Seconda parte dello studio sul Libro dei Morti Egizio (segue dalla prima). Un focus sul “monoteismo solare” instaurato dal faraone Akhenaton e sui probabili contatti tra i culti solari egizi e la religione ebraica, attraverso l’analisi delle fonti egizie e giudaico-cristiane.
di Piervittorio Formichetti
Segue dalla prima parte
Il capitolo XXIII del Libro dei Morti di Torino, intitolato Formula per aprire la bocca di una persona nella Necropoli, si apre dunque con un auspicio che sembra essere stato previsto per qualcuno che fosse stato da sempre afflitto da una difficoltΓ nel parlare:
Che la mia bocca sia aperta da Ptah, e che Ammon, dio della mia cittΓ , disserri le pastoie della mia bocca da quando sono uscito dal ventre di mia madre.
Il defunto si rivolge quindi, prima che ad Ammon, al dio cosmico patrono della voce e della parola. Nel Libro dell’Esodo, quando MosΓ¨ sente provenire dal roveto ardente la voce di YHWH che lo incarica di parlare al Faraone affinchΓ© lasci andare gli Ebrei fuori dall’Egitto, l’uomo risponde:
Mio Signore, io non sono un buon parlatore, non lo sono mai stato prima [β¦] sono impacciato di bocca e di lingua.
Esodo, 4, 10
E in seguito, dopo il primo Β«noΒ» del faraone e il malcontento degli Ebrei:
Ecco, gli Israeliti non mi hanno ascoltato: come vorrΓ ascoltarmi il faraone, mentre io ho la parola impacciata?Β» [β¦] MosΓ¨ disse alla presenza del Signore: Β«Ecco, ho la parola impacciata, come il faraone vorrΓ ascoltarmi?Β»
Esodo, 6, 12; 30
Γ relativamente nota la tradizione, basata su queste frasi, secondo la quale MosΓ¨ sarebbe stato balbuziente o portatore di un difetto di pronuncia fin da bambino. Secondo l’Esodo, MosΓ¨ nacque durante l’eliminazione di una quantitΓ di neonati ebrei maschi decretata dal faraone: un evento storicamente controverso, ma non impossibile. Se, come abbiamo ipotizzato precedentemente, MosΓ¨ nacque verosimilmente verso il 1305 a. C. [39], il faraone dell’infanticidio risulterebbe l’ex generale Horemheb, regnante forse dal 1319 e morto nel 1292 a. C.. Questo re decretΓ² la damnatio memoriae di Amenhotep (o Amenofi) IV Akhenaton (1357-1335), padre di Tutankhamon e instauratore della monolatria solare di Aton: non sarebbe quindi assurdo che Horemheb abbia voluto stroncare ogni possibile ritorno monoteistico tra gli Egiziani anche con questo sanguinoso deterrente; da parte loro, gli Ebrei, prevalentemente monoteisti, apparivano βpericolosiβ. In questa situazione, la madre di MosΓ¨, Yocabed, riuscΓ¬ a tenere nascosto il figlio per tre mesi (Esodo, 2, 2), e ciΓ² potrebbe indicarci indirettamente che il bambino aveva qualche problema di fonazione: un neonato che non vagisce e non piange come gli altri, ma con voce piΓΉ bassa o in modo stentato, Γ¨ meno facile da localizzare [40]. Non avrebbe quindi senso sostenere che le parole di MosΓ¨ gli sarebbero state attribuite da un autore che βriciclΓ²β quelle del Libro dei Morti, ma il confronto Γ¨ interessante.Β

MosΓ¨ fu quindi allevato dalla Β«figlia del FaraoneΒ» – ricordata solo dall’Esodo e dal Primo Libro delle Cronache (4, 18) non col nome egizio, che ci Γ¨ sconosciuto, ma con quello ebraico Bitia o BityΓ (Β«figlia di YHWHΒ») – mentre sua madre Yocabed, col ruolo di balia, lo allattava (Esodo, 2, 5-10). Trascorse dunque i primi 25-30 anni di vita intorno ai faraoni Horemheb, Ramses I e Seti I (circa dal 1305 al 1280 a. C.) evidentemente senza che nessuno sospettasse la sua origine ebraica, e perciΓ² divenne Β«un uomo assai considerato nel paese d’Egitto, agli occhi dei ministri del Faraone e del popoloΒ» (Esodo, 11, 3), Β«istruito in tutta la scienza degli Egiziani [e] potente nelle parole e nelle opereΒ» (Atti degli Apostoli, 7, 22). Un aspetto tecnico di tale istruzione potrebbe essere la costruzione dell’Arca dell’Alleanza, la celebre teca portatile – le cui misure erano state stabilite con il Β«cubito realeΒ» (circa 52 cm) usato in Egitto per le costruzioni sacre – in cui, dopo l’uscita dall’Egitto, MosΓ¨ depositΓ² le due Tavole di pietra con incise le Dieci Parole, o Dieci Comandamenti. L’Arca era in legno di acacia rivestito di lamina d’oro dentro e fuori (Esodo 25, 10-11).
