Il “Manoscritto dello Yoga caucasico” del Conte Colonna Walewski: un enigma esoterico e letterario (I parte)

In Occidente, il termine yoga evoca perlopiù pratiche, insegnamenti e paesaggi dell’Asia centro-orientale, del Tibet e dell’India, associati in modo più o meno pertinente al Buddhismo. Non può quindi non stupire una definizione come “Yoga caucasico”, che sposta bruscamente il pensiero del lettore alcune centinaia di chilometri a ovest: nel Caucaso, appunto, antichissimo crocevia geografico, ma anche etnico, storico e mitologico, tra Eurasia e Medio Oriente. Dunque di che cosa si tratta?    

Nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, negli Stati Uniti comparve uno strano libro intitolato A system of Caucasian Yoga (Un sistema di Yoga caucasico), redatto dal conte Stefan Colonna Walewski, ex diplomatico polacco emigrato a New York. Il conte Walewski sosteneva di aver frequentato, durante uno dei suoi viaggi internazionali, una misteriosa confraternita neo-zoroastriana ubicata nel Caucaso, che lo avrebbe messo a conoscenza della dottrina e dei metodi per praticare determinate tecniche respiratorie e psico-fisiche che avrebbero favorito lo sviluppo di stati di coscienza straordinari e di facoltà teurgiche; dagli insegnamenti segreti che questa setta gli avrebbe trasmesso in lingua russa e persiana, e che egli scrisse a mano in inglese, nacque il cosiddetto Manoscritto dello Yoga caucasico. Il volume fu stampato e pubblicato nel 1955 (poco prima della morte dell’autore) dalla casa editrice Falcon’s Wing Press di Indian Hills (Colorado), che ne stampò mille copie; di queste, però, la maggior parte fu eliminata dopo che gli esponenti di un’associazione esoterica presente negli USA – coloro che li incontrarono ricordavano il loro nome come “Masdasnin” – giudicando pericolosa la divulgazione di pratiche segrete, ottennero il ritiro del libro dal commercio ricorrendo al tribunale. Del Manoscritto sopravvissero trecento copie, che furono ripubblicate soltanto trent’anni dopo, nel 1987, dalla Borderlands Sciences Research Foundation, specializzata nello studio dei fenomeni, appunto, “ai confini” delle scienze ufficiali. Infine, intorno al 2000, un’edizione superstite del Manoscritto venne tradotta per la prima volta in italiano e pubblicata a Roma con il testo originale (curiosamente tutto in stampatello maiuscolo) riprodotto sulle pagine a fronte. In queste settimane, a distanza di un ventennio, Venexia Editrice (Roma) ripropone questo libro con una dissertazione del noto scrittore ed esperto di letteratura esoterica e fantastica Sebastiano Fusco, ed un saggio introduttivo di chi scrive (condensato e aggiornato, per quanto possibile, qui di seguito).  

Che cosa c’era dunque di segreto negli insegnamenti trascritti dal nobile polacco? E chi erano i misteriosi adepti che ne ottennero il ritiro dall’editoria? Per fare luce su queste circostanze è necessario conoscere meglio l’autore.     

Stefan Colonna Walewski, nato a Vilnius (attuale capitale della Lituania) il 9 giugno 1897, e morto a New York il 19 maggio 1955, si dichiarava discendente diretto del conte Alexandre Florian Joseph Colonna Walewski (1810-1868), figlio illegittimo di Napoleone Bonaparte I e della sua amante polacca Maria Laczynska (1786-1817), moglie del conte Anastasy Colonna Walewski, ciambellano del re di Polonia e più anziano di lei di cinquant’anni. Vi sono ritratti e fotografie del conte Alexandre Florian che mostrano la spiccata somiglianza tra il suo volto e quello di Napoleone; viceversa, del conte Stefan esistono soltanto due rare fotografie: una pubblicata sulla rivista statunitense “American Magazine” di ottobre 1948, che gli dedicò un articolo intitolato Devilish Business (Affari diabolici), l’altra – un primo piano del suo volto dall’espressione algida – riprodotta sulla quarta di copertina della prima edizione di A system of Caucasian Yoga; questa fotografia, peraltro, è accompagnata da un suo breve ed interessante profilo biografico:

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Naturalizzato statunitense nel 1927, Walewski era giunto negli USA nel 1916 come agente diplomatico del governo polacco o dell’ormai malfermo Impero austroungarico; in tale ruolo, aveva visitato diversi paesi d’Europa e dell’Asia Minore; purtroppo non si trovano ulteriori notizie su chi fosse suo padre, diplomatico al servizio dell’impero russo. A New York il conte divenne noto per la sua filantropia, come dimostrerebbero le sue donazioni alla comunità buddhista; tuttavia, la sua personalità aveva anche un lato oscuro. Esoterica, il vasto bazar di oggetti magici, manufatti d’arte orientale e curiosità archeologiche da lui aperto, comprendeva sia manufatti giunti fra le sue mani in modo misterioso, sia falsi, realizzati sovente da lui stesso. Forse l’unico altro libro tradotto in italiano che parli del conte Stefan Colonna Walewski è In the Seventies del giornalista Barry Miles, pubblicato negli USA nel 2011 e dedicato alle culture “alternative” americane dal secondo dopoguerra agli anni ’70. In questo volume – edito in italiano col titolo I Settanta. Da William Burroughs ai Clash, da Allen Ginsberg a Patti Smith. Avventure nella controcultura – si racconta che Harry Smith, un esponente della “controcultura” USA dei primi anni ’50, ebbe come “insegnante di occultismo” proprio il conte Walewski, descritto come un personaggio quantomeno inquietante: 

“ex ambasciatore austriaco negli Stati Uniti ritrovatosi di colpo senza lavoro quando l’Austria era diventata filocomunista”. Si era dato da fare e a New York aveva aperto Esoterica, un negozio che vendeva falsi manufatti tibetani e oggetti orientali insoliti in quantità. “Ai tempi in cui il Tibet era ancora al suo posto”, per dirla con Harry. Pare che Harry avesse convissuto con Walewski, forse in un ménage omosessuale. Lui disse che il conte gli dava soltanto qualche soldo di tanto in tanto, e che con quelle mance sopravviveva. L’appartamento era vicino al negozio e il conte vi custodiva i suoi oggetti più preziosi. C’erano sessanta o settanta thangka tibetani, Harry diceva che dopo una certa opera di convincimento il conte gli aveva donato i migliori. C’era una biblioteca di libri rari e preziosi come pochi altri al mondo, compresi titoli di Crowley diffusi in tirature da cinquanta copie. Tra i regali ricevuti da Harry c’era il dattiloscritto originale della cerimonia 5=6. […]

Per proteggersi dai veleni, Walewski aveva suggerito a Harry di praticarsi tre tagli all’interno delle cosce sfregandovi certe sostanze velenose, ma lui era troppo timoroso, non obbedì e non ottenne mai la protezione. Le stanze di Walewski custodivano una biblioteca disordinatissima e montagne di manufatti etnici. Il pavimento era letteralmente ricoperto da decine di migliaia di ushabti, piccole statuette funebri egizie, erano così tante che non riuscivi a camminare senza calpestarle e magari sbriciolarne qualcuna. A dominare l’ambiente, una statua di dimensioni esagerate di Lon Nol [altro nome di Trungpa, un guru tibetano conosciuto dal noto poeta beat Allen Ginsberg, n.d.R.] che cavalca una bestia e usa il figlio fustigato come sella. Si diceva che quando praticava i suoi rituali, Walewski riuscisse chissà come a infilarsi nella statua di bronzo, cosa improbabile vista l’obesità che lo faceva muovere a fatica in negozio. Il conte si nutriva di patate e prezzemolo che affettava con vigore su un tavolo medievale in salotto, e mangiava con le mani. Un giorno Harry era andato in cerca di una forchetta per sé. Aveva notato che sul fornello bolliva qualcosa che non c’entrava con il loro pasto. Aveva aperto tutti i cassetti in cerca della posata. “Erano pieni di femori umani. Capito? Passava un sacco di tempo a costruire manufatti tibetani, e c’era una certa richiesta di flauti d’osso. Era d’accordo con il becchino di non so quale ospedale, e sul fornello c’era un osso. Messo a bollire per staccare la carne! Questo prima che ci fosse ʻl’esplosione dell’occultismoʼ, eh. All’epoca gli articoli tibetani costavano tantissimo. E i tibetani, ovvio, sono sempre stati bravi commercianti. Hanno costruito milioni di quegli strumenti, più di quanti ne servissero in Tibet. Tutti ne volevano uno!”.  

