“Sos gherreros”, i Giganti di Mont’e Prama

Analisi archeologica del celebre sito sardo di Mont’e Prama, nella penisola del Sinis, attraverso una retrospettiva degli scavi operati e dei ritrovamenti.

di Ascanio Modena Altieri

Il contesto geografico – protagonista della maggior parte dei rinvenimenti – è da collocare nell’area appunto di Mont’e Prama, sita a 50 m s.l.m. in un punto strategico della penisola del Sinis, in cui già nella metà degli anni Sessanta – indagine 1965-1966 presso il pozzo sacro di Banatou Narbolia – erano stati ritrovati numerosi reperti punici e nuragici, con l’aggiunta di una pessimamente conservata testa di ingenti dimensioni identificata nel tipo Mont’e Prama. Per quanto concerne specificatamente il ritrovamento dei moltissimi frammenti statuari, dobbiamo riferirci alle fortuite scoperte effettuate nel marzo del 1974 da Sisinnio Poddi e Battista Meli, in terreni adibiti a coltivazione di proprietà della confraternita del Santo Rosario di Cabras. Il dott. Giuseppe Pau fu il primo ad allertare la Soprintendenza ai Beni archeologici di Cagliari e Oristano. 

Poco successivamente, molti dei reperti già accumulati ed impropriamente non considerati di valore, furono con tutta probabilità saccheggiati, sfortunatamente prima che il dott. Giuseppe Atzori potesse pubblicamente denunciare la gravissima mancanza di una anche minima cura e protezione di quello che, secondo l’opinione accademica, rappresenterà un unicum archeologico. Subito vi fu l’intenzione di aprire un saggio – seppur piccolo – e le mobilitazioni per una serie di scavi di ridotta durata – scavi Atzori nel 1974, scavi Pau nel 1977. Vennero al contempo programmate delle campagne di scavo meglio strutturate, ripartire nelle missioni di Bedini nel 1975, di Lilliu, Tore, Atzeni nel gennaio 1977 e negli scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti, iniziati nel 1977 e prolungatisi fino al 1979. Solo nel 2014 e fra il 2015-2016, prima il dott. Zucca e poi il dott. Usai riprenderanno le ricerche, supportati dalle nuove tecnologie in ambito geofisico.


Le maggiori problematiche in merito al vasto sito di Mont’e Prama sono dovute alle datazioni, alle caratteristiche stilistiche, nonché alla fine stessa del sito necropolare-santuariale. Le coordinate temporali e il conseguente ventaglio vorrebbe il corredo statuario successivo di qualche secolo alle sepolture – specificatamente agli inumati – le quali, secondo gli ultimi esami al radiocarbonio, risalirebbero ad anni fra il 1380 e il 1080 a.e.v. Appurato che si tratta di un complesso simile per questioni rituali e religiose, ma non del tutto identico, alle cosiddette “tombe dei giganti” del Bronzo, possiamo comunque notare una certa continuità ideale fra un periodo e l’altro. 

Secondo le più recenti ricerche, le statue risalirebbero dunque al primissimo Ferro – IX e VIII secolo – il che spiegherebbe l’alta qualità delle statue, nonostante la loro evidente stilizzazione. Questa è stata definita da Lilliu – in particolare per quanto concerne gli occhi e i volti – come una manifesta volontà di inquadrare queste figure in un universo non umano, dunque in un altro mondo, probabilmente mistico e metafisico, il che renderebbe i volti dei giganti di Mont’e Prama dei veicoli, degli identificatori alti, anziché delle rappresentazioni verosimili. Per quanto concerne gli stili, andremo a sondare per punti le teorie oggi ritenute più valide, pur potendo a tratti sembrare desuete.

