La religiosità di von Ungern-Sternberg: tra buddhismo, sciamanesimo e cristianesimo

di Amodio della Guerra

Ci sono personaggi che la Storia mette in secondo piano. La Grande Storia, quella con la “S” maiuscola, quella che si insegna a scuola, nei licei, nelle università, emargina, dimentica, esclude questi personaggi. Non ho mai trovato su quelle enciclopedie “alla moda”, sui libri “ufficiali”, sui manuali universitari il nome di Roman Fëdorovič Nicolaus von Ungern-Sternberg. Quando si parla della Guerra civile russa, ed in particolar modo dell’Armata Bianca, si fanno sempre i nomi dell’ammiraglio Kolčak, dei generali Vrangel’, Kornilov, Denikin, ma mai ho sentito pronunciare il nome «von Ungern-Sternberg».


Il Generale von Ungern-Sternberg, il «Barone Sanguinario», «Ungern Khan», il «Dio della Guerra» fa parte di quei personaggi secondari, misteriosi e maledetti, che la Storia preferisce non nominare. Eppure ci sarebbe da parlare tanto del «Barone pazzo». Non è “uno qualunque” il nostro Roman. Pluridecorato della Grande Guerra, ufficiale coraggioso con le truppe bianche, liberatore e protettore della Mongolia, ultimo difensore della Russia zarista; si potrebbero gettare fiumi di inchiostro solo sulle imprese militari di von Ungern-Sternberg.

C’è chi ne ha parlato: più di tutti mi viene in mente Ferdinand Ossendowski, che nel suo Bestie, Uomini, Dei [cfr. Il Regno Sotterraneo (F. Ossendowski, «Bestie, Uomini, Dèi»)] gli dedica un intero capitolo. Oppure le biografie romanzate di Jean Mabire o Vladimir Pozner. Sono stati scritti libri ed articoli in tutte le lingue su von Ungern-Sternberg, ma è sempre quella storia un po’ naïf, quella “contro-storia” un po’ ideologizzata, quella storia con la “s” minuscola che la Storia ufficiale spesso disconosce e bolla.

Si potrebbe parlare del militare, del politico, addirittura dello psicopatico, ma ciò che ritengo particolarmente interessante è il lato “mistico” di von Ungern-Sternberg, il suo rapporto con la Religione ed il Divino. Come dice l’esoterista italiano Pio Filippani Ronconi: «L’importanza del barone Ungern e del suo variopinto esercito, formato da cosacchi della Transbaikalia, da Buriati, Mongoli, volontari Tibetani e Guardie Bianche di ogni provenienza, era soprattutto di natura spirituale». Ungern Khan – L’asceta brutale è stato il titolo di una conferenza del 2009 che organizzò l’Associazione Culturale Raido sulla figura del barone estone, e credo mai descrizione fu migliore di questa.

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Cominciamo allora col porci la domanda: in cosa credeva von Ungern-Sternberg? Possiamo definirlo “religioso”? Impossibile dare una risposta certa ed esauriente. Quasi tutti gli autori ci mostrano un Ungern seguace del Buddha; in tutte le pellicole sovietiche si vede il generale bianco eseguire rituali buddhisti. Non bisogna però separare il personaggio dal contesto: la Mongolia dei primi del Novecento è un paese in cui il buddhismo si innesta su antiche pratiche magico-religiose quali per esempio lo sciamanesimo, e lo stesso buddhismo mongolo, al pari di quello tibetano, ha chiare influenze tantriche. Per questo motivo von Ungern-Sternberg avrebbe potuto “utilizzare” il buddhismo per “fini pratici”, anche se la sua personalità superstiziosa e tellurica (kh’ro-ba, l’aspetto frenetico e irato dei Protettori del Dharma) si inserisce perfettamente in questo buddhismo sciamanico-tantrico; da ciò l’ottima definizione di «asceta brutale».