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Walewski

All’epoca della prima edizione italiana del Manoscritto, qualche studioso avrebbe sostenuto che le operazioni psicofisiche che il conte Walewski dichiarava d’aver imparato presso l’oscura setta caucasica cui si è già accennato, possano essere le medesime importate in Europa dal noto esoterista Georges Ivanovič Gurdjieff (1866?-1949), il quale, menzionando la misteriosa “confraternita di Sarmoung”, potrebbe avere alluso alla stessa associazione conosciuta da Colonna Walewski, attribuendole uno dei suoi caratteristici nomi stranianti e suggestivi. È stato anche ipotizzato che i non meno misteriosi “Masdasnin” vollero bloccare la pubblicazione perché gli insegnamenti in essa raccolti potrebbero essere stati sottratti da loro stessi ad una o più associazioni esoterico-iniziatiche precedenti; qualcuno si è quindi chiesto se i membri della “confraternita di Sarmoung” possano essere stati i predecessori ʻlegittimiʼ dei “Masdasnin”. Ma queste due associazioni esoterico-iniziatiche sono esistite veramente?

L’unica associazione neo-zoroastriana che abbia un nome simile a “Masdasnin” è la Confraternita di Mazdaznan, la quale, pur annoverando pochissimi seguaci e non avendo più un’organizzazione istituzionale, esiste ancora negli USA e in Europa. Mazdaznan fu fondata da un cittadino tedesco, Otto Hanisch, di cui risultano incerte la data e la località di nascita: secondo il suo seguace David Ammann (che pubblicò molti scritti di Hanisch scrivendone talvolta anche le prefazioni), Hanisch nacque a Teheran, nel 1844, figlio di un diplomatico russo, e lo stesso Ammann racconta che fosse stato iniziato sin da bambino all’interno di una società segreta zoroastriana nelle montagne iraniche, dove praticò tecniche respiratorie che ebbero effetti benefici sulla sua salute (pare che avesse problemi cardiaci). Altri lo vogliono nato a Poznan, in Polonia, nel 1854-55 – città che però potrebbe essere quella dei suoi genitori, immigrati negli Stati Uniti – oppure addirittura a Mendota, nell’ambiente rurale dell’Illinois. Hanisch assunse il nome orientaleggiante Otoman Zar-Adusht Ha’nish, e curiosamente – proprio come il conte Colonna Walewski qualche decennio più tardi – affermò di avere appreso la dottrina Mazdaznan durante un soggiorno in Asia centro-occidentale; il che può farci dubitare della sincerità del conte su queste circostanze. In italiano, oltre alle poche righe presenti nell’Enciclopedia Treccani on line, su Hanisch e sui Mazdaznan abbiamo notizie attendibili pressoché esclusivamente dalla scheda a loro dedicata dal CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni):

Otto Hanisch (1844-1936) nasce nel 1844 a Teheran da padre russo e madre tedesca. Sulla stessa località di nascita, peraltro, non mancano controversie, e in ogni caso, della sua vita per i successivi cinquantasei anni si sa molto poco. Nel 1900 è a Chicago, dove afferma di essere stato iniziato in Persia (o in Tibet) in un misterioso Ordine zoroastriano. Inizia a raccogliere discepoli con il nome di Otoman Zar-Adusht Ha’nish, e nel 1917 fonda in California l’associazione Mazdaznan. Fra i principali discepoli si contano Maud Meacham (1879-1959) e David Ammann (1855-1923), che avrà un ruolo importante nei primi anni della diffusione di Mazdaznan in Europa. Dopo la morte di Ha’nish, gli succedono “elettori” fino a quando il messicano Alfonso R. Calderón decide di porre fine nel 2001 alla presenza organizzata negli Stati Uniti, ormai ridotta ai minimi termini. Le branche nazionali sono oggi semiautonome ma un ruolo di coordinamento è svolto da quella tedesca, la più grande. Un certo numero di attività pubbliche continuano pure nella branca ungherese.

Mentre negli Stati Uniti Mazdaznan ha condotto un’esistenza piuttosto tranquilla, in Europa non sono mancate le polemiche. È stato messo in dubbio, in particolare, che si tratti di un autentico insegnamento zoroastriano, sottolineando piuttosto le peculiari idee del fondatore. Benché fondamentalmente monoteistico, Mazdaznan insegna che “l’uomo è in Dio e Dio è nell’uomo”. Ogni razza ha una particolare visione religiosa: la più alta – e per qualche verso finale – è quella della razza ariana, che si esprime negli insegnamenti zoroastriani, a loro volta coincidenti con quelli del genuino cristianesimo, da non confondere con la versione istituzionalizzata – sempre secondo Mazdaznan – corrotta da san Paolo. Frequente è stata l’accusa di razzismo, anche se nel 1935 Mazdaznan è stato vietato nel Terzo Reich per il suo pacifismo. Oggi gli scritti del fondatore sul destino religioso della razza sono ripubblicati con una nota che nega ogni intenzione di discriminazione razziale.

Lo scopo della vita umana sulla Terra consiste nel trasformare il mondo in un giardino dove Dio (Mazda) possa tornare a intrattenersi con gli uomini. La tecnica per redimere il mondo della materia e renderlo perfetto come lo spirito si articola in esercizi di respirazione (di importanza centrale e di vasta influenza nell’ambiente della nuova religiosità tedesca prima della Seconda guerra mondiale), preghiere ritmiche e canti. Assume importanza anche la dietetica, che ha attirato l’attenzione di molti medici e ha diffuso Mazdaznan in ambienti salutistici anche in Italia, dove, se la presenza organizzata è venuta meno (è rimasto, di fatto, un solo referente istituzionale), rimangono però lettori di Otto Hanisch e membri in contatto direttamente con branche straniere del movimento.

Da questa scheda del CESNUR emerge velatamente un’anticipazione del marcato sincretismo che caratterizza abbondantemente il Manoscritto dello Yoga caucasico. Leggendolo, si scopre che esso assembla, non sempre in modo coerente, elementi dottrinali e pratici eterogenei, provenienti da varie filosofie e religioni eurasiatiche; i riferimenti a sistemi filosofico-iniziatici dell’Asia orientale o dell’area mediterranea ed europea: concetti e tecniche di yoga indo-buddhistico si intrecciano a termini di matrice zoroastriana e cristiana, a mantra espressi in un linguaggio sillabico (forse in parte di fantasia o ad imitazione della lingua persiana), e talvolta a vere e proprie formule magiche. Il testo si rifà, ad esempio, tanto al Cristianesimo – l’introduzione scritta dal conte si apre con una citazione, un po’ modificata, della frase di Gesù “Non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato” (Matteo, 10:26; Luca, 12:2) – quanto all’alchimia intesa come iter ascetico-spirituale (c’è almeno un riferimento alle due correnti energetiche ida e pingala connesse alla respirazione [3]); vi si trovano riferimenti a un “sistema egizio” e “caldeo” quasi certamente non originario delle civiltà egizia e mesopotamica, bensì elaborato in seguito, probabilmente da parte di scuole esoteriche neoplatoniche e neopitagoriche egittizzanti; nozioni e pratiche antiche sono poste con disinvoltura accanto a concezioni moderne e a recenti (per l’epoca) acquisizioni tecnico-scientifiche: non mancano ripetuti riferimenti all’elettricità applicata e alle onde radio, assimilate all’“aura” della Terra, chiamata col nome persiano Armaiti, personificazione divina del nostro pianeta come essere dotato di coscienza, obbediente alla legge di Dio o Ahura-Mazda; vi è una digressione di biologia delle cellule che occupa cinque pagine. Tutto questo, e altro ancora, incorniciato da una forma di gnosticismo secondo cui il mondo e l’essere umano sono decaduti da una originaria condizione di purezza psicofisica. 