Di questa tecnica c’Γ¨ appunto una traccia nel capitolo CLV del Libro dei Morti (Formula per il Djed d’oro da porsi al collo del defunto), riguardante un amuleto a forma di colonnina Djed, il famoso oggetto simbolico (sovente scolpito in pietra dura) che unisce le immagini della colonna vertebrale di Osiride e dell’albero sfrondato: entrambi simboli dell’axis mundi, la congiunzione dei vari livelli del cosmo (le colonne Djed ne hanno da tre a cinque) garantita dal rappresentante dell’ordine cosmico e politico, cioΓ¨ il Faraone [41]. La Rubrica a questo capitolo inizia infatti con la prescrizione: Β«A dirsi sopra un Djed d’oro scolpito nel midollo del sicomoroΒ» [42], cioΓ¨ nel legno di una pianta citata anch’essa nella Bibbia (ad esempio nel Libro di Amos 7, 14-15, e nel Vangelo secondo Luca, 19, 4) ricoperto di quella che oggi chiameremmo foglia d’oro. Non Γ¨ quindi assurdo pensare che MosΓ¨ potesse esprimersi con frasi simili a quelle che aveva ascoltato dai sacerdoti, dagli scribi, dagli architetti-matematici e dai Β«maghiΒ» di corte egizi, dei quali conosceva le pratiche, come indicano gli episodi dei bastoni trasformati in serpenti (Esodo 7, 8-13) e quelli delle Β«piaghe d’EgittoΒ» (eventi accaduti durante l’intero periodo di stanziamento ebraico in Egitto, ma βcompressiβ e posticipati dalla narrazione ebraica alla sola epoca di MosΓ¨) [43]. Β


Nel capitolo XLII (Formula per respingere ogni male e per respingere le ferite che vengono fatte nella Necropoli), il defunto, in quanto assimilato alla DivinitΓ e ora facente parte di essa, Γ¨ definito Β«la forza [letteralmente Β«la muragliaΒ»] che procede dalla forza, l’Uno che procede dall’UnoΒ» [44]: una definizione che sembra quasi tratta da qualche testo gnostico o neoplatonico, ma ricorda anche le formule del Credo cristiano nella forma del Simbolo niceno-costantinopolitano (stabilito nell’anno 325) che definisce il Cristo Β«Luce da Luce; Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del PadreΒ». Nel capitolo successivo, il XLIII (Formula per non far togliere la testa di un uomo dalla Necropoli), la voce del defunto esordisce in modo simile: Β«Io sono il Grande [Wr] figlio del Grande, la Fiamma figlia della Fiamma…Β» [45]. Nel capitolo CXV (Formula per uscire in Cielo, per penetrare l’Ammahit [?] e per conoscere gli Spiriti di Heliopolis) il defunto, durante la sua dichiarazione ultraterrena, racconta brevemente un mito (l’origine della Β«Treccia del fanciulloΒ», la caratteristica acconciatura dei ragazzini egizi con una treccia su un lato del cranio rasato fino al raggiungimento della maggiore etΓ ) includendo questa frase: Β«L’attivo in Heliopolis, l’erede dell’erede, Γ¨ l’Onniveggente, perchΓ© egli ha la potenza divina come Figlio generato dal PadreΒ» [46]. Nonostante il contesto sia molto differente, queste parole appaiono di nuovo molto βcristianeβ, ricordando il concetto della identitΓ sostanziale (omousia) tra il Dio Padre e il Cristo Figlio:
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato nelle mani ogni cosa (Vangelo secondo Giovanni, 3, 35)
Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare (5, 26-27)
Io e il Padre siamo una cosa sola [β¦] Il Padre Γ¨ in me e io sono nel Padre (10, 30; 38)
Il Padre che Γ¨ in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre Γ¨ in me (14, 10-11).Β
Il Cristianesimo nacque in seno al Giudaismo, il quale β lo stiamo vedendo β non Γ¨ totalmente scevro di legami con alcuni elementi egizi, ma non comprende nessuna concezione di figliolanza divina o di identitΓ di Dio con le altre creature, nemmeno il Messia; Γ¨ quindi da escludere che i primi cristiani, quasi tutti ebrei, si siano appropriati di un concetto egizio e lo abbiano rielaborato. Nel capitolo LXXXV (Formula per trasformarsi in Anima [Β«BaΒ»] e per evitare di entrare nella Sala di Torture) il defunto divinizzato si esprime ancora in modo tale da richiamare alla mente il linguaggio dei Vangeli:
Io sono il Signore della VeritΓ , e vivo per mezzo di essa. Io sono il Cibo Divino che non perisce [β¦]. Io sono la Luce, e ciΓ² che detesto Γ¨ la Morte.
[47]
Confrontiamo con alcune frasi analoghe di GesΓΉ dal Vangelo secondo Giovanni:
Il pane di Dio Γ¨ colui che discende dal cielo e dΓ la vita al mondo. [β¦] Io sono il pane della vita: chi viene a me non avrΓ piΓΉ fame [β¦]. Sono disceso dal cielo per fare non la mia volontΓ , ma la volontΓ di Colui che mi ha mandato. [β¦] Io sono il pane della vita. [β¦] Io sono il pane vivo, disceso dal cielo: chi mangia di questo pane vivrΓ in eterno (6, 33-38; 48-51)
Io sono la luce del mondo (8, 12)
Io sono la via, la veritΓ e la vita (14, 6)
Nel capitolo XXXIX, intitolato Formula per respingere il serpente Refref nella Necropoli, compare l’antichissima immagine del serpente nel suo aspetto malefico, che sarΓ determinante in ambito giudaico-cristiano come immagine per eccellenza del diavolo, l’avversario – in ebraico satan – di Dio. Il defunto, forte della propria assimilazione agli dΓ¨i (in questo caso a Ra), lo affronta intimandogli:
Arretra!, Camminatore che viene respinto, proveniente da Apep [drago-serpente mitologico]! Sii sommerso nel lago del Nu, nel luogo stabilito da tuo padre per la tua distruzione. [β¦] Arretra! Si distrugge il tuo veleno! Ra ti ha abbattuto e la tua testa Γ¨ rovesciata dagli dΓ¨i [β¦] mentre Maat ha ordinato la tua distruzione. [β¦] O detestato da Ra, [β¦] Non provenga alcuna cattiveria contro di me dalla tua bocca in ciΓ² che tu fai a me!