Ma contemporaneamente, in quasi tutti i testi, ci appare un Ungern cristianamente apocalittico, quasi come un crociato, un Miles Christi disposto al sacrificio ultimo pur di sconfiggere la demoniaca Rivoluzione bolscevica. Nel discorso ufficiale tenutosi ad Urga nel Febbraio del 1921, dopo aver  liberato la capitale mongola dai cinesi ed averla riconsegnata nelle mani del Bodg Khan, il generale rivolgendosi al Kutuktu dirà:

« Sovrano, e voi fratelli mongoli, Dio mi ha inviato a voi per sacrificare la mia vita nella lotta contro l’Occidente pervertito. »

Partirei allora con una testimonianza diretta, quella di Ferdinand Ossendowski, che conobbe von Ungern-Sternberg nel Maggio del 1921 e fu suo ospite. Queste sono le parole che il generale russo confida allo scrittore polacco:

« Ho consacrato la mia vita alla guerra e allo studio del buddhismo. Mio nonno mi fece conoscere il buddhismo di ritorno dall’India e mio padre ed io ne facemmo la nostra religione. In Transbaikalia ho cercato di istituire l’Ordine Militare Buddhista per combattere implacabilmente la depravazione rivoluzionaria […] perché sono convinto che l’evoluzione conduce a Dio e la rivoluzione alla bestialità […] Allora stabilii l’obbligo del celibato, la rinuncia assoluta alla donna, alle comodità della vita, al superfluo, secondo gli insegnamenti della Fede Gialla. »

Sempre secondo le testimonianze dell’Ossendowski, il comandante gli fa visitare diversi templi buddhisti:

« Andiamo dal grande e misericordioso Buddha […] Il barone colpì il gong per attirare l’attenzione del Grande Buddha sulla sua preghiera e gettò una manciata di monete in una larga coppa di bronzo. E poi quel discendente dei crociati che aveva letto tutti i filosofi occidentali chiuse gli occhi, congiunse le mani davanti al viso e pregò. Notai un rosario nero al suo polso sinistro. Continuò a pregare per dieci minuti. »

In base al racconto non dovrebbero esserci dubbi sulla fede buddhista di von Ungern-Sternberg; ma il barone ad un certo punto chiede all’amico fraterno, il principe mongolo Djam Bolon, di mantenere un’antica promessa:

« Djam Bolon rientrò nella yurta in compagnia di una piccola donna di mezza età che si accovacciò all’orientale davanti alle fiamme del braciere […] Venni a sapere in seguito che era un’indovina e una profetessa famosa tra i buriati, figlia di una zingara e di un buriato. Si tolse dalla fascia che le cingeva la vita un piccolo sacchetto e ne estrasse ossicini di uccello e un pugno d’erba secca. Cominciò a bisbigliare a intervalli parole inintelligibili […] Dopo che l’indovina ebbe bruciato tutta la sua erba secca, mise gli ossicini di uccello sui carboni ardenti girandoli e rigirandoli con un paio di pinzette di bronzo e quando si furono anneriti, cominciò ad esaminarli […] e in preda a convulsioni, cominciò a proferire brevi frasi spezzate: “Vedo… vedo il Dio della Guerra… la sua vita fugge via… orribilmente… Dopo, un’ombra… nera come la notte… Ombra… Rimangono ancora centotrenta passi… Poi, le tenebre… Niente… Non vedo niente… Il Dio della Guerra è scomparso…”. Il barone chinò la testa. La donna cadde supina, le braccia allargate. Era svenuta. »

beteshommesdieuxIl buddhismo di von Ungern-Sternberg qui cede il passo ad un qualcosa di primitivo e profondo, lo sciamanesimo mongolo. Anche se non si tratta propriamente di un passaggio, ma di una mescolanza, una fusione. È questa una caratteristica peculiare del misticismo di Ungern Khan, il fondere le fedi e le credenze per cui è passato e con cui ha avuto a che fare. E infatti Ossendowski termina il racconto sul generale bianco con l’ultimo ordine del giorno che indirizzò ai suoi soldati e che faceva riferimento al Libro dell’Apocalisse:

« Che nessuno fermi la vendetta contro i corruttori e gli assassini dell’anima del popolo russo. La rivoluzione deve essere sradicata dal mondo. L’Apocalisse ci ammonisce di guardarci da essa con queste parole: “E la donna era abbigliata di vesti scarlatte e purpuree e adorna d’oro, pietre preziose e perle, teneva in mano una coppa d’oro colma di abominazioni e delle sozzure della sua impudicizia, e sulla sua fronte era scritto un nome, un mistero: BABILONIA LA GRANDE, LA MADRE DI TUTTE LE MERETRICI E LE ABOMINAZIONI DELLA TERRA. E io ho visto questa donna ebbra del sangue dei santi, e del sangue dei martiri di Gesù”. »