Un apporto personale del conte Walewski, certamente non prelevato dalle dottrine yoga, zoroastriane o Mazdaznan, è costituito dalle sporadiche ma esplicite menzioni del complesso di pratiche teurgiche Magick, termine coniato dal controverso occultista e mago inglese Aleister Crowley (1875-1947), del quale – come si è visto – il conte Walewski possedeva numerosi testi. Nel Compendio generale – sezione del Manoscritto posta fra gli “Arcani maestri” e gli “Arcani minori” – appare il primo riferimento al Magick. Crowley pubblicò nel 1929 l’omonimo libro -il che ci indica che il Manoscritto di Walewski fu certamente redatto dopo il 1930 – e definiva il Magick “l’arte e la scienza di provocare cambiamenti in conformità con la Volontà”, mentre il Manoscritto lo presenta come “l’applicazione pratica dell’osservazione super-sensitiva e della sua interpretazione. Il suo scopo è di fare apparire e scomparire le cose e di modificare un oggetto in un altro – creazione, distruzione e trasmutazione”.

Quanto di questo insieme di riferimenti dottrinali e pratici esoterico-religiosi può quindi coincidere davvero con quello che Gurdjieff affermò di avere appreso nel corso dei suoi viaggi in oriente?

Nel 1885, Gurdjieff aveva cominciato un lungo viaggio tra Europa e Asia insieme a un gruppo di amici chiamati “Ricercatori di Verità”, che comprendeva studiosi di diverse branche del sapere; da Costantinopoli si spostò a est, imbattendosi nelle rovine archeologiche di un’antica città nell’Anatolia orientale. Qui nel 1886 egli avrebbe trovato i resti degli scritti su pergamena di un’antica associazione esoterica, la Confraternita di Sarmoung, fiorita forse a Babilonia addirittura nel 2500 a.C.; successivamente, avrebbe incontrato un oscuro ex missionario cristiano, Padre Ioannas, che molti anni prima aveva conosciuto alcuni dei Sarmoung, era stato ammesso tra loro e soltanto allora – disse – aveva finalmente trovato la verità definitiva sul destino dell’essere umano [4]. A quanto pare, Gurdjieff conobbe in questo modo la matrice delle danze mistiche – eseguite da un presunto ordine di “sacerdotesse” – che poi lui stesso rielaborerà inserendovi alcuni elementi tratti da altre scuole religiose, soprattutto i Sufi musulmani e i Dervisci rotanti, che egli conosceva già piuttosto bene. Tuttavia,

l’unico indizio su cosa si pratichi nel tempio ci arriva quando descrive le danze rituali che le sacerdotesse eseguono seguendo istruzioni incise su grandi pilastri d’oro che ricordano una foresta, danze che probabilmente sono alla base dei famosi movimenti che Gurdjieff inserirà più tardi nel suo ‘Lavoro’.

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Nonostante l’incertezza e l’ambiguità di queste testimonianze,

nel corso degli anni numerose persone, dando per scontata l’esistenza della Confraternita, hanno cercato di identificarne la posizione. Uspenskij la collega allo Zoroastrismo, reputando Sarmoung la pronuncia armena del persiano sar-man, “colui che preserva la dottrina” […], mentre Desmond Martin la colloca tra le montagne dell’Hindu Kush nel nord dell’Afghanistan. Idries Shah, famoso pensatore sufi del XX secolo, riporta diverse storie e preghiere sarmouni, mentre Omar Michael Burke, probabile suo pseudonimo, scrive di diversi incontri con loro, descrivendoli come una rete di villaggi e case sparse piuttosto che come un singolo monastero. L’attivista e diplomatico canadese James George, infine, la ritiene un’errata trasposizione di Surmang, un gruppo di monasteri buddhisti nell’omonima catena montuosa in Tibet.

L’indeterminazione della stessa esistenza della confraternita Sarmoung ha quindi condotto ad affermare che:

Il problema delle fonti cui Gurdjieff attinse […] resta insoluto: la Confraternita di Sarmoung, “fondata a Babilonia nel 2500 a.C.” secondo le sue parole, non è che un mito, e sono dubbie le testimonianze ad usum delphini prodotte dal neo-sufi (o forse meglio, pseudo-sufi) Idries Shah per identificarla con presunti ordini sufici afgani legati alle confraternite Naqshbandi e Qalandari dell’Asia centrale.

A questo proposito anche altri studiosi di misteri e di esoterismo hanno concluso che in realtà non vi sia alcun legame tra il Sufismo islamico e la confraternita Sarmoung, dubitando che quest’ultima sia realmente esistita:  

Anche se pochi lo direbbero in modo così schietto, mi sembra chiaro che i Sarmoung siano interamente immaginari. Non si conosce alcuna tariqa [confraternita] Sufi di un tale nome, e infatti “Sarmoung” è un nome fantastico tipicamente gurdjieffiano. È immediatamente ovvio per chiunque sappia qualcosa sul Sufismo regolare che non c’è nulla di lontanamente Sufi nell’Ordine Sarmoung descritto da Gurdjieff (Movimenti europei neo-sufi nel periodo tra le due guerre).

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Gurdjieff

Dunque si tratterebbe di un’associazione esoterica con poca o nessuna affinità con il Sufismo, di incerta collocazione geografica e di dubbia esistenza, alla quale Gurdjieff avrebbe dato uno dei suoi tipici nomi stranianti. Eppure, proprio in Italia v’è chi sostiene di averne trovato alcuni indizi tra i documenti custoditi da una famiglia ben nota nel contesto politico della seconda metà del Novecento, quella di Mariano Rumor (1915-1990), più volte presidente del Consiglio dei ministri dal 1968 al 1974. Riportiamo dal blog www.riflessioni.it/ i brani principali su questa incredibile versione di storia segreta,  avente le proprie radici in un passato antico addirittura di millenni:

Nessuno ha mai avuto idea di cosa potesse essere la Confraternita di Sarmoung, almeno prima della pubblicazione del libro L’altra Europa, da parte di Paolo Rumor con la collaborazione di Giorgio Galli e Loris Bagnara. Loris Bagnara (architetto, autore e ricercatore in ambito storico-archeologico ed esoterico) sta lavorando, in collaborazione con Paolo Rumor (figlio di Giacomo, a sua volta cugino del più noto Mariano, che fu per ben cinque volte Presidente del Consiglio) sulle copie di antichi documenti di proprietà della famiglia Rumor: essi tratteggiano l’esistenza di una struttura segreta, della quale anche Gurdjieff avrebbe fatto parte – presente, fin dalla più remota antichità, in Africa e in Egitto – che, in tempi lontanissimi, si sarebbe espansa verso nord-ovest per lavorare a un suo progetto di unione europea. La struttura, almeno nei termini in cui Rumor la rappresenta, parrebbe costituire uno dei più antichi e venerabili sottocentri dell’organizzazione esoterica che domina il mondo; e, sul piano ideologico, una terza via a metà strada tra l’esoterismo tradizionale e l’esoterismo modernista di scuola britannica (l’iniziazione e la controiniziazione secondo Guénon), coprente un territorio intellettuale con poche – se non nulle – vie d’accesso dal mondo exoterico.

