30 anni di “Bram Stoker’s Dracula”

Il monumentale film di Francis Ford Coppola dedicato alla celeberrima figura del Conte, uscito nelle sale ormai trent’anni fa, riuscì a spaventare ed emozionare le platee di tutto il mondo, grazie alla suo stile potentemente visionario e all’intensità di attori come Gary Oldman e Anthony Hopkins nei ruoli principali. Ma oltre all’innegabile originalità con cui viene rielaborato il “mito” di Dracula, il film rispettò davvero una fedeltà al romanzo, come prometteva il titolo? E quanti particolari riferimenti, allusioni e influenze si possono rintracciare nelle scene di questo horror ancora oggi affascinante e complesso?

di Jari Padoan

Io… sono Dracula, e vi do il benvenuto nella mia casa…; chi appartiene alla generazione dello scrivente (quella della fine degli anni Ottanta), nell’udire questa battuta ricorderà facilmente un demoniaco Gary Oldman avvolto in un mantello damascato dalla tinta alquanto sanguigna, che accoglie così Jonathan Harker / Keanu Reeves ai bastioni del castello più celebre della narrativa e del cinema horror. Siamo infatti in una delle prime scene del Bram Stoker’s Dracula, girato nel 1992 (in Italia uscì l’anno seguente, col titolo, appunto, Dracula di Bram Stoker) da quel Francis Ford Coppola che ha segnato l’ultimo mezzo secolo di cinema internazionale, grazie a film come Apocalypse Now e la saga del Padrino. All’epoca, questo nuovo Dracula rappresentò molte cose: l’ennesimo lavoro magistrale nella carriera del regista newyorchese, il film a tema vampirico più visto della storia del cinema [1], nonché una originale e potente summa della “tradizione” dedicata al Vampiro più famoso (e non solo, dati i numerosi riferimenti culturali e citazioni cinematografiche che si possono apprezzare nel corso del film, come si esaminerà), che già ai tempi copriva un arco cronologico di ben settant’anni e contava numerosissime opere, dal fondamentale Nosferatu di F.W. Murnau fino al grottesco Blood for Dracula di Andy Wharol, passando ovviamente per gli iconici Dracula più volte interpretati al cinema da Bela Lugosi e Christopher Lee. Inoltre, fin dal titolo, il film dichiarava una totale (o quasi) fedeltà al testo di Bram Stoker (1847-1912), qualcosa che per i precedenti Dracula del grande e del piccolo schermo era stato più o meno approssimato o relativo.

L’idea di una nuova e soprattutto “autentica” versione filmica del romanzo si deve allo sceneggiatore Jim V. Hart, particolarmente attivo dall’inizio degli anni Novanta nel cinema fantastico statunitense: sono sue, per esempio, le sceneggiature di Hook di Steven Spielberg, di Contact di Robert Zemeckis e di Mary Shelley’s Frankenstein, girato da Kenneth Branagh nel ’94 proprio sulla scia del grande successo del Dracula di Coppola. La scrittura del film venne commissionata ad Hart già negli anni Ottanta dai produttori della Columbia Pictures Michael Apted e Robert O’Connor, gli unici interessati al progetto in una industria, quella hollywoodiana, che non avrebbe più facilmente scommesso su una ennesima versione del personaggio, fosse stata fedele o meno al romanzo originale (dal quale ogni Dracula cinematografico si era, sostanzialmente, abbastanza allontanato) [2]. Il testo di Hart era inoltre avvalorato dalla consulenza di Leonard Wolf, traduttore, scrittore e illustre “vampirologo”, nonché curatore di The annotated Dracula (edizione commentata del romanzo di Stoker, pubblicata in Italia da Longanesi nel 1976). Dopo qualche anno, la sceneggiatura di quello che avrebbe potuto divenire il nuovo Dracula giunse finalmente nelle mani di Francis Ford Coppola grazie all’interessamento di una giovanissima attrice di sua conoscenza, Wynona Rider (all’epoca diciannovenne e reduce dal successo di Edward mani di forbice di Tim Burton), che aveva letto il testo ed era rimasta entusiasta del personaggio di Mina Harker. La reazione di Coppola (che, si ricordi, prima dei successi stratosferici degli anni Settanta aveva debuttato nel 1963 con Dementia 13, un tetro “b-movie” prodotto dal maestro dell’horror indipendente Roger Corman) fu decisiva: il conte Dracula avrebbe fatto il suo ennesimo ritorno al cinema, e lui si sarebbe personalmente occupato del progetto da dietro la macchina da presa.

