Nel primo capitolo del suo studioΒ Miti, sogni e misteri (pubblicato nel 1957), lo storico delle religioni romeno Mircea Eliade tratta la questione della sopravvivenza del Mito, piΓΉ o meno βmascheratoβ, nel mondo moderno. Lβinterrogativo da cui parte la sua analisi Γ¨ il seguente: Β«Che cosa sono diventati i miti nelle societΓ moderne? O meglio: che cosa ha occupato il postoΒ essenziale che il mito aveva nelle societΓ tradizionali?Β».Β Con queste premesse, Eliade indaga dunque la funzione del pensiero mitico nel Novecento, analizzando in primo luogo i diversi tipi di escatologia sottesa ai miti politici della nostra epoca: il βmito comunistaβ e quello βnazionalsocialistaβ.
Nel secondo paragrafo, Eliade si concentra sulle sopravvivenze del pensiero mitico a livello dellβesperienza individuale dellβuomo moderno, giungendo alla conclusione che Β«il mito non Γ¨ mai completamente scomparso: Γ¨ vivo nei sogni, nelle fantasie e nelle nostalgie dellβuomo moderno; e lβenorme letteratura psicologica ci ha abituati a ritrovare la grande e la piccola mitologia nellβattivitΓ inconscia e semiconscia di ogni individuoΒ». La psicologia del profondo di scuola junghiana e il cristianesimo sono i due estremi che lo storico delle religioni prende in esame come βcontenitori miticiβ privilegiati dellβattuale epoca storica.
Nel paragrafo 3 si tratta degli archetipi come modelli di comportamento, come βesempi miticiβ: Eliade rileva che, pur essendo questi βmodelli esemplariβ ormai βmascheratiβ nel mondo moderno, nondimeno lβuomo contemporaneo ne subisce ancora lβinfluenza, coscientemente o meno. Nel paragrafo conclusivo, infine, il Nostro analizza le tecniche utilizzate dallβuomo moderno per βuscire dal tempoβ. Di primaria importanza a riguardo Γ¨ la funzione mitica della poesia e della lettura: questo perchΓ©, in definitiva,Β Β«la difesa dal Tempo che ogni comportamento mitologico ci rivela, ma che in effetti Γ¨ consustanziale alla condizione umana, la ritroviamo travestita soprattutto nelle distrazioni, nei divertimenti dellβuomo modernoΒ».
1.
Che cosβΓ¨ propriamente un Β«mitoΒ»? Nel linguaggio corrente del secolo Diciannovesimo Β«mitoΒ» significava tutto ciΓ² che si oppone alla Β«realtΓ Β»: la creazione di Adamo o lβΒ«uomo mascheratoΒ», come la storia del mondo raccontata dagli ZulΓΉ o la TeogoniaΒ di Esiodo, erano Β«mitiΒ». Come molti altri clichΓ© dellβilluminismo e del positivismo, anche questo aveva struttura e origine cristiane: infatti, per il cristianesimo primitivo tutto quello che non trovava giustificazione nellβuno o nellβaltro dei due Testamenti era falso: era una Β«favolaΒ».
Ma le ricerche degli etnologi ci hanno costretto a ritornare su questa ereditΓ semantica, sopravvivenza della polemica cristiana contro il mondo pagano. Si comincia finalmente a conoscere e a comprendere il valore del mito elaborato dalle societΓ Β«primitiveΒ» e arcaiche, cioΓ¨ dai gruppi umani in cui il mito costituisce il fondamento stesso della vita sociale e della cultura. E un fatto ci colpisce subito: tali societΓ ritengono che il mito esprima la veritΓ assoluta perchΓ© racconta una storia sacra, cioΓ¨ una rivelazione transumana che Γ¨ avvenuta allβalba del Grande Tempo, nel tempo sacro degli inizi (Β«in illo temporeΒ»). Essendo reale e sacro, il mito diventa esemplare, e di conseguenza ripetibile, poichΓ© serve da modello e anche da giustificazione a tutti gli atti umani. In altri termini, un mito Γ¨ una storia vera che Γ¨ avvenuta agli inizi del tempo e che serve da modello ai comportamenti degli uomini. Imitando gli atti esemplari di un dio o di un eroe mitico, o semplicemente raccontando le loro avventure, lβuomo delle societΓ arcaiche si stacca dal tempo profano e si ricongiunge magicamente al Grande Tempo, al tempo sacro.
Come si vede, si tratta di un capovolgimento totale dei valori: mentre il linguaggio corrente confonde il mito con le Β«favoleΒ», lβuomo delle societΓ tradizionali vi scopre, al contrario, la sola rivelazione valida della realtΓ . Non si Γ¨ tardato a tirare le conclusioni da questa scoperta. Evitando di insistere nel dire che il mito racconta cose impossibili o improbabili, ci si Γ¨ limitati a dire che esso costituisce un modo di pensare diverso dal nostro, in ogni caso da non considerare β βa prioriβ β come aberrante. Si Γ¨ poi tentato di integrare il mito nella storia generale del pensiero, considerandolo come la forma per eccellenza del pensiero collettivo. Ma poichΓ© il Β«pensiero collettivoΒ» non Γ¨ mai completamente abolito in una societΓ , qualunque ne sia il grado di evoluzione, non si Γ¨ mancato di osservare che il mondo moderno conserva ancora un certo comportamento mitico: per esempio, la partecipazione di tutta una societΓ a certi simboli Γ¨ stata interpretata come una sopravvivenza del Β«pensiero collettivoΒ».