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Seguono poi le parole del ricercatore Loris Bagnara, dalle quali emerge un’ardita ipotesi sulla protostoria umana che si riallaccia a questioni piuttosto note nell’ambito dell’“archeologia alternativa”, come l’esistenza di copie di antiche carte geografiche della superficie terrestre prima del “Diluvio”, l’aumento del livello degli oceani alla fine della quarta e ultima era glaciale (circa 12.000 anni fa) che cancellò quasi totalmente ogni traccia delle presunte civiltà precedenti [8]. Successivamente, vengono menzionati il conte Colonna Walewski, il suo anno di nascita (1897) e il Manoscritto dello Yoga caucasico come possibile traccia dell’espansione verso nord-ovest della presunta Struttura occulta: in tale ricostruzione, non sarebbe da escludere l’importanza

che può avere rivestito, come snodo della trasmissione verso occidente, il Caucaso – terra di Mazdeisti e Zoroastriani, nonché antichissimo centro di diffusione di quella particolare e sconosciuta versione dell’Ermetismo che passa sotto il nome di Yoga caucasico; e non sarà male che noi ci si trattenga brevemente ad illustrarla […]. Un libro intitolato Il Manoscritto dello Yoga caucasico – pubblicato da una piccola casa editrice romana meno di una ventina di anni fa – capitò nelle nostre mani nel 2018. Secondo una nota dell’editore, la sua storia sarebbe avventurosa: fu scritto da un ex-diplomatico polacco, il conte Stefan Colonna Wale[w]ski (1897-1955), emigrato a New York, dove svolgeva la professione di antiquario. Stampato negli anni cinquanta, la vendita venne bloccata da un misterioso gruppo di esoteristi che ne rivendicava la proprietà intellettuale; ne rimasero in giro soltanto trecento copie, una delle quali fu rinvenuta da un nostro connazionale in Nuova Zelanda. In quella nota si afferma pure che lo yoga caucasico avrebbe fatto parte del training giovanile di Gurdjieff – cosa di cui dubitavamo, perché, nelle sue opere, il grande esoterista georgiano si dichiara contrario agli esercizi fondati sulla respirazione.  

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A questo punto, non possiamo essere certi che il sistema illustrato dal conte Colonna Walewski sia il resto di una tradizione antica, seppure spuria e rielaborata (o addirittura mal compresa o ʻdeviataʼ) ad uso degli occidentali del ventesimo secolo, ma autoctona del Caucaso e a lui trasmessa per concessione di una confraternita segreta zoroastriana (o neo-mazdaica); né, viceversa, che si tratti di una composizione moderna (cioè della prima metà del ’900), nata in ambienti esoterici mediorientali a contatto con la società mitteleuropea della medesima epoca, e poi interpolata con elaborazioni personali da parte del conte Walewski. È molto probabile che nel Manoscritto siano presenti entrambe queste componenti, e in ogni caso vi è ancora molto da indagare sui contatti tra il conte Walewski, la setta Mazdaznan e gli ambienti esoterico-occultistici della prima metà del Novecento

Soltanto durante la stesura di queste righe, ad esempio, chi scrive ha saputo dell’esistenza di un carteggio in francese e in tedesco fra Walewski e “alcuni alti esponenti di Mazdaznan”, nonché del manoscritto di un suddito persiano residente a Londra intorno al 1938 (il suo nome era forse Arash Sami o Araf Sami), compilato in lingua farsi (persiana) con a fronte la traduzione, contenente schemi degli esercizi yogico-sufi e delle pratiche psicofisiche “quasi identiche” a quelle presenti sia sul Manoscritto dello Yoga caucasico disegnate dallo stesso Walewski, sia nel carteggio. Tuttavia in quest’ultimo, costituito da una quindicina di lettere, i Mazdaznan non definiscono mai “caucasici” i suddetti esercizi, bensì “egiziani”, e lo stesso Otoman Ha’nish sosteneva di aver imparato ed insegnato un insieme di posture, allungamenti e stiramenti del corpo derivati addirittura dalle pratiche eseguite dai Faraoni egizi, delle quali si diceva pure che conferissero al praticante un’“auto-illuminazione” non solo metaforica e psicologico-spirituale, ma anche fisica: il suo corpo avrebbe generato una luminosità interiore, visibile da qualunque spettatore. Di tutto questo materiale, ad oggi non si conoscono copie, a eccezione di quelle – perdute a causa di un’alluvione – appartenute allo studioso e cultore di tradizioni iniziatico-esoteriche Gaetano Lo Monaco. Da costui apprendiamo anche dello svolgimento di simili esercizi psicomotori e respiratori presso la “struttura” esoterica Mysteria Aeternis di Rudolf Steiner, dove – secondo Daniel Egmond – erano combinati con la pronuncia di “vocali-vibrazione” e con “segni massonici” per “armonizzare le energie sottili” del corpo umano; Egmond annota pure che tali esercizi (o loro varianti) “giocavano un ruolo importante” anche nell’Ordo Templi Orientis (O.T.O.), circolo esoterico-occultistico fondato da Theodore Reuss e altri fra il 1895 e il 1907, anno dal quale ne fu guida proprio Aleister Crowley; ragion per cui, secondo Egmond, “è anche possibile che Steiner li abbia ricevuti da Reuss” [10].   

Dopo aver letto il Manoscritto, si possono comunque stabilire almeno due punti fermi:

1) l’insieme eterogeneo di dottrine e di pratiche che il Manoscritto contiene non è necessariamente riconducibile a un’organizzazione ultra-esoterica nata addirittura nel III millennio a.C.: quasi tutto ciò che esso contiene può risalire a varie religioni, filosofie esoteriche e complessi di pratiche yoga, tantriche e magiche relativamente conoscibili, cronologicamente situati tra la diffusione del Buddhismo (V secolo a.C.) e le elaborazioni di Aleister Crowley (prima metà del XX secolo);  

2) la presunta Confraternita dei Sarmoung appare troppo differente da quella dei Mazdaznan per poter coincidere con essa. Come si è visto, i riti dei Sarmoung avrebbero annoverato danze misticheggianti eseguite da “sacerdotesse”, mentre presso i Mazdaznan, almeno secondo il Manoscritto Walewski, non risulta alcun insegnamento nel quale siano fondamentali uno o più tipi di danza: al contrario, esso è basato sulle tecniche di respirazione e di concentrazione yoga (o varianti di queste), ossia su un insieme di pratiche che Gurdjieff, a quanto pare, non considerava basilari ma accessorie; il suo discepolo Piotr D. Uspenskij, nel famoso libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto, ricordava che la respirazione controllata non era il principale metodo studiato e insegnato da Gurdjieff ai suoi allievi del “Centro per lo sviluppo armonico dell’Uomo” [11]: nel percorso psicofisico e spirituale gurdjieffiano erano indubbiamente le danze, i movimenti e le musiche ad avere funzione performativa [12].


Il Manoscritto, che reca il titolo di Chiave della Maestria (Key to Mastery), illustra una progressione di esercizi respiratori, psico-fisici e anche magico-rituali, aventi per obiettivo l’acquisizione e la padronanza di alcune facoltà taumaturgiche e teurgiche. Le pratiche che permetterebbero la riscoperta di tali facoltà sono inserite in una concezione dell’organismo umano come specchio vivente dell’organismo cosmico, che secondo gli esperti appartiene più allo yoga tantrico che allo yoga originario. Ogni individuo è dotato naturalmente di potenziali facoltà d’interazione con le varie forme dello Spirito divino presente in tutto il cosmo, ma ha subìto un condizionamento perlopiù sfavorevole durante il concepimento, il periodo di vita intrauterina ed il parto. Queste concezioni della gravidanza come condizione determinante, e della madre come soggetto inconsapevolmente responsabile della futura condizione del figlio, ricorrono più d’una volta nel Manoscritto.  Da questa condizione decaduta dell’essere umano sorge l’esigenza di recuperare lo “stato di maestria”, ossia l’insieme delle potenzialità energetico-spirituali dell’individuo e la padronanza di esse, mediante le pratiche dello Yoga caucasico. Secondo tale sistema, il cosmo è pervaso dall’energia divina chiamata Gaya-Lhama, presunto termine persiano analogo al Ga-Llama dei Tibetani, al prana degli Indù, al Ki dei Giapponesi e al Chi (o Qi) dei Cinesi. Nell’Introduzione, il Manoscritto spiega:

Il potere titanico di Gaya-Lhama è ovunque, e cerca sempre di penetrare nell’essere umano per potersi esprimere attraverso di lui. Diventare ricettivi all’armonioso flusso di questa energia significa stabilire il ritmo maestro nell’individuo […]. Gaya-Lhama è l’energia contenuta nello spazio e ha quattro stati vibratorii corrispondenti a quattro colori. Questi si assimilano dall’aria e vivificano i centri riflessi nel corpo umano. Tali vibrazioni corrispondono alle quattro funzioni dell’essere e contribuiscono a svilupparle.  