I prof Tronchetti e Bedini ci parlano di gusto orientalizzante, sia per la committenza sia per l’esecuzione, intravedendo in queste statue delle analogie con la scultura etrusca arcaica. Secondo Peter Rockwell, le statue sono un unicum per stile, ricercatezza tecnica e inedita formulazione. Rendeli fa inoltre notare che le mai viste tombe a pozzetto sono da allegare a questa novità scultorea. Siamo dunque alle prese con artigiani influenzati da molte località cruciali del Mediterraneo – Levante ed Egitto – in un quadro nuragico- tirrenico di altissima committenza. Giovanni Lilliu invece, si riferisce ad un puro stile geometrico, sicuramente in parte coevo alla costruzione delle statue, ma non totalmente riscontrabile. È pur vero che i dettagli incisi e certe scelte formali, ci ricordano la ceramica egea propriamente geometrica. Altre teorie vorrebbero le statue inquadrabili in un ambito di gusto italico stilizzante ed influenzato dal naturalismo egeo.

Per la costruzione dei giganti – di cui la maggior parte presentano attacchi per il montaggio – il materiale protagonista è una calcarenite abbastanza tenera, sicuramente di provenienza limitrofa, in cui sono state persino identificate piccolissime tracce di malacofauna ed altri fossili marini. Successivamente alle fasi di restauro partite nel 2007 e terminate nel 2012, si è avuto modo di raccogliere una gran mole di dati sulle svariate tecniche e metodologie utilizzate. Non avendo corrispettivi più antichi o successivi a quelli pervenutici – senza considerare dettagli stilistici – possiamo solo constatare una altissima capacità tecnica degli artigiani che si sono occupati di tali sculture. Ciononostante il gusto e richiamo a stilemi primitivi ed arcaici, farebbe pensare che questi giganti litici si rifacessero a modelli anteriori – bronzetti – con l’evidente aggiunta di dettagli e rifiniture qualitativamente eccezionali, da attestare in epoche storiche sicuramente individuabili nei primi due secoli del I millennio a.e.v. In merito alle tecniche e ai metodi, il dott. Peter Rockwell, scultore di fama internazionale, ha fornito interessanti spunti per le analisi poi sviluppate da Minoja e Usai. Ma passiamo ad alcuni punti riassuntivi in merito a confronti e metodi:

A differenza dei kuroi greci, i quali erano scolpiti in posizione prona ed erano dotati di un sostegno, il gigante sardo era direttamente scolpito in verticale, posto su una base quadrangolare e non presenta alcun tipo di appoggio se non nelle caviglie, il che lo rende, almeno idealmente, un monumento da osservare a 360° anziché solo frontalmente come può valere per i segnacoli antropomorfi greci. Le maestranze sarde hanno abbattuto la paura della spazialità, tenuta in grande considerazione dai greci, dotando i giganti – in particolar modo i pugili e gli arcieri – di parti del corpo o oggetti sospesi, aggettanti, dunque a potenziale rischio di spaccatura.”

Uno dei dettagli più affascinanti è rappresentato dagli occhi, ottenuti con due cerchi perfettamente concentrici. L’ottenimento è ancora dibattuto: si esclude il compasso, conosciuto all’epoca ma non utilizzato poiché vi è assenza di fori all’interno degli occhi, dunque l’ottenimento di una simile perfezione geometrica rappresenta ancora oggi un enigma. Meno fumoso è l’ottenimento delle linee parallele e delle decorazioni a chevron difficilissime da incidere in assenza di due fattori fondamentali: una profonda conoscenza delle tecniche scultoree e l’utilizzo di una riga graduata. 

Abbiamo inoltre la possibilità di individuare l’utilizzo di strumentazioni del tutto inedite ad altre culture della stessa epoca. In generale, gli strumenti impiegati sono così riassumibili: scalpello, gradina a sei denti, raschietto – dibattuto –, subbia, materiale naturalmente abrasivo per i dettagli finali – pomice –, trapano – sconosciuto ai greci ma abbondantemente usato dagli egizi – e ferro tondo. Per i modelli di nuraghe invece, si è ipotizzato l’uso di trapani ad archetto, essendo stati trovati fori particolarmente profondi. Per quanto concerne le fasi di elaborazione delle opere, possiamo riassumerle in quattro fasi principali: lavorazione con subbia in posizione verticale; passaggio della gradina; fase degli abrasivi e dei raschietti. In battuta finale, si sarebbero impiegati scalpelli ad angoli vivi e probabilmente anche punte secche per le rifiniture più minuziose. 


