Β«Trappista della perfezioneΒ» come ebbe a salutarla Guido Ceronetti, Cristina Campo fu figura di vetta, irradiata da grazia sublime. Nel silenzio del mondo culturale, oggi come allora, la ricordiamo a cento anni dalla nascita.
di Andrea Venanzoni
Io vado sotto le nubi, tra ciliegi così leggeri che già sono quasi assenti. Che cosa non è quasi assente tranne me, da così poco morta, fiamma libera?
Cristina Campo, Elegia di Portland Road
Cristina Campo, nata il 29 aprile 1923
Ombra a SantβAnselmo
Il profilo di Roma si tinge di cremisi e di argento, tra spire serpentine di un tramonto ispessito dallβombra di un prolungato silenzio. Dalla balconata del Giardino degli Aranci, in una prospettiva incuneata tra filari di alberi, cespugli e fiori, si volge lo sguardo sul Lungotevere fino alla Cupola di San Pietro che irradia un lucore iridescente, sensualmente carnicino.
Nella estasi dei sensi, e nella beata contemplazione di un tempo dipanato come gomitolo di seta lungo la stretta strada che digrada dalla sommitΓ fino al cuore pulsante e caotico della cittΓ , poco alle spalle si staglia quel quadratino di palazzetti liberty e di Abbazie dalle mura oggi abborracciate, forse espanse rispetto il tempo che fu, che Γ¨ Piazza SantβAnselmo.
La piazza se ne sta assopita alle spalle del giardino, tra chiese e il palazzo dei Cavalieri di Malta, e la loro chiave incistata nel costato di una ricca e florida siepe da cui chinandosi si osserva la infinita finitezza del Vaticano, e lβabbazia, ora Pontificio Ateneo, di SantβAnselmo.
Qui, tra il civico 2 e il civico 3, in un arco temporale di anni seguiti la dolorosa morte dei genitori, in un florilegio cristallino, armonico e tormentato di graziosa solitudine, nel castello personale di una bellezza che chiedeva al mondo la cortesia di starsene fuori dalla finestra, visse Cristina Campo.
E con lei la dolcezza rituale dellβaver elevato la propria camera in una stanza del ricordo, della memoria, in un altare votivo di persone care scomparse e di autori essenziali [1], fino a costituire un castello turrito di bellezza.
Bellezza anche nelle ore dellβangoscia che, come ebbe a ricordare in una commovente lettera indirizzata alla filosofa spagnola Maria Zambrano risalente al 1965, evocando la recente e dolorosissima morte dei genitori, si traduceva in un
orrore indicibile della Loro assenza, ogni giorno piΓΉ concreta e terribile β e quel lavoro spietato della morte che, come sul volto umano, cosΓ¬ anche nel nostro cuore non lascia che i lineamenti sovrani della creatura β i soli, i veri β quelli che tra noi ben pochi seppero riverire ed amare.
[2]
Prigioniera-Regina, e per questo liberissima pur nella sofferenza enigmatica della sua presenza a SantβAnselmo, di una stanza, di un altare fatto di letture e foto votive dei propri cari, in una rara eleganza che baluginava come quellβesatto tramonto a picco sui tetti di Roma.
E in questa raffinata, anacoretica prigionia, si spinge la bellezza sinuosa della metafora della condizione del ragno, al tempo stesso artefice e prigioniero della sua propria architettura [3], che Cristina Campo raffina e cesella riflettendo sul Diario di Virginia Woolf.
La rete, delle relazioni e delle corrispondenze, della letteratura elevata a piedistallo di vita che le fu propria, in un femminile divino, in una costellazione di donne straordinarie, Anna Cavalletti, Maria Zambrano, Margherita Pieracci Harwell, Alejandra Pizarnik, avvinte dalla gioia e dallβamicizia, pur nella sofferenza del contingente e di queste ombre.
Un mondo che fu allora, e che Γ¨ ancora oggi. Anche e soprattutto per la solerte dimenticanza di qualunque burocrazia nellβeffigiare quella memoria, nella apposizione di una targa del βqui visseβ o βqui costruΓ¬ il mondo della bellezza sovra-umanaβ.
Altre cittΓ hanno pur provveduto. Una viuzza, una scuola di tanto in tanto. In genere nel cuore grigio di qualche distretto industriale, forse pensando di seminare bellezza nella livella architettonica di uno stile brutalista da casermoni sovietici.
La casa di Cristina Campo a piazza Sant’Anselmo
E proprio in questa assenza, in questo oblio istituzionale di carte bollate e voci retoriche si avverte la forza della presenza, il cuore trafitto da saetta di ghiaccio. Unβombra in particolare, tra le molte che baluginano di tenebra nel fondo dellβorizzonte, ci si staglia davanti.