[48]


A destra: il serpente nell’Eden, Cappella Palatina, Palermo
Similmente, nel capitolo CVIII (Formula per conoscere gli Spiriti dell’Amenti, ossia le entitΓ demoniache – Β«bauΒ» – dell’Β«OccidenteΒ», cioΓ¨ dell’Oltretomba) si legge nei confronti di Set, la divinitΓ personificante le forze del caos, che in questo caso Γ¨ figura di sintesi di tutti gli spiriti maligni:
Set Γ¨ posto nella sua prigione e una catena di ferro Γ¨ posta sul suo collo, ed Γ¨ obbligato a vomitare tutto ciΓ² che aveva ingoiato. [β¦] Arretra!, davanti all’Osiride Ieuf-Ankh giustificato [β¦] L’Osiride Ieuf-Ankh giustificato cammina veramente su di te [β¦] Tu sei in ceppi [variante: Β«sei perforato da arpioniΒ»] come Γ¨ stato ordinato alla presenza di Ra. Β
[49]
Un altro insieme di scongiuri di questo genere Γ¨ presente nel capitolo CXLIX (senza titolo), dove torna il serpente:
Γ ivi un serpente, Rerek Γ¨ il suo nome. Γ lungo sette cubiti sulla sua schiena e vive dei Glorificati [i defunti], annientando il loro akh [Β«potere magicoΒ»]. Arretra!, o Rerek, quando mordi con la tua bocca [β¦] e indebolisci con i tuoi occhi. I tuoi denti ti vengono strappati e tu rigetti il tuo veleno! Tu non verrai contro di me, e il tuo veleno non penetrerΓ in me per paralizzarmi, ma giacerΓ inoffensivo in questa terra.
[50]
Il lettore potrebbe avere giΓ intuΓ¬to quale sia, in questo caso, il parallelismo concettuale e linguistico relativamente possibile tra il Libro dei Morti e la tradizione giudaico-cristiana: queste frasi possono ricordare infatti alcune Β«formule imperativeΒ» nell’esorcismo contro Satana nella forma codificata dalla Chiesa cattolica (basandosi su alcuni esorcismi effettuati da GesΓΉ stesso):
Io ti espello, spirito impuro, e insieme a te scaccio ogni satanico potere del Nemico, ogni spettro dell’inferno e tutti i tuoi feroci compagni! Nel nome di nostro Signore GesΓΉ Cristo, vattene, e sta’ lontano da questa creatura di Dio!Β
Ti ordino, serpente maledetto: nel nome del Signore nostro GesΓΉ Cristo, abbandona questa creatura e ritirati da lei! Te lo comanda Cristo, che dall’alto della sua potenza ti ha fatto sprofondare nelle tenebre eterne!
[51]
Nel capitolo CIX (Formula per conoscere gli Spiriti dell’Oriente) troviamo una espressione che ricorda di nuovo l’Apocalisse, cioΓ¨ la definizione dell’annientamento ultraterreno come Β«seconda morteΒ»: Β«CiΓ² che detesto Γ¨ la Seconda MorteΒ» [52]. Nella Rubrica in calce al capitolo CXXX (Formula per rendere vivente l’Anima nell’eternitΓ , facendola salire sulla Barca di Ra, ecc.) si legge poi:Β
Egli starΓ insieme alla sua anima e vivrΓ in eterno, non morirΓ una seconda volta nella Necropoli, e nessun male gli accadrΓ nel giorno della Β«Pesatura delle paroleΒ». E le sue parole saranno VeritΓ sui suoi nemici…
[53]
E nella Rubrica a seguito del capitolo CLIII: Β«La sua anima sarΓ vivente per l’eternitΓ e non morirΓ una seconda voltaΒ» [54]. Confrontiamo con l’Apocalisse [55]:Β
Il vincitore [sulle forze del Male] non sarΓ colpito dalla seconda morte (2, 11)
Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione; su di loro non ha potere la seconda morte (20, 6)
β¦ lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. Γ questa la seconda morte (21, 8)
Dodici secoli piΓΉ tardi, Francesco d’Assisi userΓ ancora questa espressione nel celebre Cantico delle creature: Β«Beati quelli ke [la morte] trovarΓ ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrΓ maleΒ».
Nei circa quattro secoli in cui gli Ebrei vissero in Egitto, verosimilmente essi mantennero viva la propria tradizione religiosa primitiva, centrata su un Dio preminente sui vari dèi delle popolazioni locali, chiamato El (il Dio) e talvolta El Shaddai, «Dio della Montagna»,
secondo lβidea diffusa che localizzava lβabitazione della divinitΓ sulle alte montagne; in questo caso esprimerebbe il concetto del Dio altissimo e trascendente, oppure del Dio stabile come la roccia per coloro che si affidano a lui (cfr. Deuteronomio, 32, 4).