Gli scavi del 1975 ad opera del dott. Bedini hanno portato alla luce una vasta area necropolare – saggio lungo 25×3 – con il ritrovamento di dieci sepolture a pozzetto – con defunti rannicchiati –, tuttavia prive del lastrone protettivo. Tra il 1977 e il 1979, gli scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti portarono subito alla luce una strada monumentale, legata alla necropoli e a quello che si stava svelando come un complesso sistema statuario. Secondo gli studi, le grandi sculture e la strada sarebbero state costruite in tempi coevi e il ritrovamento di un frammento di anfora punica – stratigraficamente sotto un frammento di statua – daterebbero la distruzione del sito al IV secolo a.e.v. Tuttavia, la datazione delle statue rimane ancora dibattuta, nonostante le ipotesi suggerite. Nel 2014 la campagna Zucca, per mezzo di una prospezione con georadar, riuscì ad identificare come zona antropizzata poco più di 6 ettari e mezzo, mentre altre otto tombe furono ritrovate a sud del già sondato settore Tronchetti. 

I ritrovamenti di grandi rimanenze statuare – due nuovi pugili, modelli di nuraghe polilobato e un supposto frammento di statua – betilo –, hanno indotto a pensare che l’area possa essere stata sede di un santuario. Negli ultimi scavi condotti da Usai si è deciso di ricalcare anche i precedenti lavori di scavo, indagando anche gli edifici nuragici A e B, adiacenti alla necropoli. Oltre a nuovi rinvenimenti statuari e modelli di nuraghe si contarono anche frammenti di bronzetti e frammenti ceramici databili tra il Bronzo Medio ed il Primo Ferro. Le analisi concernenti i reperti litici possono essere suddivise prettamente per categorie tipologiche. Per quanto concerne gli scheletri analizzati – una quarantina su circa 62 tombe identificate – possiamo evincere che abbiamo a che fare con una serie di uomini giovani, dai venti circa fino ai 42 anni di età, evidentemente selezionati per essere sepolti in quello che, a tal punto, appare come un vero e proprio heroon

Le analisi effettuate ci inducono a pensare che si trattasse di una schiera scelta di atleti-guerrieri estremamente stimati e ben voluti dalla loro comunità, le cui diete consistevano in carne sia terrena che marina. Le giunture delle ossa delle gambe e delle braccia – soprattutto il destro – ci portano alla conclusione che questi individui fossero indubbiamente dediti a grandi sforzi fisici, ma al contempo è logico pensare ad uno status sociale aristocratico. Non potendoci specificatamente soffermare sulla bronzistica, la numismatica, i reperti ceramici e i complessi sepolcrali in sé, effettueremo una analisi sia sostanziale che simbolica dei segnacoli funerari, ovvero le statue stesse, le quali presentano alcune caratteristiche comuni come lo schema del volto a T, noto anche per i bronzetti e le statue stele provenienti dalla vicina Corsica. 

Ogni gigante ha una altezza compresa fra i 2 e i 2,50 metri e grazie ad alcuni studi riportati anche da Tronchetti e Lilliu, sappiamo che le statue erano certamente – non una novità per il mondo antico – vivacemente policrome; il nero e il rosso sono colori individuati con certezza.  Queste statue si presentano in una forma basilare pressoché identica fra loro – gambe leggermente flesse e torso dritto –, difatti gli unici elementi a differire sono quelli più specifici, fra oggetti indumenti e posizioni delle braccia. Ma passiamo alle categorie vere e proprie, omettendo per non esagerare la sezione dei betili.