Lβombra da fendere per la salvazione, che Cristina Campo poeticamente rivela in βUn sigillo di fuoco arrivato attraverso i secoliβ, descrivendo la devozione emersa dal ventre del Museo delle Anime purganti [4], tratteggiandola come una traccia scura.
Il dono, tra i molti, che le capitΓ² in sorte fu quello della potenza espressiva della memoria e della tradizione intessuta della notte fonda dellβereditare. Ereditare la gioia, la bellezza, attraverso lβarte orafa della traduzione e del rendere propri i passi amati degli autori che, nellβatto stesso della traduzione, non venivano semplicemente resi fruibili ad una qualche platea ma eternati nel suo animo. βMaestri come amiciβ ha scritto Margherita Pieracci Harwell [5].
Alessandro Spina [6], altra figura eccellente di scrittore, rimosso e dimenticato con proletario fastidio da una pletora di intellettuali militanti incapaci di una elevazione culturale che potesse andare oltre il realismo socialmente impegnato, ha sottolineato questo aspetto con acuto nitore. In βConversazioni in Piazza SantβAnselmoβ, testo pensato per costituire una iconografia campiana e che oggi Γ¨ finito nel limbo della quasi totale irreperibilitΓ , lβautore riflette sul senso profondo, e dolente, della sua amica affermando
lβarte di scrivere presuppone lβarte di leggere e lβarte di leggere a sua volta reclama la difficile, impervia arte di ereditare.
[7]
Ogni autore crea i propri predecessori, modellando la capacitΓ di riscrivere e cesellare con dovizia artigiana il passato [8]. La clessidra stanca di una epoca impaludata nellβimpegno sociale, nelle rivendicazioni industriali ed operaie condotte da annoiati condottieri da salotto, con le loro puntute bacchettine e le metaforiche lavagnette intrise di manicheismo morale, ha tentato di obliare il lascito campiano.
Ed oggi, oggi sΓ¬, molti di quelli che strinsero patti ad excludendum e ostracismi di varia natura, si dicono estimatori, lettori, esegeti ed apologeti di Cristina Campo. Paradossi del tempo presente – ma come Γ¨ assai noto aquila non capit muscas.
E la potenza baluginante di Cristina Campo seppe mettere a frutto e a rigore anche il caos rigoglioso dβerudizione dello stesso Zolla che, come rileva Pietro Citati nellβintimo e potente ricordo di Zolla [12], era portento di conoscenza, di letture e di sapienza ma preda, al tempo stesso, di una oscillazione sagittale divorata dal caos, dalla frenesia, da una deriva nomade di accumulazione.
E lei standogli vicino riuscì lentamente a guidarlo attraverso le praterie luminescenti del rigore individuale, del farsi fiamma per comporre in un ordito le trasformazioni culturali e spirituali che lo scrittore torinese poneva in essere e salvandolo, salvandolo sì, dal gorgo paludoso del neo-illuminismo, e di quel razionalismo spicciolo alla Marcuse e alla Adorno che pure agli inizi egli aveva abbracciato e per cui era stato lodato dai custodi della ortodossia intellettuale del tempo.
Il mondo culturale operoso e progressista non gliene perdonΓ² il tradimento. Il voltafaccia. Ne fecero dannazione della memoria, mettendo allβindice del proibito i loro nomi, della Campo e di Zolla. Troppo metafisici. Troppo inattuali. Troppo sospetti.
Nella sua breve e intensa esistenza, spesa nella natia Bologna, nella amata Firenze e infine, dal 1955, seguendo la madre e il padre, musicista e direttore di Conservatorio, a Roma, prima al Foro Italico e poi in Piazza SantβAnselmo, Cristina Campo ha vissuto di bellezza, di poesia, di lirismo liturgico, di una profonda attenzione spirituale per ogni dettaglio che potesse far germogliare un giardino interiore popolato di fantastico e di perfezione.
Cristina Campo fu profeta di verità . Una verità mistica e sofferta che perseguì oltre tutto, nel corso della sua vita. In una intensamente sofferta lettera del 26 luglio 1956 scrive a Leone Traverso
a me importa, a questo mondo, unicamente la veritΓ ; e al centro delle cose non trovai β una volta di piΓΉ β se non un irrimediabile sentimento di solitudine.
[13]
La veritΓ rende soli. Come la luce. Che divelle ogni illusione e smotta qualunque sicurezza di oscuritΓ . Nella luce si Γ¨ soli. Splendenti e bellissimi, ma scavati dal pensiero di ciΓ² che si Γ¨. Un vuoto riempito di luce, che diventa figura di pleroma [14] ha magistralmente annotato Ceronetti.