[56]
Il nascente monoteismo ebraico trovΓ² quindi una sorta di conferma incoraggiante nel monoteismo solare instaurato dal faraone Akhenaton, nel breve periodo in cui tale culto fu vigente e lungo pochi decenni dopo la sua soppressione, ossia negli ultimi anni del secolo XIV a. C. e nei primi del XIII, quando i successori del Β«faraone ereticoΒ» riportarono la religione egizia al politeismo tradizionale: in sostanza, anche durante l’infanzia di MosΓ¨ Β«lo spirito della riforma di Amarna sopravvive[va] in fatti sostanziali della lingua, dell’arte, della teologiaΒ» [57]. Un brano del capitolo CXII del Libro dei Morti (Formula per conoscere gli Spiriti di Pu) Γ¨ estremamente interessante dal punto di vista dei probabili contatti tra i culti solari egizi e la religione ebraica. Nel brano in questione si racconta brevemente un mito – evidentemente ben conosciuto dagli Egizi giΓ secoli prima della redazione del Libro dei Morti di Torino – nel quale il dio solare Horo, figlio di Ra, restΓ² temporaneamente cieco da un occhio:Β
Ra disse a Horo: Β«Lasciami vedere ciΓ² che avviene nel tuo occhio oggiΒ». Ed egli lo guardΓ². Ra disse a Horo: Β«Guarda dunque a questo maiale neroΒ». Egli lo guardΓ², e un grave malanno afflisse il suo occhio. Horo disse a Ra: Β«Ecco, il mio occhio Γ¨ come se Anubis [in altri testi: Β«SetΒ»] abbia inferto una ferita nel mio occhio!Β». E l’ira divorΓ² il suo cuore. Allora Ra disse a quegli dΓ¨i: Β«Il maiale Γ¨ una abominazione per Horo. Che il suo occhio possa migliorare!Β». E il porco divenne una grande abominazione. Β Β Β
[58]
Β«Occhio di HoroΒ» era sinonimo del Sole, ma anche un nome poetico dello stesso Egitto, come si sa almeno da uno degli antichi Testi delle Piramidi (scritti sulle pareti interne di alcune piramidi dal 2360 a. C. circa in poi), l’Inno all’Egitto, che inizia con: Β«Salute a te, Occhio di Horo, che Atum ha ornato perfettamente…Β» [59]. Γ allora possibile che, raccontando che Ra guardΓ² nell’occhio del proprio figlio, s’intenda dire che il dio guardΓ² all’intero proprio territorio; dunque il maiale dalle setole nere (ne esistono anche oggi) costituirebbe qualcosa di detestabile per la sua terra. E infatti, nella Rubrica a seguito del capitolo CXXV (Da dirsi su una persona purificata, ecc.), relativamente alle offerte sacrificali di Β«pani, birra, buoi, oche, incenso per la fiamma e vegetali d’ogni genereΒ» giΓ eseguite, si prescrive:Β
Allora tu farai un disegno di ciΓ² [del sacrificio], tracciato su un mattone di pura argilla estratta da un campo su cui nessun maiale avrΓ marciato.
[60]

Tale regola in un Libro dei Morti che risale mediamente al V secolo a. C. puΓ² essere un indizio del fatto che, nella mentalitΓ egizia, una certa incompatibilitΓ del maiale con l’ambito del Sacro restΓ² anche in epoca tarda, quando i maiali erano talvolta usati al posto dell’aratro per dissodare alcuni terreni coltivabili a sementi [61]. Sappiamo che una delle piΓΉ caratteristiche e antiche regole di puritΓ (kasheruth) del Giudaismo consiste nel non toccare maiali (vivi o morti) e non mangiare carne di maiale (Levitico, 11, 7-8), norma che non Γ¨ certo nata dal nulla; Γ¨ pressochΓ© impossibile che le tribΓΉ ebraiche immigrate in Egitto nel periodo dei faraoni di stirpe Hyksos – i Β«Re pastoriΒ» etnicamente affini agli Ebrei entrati violentemente in Egitto nel XVIII secolo a. C. – o almeno i capitribΓΉ e quegli ebrei che risultavano piΓΉ importanti per anzianitΓ o autoritΓ , non abbiano mai avuto frequentazioni con alcuni cittadini egizi, sia comuni sia appartenenti alla classe dirigente [62]. Nella Bibbia, questi contatti possono essere rappresentati dai racconti sull’incontro tra il Faraone e Abramo (Genesi, 12, 10-20), tra suo nipote Giacobbe e un successivo faraone (Genesi, cc. 46-47) e nella celebre storia di Giuseppe figlio di Giacobbe.Β
Le vicende di Giuseppe, venduto dai fratelli e diventato poi Β«viceré» in Egitto, risalgono verosimilmente agli anni tra il 1750 e il 1650 a. C., cioΓ¨ il primo secolo del regno Hyksos instaurato nell’Egitto settentrionale dai faraoni detti della XV dinastia. In questo stesso secolo visse quello che Γ¨ stato definito il probabile Β«vassalloΒ» di un faraone Hyksos: un re chiamato Meri-wser-Ra Yakub-har, o Iakob-her, in lingua egizia Β«Amore e potere di Ra, Protetto da HoroΒ» [63]: un nome molto simile a YahakΓ³b (Giacobbe) nella stessa epoca in cui un figlio di Giacobbe (Giuseppe) era Β«viceré» d’Egitto. Yakub-har e Giuseppe figlio di Giacobbe erano dunque la stessa persona? Giacobbe si trasferΓ¬ in Egitto (dove ritrovΓ² Giuseppe che nel frattempo era stato elevato a Β«viceré») nell’estrema vecchiaia (non sapremo forse mai se vi giunse davvero a 130 anni e vi morΓ¬ a 147, come tramanda il Genesi (cap. 47), con la vista cosΓ¬ offuscata da non distinguere i figli che lo accompagnavano (48, 10); e l’occhio e la vista erano connessi al dio Horo. Quindi Meri-wser-Ra Yakub-har potrebbe essere il nome egizio di Giuseppe, formato da un prenome dedicato a Ra e da un nome col quale, in qualche modo, lo si voleva porre sotto la protezione di Horo, dio ferito alla vista, anche perchΓ© il faraone poteva ricordare di aver ricevuto una benedizione da suo padre Giacobbe, vegliardo quasi cieco (47, 10). Gli Egiziani potrebbero anche aver notato l’assonanza tra la parola yakub (protetto) e il nome YahakΓ³b; d’altra parte gli Ebrei potrebbero avere interpretato il nome acquisito Yakub-har come forma egizia del patronimico ebraico Ben YahakΓ³b, Β«Figlio di GiacobbeΒ», con aggiunto il nome di Horo (Har) [64]. Il riferimento al dio falco potrebbe anche legarsi all’intelligenza di Giuseppe, acuta come la vista del rapace: i racconti biblici ne celebrano la saggezza e la dote di saper svelare il significato nascosto dei sogni, e ciΓ² si puΓ² connettere al nome pubblico di Giuseppe, col quale il faraone confermΓ² l’alta carica di governo affidatagli: Zafnat-paneah, che in lingua egizia significherebbe Β«Dice il Dio: βΓ viventeβΒ» (Genesi, 41, 39-45), ma secondo un’altra opinione, deriverebbe dall’ebraico Tzafun-paneach, Β«Il nascosto Γ¨ svelatoΒ» [65].