Stefan Colonna Walewski, Il Manoscritto dello Yoga caucasico (d’ora in poi: MdYc), Roma, Venexia editrice, nuova edizione 2023, pp. 157-158

Tali colori sono i tre colori “primari”: rosso, giallo e blu, più il bianco, associati rispettivamente a una dimensione esistenziale dell’individuo umano: fisico; mentale; spirituale; psichico. La persona, inspirando ed espirando a intervalli regolari di durata precisa per un certo numero di volte (a seconda dell’esercizio prescritto), e visualizzando i quattro colori, proietta ciascuna delle relative “vibrazioni” cromatico-energetiche in una parte del proprio corpo: il rosso-fisico allo stomaco inferiore, al sesso, all’occipite (base e zona posteriore del cranio); il giallo-intelletto al torace superiore e alla fronte; il blu-spirituale (energia vitale) all’addome e alla corona craniale; il bianco-psichico alle braccia, alle mani, alle gambe, ai piedi e al volto. In questo modo, l’energia divina incolore, assorbita dall’individuo mediante la respirazione, si scompone nei quattro colori visualizzati mentalmente dall’individuo stesso, proiettati in direzioni specifiche dalla sua volontà: la persona deve visualizzarli come fossero davanti a sé mentre tiene lo sguardo fisso su un punto all’altezza degli occhi, che può essere il Sole o la Luna sull’orizzonte (dunque non in momenti casuali del giorno) oppure un cerchio pieno, largo quanto una moneta, preferibilmente nero su sfondo bianco. La respirazione è distinta astrologicamente: “Quella solare (narice destra) riscalda ed è elettrica, quella lunare (narice sinistra) raffredda ed è magnetica”.    

I corpi celesti nello Yoga caucasico hanno il ruolo di dispensatori di “energie particolari”, di cui i Maestri (cioè i praticanti che raggiungono lo stato di Maestria) sono sia trasmettitori sia ricevitori: è dunque presente anche una componente astrologica, ma su questo aspetto il Manoscritto non entra nei dettagli; il più importante astro è in ogni caso il Sole: “Quando un Maestro si concentra, medita, riceve o invia energia, si pone sempre in direzione del Sole: a est al mattino, a sud a mezzogiorno, a ovest al tramonto e a nord a mezzanotte; tranne nei casi in cui sia necessaria l’energia lunare per il lavoro astrale o le energie particolari dei diversi pianeti e delle stelle secondo le loro specifiche proprietà magiche” [MdYc, p. 162].   

Su questi rapporti di base tra l’essere umano nella sua totalità e la sua facoltà immaginativa, tra il corpo umano e i corpi celesti, si sviluppano successivamente gli “Arcani” dello Yoga caucasico, cioè gli esercizi respiratori e psicofisici che includono anche pratiche magico-rituali e addirittura para-chirurgiche difficilmente o per nulla riconducibili allo yoga. Le prime pagine del testo originale del Manoscritto presentano al lettore un Indice – strutturato in paragrafi che imitano esattamente gli indici dei testi Mazdaznan scritti da Otto Hanisch e pubblicati da David Ammann – ed una Introduzione, dopodiché vengono illustrati uno per uno gli Arcani, suddivisi in sette “Arcani maestri”, sedici “Arcani minori” e quattro di dodici “Arcani maggiori”: di questi ultimi, infatti, vengono riportati solo il secondo, il terzo, l’ottavo e il dodicesimo. L’utilizzo del termine “Arcano” equivalente a insegnamento esoterico, e la suddivisione in arcani principali e secondari, si trovano – come è noto – nelle carte dei Tarocchi, ed in entrambi i casi il numero degli arcani secondari è poco più del doppio di quello degli arcani principali: 16 a 7 nello Yoga caucasico (tuttavia quattro degli arcani secondari sono detti “maggiori”), 56 a 22 nei Tarocchi. 

Su questo aspetto, Sebastiano Fusco suggerisce che il conte Walewski abbia utilizzato la denominazione tipica dei Tarocchi come “il più vistoso” degli “indizi che guidano nella ricerca delle fonti interpretative” delle diverse correnti esoteriche compresenti nel Manoscritto, i cui elementi “sparsi” dovrebbero attirare l’attenzione sul fatto che ognuna di esse rappresenterebbe un percorso scandito da immagini simboliche della trasformazione spirituale del praticante; in modo interessante, Fusco evidenzia anche il ruolo del praticante come ventitreesimo elemento interagente con i 22 Arcani dei Tarocchi, una concezione analoga – aggiunge chi scrive – a quella dell’I Ching (o Yi Jing), il Libro dei Mutamenti cinese, concepito circa tremila anni fa in ambienti taoistici e poi commentato da Confucio e dalla sua scuola: il consultante è quasi sempre implicato nella situazione descritta nell’”oracolo” da lui stesso richiesto [13]. Comunque sia, questa ipotesi può confermare che lo “Yoga caucasico” non sia affatto un corpus zoroastriano antico o moderno, bensì un sistema ibrido tra le pratiche respiratorie e visualizzanti dell’ascetismo indo-buddhistico, le elaborazioni dei Mazdaznan, quelle di alcune “scuole” di esoterismo di fine Ottocento-inizio Novecento e, in parte, le elucubrazioni personali dell’autore-redattore del Manoscritto.    

Ad esempio, il quarto Arcano maestro, che “ha lo scopo di sviluppare la volontà del comando (e l’elettricità) immagazzinandola nei gangli del corpo, pronta per essere usata”, si basa sul presunto “rituale egizio” dal quale i Mazdaznan – o forse il conte Colonna Walewski – avrebbero tratto la posizione da assumere raffigurata nel disegno in cui la persona è rappresentata di profilo, mentre porta la mano in alto e poco distante alla propria fronte, come per riparare i propri occhi dalla luce solare o da un agente esterno. Nell’esercizio “caucasico”, questo gesto si evolve in una serie di sette rotazioni ritmate delle braccia per immagazzinare l’elettricità diffusa nell’ambiente: è uno dei non pochi esempi dell’approccio misto di esoterismo e di concezioni parascientifiche dello Yoga caucasico: si potrebbe dire che il braccio, roteando, accumuli su di sé la carica elettrostatica grazie all’attrito con l’aria circostante; ma sorge spontaneo chiedersi se davvero un organo non metallico (il braccio umano) possa accumulare elettricità in questo modo.        

Il quinto Arcano maestro è uno dei più importanti per le possibilità extra-ordinarie che conferirebbe al praticante: “il controllo sulla forza di gravità terrestre (peso), consentendo a chi lo pratica di levitare nell’aria, volare e camminare sull’acqua”. Anche qui sono fondamentali – in seguito alla giusta respirazione ritmata – i movimenti con le braccia, non a caso analoghi a quelli del galleggiamento e del volo. Ovviamente gli effetti sorprendenti di questo esercizio sono la levitazione e la possibilità di camminare sull’acqua: non sappiamo se siano veramente raggiungibili mediante le pratiche riassunte nel Manoscritto dello Yoga caucasico, ma entrambi i fenomeni, stando alla storia delle religioni e dei fenomeni paranormali, non sono impossibili: si tratta delle facoltà soprannaturali note da secoli nello yoga col nome sanscrito siddhi, “perfezioni” o “compimenti”. Il celebre storico delle religioni romeno Mircea Eliade (1907-1986), che durante gli anni Trenta visse in India e qui frequentò alcuni guru, vedendo probabilmente dal vivo alcuni casi di levitazione scrisse a questo proposito considerazioni che, suo malgrado, diedero il via a discussioni e polemiche tra i suoi colleghi contemporanei e futuri [14]; verso il 1937, ad esempio, Eliade aveva affermato:

… si constata che, in taluni casi, la legge della gravità non vale più, e che il corpo può restare sospeso in aria (esempi di levitazione sono oggi confermati dalla scienza); egualmente, si rileva in altri casi che la legge della combustibilità del corpo umano e soppressa, e certe persone possono stare sui carboni ardenti senza riportare il minimo danno (casi ben studiati e unanimemente accettati). Si può quindi pervenire alla conclusione che le leggi fisiche e biologiche che condizionano la vita umana possano talvolta essere sospese.