Robert Burns, Deer Hunting
Fabula (il genio Γ¨ bambino)
Di tutto e tra tutto ciΓ² che il mondo culturale a lei coevo non seppe perdonarle, uno degli aspetti piΓΉ evidenti fu la ricerca di una perfezione oltre-mondana che poco, o nulla, si curava della questione sociale per come, grettamente, veniva intesa.
Di questo tragico totalitarismo intellettuale intessuto di rivoluzione, di proletarismo, di realismo oltranzista, quasi unica speranza di redenzione mondana per artisti e letterati di scarsi mezzi, gingillati sotto i riflettori rossini della scena letteraria, lei non seppe cosa farsene.
Giornali, riviste, quotidiani, salotti buoni guardarono con inusitato e narcisistico fastidio il ritorno del mito, della fiaba, della dimensione oltre-umana, di quella squisita ritualitΓ formale che davvero avrebbe potuto salvare la civiltΓ .
Nella potenza mitografica della fiaba alberga il piΓΉ lucente dei segreti, giΓ scorto in penombra da Ernst JΓΌnger, quello di una narrazione che nata bambina e per bambini si avviluppa alla consistenza porosa della propria esistenza [16].
Il mistero del narratore di fiabe, di chi trasfigura lβoggetto-bambino della propria narrazione per celebrare la sua esistenza vissuta nella libertΓ e nella capacitΓ di superare le limitazioni di qualunque sistema istituzionale, Γ¨ il mistero assoluto del genio e del poeta i cui tratti gentilmente βinfantiliβ, per citare Schiller, permangono fermi nella loro essenza [17].
Nella fiaba si scorge la straordinaria, veggente soluzione di ogni destino nellβaffidarsi, senza le fallaci requie di una timida speranza [18]. In questo aspetto affiora una notturna affinitΓ con le piΓΉ disperanti pagine di Emil Cioran, quando la speranza viene incatenata semanticamente alla forma di schiavitΓΉ.
Chi si affida, non spera. Chi si affida matura un convincimento verso lβinarrivabile. Proprio per questo Cristina Campo fu libera e cantrice di libertΓ . Libera di non curarsi del dibattito del giorno; ma non fu insensibile o cinica, anzi fu persona di grande cuore, attenta a combattere discriminazioni e ad aiutare, con fedeltΓ meravigliosamente cavalleresca e feudale, gli ultimi. Ad aiutarli sul serio, pragmaticamente, e non solo con vuote orazioni da coscienza nettata dal demone dellβimpegno sociale.
Visse e soffrΓ¬ di passioni che non sono di questo mondo e proprio per ciΓ² espresse magneticamente una gentilezza aristocratica, una nobiltΓ dβanimo, una attenzione perfetta verso qualunque cosa fosse invisibile alla sensibilitΓ insensata di una cultura militante che aveva giΓ allβepoca intossicato il cuore fondo dβItalia.
Inafferrabile
La poetica della libertΓ in Cristina Campo Γ¨ la via dei giardini fioriti. Distese geometricamente smeraldine, di un verde intenso, solare, punteggiate dalla policromia musicale di fiori. La vita stessa di Cristina Campo Γ¨ stata un giardino inafferrabile, nutrito da un affetto devozionale tendente alla perfezione celeste.
Furono giardini veri, come quello che delicatamente cingeva lβospedale Rizzoli nel cui villino visse a Bologna, e quelli di Firenze e Roma, o giardini metaforici, intimi, invisibili, dentro cui coltivare la buona solitudine che, nietzschanamente, ci consenta di dirci buoni.
Chi abbia avuto la ventura di nascere in campagna o almeno in un giardino abbastanza vasto da non saperne troppo bene i confini, porterΓ per tutta la vita il sentimento di un arcano e pure preciso linguaggio, di uno svolgersi musicale di frasi che, mentre colma i sensi di sovrabbondante letizia, annuncia alla mente un ultimo disegno, sempre di nuovo promesso e differito.
[20]
Per tutta la sua esistenza, edificΓ² un giardino interiore, capace di trasfigurarla e preservarla dallβorrido grigiore del contingente, fino ad occupare ogni spazio silenzioso. In cittΓ , persino in una singola stanza. Dβaltronde, esistono in cittΓ certe tranquillitΓ di campagna[21].
Come lo straniero-demiurgo, così lei sogna un cenacolo simile a quello della Zarina Alessandra, con profumi e un angolo dedicato allo splendore delle icone, popolato da particolari foto dei più bei volti del mondo, Chopin, Weil, Checov, Hofmannsthal, ritratti in un aspetto, noto e caro a Cristina, della loro esistenza.