Γ notevole anche il fatto che la Rubrica egizia implicante l’impuritΓ del maiale e del terreno sul quale il maiale abbia camminato sia stata posta in conclusione alla Formula CXXV, che in un certo senso Γ¨ il nucleo tematico non solo dell’intero Libro dei Morti, ma anche della stessa dottrina egizia sul giudizio ultraterreno. Il lungo capitolo CXXV, intitolato Testo per entrare nella Sala di VeritΓ e Giustizia [Maat], per separare la persona dai peccati commessi e per vedere il volto degli dΓ¨i, Γ¨ infatti quello in cui Γ¨ espresso meglio il legame tra la purezza della coscienza dell’individuo e il suo destino nell’AldilΓ : una concezione che nell’Ebraismo fu assente fino all’epoca del re Salomone (X secolo a. C.) e oltre. Non si concepiva un giudizio individuale post mortem da parte dell’EntitΓ divina, nΓ© una conseguente destinazione dell’anima virtuosa ad una beatitudine eterna, nΓ© una condizione di sofferenza o di distruzione in caso di vita malvagia: l’unico AldilΓ immaginato era la SheΓ²l, Β«immensa caverna posta nei sotterranei del cosmoΒ», un luogo spoglio e caliginoso in cui buoni e malvagi avrebbero vagato Β«come ombreΒ», o riposato Β«assopitiΒ» (refaΓ¬m) [66].Β
L’anima trapassata dell’antico egizio dichiara dunque nel capitolo CXXV, tramite la voce del sacerdote lettore, di non avere la coscienza gravata da cattive azioni; e dalle sue parole emerge la chiarezza del pensiero egizio nell’introspezione e nel discernimento del bene e del male. Dopo un omaggio ai Quarantadue DΓ¨i – le divinitΓ presenti nel tribunale ultraterreno – c’Γ¨ una prima lunga dichiarazione introduttiva di innocenza, composta da affermazioni quali Β«Io non ho oppresso i miei consanguineiΒ», Β«Io non sono stato menzogneroΒ» e simili. Si apre quindi una serie di invocazioni, seguite da una dichiarazione d’innocenza, a ognuno dei ventuno dΓ¨i in funzione di Β«Giudici dei MortiΒ»: il numero dei Giudici Γ¨ lo stesso dei Piloni dell’AldilΓ che interrogavano l’anima nella Formula CXLV (si veda la prima parte di questo articolo) e, come i ventuno Piloni, anche i ventuno Giudici vengono chiamati con un nome metaforico-esoterico, talvolta legato alla localitΓ del tempio dedicato al loro culto o al suo luogo mitologico; ad esempio:
O tu Narice che appare a Hermopolis: io non sono stato invidioso!
[67]
O tu che Guardi Indietro, che appari nel Ro-stau: io non ho ucciso alcun uomo a tradimento!
O tu dagli Occhi di Fuoco che appari in Khem: io non ho frodato!
O tu Frantumatore di Ossa che appari in Het-nen-nesut: io non sono stato un mentitore! Β
O Vento di Fuoco che appari a Menfi: io non ho rubato cibo!
O Bastet che appari in Shehait: io non ho causato lacrime!Β
O tu dalla Faccia all’Indietro, che appari nella Caverna: io non ho commesso atti contro natura!Β
O tu Ady che appari in Heliopolis: io non sono uno che ha parlato a vanvera!
O Uammit che appari nel Luogo dell’Immolazione: io non ho commesso adulterio con una donna sposata!
O Kenememti che appari in Kemenit: io non ho bestemmiato!
O Apportatore di Offerte che appari in Sais: io non agito con violenza!
O tu Signore dei Volti che appari in Nedjet: io non sono stato precipitoso di giudizio!
O Neheb-nefru che appari in Heliopolis: io non ho ridotto le offerte per gli dèi, né ho fatto maltrattare un servo dal suo padrone!
Si nota come alcune di queste professioni d’innocenza riguardino trasgressioni identiche o simili a quelle proibite dai Dieci Comandamenti, trattandosi di colpe letteralmente antiche quanto gli esseri umani e diffuse in tutto il mondo. Segue poi una dichiarazione positiva in terza persona, o pronunciata dal sacerdote lettore, che comprende alcuni gesti β altrettanto universali β di caritΓ e solidarietΓ espressi con parole simili a quelle del discorso di GesΓΉ sul giudizio dell’umanitΓ alla fine dei tempi (Vangelo secondo Matteo, 25, 35-36: Β«Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito…Β»):
Egli ha fatto ciΓ² che Γ¨ prescritto per gli uomini e di cui gioiscono gli dΓ¨i. Egli ha propiziato il dio con ciΓ² che egli ama: ha donato pane all’affamato, acqua all’assetato, vestiti all’ignudo e una imbarcazione a chi ne era privo. Egli ha fatto le offerte agli dΓ¨i e le Β«Uscite alla VoceΒ» per i defunti. Salvatelo, quindi! Proteggetelo, quindi! Non agite contro di lui alla presenza del Signore dei Defunti [Osiride], perchΓ© la sua bocca Γ¨ pura, le sue mani sono pure, egli Γ¨ un puro, al quale Γ¨ detto Β«Benvenuto!Β»
[68]
Infine, un ultimo interrogatorio sulla conoscenza della dimensione metafisica, simile a quello, giΓ visto, della Barca del Nu (Formula XCIX), ma questa volta da parte dei nove elementi architettonici che compongono la Sala della Maat (di seguito alcuni esempi), piΓΉ un decimo elemento, il Guardiano della Porta, che finalmente conclude il giudizio ultraterreno con l’accettazione del trapassato:
Non ti concedo di passare da me, dice il Chiavistello della Porta, se non dici il mioΒ nome! – Β«Indice della Bilancia del Luogo di VeritΓ e GiustiziaΒ» Γ¨ il tuo nome!