Coppola ha dichiarato di essersi dedicato alla lavorazione del film «guidato dalla Storia del cinema» [3]: come detto, il suo Dracula non poteva non fare i conti con l’affollatissima serie di film precedenti ispirati direttamente o indirettamente al libro di Stoker, e avrebbe avuto l’impegnativo onere di riproporre il personaggio in una versione nuova e originale, mantenendo allo stesso tempo una inedita coerenza con il romanzo. Una sfida tutt’altro che semplice, considerando che, come ha sottolineato lo storico del cinema David J. Skal, il conte Dracula (anche e soprattutto grazie ai vari film dedicati al personaggio) è stato con ogni probabilità il personaggio fittizio più celebre del Ventesimo secolo [4]. Infatti, a parere di Donald A. Reed, già presidente della Count Dracula Society, dai primordi del cinema sarebbero stati girati almeno duecento film sul personaggio, che però secondo Jim V. Hart si rivelavano uno più scialbo dell’altro, se paragonati alla ricchezza del romanzo di Stoker [5].

La leggendaria silhouette del Conte Orlok nel Nosferatu di Murnau, 1922

NOSFERATU DI MURNAU E GLI ALTRI PRIMI DRACULA CINEMATOGRAFICI

Quale sia stato davvero il primo film ispirato a Dracula è una questione controversa, poiché per tentare di risolverla ci si andrebbe a perdere, letteralmente, nelle ombre del cinema delle origini: se l’indiscusso capolavoro si ha nel 1922 con il citato Nosferatu, sembra che poco prima, tra il 1920 e il ’21, siano stati girati due Dracula, rispettivamente in Russia e in Ungheria, pellicole che non sono “sopravvissute” alla loro epoca e delle quali si sa ben poco [6]. Nosferatu-Eine symphonie des grauens e il suo regista Murnau andarono incontro a una nota battaglia legale intrapresa dalla vedova dell’autore di Dracula, Florence Balcombe Stoker (nota agli ambienti culturali britannici anche per una relazione giovanile con Oscar Wilde), che querelò il cineasta tedesco per violazione di copyright: il film, che mette in scena gli elementi e i personaggi centrali della storia, appare infatti come una trasposizione non ufficiale del romanzo, anche se sembra che in realtà Murnau non perseguisse affatto, o non esclusivamente, questo intento [7].

Un ritratto di Florence Balcombe, signora Stoker

Lo stesso titolo del film, comunque, è direttamente tratto dalle pagine del romanzo, essendo il termine nosferatu (o più correttamente nefârtatu, «falso fratello») [8] un’espressione folklorica per indicare il diavolo, come scopre Jonathan Harker tra la gente dei Carpazi. A parte ciò, all’attenzione della puntigliosa signora Stoker sarebbero quindi sfuggiti non solo i due misconosciuti Dracula prodotti nell’Europa orientale, ma anche un introvabile Drackula’s death (sic) girato anch’esso in Ungheria nel 1912 e, da ciò che ha ricostruito lo studioso di cinema fantastico Lokke Heiss, anche in questo caso ben lontano dal seguire le linee del romanzo originale, e molto più ispirato invece al Fantasma dell’Opera di Gaston Leroux [9].