Una imposizione del bello e della grazia, della gioia eterna della perfezione, sfuggente, liminale, ritrosa a mostrarsi ed esibirsi, simbolicamente scintillante, a ciΓ² che circonda i lineamenti chiusi del nostro essere. Liturgia di incontri eccezionali in cui ci si dice tutto e che glorificano lβesistenza, la memoria, la bellezza quasi mistica della biografia e della intimitΓ che origina dallβascoltare storie irripetibili [23].
Inafferrabile, in questo. Nel furore rigoroso e tranquillo, contemplativo, di splendori stuccati, di luminescenze ambrate e dipinte lungo lβarco di volta dellβuniverso sensibile, con il fiato corto, ritmico, nel poter vedere, vedere davvero, ciΓ² che si situa oltre. Un senso di inafferrabile che si misura con la forma di unβaltra inafferrabilitΓ . La libertΓ .
Devota nel suo slancio fondazionale di una metafisica della libertΓ , Cristina Campo fu sempre fedele a un ideale superiore e individuale, alla consegna segreta da soldato di vedetta sullβimmoto lago di sabbia dellβesistenza; il rimanere ciΓ² che si Γ¨, senza cedimento di sorta alle sirene e alle lusinghe dellβinessenziale, dellβattuale, del contingente, del materiale, di un collettivo reso feroce tirannia.
CβΓ¨ una bellezza che nessuna parola puΓ² esprimere e che solo puΓ² consistere della VeritΓ ultima della parola. La parola del sacro, del divino. Di quel silenzio carico di incensi e di sinuose volute di fumo che alterano la linea dβorizzonte racchiusa nella finitezza spaziale di qualunque chiostro.
βFilatrice dβinesprimibileβ, fu Cristina Campo nelle parole di Guido Ceronetti [25]; il risultato e lβargomento della sua poetica combaciano nella esatta, acuta idea della trasfigurazione di qualunque percorso che non sia teso alla inafferrabilitΓ , verso la sommitΓ cangiante e luminosa della perfezione [26]. Ed Γ¨ questo il suo meraviglioso tratto distintivo, la sua ferrea capacitΓ di immedesimazione empatica, tra lo scorrere delle parole e nel tumulto del pensiero, giΓΉ dove la luce Γ¨ un bargiglio di fiamma e di tenebra redenta.
Come ha sottolineato Margherita Pieracci Harwell, Cristina Campo si nutriva di alcuni libri e di alcuni autori, suggendone un nettare distillato che la avrebbe permeata per la vita e che sarebbe emerso ed affiorato alla calda luce del mattino anche a distanza di tempo, e questi autori erano, come Simone Weil ed Hugo von Hofmannsthal, gli autori in cui originariamente lei poteva riconoscersi [27]. Specchiarsi e vedere un carattere che similmente si dedicava alla inattualitΓ del messaggio della perfezione.
Nella citazione in esergo da Ezra Pound βvenite mie canzoni, parliamo di perfezione: ci renderemo passabilmente odiosiβ che introduce βGli imperdonabiliβ Cristina Campo opera una precisissima scelta: il cammino della solitudine verso la perfezione, ciΓ² che piΓΉ di ogni altra cosa eleva e indigna le masse, rendendoci appunto βpassabilmente odiosiβ [29]. La passione per la perfezione viene tardi, ma Γ¨ lβunica forma di reazione a un mondo in magmatica decomposizione.
Nelle bellissime pagine sulla orizzontalitΓ del progresso, rievoca un episodio della repressione contro le rivolte boxer in Cina. I condannati, in lunga fila che si snoda serpentina verso il patibolo, ingannano lβattesa accapigliandosi per il loro turno, e in questa folla senza via di scampo si scorge la figura di un uomo che, destinato pure a morte come gli altri, nonostante tutto legge un libro, dimostrando sapienza e amore alla vita, e venendo per questo graziato da un ufficiale tedesco. βIo so che ogni rigo letto Γ¨ profittoβ[30].
Cristina Campo fu imperdonabile. Come Simone Weil. Come Hugo von Hofmannsthal. Come Gottfried Benn. Come Andrea Emo, il filosofo appartato, celato nella sua aristocrazia di pensiero e nellβorizzonte di un Dio negativo, il quale molto colpito dalla pubblicazione de Il flauto e il tappeto, e dal silenzio della critica su quel testo, le scrisse una bellissima lettera nel 1972 [31] da cui sarebbe germogliata una intensa amicizia nutrita di lunghissime telefonate, incontri a Roma e missive [32].