Non ti concedo di passare da me, dice il Pannello Destro della Porta, se non mi dici il mio nome! – Β«Difensore di Maat [variante: Β«Piano della Bilancia di Colui che innalza la GiustiziaΒ»]Β» Γ¨ il tuo nome!
Non ti concedo di passare da me, dice il Pannello Sinistro della Porta, se non dici il mio nome! – Β«Difensore del Giudizio di CuoreΒ» Γ¨ il tuo nome! […]
Non camminerai su di me, dice il Suolo della Sala, perchΓ© io sono pulito e perchΓ© non conosco il nome dei tuoi due piedi [β¦]. Dimmi dunque i nomi! – Β«Cintura [?] di MinΒ» Γ¨ il nome del mio piede destro, Β«Albero di NeftisΒ» Γ¨ il nome del mio piede sinistro!
Io non ti annuncerΓ², dice il Guardiano della Porta, se non dici il mio nome! – Β«Colui che conosce i Cuori ed Esplora le PersoneΒ» Γ¨ il tuo nome! – Allora ti annuncerΓ²! [β¦] Ma chi Γ¨ Colui il cui Tetto Γ¨ di fuoco, i cui Muri sono Urei viventi, il Suolo della cui Dimora Γ¨ di acqua che scorre? – Γ Osiride! – Avanza, dunque, poichΓ© sei stato annunciato! [β¦] L’Osiride Ieuf-Ankh figlio di Ta-Shrit-Min Γ¨ giustificato, per l’eternitΓ !
[69]
Γ molto interessante anche una delle note esplicative che Boris de Rachewiltz ha apposto alla sua traduzione del Libro dei Morti di Torino: relativamente al titolo del capitolo CXXXVII (Formula per non far salire la Fiamma), egli spiega che si tratta di un riferimento a una Β«importante cerimonia magicaΒ» (descritta in altre fonti egizie, citate dall’archeologo) nella quale Β«le fiamme in questione sono prodotte da torce in stoffa impregnata di unguento, tenute da quattro officianti sulle cui spalle sono inscritti i nomi dei pilastri di HoroΒ» [70]. Si Γ¨ visto come la concezione del maiale Β«abominevoleΒ», un elemento in comune con l’Ebraismo, fosse legata al dio Horo, il falco solare; in questa descrizione del culto funerario troviamo nuovamente un legame possibile tra Horo e il culto ebraico. Con Β«pilastri di HoroΒ» si dovrebbero intendere i quattro figli di Horo, detti i Quattro Pilastri del cielo: Amset, Hapi, Duamutef, Kebekhsenuef [71], il nome di ognuno dei quali era scritto, in qualche modo, sulle spalle di ciascuno dei quattro sacerdoti; puΓ² esservi quindi un’analogia con i nomi dei figli di Giacobbe (i dodici capostipiti delle tribΓΉ di Israele) incisi sulle due pietre inserite nelle spalline dell’efod, la sopravveste sacerdotale indossata da Aronne, primo sommo sacerdote degli Ebrei, e poi dai suoi successori, stando a ciΓ² che Dio – secondo la Bibbia – aveva ordinato a MosΓ¨:
Prenderai due pietre di onice e inciderai su di esse i nomi degli Israeliti: sei dei loro nomi sulla prima pietra e gli altri sei nomi sulla seconda pietra, in ordine di nascita. Inciderai le due pietre con i nomi degli Israeliti seguendo l’arte dell’intagliatore di pietre per l’incisione di un sigillo: le inserirai in castoni d’oro. Fisserai le due pietre sulle spalline dell’efod , come pietre che ricordino presso di me gli Israeliti; cosΓ¬ Aronne porterΓ i loro nomi sulle sue spalle davanti al Signore, come un memoriale. Β
Esodo, 28, 9-12
Questi elementi storico-culturali del Libro dei Morti, confrontabili con la tradizione giudaico-cristiana, in sostanza possono indicare che i legami di pensiero e di linguaggio tra l’antico Egitto, le popolazioni della Mezzaluna Fertile, l’Ebraismo e il Cristianesimo furono piΓΉ importanti di quanto comunemente si pensi. Ma ciΓ² non significa che tutto lβinsieme della religione ebraica – differente dalle religioni dei popoli circostanti non soltanto perchΓ© monoteistica, ma anche perchΓ© caratterizzata dall’Β«assenza di formulazioni mitologicheΒ» [72] – sia un’imitazione costruita con materiali altrui e priva di propri vissuti, intuizioni ed elaborazioni. L’importante archeologo Paolo Matthiae, scopritore della civiltΓ siriaca di Ebla, ha giustamente puntualizzato:Β
La religione di Israele costituisce un fenomeno storico eccezionale, che Γ¨ il risultato di intuizioni ed esperienze irripetibili, del quale si devono individuare e tenere scissi i valori assoluti e immutabili, che la pongono su un piano singolarissimo nella feconda speculazione religiosa orientale antica e dei quali Γ¨ estremamente complesso discernere la genesi, e quegli elementi che, nello sviluppo storico, vengono continuamente ad arricchirne e a elevarne il contenuto essenziale. Le origini di tali elementi [β¦] mal si intenderebbero fuori di un preciso contesto storico.
[73]Β
D’altra parte, leggendo alcune espressioni del Libro dei Morti si ha l’impressione che gli antichi Egizi siano stati piΓΉ βportatiβ delle altre civiltΓ mediorientali all’approfondimento teologico-metafisico, ma allo stesso tempo non abbiano mai sentito l’esigenza di superare la forma politeistica della loro religione e la mitologia ad essa intrecciata, cosicchΓ© le loro maggiori intuizioni religiose sembrano essere rimaste disorganizzate e presenti in modo occasionale nei riferimenti alle singole divinitΓ .