Guerrieri: cinque sono i guerrieri sicuramente identificati – più un sesto possibile grazie ad un umbone dello scudo pervenutoci –. Il guerriero ha una spada che poggia sulla spalla destra, una corazza formata da piastre verticali, corta posteriormente, ampia sul petto e particolarmente robusta sulle spalle. Sul capo è presente un elmo a bustina dotato di corna, terminanti con piccole sfere. Uno scudo tondo – su modello delle pintadere – finemente decorato con motivi geometrici, conclude l’equipaggiamento. 

Arcieri: Anche per gli arcieri vi sono cinque esemplari più un sesto di cui rimangono pochi frammenti. Il tipo classico si presenta con una corta tunica, una placca quadrata – presumibilmente metallica – sull’addome, gambali, sandali, elmi a calotta, crestati e cornuti – ma senza le sfere dei guerrieri – faretre ed archi. Questi ultimi si differenziano in due tipi, uno più pesante e di forma quadrangolare, l’altro più leggero e a sezione cilindrica. È possibile dunque ipotizzare per questi ultimi casi, un armamento misto fra spada e arco. Quattro grosse trecce a rilievo scendono sul petto ad incorniciare una goliera ben marcata.

Pugili: il gruppo indubbiamente più numeroso fra le statue. Le particolarità peculiari dei pugilatori sono il guantone, simile ma non identico al caestus, il grosso scudo rettangolare e arrotondato – probabilmente coperto in cuoio ma fatto di legno – e il gonnellino con coda a frac che mette in risalto il petto nudo, in cui sono sbozzati alcuni segni del corpo – vedasi l’ombelico –. Alcune varianti mostrerebbero invece dei pugili-sacerdoti, dotati di cappello conico, simile a quello degli aruspici etruschi. 

Nuraghes: tre sono i tipi identificati, ovvero strutture monotorre, quadrilobate e polilobate. Questi modelli di strutture erano compositi, presentando in alcuni esemplari anime di piombo che farebbero pensare a veri e propri incastri – vedasi le torri centrali dei quadrilobati –. Su tutte le trasposizioni sono presenti dettagli che ci aiutano a comprendere lo stato originale delle strutture vere e proprie, come ringhiere dentate, parapetti ed alte terrazze. Questi dettagli non sono tuttavia sufficienti a spiegare e ad assicurare una risposta certa per l’uso che si faceva di tali rocche. I quadrilobati sono 1,40 circa di altezza, mentre i monotorre vanno dai 13 ai 70 cm di diametro.


Nonostante le lentezze e le problematiche in merito alla musealizzazione, con particolare occhio per l’indegna proposta di spacchettare in tre musei diversi il gruppo statuario, a livello archeologico e culturale, i Giganti di Mont’e Prama possono a buon titolo rappresentare, come affermato anche da chi ha già abbondantemente scritto bibliografie da cui questo lavoro attinge, un contesto inedito per peculiarità e dettagli che non abbiamo avuto modo di poter perfettamente combaciare con altri casi. La posizione personale di chi scrive è che si tratti, come già rimarcato frammentariamente in precedenza, di un complesso celebrativo di una piccola cerchia aristocratica, potente sia fisicamente che politicamente. 

Questa, in un arco temporale perdurato per cinque secoli circa, dalla fine del Bronzo all’inizio del Ferro, ha saputo raccogliere attorno a sé maestranze artistiche di vasta provenienza – Levante, Egitto, Grecia – avvalorando la personale opinione che vorrebbe tali uomini come discendenti o veri e propri idoli degli Shardana, popolo del mare ben conosciuto in tutte e tre le aree menzionate poco sopra. Per concludere, possiamo senza dubbio affermare che i giganti di Mont’e Prama sono stati ispirati dal lavoro bronzistico antecedente, per forma e spazialità. Inoltre, sono un fulgido esempio di come la cultura artistica e celebrativa, dalla mezzaluna fertile fino al mediterraneo occidentale, ha saputo amalgamarsi ed intrecciarsi, al fine di ottenere uno stile composito ma al contempo spacchettabile e, se attentamente osservato, riconoscibile in quella che può essere ben definita una sorta di grande area artistico-culturale condivisa.

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