Imperdonabile come chiunque, non pago della facile serenitΓ promessa dallβidea di una estetica del contingente, se ne sia rimasto in margine a fissare quel cielo turrito screziato di nubi e trascendenza.
Nelle βdesolate vastitΓ di una angusta cellaβ dentro cui lo rinchiusero a guerra finita i vincitori, Carl Schmitt si pose la domanda definitiva, quella domanda abissale capace di scorticare la pelle e ardere le carni. Chi sei tu?[33]. La risposta a quel quesito Γ¨ terremoto che abbatte ogni certezza edificata sul tufo di fragili certezze. Ma Cristina Campo seppe rispondere a quella domanda, guardandosi dentro e guardando oltre, nella imperdonabilitΓ di non essersi mai piegata a favore dello scorrere di corrente.
La separazione da tutto un mondo, di affetti, di realtΓ quotidiana, di osservazioni voraci, sublima nel freddo della contemplazione la piena consapevolezza di una ascesa allo stato di grazia. Scrive Cristina Campo a Mita
il tempo passa e mi separa da tutto un lato del mondo β i contatti si fanno a poco a poco diversi β lβalbero azzurro diventa una idea azzurra β non piΓΉ il mio tronco, i miei petali.
[34]
E nella grazia della distanza, mai compiaciuta, ma scarna, essenziale, come un breviario da consultare nelle fredde giornate in preghiera su una panca di legno, si stagliano lβepistolario come genere letterario, ed esistenziale, e il ricorso a un lemma cosΓ¬ peculiare, profondo e personale, quel Diario riferito al Diario Bizantino[35].
Di ogni sofferenza, di ogni calvario, di ogni ascesa silente sul Golgota, Cristina Campo ha vivificato lβessenza nutriente di un nettare celestino, di ogni solitudine e di ogni silenzio, di ogni veglia, di ogni notte febbricitante tra palpitazioni e gambe molli, e la camera scura, incurvata sotto il peso di un lumino arancio.
La poetica dellβaddio. La bellezza dellβassenza, di una impermanenza come coscienza della natura transeunte dellβessere. Imperdonabile, per questo rigoglio di fiamma carnicina, per questa consapevolezza eterea che annuncia, di giorno in giorno, ciΓ² che davvero Γ¨ e che non vogliamo vedere. Ogni angolo, per Cristina Campo, Γ¨ riflessione. Ogni nube, ogni nebbia, ogni dolore.
In una accorata lettera a Mita dellβ8 marzo 1965, stremata dalla morte della madre e dal dover accudire il padre infermo che sarebbe scomparso di lΓ¬ a pochi mesi, medita su quanto doloroso e penoso sia il pensiero di quella Chiesa, SantβAnselmo, dentro cui si Γ¨ insinuata la βlebbraβ, il nuovo rito liturgico, che la priva dallβentrarvi dentro se non quando calano oscuritΓ e silenzio [36].
ImperdonabilitΓ , nella sua forma altera e bellissima, di una purezza abbacinante, cosmica, vorticante come scintillio dei sensi perduti, che fa risorgere ed emergere alla luce, la luce di una ritrovata vertigine, una fratellanza in spirito e leggiadria. Estasi della assenza, del non detto, dei sospiri, di una malinconia fissa verso quel profilo.
Devota come ramo Curvato da molte nevi Allegra come falΓ² Per colline dβoblio Su acutissime lΓ mine In bianca maglia dβortiche, ti insegnerΓ², mia anima, questo passo dβaddioβ¦
[37]
La grazia di Cristina Campo Γ¨ una sinfonia di violini, pianoforte e solitudine. Monastica definizione di ogni canone supremo di estasi, capace di trasfigurare e leggere, oltre qualunque forma, il dolore supremo della perdita.
La deliziosa, ellittica e tragica circolaritΓ redenta de La Tigre Assenza[38], in cui ogni verso si riassume, si piega e si ammira nel riflesso di ciΓ² che va e di ciΓ² che in esso torna, nelle figure archetipiche della bocca, della preghiera, del volto.
In particolare, il lucente nitore de La Tigre Assenza Γ¨ stato letto, borgesianamente, come βinfrazione continua alla funzione referenziale del linguaggioβ[39]. Il segno semantico non si connette al proprio, materico riferimento, ma ne svuota il cardine ontologico determinandone lβassenza e la distanza.
E in questa distanza prende corpo, assume forma, lβaristocrazia del contegno che impedisce alle scorie del tempo presente di inquinare lβanima. Anche davanti il dolore e le lacrime e il silenzio imposto da qualcosa che si spezza [40], come avvenuto nella morte, straziante, dei genitori.