Non è un caso che il racconto di Ossendowski su von Ungern-Sternberg parta con Buddha, passi per lo Sciamanesimo e finisca con Gesù. Perché il «barone pazzo» è stato contemporaneamente buddhista, sciamanista e cristiano. Ed infatti è lo stesso scrittore polacco a rendersene conto quando dice:

« Il nipote del corsaro [riferito a von Ungern-Sternberg, ndr], citando teorie scientifiche, opere e nomi di scrittori e scienziati, la sacra Bibbia e i libri buddhisti, mescolando francese, tedesco, russo e inglese, continuò: “Nei testi buddhisti e negli antichi libri cristiani leggiamo apocalittiche profezie relative all’epoca in cui comincerà la guerra tra gli spiriti buoni e quelli maligni. Allora si scatenerà la Maledizione sconosciuta che travolgerà il mondo, distruggendo la civiltà, annientando la moralità e tutti i popoli. La sua arma è la rivoluzione. […] L’uomo verrà allontanato da tutto ciò che è divino e spirituale. […] ma è proprio allora che comparve la Maledizione che fu prevista da Cristo, l’apostolo Giovanni, Buddha, i primi martiri cristiani, Dante, Leonardo da Vinci, Goethe e Dostoevskij. […] Il Grande Spirito ha messo sulla soglia della nostra vita il Karma, che non conosce collera né perdono. Regolerà i nostri conti, e il risultato sarà la carestia, la distruzione, la morte della cultura, della gloria, dell’onore e dello spirito, la morte degli Stati e dei popoli. Vedo già quest’orrore, questa folle e tenebrosa distruzione dell’umanità”. »

Lo spiritualismo ungerniano è sincretistico. È la fusione non solo di fedi e credenze, ma di politica e filosofia. Denso di visioni apocalittiche, è quasi una nuova Fede. La Guerra che Ungern Khan combatte non è solo militare, è metafisica, ed i suoi uomini sono liberi di credere in ciò che vogliono, da Buddha allo sciamano, da Cristo ad Allah. Sotto questo aspetto credo sia molto lucida l’analisi di Mehmet Frugis in Il Signore terribile:

« Almeno nominalmente, Ungern rimase un luterano, ma fu anche un mistico dichiarato, e i mistici russi di quel momento dimostravano tendenze che noi oggi definiremmo ‘totalizzanti’: o ultraortodosse, nel ritenere tutte le restanti religioni e confessioni strumenti del diavolo, oppure universalistiche, nel considerare il fondo degli elementi comuni a tutte le religioni (o, il che è lo stesso, l’unità trascendentale in cui esse convergevano). Ungern fu un mistico di questo secondo tipo, e sebbene apocalittica e fondamentalistica, la sua concezione religiosa era pur sempre inclusiva: nella sua visione anche la dinamica teologica dell’impero russo doveva essere espansiva e universalistica, capace di comprendere nel suo nocciolo tutti i semi, da quello musulmano a quello buddhista fino a quello russo-ortodosso. »

Von Ungern-Sternberg vede la Guerra non da un punto di vista semplicemente militare o politico, ma soprattutto da un punto di vista religioso. E la famosa frase di Joseph de Maistre in Le Serate di San Pietroburgo  «La guerra quindi, è di per se stessa divina perché è una legge del mondo»  potrebbe essere il motto perfetto del generale bianco. L’opera di Jean Mabire, Il dio della guerra, batte molto su questo tasto:

« I partigiani bolscevichi si chiederanno che cosa stiamo preparando per loro. Molto semplicemente, un’altra Rivoluzione, un po’ più terribile della loro. Loro adorano la stella rossa. Noi festeggiamo il sole giallo. Guerra di religione. »

E ancora:

« Attendono [i mongoli] soltanto il capo che li guiderà alla guerra santa. Pleonasmo. Ogni guerra è santa. La legge della Forza è l’unica legge del mondo. Se esiste un Dio, non può essere che lotta. »

Ed in questa sua visione del mondo e della guerra Ungern Khan non può non essere «Dio della Guerra»:

« Capo militare, capo politico, capo religioso, sono il braccio destro dell’imperatore divino. La mia leggenda di dio reincarnato della guerra diventa realtà. Io stesso finirò per crederci… »

È lo stesso Kutuktu, il Buddha vivente, a benedirlo tale:

« Voi non morirete: vi reincarnerete nella forma di essere più elevata. Ricordatevi di questo, Dio vivente della Guerra, khan della Mongolia riconoscente. »