[15]

La levitazione non è dunque un fenomeno ascrivibile soltanto a un oscuro passato dai contorni leggendari, o puramente nell’ambito dell’illusionismo; è stato giustamente osservato che “i maghi e gli illusionisti usano trucchi ingegnosi per simulare la realizzazione di fenomeni come la levitazione; il che non vuol dire che questi fenomeni non possano accadere veramente” [16]; inoltre, essa non è una prerogativa delle culture asiatiche, essendo episodicamente attestata anche nel Cristianesimo europeo [17].

Quanto alla possibilità di camminare sull’acqua, è noto a quasi tutti in Occidente l’episodio dei Vangeli (Matteo, cap. 14; Marco, cap. 6; Giovanni, cap. 6) che tramanda come Gesù camminò di notte sull’acqua del lago di Genesareth, meravigliando gli apostoli rimasti sulla barca. In ambito induistico, più recentemente, troviamo un maestro indiano di nome Tapoban, vissuto entro i secoli XVIII-XIX, dotato della stessa facoltà: ne riferì il discepolo italo-francese del Mahatma Gandhi, Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (1901-1981), riportando un aneddoto raccontato da Shri Rama Krishna, brahmino, mistico e filantropo vissuto nel secolo XIX, soprannominato Paramhansa, cioè Grande Cigno – volatile simbolo di saggezza e di santità nell’Induismo – il quale, pur essendo induista, a quanto pare ebbe visioni mistiche del Cristo e della Vergine Maria [18]. Ancora più vicino a noi nel tempo e nello spazio, il famoso pittore, antiquario e benefattore Gustavo Adolfo Rol (1903-1994), le cui numerose capacità extra-ordinarie sono note, il quale, secondo una testimonianza recente, sarebbe stato visto addirittura camminare sull’acqua di un laghetto al parco torinese del Valentino [19].

Nel sesto Arcano maestro abbiamo un altro esempio dell’eclettismo esoterico talvolta disordinato che caratterizza lo “Yoga caucasico”. Nella presentazione di questo esercizio vi è di nuovo un riferimento all’alchimia – la trasmutazione, la Pietra filosofale – collegata alla misteriosa organizzazione esoterica europea dei Rosacroce, e intesa, a quanto pare, come procedura che unisce gli effetti protochimici dell’arte ermetica – la trasmutazione dei metalli vili in oro – con gli effetti immateriali della medesima “Grande Opera” intesa in senso ascetico-spirituale: la percezione e l’esperienza dell’unità tra l’intelletto umano e quello della Divinità. Tale condizione renderebbe capaci di trasmutare la Terra nel “Gatra-Sa-Mara”, il “Giardino di purezza” menzionato nella scheda del CESNUR dedicata ai Mazdaznan. Vi si aggiunge però un elemento mistico-parascientifico: la “fusione” tra le “sfere auriche” o “uova” dell’uomo e della Terra. Questo particolare effetto può forse essere interpretato come la compenetrazione tra l’aura umana e l’aura della Terra (alla quale il Manoscritto aveva già alluso) sottintendendo che anche il nostro pianeta emani un’aura intorno a sé, una realtà differente dall’insieme delle aure di tutti gli esseri umani viventi su di esso. Questa unificazione tra l’aura dell’individuo e l’aura della Terra è concepita come una forma dell’unione – o come un mezzo per raggiungerla – tra l’anima dell’individuo e il principio creatore divino chiamato col nome egizio di Atum, il dio creatore primordiale che, secondo la teogonia del culto di Eliopoli, diede vita ai primi nove dèi del politeismo egizio, emanandoli da se stesso sotto forma di espettorato o di sperma, ma anche di luce o di fuoco primigenio [20]. Tale stato mistico sarebbe raggiungibile anche con l’ausilio di “musica, suono e campi magnetici ed elettrici di contatto”: da questo punto di vista, la concezione dell’unione mistica nello Yoga caucasico mescola aspetti scientifici (i campi elettromagnetici) e parascientifici con aspetti tradizionali come la conoscenza degli effetti – uno stato transitorio di estasi mistica e di superamento dei consueti limiti percettivi – indotti da determinati suoni e ritmi musicali: quest’ultimo aspetto è presente forse nella maggior parte delle forme di sciamanesimo, e in successive pratiche simili e probabilmente derivate da esso, presenti in civiltà differenti e lontane geograficamente fra loro, ad esempio tra gli Inuit o Eschimesi e gli antichi Ebrei nei primi secoli della monarchia d’Israele, dove però è unito alle danze rituali ed estatiche [21], che nello Yoga caucasico sono assenti. 

Il VI Arcano comprende le tre respirazioni basilari dello Yoga caucasico – inalazione o inspirazione, trattenimento del respiro, esalazione o espirazione, ciascuna della durata di sette secondi – menzionate con i nomi sanscriti dati dagli Induisti: rispettivamente puraka, kumbhaka e rechaka. La ripetizione di questo ritmo respiratorio insieme alle altre componenti dell’esercizio, come la posizione in ginocchio impugnando due bastoni verticali, provocherebbe uno stato semi-estatico o para-estatico caratterizzato da sintomi psico-sensoriali noti alla storia delle esperienze di contatto con la dimensione del Sacro:

Sentirete ondate di calore e piccoli shock elettrici alla base del cranio, e nel cervelletto e all’interno del cervello, nonché una corrente elettrica che scorrerà lungo la spina dorsale in alto […]. Udirete inoltre un suono pulsante come una campana o un carillon, e proverete delle sensazioni sempre pulsanti di espansione dell’aura, nonché talvolta la sensazione di ali che battono, si aprono o si muovono come se un uccello fosse attaccato alla base del cranio o della testa. Questo è il ka o uccello ba della mitologia egiziana. Ciò va bene, ma quando vi sentirete mancare fermatevi oppure, se scegliete di continuare, ricordatevi che state per addormentarvi o andare in trance, e che non dovrete assolutamente essere disturbati fino a che il vostro angelo custode o Padre Celeste non vi risveglierà. Se le vostre ginocchia inizieranno a sollevarsi dal pavimento o il corpo a librarsi in aria, fermatevi immediatamente. La levitazione non è auspicabile mentre lo stato di trance è positivo e fornisce il potere di imporre le mani e di guarire.

MdYc, nuova edizione cit., pp. 173-174

Una nota a questo brano avverte, giustamente, che in realtà il ka e il ba nella concezione egizia dell’anima umana sono due elementi distinti, solo il secondo dei quali è raffigurato come un uccello con testa umana, mentre il primo è rappresentato come un paio di braccia alzate col palmo delle mani rivolto in avanti [22]; ci si può chiedere quindi se questo caso di confusione tra elementi egizi risalga al complesso dottrinale sincretico dei Mazdaznan, a una fonte esoterica egittizzante o pseudoegizia, o ad una delle possibili interpolazioni del conte Colonna Walewski. Lo stesso si può dire della menzione del Padre Celeste e dell’angelo custode, elementi giudaico-cristiani, e poi islamici, affiancati a pratiche e concetti molto lontani dai tre grandi monoteismi.

Viceversa, i fenomeni psico-sensoriali descritti sono attestati nell’ambito delle esperienze estatiche e di yoga in contesti anche distanti fra loro storicamente e geograficamente. Torna l’elemento della levitazione, che qui, però, appare come effetto involontario e – senza precisare in quale modo – contrapposto al potere taumaturgico mediante il contatto delle mani, presunto effetto dello stesso esercizio. La corrente elettrica che scorre dalla base alla sommità della colonna vertebrale può benissimo designare l’energia o potenza (shakti) nota anche in Occidente col nome induistico kundalini, rappresentata sotto forma di serpente accovacciato che, stimolato dalle corrette pratiche respiratorie, si estende verticalmente [23]

L’ondata di calore alla base del cranio fu un’esperienza probabilmente vissuta da Gustavo Adolfo Rol, significativamente mentre concentrava lo sguardo sul colore verde dell’arcobaleno; a circa metà degli anni ’20 del ’900, osservando dopo un temporale “un enorme arcobaleno [che] pareva che abbracciasse tutta quanta Marsiglia” [24], Rol notò che soltanto il verde, colore centrale dell’arcobaleno, gli restava impresso nella mente dopo aver distolto la vista: “in quel momento, si sentì pervadere da una sensazione di calore che si stava irradiando alla base del cranio e, al contempo, gli parve di sentirsi trasfigurato, come se il suo Io avesse ceduto il passo a un Io più completo, capace di vibrare sull’onda creativa del cosmo” [25]. È anche possibile che questo fenomeno avvenne non in quel medesimo istante, ma nel corso dei successivi tentativi di percezione e comprensione di esso da parte di Rol [26]; si nota comunque un rapporto – in parte simile, in parte diverso da quello presente nello Yoga caucasico – tra visualizzazione del colore, percezione delle vibrazioni sotto forma di calore e stato di coscienza potenziato.