Non era difficile dimostrare che la funzione di una bandiera nazionale, con tutte le esperienze affettive che implica, non differisce affatto dalla Β«partecipazioneΒ» a un qualsiasi simbolo nelle societΓ arcaiche. E questo equivale a dire che, a livello di vita sociale, non esiste soluzione di continuitΓ tra il mondo arcaico e il mondo moderno. La sola grande differenza era data dalla presenza, nella maggior parte degli individui che costituiscono le societΓ moderne, di un pensiero personale, assente o quasi nei membri delle societΓ tradizionali.
Non Γ¨ il caso di esporre considerazioni generali sul Β«pensiero collettivoΒ». Il nostro problema Γ¨ piΓΉ modesto: se il mito non Γ¨ una creazione puerile e aberrante dellβumanitΓ Β«primitivaΒ», ma Γ¨ invece lβespressione di un modo dβessere nel mondo, che cosa sono diventati i miti nelle societΓ moderne? O meglio: che cosa ha occupato il posto essenziale che il mito aveva nelle societΓ tradizionali? Infatti, certe Β«partecipazioniΒ» ai miti e ai simboli collettivi sopravvivono ancora nel mondo moderno, ma sono ben lungi dallβassolvere la funzione centrale che il mito ha nelle societΓ tradizionali: in confronto a queste, il mondo moderno sembra sprovvisto di miti. Si Γ¨ anche sostenuto che le inquietudini e le crisi delle societΓ moderne si spiegano proprio con lβassenza di un loro mito peculiare. Intitolando uno dei suoi libri Lβuomo alla scoperta della propria anima, Jung sottintende che il mondo moderno β in crisi a partire dalla rottura in profonditΓ con il cristianesimo β Γ¨ alla ricerca di un nuovo mito che gli permetta di ritrovare una nuova fonte spirituale e gli restituisca le forze creatrici (1). Infatti, almeno apparentemente, il mondo moderno non Γ¨ ricco di miti.
Si Γ¨ parlato, per esempio, dello sciopero generale come di uno dei rari miti creati dallβOccidente moderno. Ma si tratta di un malinteso: si credeva che unβidea accessibile a un numero considerevole dβindividui, e quindi Β«popolareΒ», potesse diventare un mito per il semplice fatto che la sua realizzazione storica Γ¨ proiettata in un avvenire piΓΉ o meno lontano. Ma non cosΓ¬ si Β«creanoΒ» i miti. Lo sciopero generale puΓ² essere uno strumento per la lotta politica, ma manca di precedenti mitici, e questo basta per escluderlo da ogni mitologia.
Ben diverso Γ¨ il caso del comunismo marxista. Lasciamo da parte la validitΓ filosofica del marxismo e il suo destino storico; fermiamoci invece alla struttura mitica del comunismo e al senso escatologico del suo successo popolare. Qualunque cosa si pensi delle velleitΓ scientifiche di Marx, Γ¨ evidente che lβautore del βManifesto dei comunistiβ riprende e prolunga uno dei grandi miti escatologici del mondo asiatico-mediterraneo, cioΓ¨ la funzione redentrice del giusto (lβΒ«elettoΒ», lβΒ«untoΒ», lβΒ«innocenteΒ», il Β«messaggeroΒ», oggi, il proletariato), le cui sofferenze hanno la missione di cambiare lo stato ontologico del mondo. Infatti la societΓ senza classi di Marx, e la conseguente scomparsa delle tensioni storiche, trovano il loro piΓΉ esatto precedente nel mito dellβEtΓ dellβOro, che secondo molte tradizioni caratterizza lβinizio e la fine della storia. Marx ha arricchito questo mito venerabile di tutta unβideologia messianica giudeo-cristiana: da una parte, il ruolo profetico e la funzione soteriologica che egli attribuisce al proletariato; dallβaltra, la lotta finale tra il Bene e il Male, che si puΓ² facilmente accostare al conflitto apocalittico tra Cristo e Anticristo, seguito dalla vittoria decisiva del primo. Γ anche significativo che Marx riprenda a suo modo la speranza escatologica giudeo-cristiana di una fine assoluta della storia; si separa in questo dagli altri filosofi storicisti (per esempio, Croce e Ortega y Gasset), per i quali le tensioni della storia sono consustanziali alla condizione umana e quindi non possono mai essere completamente abolite.