Chiaramente, nell’interpretazione di Jean Mabire, un «Dio della Guerra» non può essere né cristiano, né buddhista:

« Dunque, tutti mi credono buddhista perché ho rimesso il Kutuktu sul trono e perché rispetto la fede gialla dei mongoli. […] Come potrebbe essere buddhista un militare? […] Detesto i preti che trasformano le sconfitte in vittorie e vorrebbero dimostrarti che la morte è vita. I lama sono della stessa razza dei pope, con le loro formule assurde. »

Ma se “tatticamente” è necessario mostrarsi buddhisti in un paese buddhista, l’Ungern di Mabire può essere sciamanicamente pagano ed anticristiano convinto, tanto da paragonare il cristianesimo al bolscevismo:

« Nonostante il buddhismo, hanno qualche vaga nostalgia del culto solare. Non molto tempo fa l’Asia era bianca. Vi si adorava il fuoco, dal mar del Giappone alla Finlandia. Lo sciamanesimo resta la religione delle radici. […] Far rivivere tutti questi culti antichi. […] I templi rinchiudono Dio. Per trovarlo bisogna abbattere i muri. Il sole. Il vento. La foresta e l’oceano. Il ghiaccio. I nostri antenati conoscevano i messaggi della terra. Superstizione, sei tu la saggezza. »

E poi:

« È da duemila anni che i preti tradiscono il nostro universo […] I cristiani odiano il nostro mondo […] Il cristianesimo ha detto “Tutto ciò che è mio è tuo”. Il comunismo pretende: “Tutto ciò che è tuo è mio” […] il risultato è lo stesso. Illuminata dall’amore o imposta dal terrore, è sempre la stessa religione […] il cristianesimo è l’antenato del bolscevismo. »

È interessante notare come il substrato ideologico-religioso dell’autore francese, definito neopagano ed anticristiano, influenzi notevolmente il personaggio; se dunque difficilmente possiamo dubitare della testimonianza dell’Ossendowski, invece è lecito avere qualche perplessità sull’Ungern del romanzo del Mabire.

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Dmitri Shmarin, “Baron Ungern for Faith, Tsar and Motherland”.

Estremamente interessati alla spiritualità di von Ungern-Sternberg furono anche vari esoteristi europei. Renè Guenon lo riteneva «mosso da influenze di ben altro ordine […] egli non era esattamente ciò che si potrebbe definire un “neo-buddhista” perché, secondo delle informazioni a noi fornite da altra fonte, l’adesione della sua famiglia al Buddhismo risaliva alla terza generazione. Per altri versi, è stato segnalato che nel castello di Ungern si sono manifestati dei fenomeni di “ossessione”; non potrebbe trattarsi di qualche manifestazione di “residui psichici”?».

Secondo Julius Evola «in lui erano presenti tratti quasi mistici. Già prima di recarsi in Asia egli professava il buddismo […] Alcune facoltà sovranormali erano presenti in lui: si parla ad esempio, di una specie di chiaroveggenza che gli permetteva di leggere nell’animo altrui secondo una percezione esatta quanto quella delle cose fisiche».

Per Pio Filippani Ronconi era «religiosamente affiliato ad una corrente tantrica facente capo allo Hutuktu di Ta-Kurè […] La controrivoluzione era per lui solo un pretesto per evocare sul piano terreno una gerarchia già attuata su quello invisibile. Questa gerarchia doveva proiettarsi su un mandala il cui centro sarebbe stata la “Grande Mongolia” […] Ivi, pensava, si sarebbe attuata la rigenerazione del mondo sotto il segno del Sovrano dell’agarttha (“inafferrabile”) Sambhala, la “Terra degli Iniziati”, ove Zla-ba Bzan-po [il Re del Mondo] e i suoi 24 successivi eredi perpetuavano il segreto insegnamento del Kalacakra, la “Ruota del Tempo”, loro impartito dal Risvegliato 2500 anni fa».