La forza della grazia di Cristina Campo si sublima nella chiave della sprezzatura, bellezza fragrante che lei così definisce,
Il cavaliere medievale. La dama. Il verso poetico di Simone Weil o la fiaba o lβavanzata di Lawrence dβArabia nel cuore ocra del deserto o la passione di Cristo. O il poeta, par excellence.
La sprezzatura Γ¨ atteggiamento colmo di grazia, calda, celestina, irrorata da un bagliore di luce che rende belli qualunque pensiero e qualunque forma. Ed Γ¨ sublimazione di gioia contemplata, vivissima, nuda e pura,
nella gioia noi ci muoviamo in un elemento che Γ¨ del tutto fuori del tempo e del reale, con presenza perfettamente reale. Incandescenti, attraversiamo i muri.
[42]
Nella fiaba e nel simbolo, nel particolare e nel dettaglio, nella poesia e nella liturgia, trovano conforto le parole ultime, inespresse e proferite sotto voce, in silente beatitudine, tendenti come la corda tesa di un arco Zen alla bellezza di ogni grazia.
Intransigenza
Si puΓ² eleggere una bellezza senza tempo e senza nome ad altare votivo su cui lasciar impallidire la mediocre essenza di uno scorrere frenetico dipanato oltre quegli orti, nel serpente di caos e metallo di una cittΓ impazzita?
Si può coltivare, segretamente e intimamente, un amore, un amore così puro e assoluto e che ci dice e afferma per diversi rispetto la routine meccanizzata del mondo, un amore che va oltre quel volto iconograficamente perfetto che adorna, nella sua severa bellezza, nella sua gravitas solenne, le pagine dei libri dentro cui ci si immerge nel lavacro ultimo per attingerne bellezza, poesia ed emergerne nuovi a noi stessi?
SΓ¬. Si puΓ². A patto di esercitare ogni giorno, in ogni margine, in ogni cavitΓ obliqua, lβintransigenza piΓΉ assoluta. Nel suo senso, letterale, di atteggiamento di rigorosa determinazione. Si puΓ² soffrire, per empatia e per straordinaria sensibilitΓ fin quasi a macinarsi le ossa nella adesione emotiva a un disegno metafisico di perfezione letteraria?
Si puΓ². Lo scrive Cristina Campo a Gianfranco Draghi in una lettera del 16 febbraio 1958, a proposito della lettura del Dr. Zivago, in un periodo complesso e doloroso della sua vita, squassata da una devastante febbre:
Γ¨ un libro che mi ha fatto soffrire terribilmente: tutte quelle cose che non si credono piΓΉ possibili β tutti quei miracoli raccontati con tanta fede.
[43]
Lβintransigenza Γ¨ cura. Affetto. Devozione. Amore filiale per i particolari, per quanto di poco offuscato dal progresso e dalla modernitΓ continua ad albergare in un cosmo fantastico di ricchezza interiore. La bellezza dei particolari [44] Γ¨ rituale purificatore che eleva i lavacri e li lascia consistere di un senso ultimo.
Cristina Campo non si situΓ² ‘fuori dalla realtΓ , ma contro lβaria del tempo’[45]; contro quel vento immondo di coscienza sociale, di nettezza nei giudizi manichei dove il senza-Dio giudica il Dio, nel nome di una autoimposta logorrea che svilisce qualunque suprema elevazione, qualunque superioritΓ intellettuale.
Come nellβAmleto, con la virtΓΉ che in ginocchio chiede al vizio il permesso di rendergli del bene, Cristina Campo portΓ² in spalla il peso di rivendicare il senso della gioia e della bellezza in un secolo che mito, fiaba, bellezza, poesia aveva relegato nello scantinato uggioso delle facezie.
Cristina Campo fu libera e bella come un silenzio. Bella come un silenzio [46], scrive in una lettera a Remo Fasani del 26 ottobre del 1953 riferendosi a una lettera in precedenza ricevuta da Fasani stesso. Chiunque riesca a raggiungere simili vette, simili vertigini di potenza espressiva e di empatica partecipazione alla cosmogonia dellβoltre, chiunque possa e sappia circondarsi della inarrivabile eccezionalitΓ dellβulteriore non Γ¨ di questo mondo, ma dellβaltro[47].
Di quel mondo riflesso da uno specchio di cristallo e cielo dentro cui insiste un cerchio che ruota nella sua perfezione. Lβamore per i particolari che altri non giudicherebbero, nella loro spicciola quotidianitΓ di celebritΓ , degni della minima menzione, furono per la intransigenza emotiva e spirituale e culturale di Cristina Campo la profonda manifestazione di una bellezza senza tempo e senza scampo alcuno.