Nosferatu (che Francis Ford Coppola indica come il più grande film sui vampiri) [10] metteva in scena la figura del conte Orlok, che altri non era se non naturalmente Dracula, nei cui panni recitò il “misterioso” attore teatrale Max Schreck la cui minacciosa silhouette è divenuta celeberrima. Mantenendo almeno in parte una certa vicinanza al Dracula del romanzo, il conte Orlok viene rappresentato come un essere ripugnante le cui sembianze ricordano quelle di un roditore: è infatti caratterizzato dagli abnormi incisivi, mentre per ammirare i proverbiali canini insanguinati si dovrà attendere il Dracula di Terence Fisher con Christopher Lee, prodotto dalla Hammer Film nel 1958. La prima trasposizione ufficiale e autorizzata del romanzo sarà la versione teatrale, rappresentata a Londra a metà anni Venti da John L. Balderston e da Hamilton Deane (un drammaturgo e impresario anglo-irlandese amico della famiglia Stoker) [11], che modelleranno i tratti di Dracula come aristocratico tenebroso e morbosamente affascinante. Piuttosto che al Conte creato dalla penna di Stoker, lo stile del Dracula teatrale sarebbe quindi più vicino al personaggio di Lord Ruthven, ovvero il primo autentico vampiro letterario della narrativa moderna (protagonista del racconto The Vampyre di John William Polidori, pubblicato nel 1816). Questa immagine del personaggio di Dracula verrà in breve riproposta e consolidata nel primo film ufficiale tratto dal romanzo, l’omonima e celebre produzione americana targata Universal del 1931 per la regia di Tod Browning e con Bela Lugosi, da qui in poi icona dell’horror, nei panni del vampiro.

Bela Lugosi è Dracula nel film di Tod Browning prodotto nel 1931 dagli Universal Studios

IL DRACULA DI COPPOLA

Queste note vicende legate alla storia e allo sviluppo del Dracula letterario e cinematografico sono solo alcuni dei presupposti e delle influenze che si ritrovano nella pellicola di Coppola, dominata fin dalle prime scene da uno stile onirico e barocco. Oltre agli effetti speciali e al trucco di Greg Cannom che permettono la realizzazione delle scene di vampirismo alquanto realistiche, gran parte del merito va alla fotografia di Michael Ballhaus e a efficaci trovate del montaggio. Ad esempio, l’arrivo della carrozza il cui cocchiere è Dracula stesso, che dovrà prelevare Jonathan Harker nella desolazione di Passo Borgo per condurlo al castello (esattamente come accade nel romanzo, poi in Nosferatu e nel Dracula di Browning, anche se in questo caso il personaggio di Harker era sostituito con quello di Renfield), è montato al contrario: l’effetto è straniante ed inquietante, riuscendo a trasmettere una sensazione di soprannaturale/innaturale, e tornerà in altre scene del film (ad esempio nell’incontro ad alto tasso erotico tra Harker e le tre spose di Dracula, fra le quali si può notare una svestitissima Monica Bellucci). Molto suggestiva è anche l’ombra “demoniaca” di Dracula, che si muove in differita o in totale indipendenza rispetto ai movimenti del suddetto, e che in realtà, all’occhio di ogni horrorofilo, si rivela un chiaro omaggio al terrificante Vampyr, girato nel 1932 da Carl Theodor Dreyer (e liberamente ispirato ad alcuni racconti “vampirici” di Joseph Sheridan Le Fanu).