Paragonata alla grandezza e al vigoroso ottimismo del mito comunista, la mitologia adottata dal nazionalsocialismo appare stranamente maldestra: non soltanto a causa delle limitazioni stesse del mito razzista (come si poteva immaginare che il resto dellβEuropa accettasse volontariamente di sottomettersi al Herrenvolk?), ma soprattutto grazie al pessimismo fondamentale della mitologia germanica. Nel suo tentativo di abolire i valori cristiani e ritrovare le fonti spirituali della Β«razzaΒ», cioΓ¨ del paganesimo nordico, il nazionalsocialismo ha dovuto necessariamente sforzarsi di rianimare la mitologia germanica. Nella prospettiva della psicologia del profondo, simile tentativo equivaleva esattamente a un invito al suicidio collettivo: infatti lβeschatonΒ annunciato e atteso dagli antichi Germani Γ¨ il ragnarΓΈkkr, cioΓ¨ una Β«fine del mondoΒ» catastrofica che include un combattimento gigantesco tra gli dΓ¨i e i demoni e che termina con la morte di tutti gli dΓ¨i e di tutti gli eroi e con la regressione del mondo nel caos. Γ vero che dopo il ragnarΓΈkkrΒ il mondo rinascerΓ rigenerato (infatti, anche gli antichi Germani conoscevano la dottrina dei cicli cosmici, il mito della creazione e della distruzione periodica del mondo), tuttavia sostituire al cristianesimo la mitologia nordica significava sostituire unβescatologia ricca di promesse e di consolazioni (per il cristiano, la Β«fine del mondoΒ» completa la storia e la rigenera contemporaneamente) con un eschatonΒ decisamente pessimistico.
Tradotta in termini politici, questa sostituzione significava allβincirca: rinunciate alle vecchie storie giudeo-cristiane e risuscitate dal fondo delle vostre anime la credenza dei vostri antenati, i Germani; poi, preparatevi per la grande battaglia finale fra i nostri dΓ¨i e le forze demoniache; in questa battaglia apocalittica, i nostri dΓ¨i e i nostri eroi β e noi con loro β perderanno la vita, e questo sarΓ il ragnarΓΈkkr, ma poi un mondo nuovo nascerΓ . Ci si domanda come una visione cosΓ¬ pessimistica della fine della storia abbia potuto infiammare lβimmaginazione di almeno una parte del popolo tedesco; tuttavia il fenomeno esiste e pone tuttora problemi agli psicologi.
2.
Al di fuori di questi due miti politici, non sembra che le societΓ moderne ne abbiano conosciuti altri di analoga ampiezza. Pensiamo al mito come comportamento umano e contemporaneamente come elemento di civiltΓ , cioΓ¨ come lo si ritrova nelle societΓ tradizionali. Infatti, a livello dellβesperienza individuale, il mito non Γ¨ mai completamente scomparso: Γ¨ vivo nei sogni, nelle fantasie e nelle nostalgie dellβuomo moderno; e lβenorme letteratura psicologica ci ha abituati a ritrovare la grande e la piccola mitologia nellβattivitΓ inconscia e semiconscia di ogni individuo. Ma ci interessa soprattutto sapere ciΓ² che, nel mondo moderno, ha preso il posto centrale di cui gode il mito nelle societΓ tradizionali. In altri termini, e pur riconoscendo che i grandi temi mitici continuano a ripetersi nelle zone oscure della psiche, ci si puΓ² domandare se il mito in quanto modello esemplare del comportamento umano non sopravviva anche, sotto una forma piΓΉ o meno degradata, presso i nostri contemporanei. Sembra che un mito, al pari dei simboli che ne nascono, non scompaia mai dallβattualitΓ psichica: cambia soltanto aspetto e traveste le sue funzioni. Ma sarebbe istruttivo insistere nella ricerca e smascherare il travestimento dei miti a livello sociale.
Ecco un esempio. Γ evidente che certe feste apparentemente profane del mondo moderno conservano ancora la loro struttura e le loro funzioni mitiche: i festeggiamenti di capodanno, o le feste per la nascita di un bambino, la costruzione di una casa o anche lβentrata in un nuovo appartamento, tradiscono la necessitΓ oscuramente sentita di un inizio assoluto, di un incipit vita nova, cioΓ¨ di una rigenerazione totale. Nonostante la distanza fra questi festeggiamenti profani e il loro archetipo mitico β la ripetizione periodica della creazione (2) -, Γ¨ evidente che lβuomo moderno prova ancora il bisogno di riattualizzare periodicamente tali scenari, seppure desacralizzati.
Non Γ¨ il caso di stabilire fino a che punto lβuomo moderno sia ancora conscio delle implicazioni mitologiche delle sue festivitΓ : interessa soltanto che tali festivitΓ abbiano ancora una risonanza, oscura ma profonda, in tutto il suo essere.
Γ soltanto un esempio, ma ci puΓ² illuminare su una situazione che sembra generale: certi temi mitici sopravvivono ancora nelle societΓ moderne, ma non sono facilmente riconoscibili poichΓ© hanno subito un lungo processo di laicizzazione. Il fenomeno Γ¨ noto da molto tempo: infatti le societΓ moderne si definiscono tali proprio perchΓ© hanno esasperato la desacralizzazione della vita e del cosmo; la novitΓ del mondo moderno si esprime nella rivalutazione a livello profano degli antichi valori sacri (3). Ma a noi interessa sapere se tutto ciΓ² che sopravvive di Β«miticoΒ» nel mondo moderno si presenta unicamente sotto forma di schemi e valori reinterpretati a livello profano. Se questo fenomeno si verificasse ovunque, si dovrebbe riconoscere che il mondo moderno si oppone radicalmente a tutte le forme storiche che lβhanno preceduto. Ma la presenza stessa del cristianesimo esclude tale ipotesi: il cristianesimo non accetta affatto lβorizzonte desacralizzato del cosmo e della vita, che Γ¨ lβorizzonte caratteristico di ogni cultura Β«modernaΒ».