In una lettera a Mita, ricorda di un ricevimento al Quirinale a cui prese parte, assieme ad altre βtremila nullitΓ β; figlia di un grande e stimato compositore, si era ritrovata invitata e invece di rendersi silente e piccina davanti alla istituzionalitΓ mondana del ricevimento, davanti gli stucchi, gli arazzi e gli affreschi, davanti la pretesa regalitΓ del sempre saggio Custode della Costituzione, annotΓ² la sinuosa bellezza dei Corazzieri, di questi Cavalieri dallβalto pennacchio e fu colpita intimamente, fin quasi alla commozione, dal nobile gesto di uno di loro che si era chinato, cavallerescamente, ad allacciare la scarpetta di una invitata [48].
Ecco, queste sono le attenzioni che echeggiano in gloria e nello splendore di una bellezza dimenticata, di cui abbiamo bisogno per vivere, senza requie, senza riposo, nella ricerca del nostro senso e di una armonia celeste.
Quei versi dallβandatura sinuosa, armonica e circolare, dedicati al padre e alla madre, noi li vediamo e sentiamo ora rivolti a Cristina Campo, la cui figura, la cui essenza non Γ¨ scomparsa in quel gennaio del 1977 ma Γ¨ piΓΉ presente che mai, e nella sua inesprimibile, imperdonabile grazia ci confida ancora oggi, a cento anni esatti dalla nascita, la sua gioia incandescente.
E come lei scrisse, con filiale devozione, pro patre et matre, così noi grati rispondiamo:
pro Cristina Campo.
NOTE:
[1] C. Leri, Questo strano lunghissimo viaggio β Cristina Campo tra dialogo epistolare e bellezza liturgica, Alessandria, Edizioni dellβOrso, 2018, pp. 110-111.
[2] La lettera Γ¨ riprodotta in C. Campo, Se tu fossi qui β Lettere a Maria Zambrano (1961-1975), Milano, Archinto, 2009.
[3] C. Campo, Il Diario di Virginia Woolf, in Id., Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, p. 39.
[4] C. Campo, Un sigillo di fuoco arrivato attraverso i secoli, in Id, Sotto falso nome, cit., Milano, Adelphi, 1998, p. 109.
[5] M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, CittΓ di Castello (PG), Edizioni Studium, 2005, p. 31.
[6] βAlessandro Spinaβ Γ¨ nom de plume di Basili Shafik Khouzam, nato a Bengasi nel 1927, dirigente dβazienda e scrittore di rara raffinatezza, dai tratti enigmatici e impossibili da catalogare e rinchiudere nellβasfittica natura delle categorie e delle definizioni letterarie. La conoscenza con la Campo nacque dopo la lettura di questa del racconto Giugno β40, apparso nel 1960 sulla rivista Paragone; vividamente colpita dal nitore del racconto, βuna cosa di una qualitΓ molto rara, come da tempo non mi accadeva di leggereβ, la Campo scrisse a Spina nel febbraio 1961, scusandosi dellβardire di scrivergli senza conoscerlo. Come rilevΓ² Spina anni dopo, furono proprio la Campo e Zolla a renderlo pienamente consapevole del suo talento di scrittore, convincendolo ad avviarsi definitivamente alla letteratura.
[7] C. De Stefano, Belinda e il mostro β vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002, p. 103. Le struggenti lettere di Cristina Campo ad Alessandro Spina sono raccolte nel volume C. Campo, βLettere a un amico lontanoβ, Milano, Scheiwiller, 1989.
[9] C. De Stefano, Belinda e il Mostro, cit., p. 13. M. Pieracci Harwell, Nota biografica, in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 265.
[10] Sulla importanza e sulla genesi del nome βCristina Campoβ, rimangono ancora oggi immutabili e definitive le parole di Vittoria Guerrini eternate in una intervista radiofonica concessa pochi mesi prima della morte alla emittente Radiotelevisione Svizzera. Quel nome, nato quasi per gioco di infanzia, alla luce della tragica scomparsa della sua tanto amata e dolcissima amica Anna Cavalletti, uccisa in un bombardamento alleato di Firenze, divenne da quel momento non piΓΉ pseudonimo, ma eteronimo in senso pessoiano, parte sostanziale di lei. La Cavalletti, oltre che intima amica e confidente, fu anche poetessa. Poetessa di talmente raro lirismo che la Campo decise di includerla nel progetto, poi non piΓΉ realizzato, di una antologia con ottanta poetesse. Una parte dei meravigliosi diari della Cavalletti Γ¨ stata pubblicata sotto il nome βLβesatta divisione dellβariaβ e a breve sarΓ ristampata dalle Edizioni Cenere, che peraltro proprio a partire dalla data del 29 aprile 2023, in coincidenza con lβanniversario del centesimo anno dalla nascita di Vittoria Guerrini, daranno vita a un corposo piano di pubblicazioni a tema Cristina Campo, con inediti e semi-inediti.