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Un’altra testimonianza diretta del misticismo di Ungern ci viene dal conte-filosofo Hermann Keyserling, il quale lo conobbe di persona in quanto sua sorella sposò il fratello del barone. Questi i tratti salienti della lettera che Keyserling scrisse a Vladimir Pozner e che costui riporta nel suo romanzo biografico Il barone sanguinario:

« È un essere che sembra sospeso tra Paradiso e Inferno, privo della benché minima nozione delle leggi terrene. C’era in lui un’eccezionale commistione di profonde tendenze metafisiche e di crudeltà. […] Eppure possedeva il dono naturale della seconda vista, o per meglio dire quello della profezia. […] Le sue concezioni metafisiche erano molto affini a quelle dei tibetani e degli indù. Non apparteneva a questo mondo, e non posso fare a meno di pensare che qui in terra sia stato solo un ospite di passaggio. »

51ZT+igzR0L.jpgAnche nel testo del Pozner vediamo von Ungern-Sternberg oscillare tra buddhismo, sciamanismo e cristianesimo: «si dice perfino che si sia convertito al buddhismo. In ogni caso pare che nutrisse una spiccata simpatia per tale religione (probabilmente a causa delle sue inclinazioni mistiche)»; «era molto superstizioso […] Sì, protestante. Ma si dice che in seguito abbia abbracciato il buddhismo»; «non dava udienza a nessuno, a parte indovine e cartomanti». Interessante, da questo punto di vista, è la leggenda sulla conquista di Urga. Pare che nello squadrone del comandante Tubanov ci fossero dei lama tangut provenienti dal Tibet:

« I lama volevano fare il loro mestiere. Non tolleravano che si desse battaglia senza aver prima consultato gli oracoli. […] I lama avevano indossato l’abito da cerimonia. Si erano disposti in cerchio intorno ad un caprone nero, trattenuto al suolo con delle corde. La bestia seguiva con uno sguardo mite e inconsapevole le evoluzioni di quegli uomini che lanciavano grida acute e soffiavano nelle loro trombe: “Quando il cuore del caprone avrà cessato di battere, potremo marciare su Urga” […] Il terzo giorno stava per finire quando i lama vennero ad annunciare a Ungern che il cuore della bestia aveva smesso di battere e che Urga sarebbe stata conquistata in tre giorni. »

Ma ancora una volta von Ungern-Sternberg cede alle profezie bibliche:

« Ordine per i distaccamenti russi sul territorio della Siberia Sovietica – N.15 – Urga, 21 maggio 1921 […] “La pace, supremo dono del cielo, è necessaria. Nella lotta per la pace dobbiamo compiere le imprese che si aspetta da noi Colui di cui parla il santo profeta Daniele, il quale ha predetto i tempi crudeli della rovina dei signori della dissolutezza e della desolazione e l’avvento della pace nel mondo…” »

Propaganda? È possibile che von Ungern-Sternberg sia buddhista con i mongoli e cristiano con i cosacchi? È possibile che nella capitale mongola preghi il Buddha, per ingraziarsi il Kutuktu ed i principi mongoli, mentre quando si appresta ad attaccare i bolscevichi in Siberia faccia leva sulle profezie bibliche per esortare i russi a combattere fino alla morte? Niente si può escludere. Non dimentichiamo però che il generale bianco ormai sconfitto cerchi una disperata ritirata in Tibet, ove rigenerare se stesso ed i laceri resti della sua Divisione. Così il Filippani Ronconi:

« Egli mosse solitario verso una direzione che non aveva più rapporto con la realtà geografica del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non di salvare la vita, bensì di ricollegarsi prima di morire con il proprio principio metafisico: il Re del Mondo. La sua disperata migrazione verso il Sole che tramonta era in realtà un ultimo atto di culto verso la Luce che aveva sorretto le sue imprese. »

E allora?  Buddhista? Sciamanista? Protestante? Ortodosso? Penso che dare una risposta esauriente alla domanda «in cosa credeva von Ungern-Sternberg?» non abbia molta importanza. Costui, bevendo l’acqua della pratica buddhista, inalando il fumo dei riti sciamanici ed ingoiando la Croce di San Giorgio prima di essere fucilato, simbolicamente incorpora e fonde le tre fedi nel suo credo: l’essere devoto fino all’ultimo a se stesso. Devoto al Dio della Guerra.

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Bibliografia:

  • Ferdinand Ossendowski – Bestie, Uomini, Dei – Edizioni Mediterranee
  • Vladimir Pozner – Il barone sanguinario – Adelphi
  • Mehmet Frugis – Il Signore terribile – Edizioni di Ar
  • Jean Mabire – Il dio della guerra – Edizioni di Ar
  • AA.VV – Imperi delle steppe, da Attila a Ungern Khan – Centro Studi Vox Populi
  • AA.VV. – Ungern Khan. Storia e mito del Barone Von Ungern Sternberg – Associazione Culturale Raido

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