Le percezioni sonore di campane, carillon e battito d’ali di volatile che il praticante sentirebbe prodursi in se stesso, poi, sono pressoché identiche a quelle che secondo la tradizione islamica accompagnarono le prime esperienze di contatto col Divino in Muhammad (Maometto) e le sue prime ispirazioni profetiche [27]. Secondo le fonti antiche indo-tibetane sullo yoga, alcuni di questi fenomeni acustici sono effettivamente percepibili quando il praticante raggiunge un determinato stato psicofisico durante la concentrazione: ciò avverrebbe, dunque, a prescindere dalla religione di riferimento dell’individuo. Si può essere tentati di ipotizzare che Muhammad, durante le sue meditazioni notturne, eseguisse qualche genere di esercizio respiratorio simile a quelli dello yoga; ma, stando alla tradizione islamica, tali fenomeni erano percepiti da lui all’improvviso e indipendentemente dalla sua volontà.

Il settimo e ultimo Arcano maestro, secondo il Manoscritto, è invece “un’opera puramente magica per controllare il tempo”, cioè operare un influsso magico-teurgico sui fenomeni meteorologici; infatti siamo davanti a un’operazione che dello Yoga non ha nulla, tranne la respirazione ritmata, ansimando volontariamente  per “attuare la pulizia dei polmoni”. Nella curiosa posizione prescritta – in piedi, con le punte delle dita unite ed immerse in un catino d’acqua – l’operatore deve compiere quattro volte tre respirazioni ritmate, ognuna terminante con una esalazione specificamente modulata e di intensità crescente, ciascuna delle quali deve essere accompagnata dalla pronuncia in sottofondo di una parola a metà tra il mantra e la formula magica, che:

deve far da sottofondo per fornire le vibrazioni necessarie a risvegliare gli spiriti elementali del vento, della tempesta, dell’uragano, ecc. Questa parola è “I-Hau-Haa” e deve essere intrecciata alla esalazione dell’aria nel sospiro, lamento e ruggito. Attraendo i poteri del vento e della tempesta, questo arcano modifica le condizioni climatiche circostanti, con l’aiuto del grande spirito El Borach (spirito del fulmine) e Waat (spirito del vento).

MdYc, nuova edizione cit., pp. 175-176

Questo brano è uno dei più sconcertanti del Manoscritto. In teoria, El Borach e Waat dovrebbero essere “spiriti elementali” delle rispettive forze della natura (fulmine e vento) della religione zoroastriana o mazdea: ma in essa, ovviamente, non esistono con questa denominazione occultistica, e il nome Waat nelle mitologie e nelle religioni non sembra corrispondere a nulla; gli unici nomi analoghi e parzialmente simili nella pronuncia sono il persiano Vata e l’induistico (ma anche indo-iranico) Vayu, divinità del vento (vāta in sanscrito) [28]. La parola borak o borach col significato di fulmine si può ricollegare alla lingua cananea o fenicio-punica parlata ad esempio dai Cartaginesi: il cognome Barca o Barka, appartenente allo storico nemico di Roma, Annibale, aveva appunto questo significato. “Fulmine” si traduce in modo simile anche in arabo, e infatti el-Borak non è che una trascrizione alternativa di al-Buraq, nome della cavalla soprannaturale sulla cui groppa – secondo la tradizione islamica – il profeta Muhammad (Maometto) raggiunse in volo il Paradiso nella visione mistica durante la Notte del Destino (Laylat ul-Qader) [29]. 

Curiosamente, El Borak è anche il soprannome del pistolero dotato di velocità fulminea protagonista di alcuni racconti del noto scrittore americano Robert E. Howard (1906-1936), a partire da The daughter of Erlik Khan (La figlia di Erlik Khan) del 1934. Questo titolo dimostra che l’ideatore di Conan il Barbaro conosceva senza dubbio qualcosa delle antiche tradizioni eurasiatiche: che egli possa aver tratto il nome El Borak proprio dall’eventuale lettura di un testo stampato dai Mazdaznan negli Stati Uniti?


1 – Traduzione dell’autore. Jim Farley (USA, 08/01/1882 – 12/10/1947) e Sydney H. Greenstreet (Sandwich, UK, 27/12/1879 – Hollywood, USA, 18/01/1954) erano attori cinematografico-teatrali; Greenstreet era “corpulento, mellifluo e soavemente ambiguo”, descrizione che potrebbe confermare sia il sovrappeso sia l’omosessualità (cui si accennerà in seguito) del conte Walewski. 

2 – Barry Miles, I Settanta. Da William Burroughs ai Clash, da Allen Ginsberg a Patti Smith. Avventure nella controcultura, Milano, Il Saggiatore, 2014, pp. 175-176. I thangka tibetani sono stendardi buddhisti, dipinti o ricamati per lo più a soggetto mitologico-religioso; gli ushabti sono le statuette egizie dei servi-lavoratori agricoli, collocate nel sarcofago o sepolte insieme alla mummia con l’auspicio che coltivassero poi nell’Aldilà i vasti “Campi Hotep”, o “Campi Iaru”. I flauti d’osso ricavati dai femori umani erano effettivamente oggetti caratteristici della liturgia tibetana, insieme ad altri manufatti aventi la stessa peculiare origine: ad esempio, l’agente diplomatico britannico John Claude White, il primo europeo a visitare le impervie regioni himalayane del Sikkim tra gli anni ʼ80 e i ʼ90 del secolo XIX, nel suo resoconto Sikkim and Bhutan (Londra, 1909) ricordò di aver visto presso il monastero buddhista di To-lung (“Valle pietrosa”) oggetti intagliati da ossa umane; questi strumenti – riassume una guida turistica – durante i riti quotidiani accompagnano la recitazione dei mantra producendo all’interno del tempio vibrazioni significative, soprattutto per allontanare certi potenti spiriti del male, ma anche in determinate cerimonie tantriche viene suonato il khang lin, o kangling, cioè un femore umano forato e usato come una tromba; vedi ad es. Maria Guendalina Raineri, Enrico Crespi, Sikkim e Darjeeling. Nelle terre sopra le nubi, Bologna, Calderini, 1992, pp. 89-90 e 77. A diademi composti di teschi e ossa umane, tipici del Buddhismo tantrico vajrayana, che prevede un superamento del tabù della morte, accenna anche Maurizio Assalto, Per chi suona il ruggito del Buddha, “La Stampa”, 19 giugno 2004.     

3 – Cfr. ad es. Titus Burckhardt, Alchimia. Significato e visione del mondo, Parma, Guanda Editore, 1974 / 1986, pp. 115-117; Omraam Mikhael Aïvanhov, I segreti del libro della Natura, Moiano (PG), Prosveta Edizioni, 1996, p. 178.  

4 – Gianfranco Bertagni, Georges Ivanovič Gurdjieffhttps://www.gianfrancobertagni.it/materiali/gurdjieff/pagsugurd2.htm.

5 – Walter Catalano, Enneagramma: la ricettazione di un simbolohttp://www.gianfrancobertagni.it/materiali/gurdjieff/enneagramma.htm (anche per le due citazioni successive). Ci si può chiedere se le misteriose sacerdotesse-danzatrici che Gurdjieff disse di aver visto, possano essere state da lui immaginate sul modello delle deva-dāsi (“le serve del dio”), note in Occidente col nome greco di ierodule o quello portoghese di bajadere,esecutrici di danze liturgiche (ma anche profane) nei templi induistici: cfr. ad es. Pio Filippani-Ronconi, L’Induismo, Roma, Newton & Compton, 1994, p. 91.