[11] C. De Stefano, Belinda e il mostro, cit., p. 95
[12] P. Citati, Così la sua mente senza strutture divorava il mondo intero, La Repubblica, 11 agosto 2002.
[13] C. Campo, Caro Bul β Lettere a Leone Traverso (1953-1967), Milano, Adelphi, 2007, p. 69.
[14] G. Ceronetti, Cristina Campo o della Perfezione, in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 277.
[15] C. Campo, In medio Coeli, in Id., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 17. Eβ uno dei capitoletti che compongono la celebre, forse la piΓΉ nota e letta, opera campiana Il flauto e il tappeto, originariamente edita da Rusconi nel 1971.
[16] C. Campo, Della Fiaba, in Id., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 29.
[17] M. Pieracci Harwell, Quando vedrai Cielo e Terra oscurarsi, tuffa le mani nellβacqua, in C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia, Milano, Adelphi, 2011, p. 265.
[18] C. Campo, Della Fiaba, cit., p. 41.
[19] C. Campo, Ville Fiorentine, in Id., Sotto falso nome, Milano, Adelphi, 1998, p. 125.
[20] C. Campo, In medio Coeli, in Id., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, pp. 19-20.
[21] F. Pessoa, Il libro dellβinquietudine, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 115.
[22] J. L. Borges, Le rovine circolari, in Id., Finzioni, Torino, Einaudi, 1955, p. 49.
[23] E. Cioran, Un apolide metafisico, Milano, Adelphi, 2004, pp. 44-45.
[24] C. Campo, Oltre il tempo, oltre un angolo, in Id., La Tigre Assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 37.
[25] G. Ceronetti, Cristina, in C. Campo, Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, xiv.
[26] G. Ceronetti, Cristina Campo o della Perfezione, cit., p. 277.
[27] M. Pieracci Harwell, Cristina Campo e i suoi amici, cit., p. 31.
[28] G. Benn, Pietra, verso, flauto, Milano, Adelphi, 1990, p. 71.
[29] C. Campo, Gli imperdonabili, in Id. Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 73.
[30] C. Campo, Gli imperdonabili, cit. p. 74.
[31] Lettera del 7 febbraio 1972 di Andrea Emo a Cristina Campo, citata in C. De Stefano, Belinda e il Mostro, cit., p. 161, e riprodotta in A. Emo, Lettere a Cristina Campo. 1972-1976 In forma di parole, III, 2001, p. 19.
[33] C. Schmitt, Ex Captivitate Salus, Milano, Adelphi, 1987, p. 11.
[34] C. Campo, Lettere a Mita, Milano, Adelphi, 1999, p. 109.
[35] G. Scarca, Nellβoro e nellβazzurro. Poesia della liturgia in Cristina Campo, Milano, Ancora Editrice, 2010, pp. 158-159.
[36] C. Campo, Lettere a Mita, cit., p. 189.
[37] C. Campo, Devota come ramo, in Id., La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 29.
[38] C. Campo, La tigre assenza, in Id., La tigre assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 44.
[39] M. Morasso, In bianca maglia dβortiche β per un ritratto di Cristina Campo, Genova, Marietti, 2010, P. 74.
[40] C. De Stefano, Belinda e il mostro, cit., p. 117.
[41] Entrambe le citazioni in C. Campo, Con lievi mani, in Id., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 100.
[42] C. Campo, Fiaba e mistero, in Id., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi, 1987, p. 143
[43] C. Campo, Il mio pensiero non vi lascia. Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino, Milano, Adelphi, 2011, p. 70.
[44] D. Vespier, Autoritratto della perfezione β per una lettura di Cristina Campo, cit. p. 66.
[45] C. Mezzasalma, Il βcasoβ Cristina Campo tra poesia e ancoraggio alla fede, in AA. VV., Cristina Campo β la via dellβinterioritΓ redenta, Panzano in Chianti (FI), Edizioni Feeria, 2012, p. 19.
[46] C. Campo, Un ramo giΓ fiorito β Lettere a Remo Fasani, a cura di M. Pertile, Venezia, Marsilio, 2010, p. 75.
[47] βDue mondi β e io vengo dallβaltroβ Γ¨ lo struggente verso che apre la poesia Diario Bizantino, C. Campo, Diario Bizantino, in Id., La Tigre Assenza, Milano, Adelphi, 1991, p. 45.
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