurelio inviò diverse migliaia di Alano-Sarmati in Britannia per combattere i Caledoni al Vallo d’Adriano, successivamente queste unità furono trasferite in Bretagna per sedare i bellicosi e irriducibili Armoricani che si erano rivoltati.

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La tradizione narrativa popolare di questi Sarmati stabilitisi in Europa occidentale come auxiliares delle legioni imperiali costituì il nucleo storico del ciclo arturiano (Littleton, Thomas e Malcor). Gli Alani di Bretagna divennero così l’asse portante della nobiltà bretone e più avanti, insieme ai Normanni, sconfissero i Sassoni nella Battaglia di Hastings nel 1066. Il loro etnonimo riecheggia nella nobiltà inglese nei FitzAlan legati al casato degli Stuart. Questi Sarmati parlavano una lingua iranica di ceppo indoeuropeo affine allo scita. I Greci ed i Romani, che li temevano ma al contempo li ammiravano per il loro valore in battaglia, li canzonavano per il loro buffo modo di parlare che scimmiottavano in bar-bar, dando così origine al termine “barbari“, poi applicato a qualunque popolo estraneo al mondo greco-romano. Da un’iscrizione ritrovata in Crimea pare che i Sarmati venerasseroi sette deiuna pratica attestata anche tra gli Sciti, uno dei quali era il signore della guerra corrispondente al dio romano Marte che, come scriveva lo storico Ammiano Marcellino nel IV secolo, adoravano incarnato nella forma di una spada infissa nella roccia, rituale che sembra coincidere con la nascita di Mithra da una roccia con la daga e la fiaccola. 

Questa orientalizzazione nel II secolo interessò Roma stessa, alae di equites singulares composte da cavalieri celti, germani, pannoni, daci, traci prestavano servizio nella guardia pretoriana trapiantando nell’urbe i loro esotici dei.  Così il mitraismo, che vide tra gli adepti gli imperatori Commodo e Giuliano, divenne sempre più in voga a Roma. Questo culto, guerriero e gerarchico, era riservato esclusivamente agli uomini, a partire dai sette anni di età, che dovevano intraprendere un lungo percorso iniziatico consistente in sette gradi associati ad altrettanti pianeti: Corax, corvo, ossia il neofita (Mercurio); Cryphius o Nymphus, fidanzato (Venere); Miles, soldato (Marte); Leo, leone (Giove), Perses, persiano (Luna); Heliodromus, corriere solare (Sole); Pater, padre (Saturno) il grado più alto. Contrariamente al cristianesimo, il mitraismo non faceva proselitismo, le comunità erano formate da poche dozzine di seguaci iniziati ai misteri, i neofiti giuravano alla maniera dei soldati col sacramentum e da quel momento l’iniziato entrava a far parte della “sacra milizia del dio di luce. Nella concezione mitraica la regalità scaturiva dalla roccia espressione della incrollabilità della fede di una stirpe che fu salvata dal diluvio. Mithra, petra genitrix, nacque dal sasso, allo stesso modo nel quale il Cristo è chiamato pietra angolare della Chiesa. Mitraismo e cristianesimo, che presentano non poche analogie ma anche molte differenze, furono religioni coeve assai in competizione tra loro trovando appeal negli stessi strati sociali del popolo, gli umili e i dimenticati, cui veniva data una concreta prospettiva di salvezza dalle miserie della vita quotidiana. 

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Il mitraismo era già attestato nel marchigiano dalla presenza di altri mitrei, uno di questi era situato a Fano (PU), l’antica Fanum Fortunae, importante centro nevralgico delle vie commerciali col mediterraneo orientale, ancora oggi la città è sede di un’antica comunità cristiano ortodossa. Di questo mitreo, che doveva sorgere in corrispondenza del Duomo, resta oggi un reperto presso il Museo archeologico della città. Un altro mitreo sorgeva, secondo la tesi proposta dall’archeologo Camillo Ramelli, presso l’Abbazia di Santa Croce dei Conti a Sassoferrato (AN), l’antica Sentium. Qui i monaci benedettini costruirono l’Abbazia reimpiegando colonne, lapidi, capitelli, pietre del mitreo sottostante e “cristianizzando” così il tutto, ma in questo modo questi elementi, relitti degli antichi culti pagani, sopravvissero nei secoli all’ombra di un ambiente ostile. 

Dal punto di vista architettonico l’ipogeo è caratterizzato da una pianta organizzata di tipo basilicale costituita da uno spazio centrale sul quale si affacciano in modo simmetrico dei piccoli spazi, ai lati si trovano sei piccole nicchie votive ad altezza d’uomo che probabilmente contenevano all’interno dei bassorilievi in terracotta oppure delle statuette votive. In ipotesi nella parte centrale, in corrispondenza del grande fiore a sei petali impresso sulla volta a botte, era situata una piccola colonna che fungeva da altare per i riti, la superficie era affrescata con al fondo la consueta rappresentazione della tauroctonia, l’uccisione rituale del toro del rito mitraico. Possiamo adesso provare ad immaginare l’atmosfera di questi riti di iniziazione dalle parole dellimperatore Giuliano, l’ultimo non cristiano:

L’oscurità attraversata da improvvisi lampi di luce, lunghi silenzi rotti da mormorii, voci, grida, e poi il frastuono di musiche cadenzate da un ritmo ripetitivo, profumi d’incenso e di altre fragranze, oggetti animati da formule magiche, porte che si spalancano e si chiudono da sole, statue che si animano e tanto fuoco di torce.”

Questo antro costituisce un unicum nel suo genere e cristallizza per sempre quel momento della grande crisi del mondo antico nel quale l’Occidente romanizzato avrebbe potuto prendere una direzione diversa rispetto a quella rappresentata dal cristianesimo che invece alla fine prevalse. Quella che fu essenzialmente l’ultima reazione spirituale della tradizione antica prima che forze disgregatrici cominciassero a prendere il sopravvento. 

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