Il problema non Γ¨ semplice, ma poichΓ© il mondo occidentale si richiama ancora e in gran parte al cristianesimo, non si puΓ² eluderlo. Non insisterΓ² su quelli che venivano chiamati gli Β«elementi miticiΒ» del cristianesimo. ChecchΓ© ne sia di questi Β«elementi miticiΒ», da molto tempo sono cristianizzati e, in ogni caso, lβimportanza del cristianesimo deve essere giudicata in unβaltra prospettiva. Ma ogni tanto si alzano voci che pretendono che il mondo moderno non sia piΓΉ, o non sia ancora cristiano. Il nostro scopo ci dispensa dallβoccuparci di quelli che ripongono le loro speranze nellβEntmythologisierung, che pensano sia necessario Β«demitizzareΒ» il cristianesimo per restituirgli la sua vera essenza. Alcuni pensano proprio il contrario.
Jung, per esempio, crede che la crisi del mondo moderno sia dovuta in gran parte al fatto che i simboli e i Β«mitiΒ» cristiani non sono piΓΉ vissuti dallβessere umano totale, sono diventati soltanto parole e gesti privi di vita, fossilizzati, esteriorizzati e, di conseguenza, senza nessuna utilitΓ per la vita profonda della psiche.
Per noi il problema si pone in altri termini: in quale misura il cristianesimo prolunga, in societΓ moderne desacralizzate e laicizzate, un orizzonte spirituale paragonabile allβorizzonte delle societΓ arcaiche, che sono dominate dal mito? Diciamo subito che il cristianesimo non ha nulla da temere da un simile confronto: la sua specificitΓ Γ¨ assicurata perchΓ© risiede nella fede come categoria sui generisΒ di esperienza religiosa, nonchΓ© nella valorizzazione della storia. Eccettuato il giudaismo, nessunβaltra religione precristiana ha valorizzato la storia come manifestazione diretta e irreversibile di Dio nel mondo, nΓ© la fede β nel senso inaugurato da Abramo β come unico mezzo di salvezza. Di conseguenza, la polemica cristiana contro il mondo religioso pagano Γ¨ storicamente sorpassata: il cristianesimo non rischia piΓΉ di essere confuso con una religione o una gnosi qualunque. Detto ciΓ², e tenendo conto della scoperta recentissima che il mito rappresenta un certo modo dβessere nel mondo, non Γ¨ meno vero che il cristianesimo, per il fatto stesso di essere una religione, ha dovuto conservare almeno un comportamento mitico: il tempo liturgico, cioΓ¨ il rifiuto del tempo profano e il ricupero periodico del Grande Tempo, dellβillud tempusΒ degli Β«iniziΒ».
Per il cristiano, GesΓΉ Cristo non Γ¨ un personaggio mitico ma, allβopposto, storico: la sua stessa grandezza trova il suo appoggio in questa storicitΓ assoluta. Infatti il Cristo non soltanto si Γ¨ fatto uomo, Β«uomo in generaleΒ», ma ha accettato la condizione storica del popolo in seno al quale ha scelto di nascere; non Γ¨ ricorso a nessun miracolo per sottrarsi a questa storicitΓ , anche se ha fatto parecchi miracoli per modificare la Β«situazione storicaΒ» degli altri (guarendo il paralitico, risuscitando Lazzaro, eccetera). Tuttavia lβesperienza religiosa del cristiano si fonda sullβimitazione del Cristo come modello esemplare, sulla ripetizione liturgica della vita, della morte e della risurrezione del Signore, nonchΓ© sulla contemporaneitΓ del cristiano con lβillud tempusΒ che si apre con la nativitΓ di Betlemme e si chiude provvisoriamente con lβascensione. Sappiamo che lβimitazione di un modello transumano, la ripetizione di uno scenario esemplare e la rottura del tempo profano con una apertura che sfocia sul Grande Tempo costituiscono le note essenziali del Β«comportamento miticoΒ», cioΓ¨ dellβuomo delle societΓ arcaiche, che trova nel mito la fonte stessa della sua esistenza. Si Γ¨ sempre contemporanei di un mito, sia quando lo si narra sia quando si imitano i gesti dei personaggi mitici. Kierkegaard chiedeva ai veri cristiani di essere contemporanei del Cristo. Ma anche senza essere un Β«vero cristianoΒ» nel senso di Kierkegaard, si Γ¨, non si puΓ²Β non essere contemporanei del Cristo. Infatti il tempo liturgico, nel quale il cristiano vive durante il servizio religioso, non Γ¨ piΓΉ la durata profana, ma proprio il tempo sacro per eccellenza, il tempo in cui Dio si Γ¨ fatto carne, lβillud tempusΒ dei Vangeli. Un cristiano non assiste a una commemorazione della passione del Cristo, come assiste alla commemorazione annuale di un avvenimento storico. Non commemora un avvenimento, ma riattualizza un mistero. Per un cristiano, GesΓΉ muore e risuscita davanti a lui, hic et nunc. Grazie al mistero della passione o della risurrezione il cristiano abolisce il tempo profano ed Γ¨ inserito nel tempo sacro primordiale.