Oltre alla riuscita “riproposizione” sullo schermo dello stile epistolare del romanzo, ottenuta con le voci fuori campo dei protagonisti le cui lettere, appunti e diari (tutti estratti pressoché letterali dalle pagine del libro) fungono da introduzione o da commento a molte scene, ad Hart e Coppola si deve l’audace trovata di stabilire le origini del nuovo Dracula sviluppando nel film la figura storica che ispirò Bram Stoker per modellare il suo personaggio. Cioè, quella di Vlad III Dracula (1431-1476), passato alla Storia come Vlad Ţepeş ovvero «l’Impalatore», voivoda dell’Ordine del Dragone (il patronimico «Dracula» significherebbe letteralmente «figlio del drago», dracul) e celebre difensore della Valacchia ortodossa contro l’espansionismo ottomano, nonché tristemente noto per le sue efferatezze perpetrate in battaglia [12]. In realtà, un legame tra il vero principe Vlad e il Conte di Stoker era già stato portato sullo schermo dal film turco Dracula a Istanbul (Dracula Istanbulda, 1952) di Mehmt Muhtar, nonché accennato nel Dracula televisivo con Jack Palance nel ruolo del Vampiro, girato da Dan Curtis nel 1973 e scritto dal grande Richard Matheson, autore tra i massimi della narrativa del terrore contemporanea. Ma anche in questo caso, il film di Coppola ricerca un certo “realismo”: sulle crudeli imprese di guerra, e anche sulle fattezze fisiche di Vlad III (di cui è pervenuto un celebre ritratto del XVI secolo conservato allo Schloss Ambras presso Innsbruck) è effettivamente modellato il Dracula interpretato da Gary Oldman; un dettaglio importante, anche considerando che è stato cambiato un fondamentale tratto distintivo del personaggio di Stoker. Infatti, a differenza del conte Dracula del romanzo, e ovviamente di tutti quelli portati sullo schermo, il non-morto del film di Coppola è per la prima volta “promosso” al rango di principe, quale effettivamente fu il vero Dracula da cui lo scrittore irlandese trasse ispirazione, seppure con evidenti e significative differenze [13].

Per quanto brevi, le sequenze del brutale scontro tra l’armata di Vlad contro gli Ottomani, immerse in un tramonto rosso sangue, sembrano richiamare lo stile epico dei grandi film storici di Akira Kurosawa, come Kagemusha e Ran (ma anche una sorta di versione da incubo della battaglia tra Russi e Cavalieri Teutonici nell’ Aleksandr Nevski di Eisenstein); i colori oscuri ma particolarmente intensi sono perfetti per l’ambientazione medievale del prologo della storia, dominato dalla figura del Vlad Dracula condottiero e difensore della Croce, e della sua regale consorte, la principessa Elisabetha interpretata dalla stessa Wynona Rider che tornerà in scena subito dopo (con uno scarto di circa quattrocento anni, poiché la ritroviamo nella Londra vittoriana) nella parte di Mina Murray, prossima a sposare il giovane agente immobiliare Jonathan Harker. In questo antefatto di cui non c’è traccia nel romanzo, essendo un apporto originale della sceneggiatura di Hart, il personaggio di Elisabetha, di cui Mina sarà la futura reincarnazione, è indirettamente responsabile della trasformazione di Dracula da mortale a malefico non-morto: a causa di un inganno perpetrato dai Turchi, infatti, la principessa crederà il marito caduto in battaglia e sceglierà il suicidio. Vlad, furioso e profondamente ferito da quella che interpreta come un’ingiustizia da parte degli imperscrutabili disegni divini, in una scena alquanto sanguinolenta e “blasfema” si voterà alle potenze infernali, diventando il Vampiro per antonomasia.

Una volta che l’ambientazione si sposta a Londra (dove, anche soltanto nello studio del principale di Harker, pare già di respirare l’aria gotica dei classici della Hammer Films…), si ritrovano sullo schermo tutti i personaggi principali del romanzo: Mina, la sua amica Lucy Westenra e i di lei spasimanti Arthur Holmwood, il texano Quincey P. Morris e il dottor Jack Seward. Quest’ultimo è il direttore della clinica psichiatrica del quartiere di Carfax, che segue il caso del signor Renfield (lo sfortunato predecessore di Harker che torna dalla Transilvania folle, zoofago e asservito al Vampiro, e che qui ritroviamo nella dirompente interpretazione del cantautore Tom Waits) e che chiamerà in scena il professor Abraham Van Helsing, impersonato da un attore fuoriclasse come Anthony Hopkins.