Un esempio di questa situazione puΓ² essere dato da un brano del fondamentale capitolo CXXV, in cui il dio Thot Γ¨ definito Β«il dio che risiede nella sua stessa oraΒ», mentre il defunto definisce i viventi Β«coloro che risiedono nel loro stesso giornoΒ», sapendosi Β«non piΓΉ tra loroΒ» [74]. Una perifrasi come questa puΓ² risultare poco chiara, ma poichΓ© Β«l’occhio egizio non Γ¨ meno indagatore di quello greco, e non si puΓ² dire che all’antica Terra di Kemet mancasse attitudine teoreticaΒ» [75], essa sembra basarsi su un’idea profondamente filosofica: il defunto, essendo ormai fuori del tempo, non Β«risiedeΒ» piΓΉ nel suo Β«giornoΒ», cioΓ¨ la sua vita non Γ¨ piΓΉ circostanziata dai suoi stessi limiti temporali come quella dei vivi, che Β«risiedono nel loro stesso giornoΒ» (cioΓ¨ sono presenti, per cosΓ¬ dire, a tempo determinato), mentre il dio (in questo caso Thot) Β«risiedeΒ» stabilmente Β«nella sua stessa oraΒ», vale a dire che la sua dimensione temporale non Γ¨ come quella del defunto (che Γ¨ acquisita), nΓ© come quella precaria dei viventi: Γ¨ un tempo immutabile, nel quale l’Β«oraΒ» (cioΓ¨ il frammento di tempo) non ha limiti, e coincide quindi con l’eternitΓ .Β

Nel pensiero egizio sembrano dunque esistere almeno due concetti di tempo: l’Β«oraΒ» eterna degli dΓ¨i e il Β«giornoΒ» limitato dell’essere umano; il quale, morendo, si svincola dai limiti temporali e dalla precarietΓ della vita; egli, se sarΓ assicurato dalla coscienza pulita e accompagnato dalla opportuna recitazione del Libro dei Morti, scamperΓ a tutti i pericoli dell’Oltretomba, Β«berrΓ l’acqua corrente del fiume e splenderΓ come un astro nel CieloΒ» [76]. Questa frase, alla fine della Rubrica al capitolo CLXV, ancora una volta ricorda il linguaggio biblico: Β«Nel giorno del loro giudizio i giusti risplenderanno come scintilleΒ» (Sapienza, 3, 7), Β«risplenderanno come le stelle per sempreΒ» (Daniele, 12, 3). L’acqua sacra che, bevuta e/o attraversata, riunisce e riappacifica l’uomo-figlio e il Dio-padre, si trova anche alla fine dell’Apocalisse (il Β«fiume d’acqua vivaΒ», 22, 1), negli ultimi canti del Purgatorio dantesco (i fiumi Lete e Eunoe) e in conclusione alla celebre Storia Infinita di Michael Ende (capitolo XXVI, Le Acque della Vita). Con questo auspicio d’eternitΓ termina l’intero Libro dei Morti di Torino, e come ognuna delle tre cantiche della Divina Commedia, anche l’antico papiro egizio si conclude con una visione del cielo stellato. Β
NOTE:
(segue dalla sezione di note della parte I)
[39] La relativa attendibilitΓ della nascita di MosΓ¨ in questo anno medio Γ¨ sostenuta anche dalla cronologia storica alla fine di Pierre Do-Dinh, Confucio e l’umanesimo cinese, Milano, Mondadori, 1962, p. 185.Β
[40] Una tradizione ebraica (conosciuta ad esempio dall’attore Moni Ovadia), sostiene che la difficoltΓ verbale di MosΓ¨ fosse dovuta alla sua modestia ed emotivitΓ , che gli rendevano molto difficile parlare in pubblico (e ciΓ² si accorda con la sua ritrosia nel presentarsi al faraone su comando di YHWH). Secondo una versione favolistica, la balbuzie fu causata da un carbone ardente col quale MosΓ¨ infante si scottΓ² la bocca (cfr. MichΓ¨le Kahn, Racconti e leggende della Bibbia. Dal giardino dell’Eden alla Terra promessa, Milano, Bompiani, 1995, pp. 111-112).
[41] La colonna Djed Γ¨ curiosamente molto simile, sia nella forma sia nel significato, all’ideogramma cinese wang (tre linee orizzontali attraversate da una linea verticale), che significa Β«reΒ» e simbolizza la figura dell’imperatore come immagine vivente della legge cosmico-sociale (linea verticale) che unisce insieme la terra (linea inferiore), l’umanitΓ (linea mediana) e il cielo (linea superiore).

[42] Il Libro dei Morti (BdR), p. 133.
[43] In particolare, le Β«piaghe d’EgittoΒ» sembrano ricordi del breve sconvolgimento ecologico che colpΓ¬ i Paesi del Mediterraneo orientale in conseguenza della catastrofica eruzione vulcanica che distrusse l’isola greca di Thera-Santorini verso il 1603 a. C., cioΓ¨ in un periodo in cui le tribΓΉ ebraiche erano giΓ presenti in Egitto forse da due-tre generazioni. La serie degli eventi Γ¨ stata ricostruita dai biologi Augusto Mangini e Siro Trevisanato (intervistati per Atlantide-Storie di uomini e di mondi, La 7, puntata del 14 aprile 2011): cfr. Siro Trevisanato, L’historicitΓ© des textes bibliques: les plaies d’Γgypte. Un link su conclusioni analoghe Γ¨ www.theblueplanetheart.it/2017/07/leruzione-distruttiva-del-vulcano-thera-dellisola-santorini/. Β Β
[44] Il Libro dei Morti (BdR), p. 61.
[45] Ivi, p. 62.
[46] Ivi, p. 98.
[47] Ivi, p. 82.