Inutile insistere sulle differenze radicali che separano il cristianesimo dal mondo arcaico: sono troppo evidenti per provocare malintesi. Ma sussiste lβidentitΓ di comportamento che abbiamo appena ricordato. Per il cristiano, come per lβuomo delle societΓ arcaiche, il tempo non Γ¨ omogeneo: implica rotture periodiche che lo dividono in una Β«durata profanaΒ» e in un Β«tempo sacroΒ», questβultimo Γ¨ indefinitamente reversibile, cioΓ¨ si ripete allβinfinito senza cessare di essere il medesimo. Quando si afferma che il cristianesimo, a differenza delle religioni arcaiche, proclama e attende la fine del tempo, occorre fare una distinzione: lβaffermazione Γ¨ esatta se si riferisce alla Β«durata profanaΒ», alla storia, non piΓΉ se si riferisce al tempo liturgico inaugurato dallβincarnazione; l'βillud tempusβ cristologico non sarΓ abolito dalla fine della storia.
Queste poche e rapide considerazioni ci hanno mostrato in quale senso il cristianesimo prolunga nel mondo moderno un Β«comportamento miticoΒ». Se si tiene conto della vera natura e della funzione del mito, il cristianesimo non sembra aver superato il modo dβessere dellβuomo arcaico; non poteva farlo. Homo naturaliter christianus. Resta ancora da sapere che cosa abbiano sostituito al mito quei moderni che hanno conservato del cristianesimo soltanto la lettera morta.
3.
Sembra improbabile che una societΓ possa liberarsi completamente dal mito, perchΓ© fra le note essenziali al comportamento mitico β modello esemplare, ripetizione, rottura della durata profana e integrazione del tempo primordiale β almeno le prime due sono consustanziali a ogni condizione umana. SicchΓ© non Γ¨ difficile riconoscere in alcune istituzioni β per esempio quelle che i moderni chiamano istruzione, educazione, cultura didattica β la stessa funzione assolta dal mito nelle societΓ arcaiche. Questo Γ¨ vero non soltanto perchΓ© i miti rappresentano a un tempo la somma delle tradizioni ancestrali e le norme che non bisogna trasgredire, e perchΓ© la trasmissione β per lo piΓΉ segreta, iniziatica β dei miti equivale allβΒ«istruzioneΒ» piΓΉ o meno ufficiale di una societΓ moderna; ma anche perchΓ© lβomologazione delle rispettive funzioni del mito e dellβistruzione si verifica soprattutto se si tiene presente lβorigine dei modelli esemplari proposti dallβeducazione europea. NellβantichitΓ non vi era iato tra la mitologia e la storia: i personaggi storici si sforzavano di imitare i loro archetipi, gli dΓ¨i e gli eroi mitici (4). A loro volta, la vita e i gesti di quei personaggi storici diventavano paradigmi. GiΓ Tito Livio presenta una ricca galleria di modelli per i giovani romani. Plutarco scrive poi le sue Vite degli uomini illustri, vera somma esemplare per i secoli futuri. Le virtΓΉ morali e civiche di quegli illustri personaggi continuano a essere il modello supremo per la pedagogia europea, soprattutto dopo il Rinascimento.
Fin verso la fine del secolo Diciannovesimo lβeducazione civica europea seguiva ancora gli archetipi dellβantichitΓ classica, i modelli che si sono manifestati in illo tempore, in quel lasso di tempo privilegiato che fu, per lβEuropa letterata, lβapogeo della cultura greco-latina.
Non si era mai pensato di assimilare la funzione della mitologia a quella dellβistruzione perchΓ© si trascurava una delle note caratteristiche del mito: appunto quella che consiste nel creare modelli esemplari per unβintera societΓ . Si riconosce dβaltronde in ciΓ² una tendenza che si puΓ² chiamare generalmente umana, cioΓ¨ quella di trasformare unβesistenza in paradigma e un personaggio storico in archetipo. Questa tendenza sopravvive anche nei rappresentanti piΓΉ in vista della mentalitΓ moderna. Come ha ben compreso Gide, Goethe era pienamente conscio della sua missione di realizzare una vita esemplare per il resto dellβumanitΓ . In tutto quello che faceva si sforzava di creare un esempio. A sua volta imitava nella vita, se non la vita degli dΓ¨i e degli eroi mitici, almeno il loro comportamento. Paul ValΓ©ry scriveva nel 1932: Β«Egli ci offre lβesempio, βsignori uominiβ, di uno dei migliori tentativi per renderci simili a dΓ¨iΒ».