6 – Mike Plato, Alla ricerca del popolo del segreto, https://mikeplato.myblog.it/2018/04/17/alla-ricerca-del-popolo-del-segreto/ .  

7 – D. M. (Daniele Mansuino) e L. D. C., Il Neomazdeismohttps://www.riflessioni.it/esoterismo/neomazdeismo-1-htm. Si ringraziano i redattori del sito per l’autorizzazione a riprodurre gli estratti dal testo. Lo studio cui ci si riferisce è Loris Bagnara, Paolo Rumor, con la collaborazione di Giorgio Galli, L’altra Europa. Miti, congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea, Castelfranco Veneto (TV), Panda Edizioni, 2017.

8 – Citato in Il Neomazdeismo, cit.. Alla presunta mappa dell’Egitto prima del Diluvio da lui trovata, Gurdjieff accenna anche nel suo La vita reale, trad. it. Milano, Basaia, 1987, p. 33.

9 – Il Neomazdeismo, cit., https://www.riflessioni.it/esoterismo/neomazdeismo-1-htm.

10 – Comunicazioni private all’autore, 27 novembre-9 dicembre 2023; cfr. Daniel Egmond, Western Esoteric Schools, in Gnosis and Hermeticism from Antiquity to Modern Times, a cura di R. van den Broek e W. J. Hanegraaff, Albany, State University of New York Press, 1998, pp. 336 e 345, citato in Don Karr, The Study of Christian Cabala in English: Addenda, p. 24. A sua volta, il libro A system of Caucasian Yoga fu ampiamente sfruttato, senza mai citarne autore e titolo, dal massone austriaco-statunitense Albert Leon Schutz per il proprio testo sullo “Yoga Perfetto”, che menziona una sola volta il conte Walewski tra i vari ricercatori spirituali di tradizioni iniziatiche del Caucaso (cfr. A. L. Schutz, Kosher Yoga, Santa Barbara, California, USA, 1987, p. 15).    

11 – Cfr. il brano citato in Wikipedia, voce Georges Ivanovič Gurdjieff , nota n. 11 (cons. 13 marzo 2023).

12 – Vedi ad es. Mel Gordon, Incontro con un teatro straordinario. I movimenti dimostrativi di Gurdjieff, in “Sipario – Trimestrale monografico di teatro”, anno XXXV n. 406 / III trimestre 1980, Sipario dell’Oriente per l’Occidente, pp. 45-50.

13 – Vd. Sebastiano Fusco, Arcana Arcanorum. Uno spiraglio sull’Assoluto, prefazione al MdYc, nuova edizione cit., pp. 12-13; per l’oracolo cinese: I Ching. Il Libro dei Mutamenti, a cura di Richard Wilhelm, con prefazione di Carl Gustav Jung, trad. it. Milano, Adelphi, 1991. 

14 – Mircea Eliade, Diario portoghese, trad it. Milano, Jaca Book, 2009, p. 198 (corsivo nostro), citato in Davide Ermacora, Mircea Eliade e la realtà dei poteri paranormali, in “Studi e Materiali di Storia delle Religioni”, 81 (2), Brescia, Morcelliana, 2015, p. 701.

15 – Mircea Eliade, La conoscenza gordiana, 1937 (?), in Id., Fragmentarium, trad. it. Milano, Jaca Book, 2008 (ed. or. 1994), citato in Ermacora, op. cit., p. 723.

16 – Occultismo, mistero e magia, collana “Grandi temi”, Novara, De Agostini, 1976 (ed. or. Barcelona, Salvat Editores, 1973), p. 97.

17 – Vedi ad es. Giuditta Dembech, Rol, il grande Precursore, Torino, L’Ariete, terza edizione 2013, pp. 135-136; Leo Talamonti, Universo proibito. Una rigorosa inchiesta sulla dimensione occulta della vita, Milano, Mondadori, 1966, pp 180-187.

18 – Cfr. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Pellegrinaggio alle Sorgenti. Il mio incontro con Gandhi e con l’India, Milano, Jaca Book, 1978, p. 195.  

19 – Testimonianza di Lorenzo Pellegrino registrata sul canale Youtube di Franco Rol, citata anche in Piervittorio Formichetti, Paralleli tra la dottrina induistica del Tripurārahasya e alcune facoltà di Gustavo A. Rol, sul blog Pagine Filosofali, 13 febbraio 2022. 

20 – Cfr. MdYc, nuova edizione cit., p. 175 nota n. 190; Emanuele Prezioso, I complessi delle Piramidi. Sviluppi architettonici e culturali dall’Antico al Medio Regno, tesi di laurea in Scienze dell’Antichità-Letterature, Storia e Archeologia, relatore prof. Emanuele M. Ciampini, Università di Venezia “Ca’ Foscari”, A.A. 2011-2012, pp. 14-15; Graham Hancock, Impronte degli Dei, tr. it. Milano, Corbaccio, 1996, p. 455. Boris de Rachewiltz, nel suo Dizionario in appendice al Libro dei Morti degli antichi Egizi – Il papiro di Torino (Roma, Edizioni Mediterranee, 1986 / 2001, p. 162) ne ricorda la rappresentazione antropomorfica e la relazione con il Sole all’alba e al tramonto.

21 – Per lo sciamanesimo fra gli Eschimesi cfr. ad es. Silvio Zavatti, Il popolo dei ghiacci. Vita e cultura degli ultimi Eschimesi, Milano, Longanesi & C., 1977, pp. 144-145; Barry Lopez, Artico: l’ultimo paradiso, Milano, Mondadori – Club degli Editori, 1986, pp. 241 e 243; per i profeti estatici (nebiim) ebraici, cfr. I libro di Samuele, 19, 18-24 (regni di Saul e Davide, circa l’anno 1000 a.C.); I libro dei Re, 22, 10-23 (regno filo-fenicio del re Acab e di sua moglie Yezabel, circa 860 a.C.).

22 – Cfr. ad es. su Axis Mundi Piervittorio Formichetti, L’umanesimo degli antichi Egizi e la sua attualità (1a parte), recensione a Primavera Fisogni, Nel segno del pensiero: come pensavano gli antichi Egizi, Cosenza, Santelli Editore, 2019.   

23 – Cfr. ad es. Titus Burckhardt, Alchimia. Significato e visione del mondo, cit., pp. 115-117.

24 – Franco Rol, Gustavo Rol: un Buddha occidentale del XX secolo, in “Mistero Magazine”, agosto 2021, p. 40.

25 – Maurizio Ternavasio, Gustavo Rol. La vita, l’uomo, il mistero, Torino, Lindau-L’età dell’Acquario, 2008, p. 40; citato anche in Piervittorio Formichetti, Gustavo Adolfo Rol – 3a parte: il verde e il cinque, sul blog Pagine Filosofali (anche su “Luce e Ombra”, rivista di ricerca parapsicologica della Fondazione-Biblioteca “Bozzano – De Boni” di Bologna, anno CXXII n. 1 / gennaio-marzo 2022, p. 67 e sgg.).   

26 – F. Rol, Gustavo Rol: un Buddha occidentale del XX secolo, cit., pp. 42-43.   

27 – Vedi ad es. Mike Dash, Al di là dei confini, Milano, Corbaccio, 1999 (ed. or. Borderlands, Cambridge UK, 1998), pp. 58-59; Maxime Rodinson, Maometto, Milano, RCS Quotidiani, 2005, p. 201 (Collana Protagonisti della Storia, “Corriere della Sera”, vol. 9; ed. or. Paris, Editions du Seuil, 1967, tr. it. Torino, Einaudi, 1973/1995), p. 65.

28 – Cfr. Albert Olmstead, L’impero persiano, tr. it. Roma, Newton & Compton, 1997, p. 22; Filippani-Ronconi, L’Induismo, cit., pp. 22 e 82-83.

29 – Vedi ad es. Anthony S. Mercatante, Dizionario universale dei miti e delle leggende, tr. it. Roma, Newton & Compton, 1988, p. 140.  

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