[48] Ivi, p. 58.
[49] Ivi, pp. 93-94.
[50] Ivi, p. 127. Il potere del serpente Rerek di nuocere con gli occhi Γ¨ confrontabile con quello del basilisco, l’ibrido di rettile e volatile menzionato nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e poi nei Bestiari medievali, capace di uccidere con lo sguardo (cfr. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, cit., p. 117), caratteristica per la quale alcuni hanno ritenuto che il basilisco fosse un’esagerazione distorta del cobra, serpente diffuso in Egitto e dotato di veleno accecante.
[51] Il primo capoverso Γ¨ citato in Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende cit., p. 259; il secondo Γ¨ tratto da www.liturgiamaranatha.it/Esorcismi/b3/1page.htm.Β
[52] Il Libro dei Morti (BdR), p. 94.
[53] Ivi, p. 109.
[54] Ivi, p. 131.
[55] Il significato di Β«prima resurrezioneΒ» nell’Apocalisse Γ¨ dibattuto da secoli: potrebbe essere legato a una concezione millenaristica dell’autore – che quasi certamente non fu Giovanni l’apostolo-evangelista, ma un altro Giovanni (cfr. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, III, 39 e VII, 25), o qualcuno che si firmΓ² come l’apostolo (pseudo-epigrafia) per conferire maggiore autoritΓ all’Apocalisse β il quale credeva (contrariamente alla Chiesa maggiore, poi Β«cattolicaΒ») a una resurrezione in due fasi (Ap. 20, 1-5): prima quella dei martiri, che regneranno in terra con Cristo per mille anni; poi, conclusi questi, la resurrezione dei morti di ogni epoca e luogo.
[56] Cfr. ad es. La Bibbia. Prima lettura, a cura di Pietro Vanetti S. J., Milano, Principato, 1984, p. 35. Significativamente, Β«El ShaddaiΒ» fu tradotto con Β«PantocratorΒ» dai 72 redattori ebrei della prima versione greca della Bibbia, detta appunto Β«dei SettantaΒ», realizzata nel III secolo a. C. ad Alessandria d’Egitto, la cittΓ con la maggiore comunitΓ ebraica del mondo antico fuori dalla Palestina.
[57] Alessandro Roccati, Egitto: spazio-tempo β Il IIΒ° millennio, in Egitto. Introduzione al mondo dei Faraoni, cit., p. 26.
[58] Il Libro dei Morti (BdR),p. 98.
[59] Cfr. Edda Bresciani, L’antico Egitto – La letteratura e le arti, in La Storia, vol. 1, Dalla preistoria all’antico Egitto, cit., p. 677.
[60] Il Libro dei Morti (BdR), p. 105.
[61] Donadoni Roveri, Museo Egizio, cit., p. 41.
[62] Esiste comunque anche una spiegazione medica: Β«Quasi tutte le popolazioni antiche avevano restrizioni alimentari dovute all’osservanza religiosa. In parte queste regolamentazioni avevano la caratteristica di elementari norme igieniche e dietetiche. In determinati luoghi geografici (come i Paesi del Medio Oriente) eccedere nel consumo di carne di maiale (molto grassa e difficilmente conservabile) e assumere molto alcool (che a temperature elevate puΓ² essere causa di scompensi cardiaci) possono causare gravi danni alla saluteΒ» (Maria Rosa Poggio, Renato Rosso, Ricerca e Rivelazione, Torino, SEI, 1998, p. 39).
[63] Dati tratti da www.cartigli.it/ e https://www.it.qaz.wiki/Yakub-Har .
[64] Meri-wser-Ra Yakub-har non puΓ² essere quindi Giacobbe stesso, come ipotizzano Enrico Baccarini e Andrea Di Lenardo in Dall’India alla Bibbia. Remoti contatti tra India e Vicino Oriente antico, Firenze, Enigma, 2018, pp. 143-147. Di un ruolo di governo affidato a Giacobbe, infatti, la Bibbia non dice nulla, ma ricorda suo figlio Giuseppe divenuto vicerΓ©.
[65] Cfr. Alessandro Conti Puorger, Storia e mito degli Ebrei in Egitto, https://www.bibbiaweb.net/lett185e.htm. Β
[66] Cfr. Giuseppe Ricciotti, Vita di GesΓΉ Cristo, Milano, Mondadori, 1941, Β§ 79. Γ un’idea simile a quella dell’Γ des dei Greci – con Γ des, infatti, fu tradotto sheΓ²l dalla prima versione greca della Bibbia, detta Β«dei SettantaΒ» – rappresentato ad es. nel canto XI dell’Odissea, in cui Ulisse scende negli Inferi. Un’eco di questa concezione dell’AldilΓ Γ¨ ancora nei Β«loca pallidula, rigida, nudulaΒ» dei celebri versi dell’imperatore romano Adriano (76-138 d. C.), scritti pensando alla propria morte.
[67] Il Libro dei Morti (BdR), pp. 101-102 passim.
[68] Ivi, p. 103.
[69] Ivi, p. 104 passim.
[70] Ivi, p. 151.
[71] Possiamo rifarci soltanto a Sabina Marineo, La simbolica del pilastro djed . I quattro figli di Horo, Pilastri del cielo, possono essere confrontati con i quattro Giganti Bacab della mitologia mesoamericana dei Maya (cfr. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, p. 108). Β Β
[72] Paolo Matthiae, Gli Ebrei da Abramo all’esilio in Babilonia, in La Storia, vol. 1, Dalla preistoria all’antico Egitto, cit., p. 493.
[73] Ibidem, ivi, p. 496.
[74] Il Libro dei Morti (BdR), p. 104.
[75] Fisogni, Nel segno del pensiero, cap. VI (dattiloscritto cit., p. 105).
[76] Ivi, p. 139 (Formula per approdare, per non essere oscurato e per far prosperare il corpo nel bere l’acqua).