Ma lβimitazione dei modelli non passa unicamente attraverso la cultura scolastica. Assieme alla pedagogia ufficiale, e anche quando la sua autoritΓ Γ¨ svanita da tempo, lβuomo moderno subisce lβinfluenza di tutta una mitologia diffusa che gli propone molti modelli da imitare.
Gli eroi, immaginari o no, influiscono notevolmente sulla formazione degli adolescenti europei: tali sono i personaggi dei romanzi di avventura, gli eroi di guerra, i divi del cinema, eccetera. Questa mitologia si arricchisce con lβetΓ : si scoprono via via i modelli esemplari lanciati dalle mode successive e ci si sforza di assomigliarvi. La critica ha spesso insistito sulle versioni moderne del dongiovanni, dellβeroe militare o politico, dellβinnamorato sfortunato, del cinico o del nichilista, del poeta malinconico, e cosΓ¬ via: tutti questi modelli prolungano una mitologia e la loro attualitΓ Γ¨ segno di un comportamento mitologico. Lβimitazione degli archetipi tradisce un certo disgusto per la propria storia personale e la tendenza oscura a trascendere il proprio momento storico locale, provinciale, e a ricuperare un Β«Grande TempoΒ» qualunque, per esempio il tempo mitico della prima manifestazione surrealista o esistenzialista.
Unβanalisi adeguata della mitologia diffusa dellβuomo moderno richiederebbe volumi. Infatti i miti e le immagini mitiche si ritrovano ovunque, laicizzati, degradati, travestiti: basta saperli riconoscere. Abbiamo accennato alla struttura mitologica dei festeggiamenti di capodanno o delle feste che salutano un Β«inizioΒ», dove si intravede ancora la nostalgia della renovatio, la speranza che il mondo si rinnovi, che si possa cominciare una nuova storia in un mondo rigenerato, cioΓ¨ creato di nuovo. Si potrebbero moltiplicare facilmente gli esempi. Il mito del paradiso perduto sopravvive ancora nelle immagini dellβisola paradisiaca e del paesaggio edenico: territorio privilegiato in cui le leggi sono abolite, il tempo si arresta. Occorre sottolineare questβultima circostanza, perchΓ© Γ¨ soprattutto analizzando lβatteggiamento del moderno nei confronti del tempo che si puΓ² scoprire il travestimento del suo comportamento mitologico. Non bisogna perdere di vista che una delle funzioni essenziali del mito Γ¨ proprio lβapertura verso il Grande Tempo, il ricupero periodico di un tempo primordiale. E questo si traduce nella tendenza a trascurare il tempo presente, ciΓ² che viene chiamato il Β«momento storicoΒ».
Lanciati in una grandiosa avventura nautica, i Polinesiani si sforzano di negarne la Β«novitΓ Β», il carattere dβavventura inedita, la disponibilitΓ ; per loro si tratta soltanto di una reiterazione del viaggio che un certo eroe mitico ha intrapreso in illo temporeΒ per Β«mostrare il cammino agli uominiΒ», per creare un esempio. Vivere lβavventura personale come la reiterazione di una saga mitica equivale a eludere il presente. Questa angoscia di fronte al tempo storico, accompagnata dal desiderio oscuro di partecipare a un tempo glorioso, primordiale, totale, si traduce nei moderni in un tentativo talvolta disperato di spezzare lβomogeneitΓ del tempo, per Β«uscireΒ» dalla durata risuscitando un tempo qualitativamente diverso da quello che, consumandosi, la loro propria Β«storiaΒ» crea. Γ in questo soprattutto che si riconosce meglio la funzione dei miti nel mondo moderno. Con mezzi molteplici, ma omologabili, lβuomo moderno si sforza di uscire dalla propria Β«storiaΒ» e di vivere un ritmo temporale qualitativamente diverso. Γ un modo inconsapevole di ricuperare il comportamento mitico.
Lo si capirΓ meglio osservando le due principali vie di Β«evasioneΒ» usate dal moderno: lo spettacolo e la lettura. Non insisteremo sui precedenti mitologici della maggior parte degli spettacoli; basta ricordare lβorigine rituale della tauromachia, delle corse, degli incontri sportivi: tutti hanno in comune la caratteristica di svolgersi in un Β«tempo concentratoΒ», di grande intensitΓ , residuo o succedaneo del tempo magico-religioso. Il Β«tempo concentratoΒ» Γ¨ anche la dimensione specifica del teatro e del cinema. Anche non tenendo conto delle origini rituali e della struttura mitologica del dramma e del cinema, rimane il fatto importante che queste due specie di spettacolo utilizzano un tempo ben diverso dalla Β«durata profanaΒ», un ritmo temporale concentrato e spezzato a un tempo, che, al di fuori di ogni implicazione estetica, provoca una profonda risonanza nello spettatore.
4.
