𝐀𝐗𝐈𝐒 ֎ 𝐌𝐔𝐍𝐃𝐈

Reportage fotografico di viaggio: Mongolia Settentrionale (parte I)

« Nel cuore dell’Asia si trova la sconfinata, misteriosa e ricca Mongolia. Dalle pendici innevate dei Tian Shan e dalle sabbie roventi della Zungaria occidentale ai boscosi contrafforti dei Monti Saiani e alla grande Muraglia Cinese, essa si estende su un’enorme porzione dell’Asia centrale. Culla di innumerevoli popoli, storie e leggende; patria di sanguinari conquistatori che vi hanno lasciato le loro capitali coperte ormai dalla sabbia del Gobi, i loro misteriosi anelli e le antiche leggi dei nomadi; terra di monaci e di dèmoni maligni, di tribù erranti amministrate dai Khan, principi discendenti di Gengis Khan e di Kublai Khan: tale è la Mongolia.

Misteriosa contrada dei culti di Rama, Sakiamuni, Djonkapa e Paspa, culti custoditi dal Buddha vivente, Buddha incarnato nella persona divina del terzo dignitario della religione lamaista, Bogdo Gheghen a Ta Kure o Urga; terra di misteriosi guaritori, profeti, stregoni, indovini e streghe; patria del simbolo della svastica; paese che non ha obliato i pensieri dei grandi potentati che un tempo regnarono in Asia e metà Europa: tale è la Mongolia. »

(F.A. Ossendowski, “Bestie, uomini, dei”, incipit cap. XVII, “Mongolia misteriosa”)

Come probabilmente qualcuno di voi lettori già saprà, il mese di agosto mi ha visto impegnato in un viaggio in Mongolia — in particolar modo nella regione settentrionale al confine con la Siberia — durante il quale, con il supporto della guida Bolod (http://www.bolodtours.com/) ho avuto modo di visitare i luoghi più significativi, di apprendere gli usi e i costumi della popolazione nomade e di raccogliere materiale per una serie di articoli che usciranno su A X I S m u n d i nonché su altre testate. In attesa delle pubblicazioni in questione, ho deciso di pubblicare un reportage fotografico (diviso in due parti) del viaggio, corredato da brevi note, con lo scopo di avvicinare il lettore alla scoperta della Mongolia innanzitutto da un punto di vista visivo.

[Clicca sulle fotografie per visualizzarle a schermo intero]

1  — Parco Nazionale di Gorkhi-Terelj
e Aryabal Buddhist Meditation Center.

Essendo ubicato a meno di 40 km di distanza da Ulan Bator, il Parco Nazionale di Gorkji-Tereji è la meta prediletta dagli abitanti della capitale, che qui cercano un po’ di tranquillità dal tram-tram metropolitano. Imponenti formazioni rocciose accolgono subito i visitatori, a partire dalla celeberrima Turtle Rock, vero e proprio simbolo del parco. Obbligatoria una visita al monastero buddhista di Aryabal: il sentiero tramite cui si arriva al tempio vero e proprio è pensato come una via di meditazione e riflessione ed è costellato da 72 cartelli su cui sono impressi (su fronte e retro) 144 insegnamenti buddhisti, in lingua inglese e russa. Giunti in vetta si arriva al tempio principale e, sulla sinistra, alla cosiddetta Kālachakra Cave, dedicata a Milarepa. Sulle rocce dietro il tempio sono raffigurate le divinità buddhiste e gli spiriti guardiani. Il tempio vero e proprio è decorato con le immagini degli Arhat, descritti nella dottrina buddhista come «maestri illuminati» che hanno ottenuto la liberazione dal ciclo samsarico di morti e rinascite. La parola tibetana Arhat si traduce letteralmente come «coloro che hanno distrutto le opposizioni delle afflizioni (terrene)».

 

 

— Festival buddhista al Monastero di Amarbayasgalant.

Questo festival, che si svolge tutti gli anni nel mese di agosto, attira fedeli e curiosi da ogni angolo del paese (e non solo, verrebbe da dire osservando tutte le famigliole cinesi presenti). Più che in Mongolia effettivamente sembra di essere in Tibet: fra tutte le bancarelle espositive solo due sono gestite da mongoli — una che vende rotoli su cui sono impressi i caratteri della lingua tradizionale uigur e l’altra che espone pelli di animali, per lo più ovini. I protagonisti dell’evento sono i monaci lamaisti, che intonando i sūtra durante la cerimonia mattutina promettono la guarigione (o una migliore fortuna economica…) ai fedeli accorsi in gran numero. Epperò l’anima più profonda del festival si può sperimentare solo sull’immenso prato che circonda il monastero, dove centinaia di persone per tre notti campeggiano, bevono airak e ingollano i piatti tipici a base di carne di montone. L’atmosfera al tempo stesso distesa e caotica ha fatto sì che questo festival venisse definito «la Woodstock d’Asia»… ma senza droga.

 

 

— La vita dei pastori nomadi.

Dei tre milioni di persone che vivono attualmente in Mongolia, circa un milione conduce la medesima esistenza dei propri antenati, come se il tempo si fosse fermato: sono pastori nomadi, praticano la pastorizia e la transumanza stagionale, allevano ovini, cavalli e bovini (tra cui i caratteristici yak) dai quali ottengono tutto il sostentamento di cui necessitano (cibo, latte, vesti, trasporto). Si tratta della concentrazione di animali di allevamento più elevata del pianeta, che fa da contrappeso alla statistica che vede la Mongolia come il paese al mondo con la più bassa densità di popolazione. Proprio in virtù di questo peculiare stile di vita, i pastori mongoli hanno concepito una particolare abitazione a base cilindrica, la cui origine si perde nella notte dei tempi: la gher, più conosciuta in Occidente con il nome di yurta. Si tratta di una struttura rotonda composta da pareti facilmente smontabili, aste e un soffio sferico coperto di teli e feltro, tenuti insieme da corde; fu concepita in modo da essere sufficientemente leggera per il trasporto, flessibile per essere ripiegata facilmente e caricata sui carri nei periodi di transumanza stagionale, resistente ai numerosi montaggi e smontaggi e dotata di un pratico sistema per regolare la temperatura interna — al centro della gher è posta una stufa il cui fumo fuoriesce, tramite un tubo, per il toono, una finestra rotonda ubicata sul soffitto.

 

 

(segue alla parte II)

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