La lettura costituisce un problema piΓΉ sfumato. Si tratta, da una parte, della struttura e dellβorigine mitica della letteratura e, dallβaltra, della funzione mitologica assolta dalla lettura nella coscienza di quelli che se ne nutrono. La continuitΓ mito-leggenda-epopea-letteratura moderna Γ¨ stata ripetutamente illustrata e ci dispensiamo dal soffermarvici. Ricordiamo semplicemente che gli archetipi mitici sopravvivono in un certo senso nei grandi romanzi moderni. Le prove che deve superare un personaggio di romanzo hanno il loro modello nelle avventure dellβeroe mitico. Si Γ¨ potuto anche dimostrare come i temi mitici delle acque primordiali, dellβisola paradisiaca, della cerca del Santo Graal, dellβiniziazione eroica o mistica, eccetera, dominano ancora la letteratura europea moderna.
Molto recentemente il surrealismo ha dato uno sviluppo straordinario ai temi mitici e ai simboli primordiali. La struttura mitologica della letteratura dβappendice Γ¨ evidente. Ogni romanzo popolare presenta la lotta esemplare tra il Bene e il Male, tra lβeroe e il malvagio (incarnazione moderna del demonio), e ritrova i grandi motivi folcloristici della fanciulla perseguitata, dellβamore salvatore, della protettrice sconosciuta, eccetera. Anche nel romanzo poliziesco, come ha mostrato ottimamente Roger Caillois, abbondano i temi mitologici.
Non Γ¨ necessario ricordare che la poesia lirica riprende e prolunga il mito. Ogni poesia Γ¨ uno sforzo per ricreare il linguaggio, in altri termini per abolire il linguaggio corrente, di tutti i giorni, e per inventare un nuovo linguaggio, personale e privato, in ultima analisi segreto. Ma la creazione poetica, proprio come la creazione linguistica, implica lβabolizione del tempo, della storia concentrata nel linguaggio, e tende verso il ricupero della situazione paradisiaca primordiale, quando si creava spontaneamente, quando il passato non esisteva perchΓ© non esisteva coscienza del tempo, memoria della durata temporale. Lo si dice dβaltronde ancora oggi: per un grande poeta il passato non esiste; il poeta scopre il mondo come se assistesse alla cosmogonia, come se fosse contemporaneo del primo giorno della creazione. Da un certo punto di vista si puΓ² dire che ogni grande poeta rifΓ il mondo, perchΓ© si sforza di vederlo come se il tempo e la storia non esistessero: singolare richiamo al comportamento del Β«primitivoΒ» e dellβuomo delle societΓ tradizionali.
Ma cβinteressa soprattutto la funzione mitologica della lettura, perchΓ© essa costituisce un fenomeno specifico del mondo moderno, sconosciuto alle altre civiltΓ . La lettura sostituisce non soltanto la letteratura orale β ancora viva nelle comunitΓ rurali dellβEuropa β ma anche la narrazione dei miti nelle societΓ arcaiche. E la lettura, forse ancor piΓΉ che lo spettacolo, riesce a provocare una rottura della durata e contemporaneamente una Β«uscita dal tempoΒ». Quando legge un romanzo poliziesco per Β«ammazzareΒ» il tempo o quando penetra in un universo temporale estraneo che un qualsiasi romanzo gli rappresenta, il lettore moderno Γ¨ proiettato fuori dalla sua durata e inserito in altri ritmi, vive altre storie. La lettura costituisce una Β«via facileΒ», nel senso che offre la possibilitΓ di modificare con poco sforzo lβesperienza temporale; la lettura Γ¨ la distrazione per eccellenza del moderno, gli permette lβillusione di una padronanza del tempo in cui possiamo supporre a buon diritto un segreto desiderio di sottrarsi al divenire implacabile che conduce alla morte.
La difesa dal Tempo che ogni comportamento mitologico ci rivela, ma che in effetti Γ¨ consustanziale alla condizione umana, la ritroviamo travestita soprattutto nelle distrazioni, nei divertimenti dellβuomo moderno. Proprio in questi si misura la radicale differenza fra le culture moderne e il resto della civiltΓ . In ogni societΓ tradizionale un qualsiasi gesto responsabile riproduceva un modello mitico, transumano, e, di conseguenza, si svolgeva in un tempo sacro. Il lavoro, i mestieri, la guerra, lβamore, erano cose sacre. Il rivivere ciΓ² che gli dΓ¨i e gli eroi avevano vissuto in illo temporeΒ si traduceva in una sacralizzazione dellβesistenza umana, che cosΓ¬ completava la sacralizzazione del cosmo e della vita. Questa esistenza sacralizzata, aperta sul Grande Tempo, poteva essere molte volte faticosa, ma era altrettanto ricca di significato; in ogni caso, non era schiacciata dal tempo. La vera Β«caduta nel tempoΒ» comincia con la desacralizzazione del lavoro; soltanto nelle societΓ moderne lβuomo si sente prigioniero del proprio mestiere, perchΓ© non puΓ² piΓΉ sfuggire al tempo. E poichΓ© non puΓ² Β«uccidereΒ» il tempo durante le ore del lavoro β cioΓ¨ quando gode della sua vera identitΓ sociale β si sforza di Β«uscire dal tempoΒ» nelle ore libere: si spiega cosΓ¬ il numero vertiginoso di distrazioni inventate dalle civiltΓ moderne. In altri termini, succede esattamente il contrario che nelle societΓ tradizionali, in cui le Β«distrazioniΒ» quasi non esistono perchΓ© lβΒ«uscita dal tempoΒ» si ottiene con ogni lavoro responsabile. Proprio per questa ragione, come abbiamo appena visto, la grande maggioranza degli individui che non partecipano a unβesperienza religiosa autentica rivelano il loro comportamento mitico, oltre che nellβattivitΓ inconscia della loro psiche (sogni, fantasie, nostalgie, eccetera), nelle loro distrazioni. In altre parole, la Β«caduta nel tempoΒ» coincide con la desacralizzazione del lavoro e la meccanizzazione dellβesistenza che ne consegue; essa implica una perdita malamente mascherata della libertΓ ; sicchΓ© la sola evasione possibile su scala collettiva resta la distrazione.
Queste poche osservazioni possono bastare. Il mondo moderno non ha completamente abolito il comportamento mitico, ne ha soltanto rovesciato il campo dβazione: il mito non Γ¨ piΓΉ dominante nei settori essenziali della vita, Γ¨ stato Β«rimossoΒ» sia nelle zone oscure della psiche, sia in attivitΓ secondarie o anche irresponsabili della societΓ . Nonostante che il comportamento mitico si prolunghi, travestito, nella funzione assolta dallβeducazione, questa interessa ormai quasi esclusivamente lβetΓ giovanile; anzi, la funzione esemplare dellβistruzione sta per scomparire: la pedagogia moderna incoraggia la spontaneitΓ . Al di fuori della vita religiosa autentica, il mito nutre soprattutto le distrazioni. Ma non scompare mai: su scala collettiva, si manifesta talvolta con una forza considerevole, sotto forma di mito politico.
Nonostante tutto, la comprensione del mito sarΓ annoverata fra le piΓΉ utili scoperte del secolo Ventesimo. Lβuomo occidentale non Γ¨ piΓΉ il padrone del mondo: davanti a lui non vi sono piΓΉ Β«indigeniΒ», ma interlocutori. Γ bene sapere come avviare il dialogo; Γ¨ indispensabile riconoscere che non cβΓ¨ piΓΉ soluzione di continuitΓ fra il mondo Β«primitivoΒ» o Β«retrogradoΒ» e lβOccidente moderno. Non basta piΓΉ, come bastava mezzo secolo fa, scoprire e ammirare lβarte negra od oceaniana; bisogna riscoprire in noi stessi le fonti spirituali di quelle arti, bisogna prendere coscienza di ciΓ² che ancora resta di Β«miticoΒ» in unβesistenza moderna, e che rimane tale proprio perchΓ© anche questo comportamento stesso Γ¨ consustanziale alla condizione umana in quanto esprime lβangoscia di fronte al tempo.
Note:
Nota 1. Per Β«mondo modernoΒ» sβintende la societΓ occidentale contemporanea, ma anche una certa condizione di spirito che si Γ¨ formata attraverso alluvioni successive cominciando dal Rinascimento e dalla Riforma. Sono Β«moderneΒ» le classi attive delle societΓ urbane, cioΓ¨ la massa umana che Γ¨ stata piΓΉ o meno direttamente modellata dallβistruzione e dalla cultura ufficiale. Il rimanente della popolazione, soprattutto nellβEuropa centrale e sudorientale, resta ancora attaccato a un orizzonte spirituale tradizionale per metΓ precristiano. Le societΓ agricole sono generalmente passive nella storia; quasi sempre la subiscono, e quando vengono direttamente coinvolte nelle grandi tensioni storiche (per esempio, le invasioni barbariche della bassa antichitΓ ) il loro comportamento Γ¨ di resistenza passiva.
Nota 2. Cfr. M. Eliade, Le Mythe de lβEternel Retour, Gallimard, Parigi 1949 (trad. it.: Il mito dellβeterno ritorno, Rusconi, Milano 1975, pp. 59 ss.).
Nota 3. Il processo Γ¨ ottimamente evidenziato dalle trasformazioni dei valori attribuiti alla Β«naturaΒ». Non sono stati aboliti i rapporti di simpatia tra lβuomo e la natura β non lo si poteva fare -, ma questi rapporti hanno cambiato valore e orientamento: alla simpatia magico-religiosa sono state sostituite lβemozione estetica o semplicemente sentimentale, le pratiche sportive o igieniche, eccetera, la contemplazione Γ¨ stata sostituita dallβosservazione, dallβesperienza e dal calcolo. Non si puΓ² dire di un fisico del Rinascimento o di un naturalista dei nostri tempi che non amano la Β«naturaΒ»; ma in questo Β«amoreΒ» non si ritrova lβatteggiamento spirituale dellβuomo delle societΓ arcaiche, quello, per esempio, che sopravvive ancora nelle societΓ agricole europee.
Nota 4. Cfr. a questo proposito le ricerche di Georges DumΓ©zil, cfr. anche il nostro Mito dellβeterno ritornoΒ cit., pp. 41 ss.
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