Evidenti sono anche gli omaggi stilistici a uno dei più grandi maestri italiani dell’orrore cinematografico, ovvero Mario Bava [14]. Infatti, non solo il maestoso tema principale della colonna sonora, opera del compositore polacco Wojciech Kilar, ricorda alquanto da vicino quello scritto da Roberto Nicolosi per il leggendario La Maschera del Demonio (film d’esordio di Bava del 1960, vagamente ispirato al racconto Il Vij di Nikolaj Gogol e dedicato proprio a una vicenda di vampirismo ambientata nell’Europa orientale), ma è lo stesso stile architettonico e di “arredamento” delle stanze del castello e dell’abbazia di Carfax che rievoca capolavori gotici come Operazione Paura e I tre volti della paura. Addirittura, nella scena ambientata nella sala da pranzo, in cui Oldman e Reeves reinterpretano un famoso momento del romanzo poi riproposto sia in Nosferatu che nel Dracula con Lugosi (da cui la storica battuta «non bevo mai… vino!»), si nota una massiccia statua in un angolo in penombra che, a uno sguardo attento, sembra riprodurre i tratti del barone Javutic, lo stregone-vampiro interpretato da Arturo Dominici nella Maschera del Demonio

Per quanto riguarda l’impegnativa caratterizzazione del protagonista, è innegabile che  l’intensità e la duttilità con cui Gary Oldman “diventa” Dracula siano ancora oggi palpabili; non casualmente l’attore inglese, all’epoca trentaquattrenne, ottenne la parte nonostante la produzione avesse considerato nomi più celebri come quelli di Johnny Depp e Daniel Day-Lewis. È notevole la scelta di Coppola che, per rendere il tutto più verosimile, fece girare interi dialoghi in romeno, e per tutto il film Oldman parla inglese con accento est-europeo e un suggestivo timbro baritonale (degnamente doppiato nella versione italiana da Dario Penne). Come notarono all’uscita del film Maurizio Colombo e Stefano Marzorati, la sofferta e a tratti quasi “gigionesca” recitazione di Oldman riesce quindi a rendere «la complessa personalità di Dracula: eroismo barbarico, fascino magnetico, sensualità perversa, secolare solitudine, disperato amore e persino l’originaria umanità sepolta nel corpo del mostro» [15].

Lucy Westenra (Sadie Frost) da non-morta

METAMORFOSI VAMPIRICA

Una perla di moderno cinema horror è inoltre tutta la parte del film dedicata al processo di vampirizzazione di Lucy Westenra, che diviene appunto la prima vittima di Dracula su suolo inglese, coerentemente con ciò che accade nel romanzo e, in linea di massima, nei film precedenti. Come accennato, la migliore amica di Mina Harker, per la quale Stoker scelse un nome simbolico ed evocativo (che suona effettivamente come «Luce dell’Occidente», minacciata dalle forze oscure del Vampiro proveniente dalla “selvaggia” Europa orientale), è al centro delle attenzioni dei tre personaggi di Holmwood, Morris e Seward, per la prima volta tutti presenti in una versione cinematografica e degnamente caratterizzati. Il personaggio di Lucy, interpretata dall’attrice londinese Sadie Frost, dimostra una carica sessuale vorace e anche promiscua, ben poco inibita dalle convenzioni dell’etichetta vittoriana: ciò è evidente nell’atteggiamento ampiamente civettuolo verso i tre “fidanzati”, nell’interesse per Le Mille e una notte a cura di Francis Burton (la prima storica edizione inglese) illustrata con immagini più vicine a quelle del Kamasutra, e in un rapidissimo accenno di bisessualità con Mina. Una prima importante variazione rispetto al romanzo e agli altri Dracula cinematografici è la raccapricciante scena di amplesso en plein air tra Lucy e Dracula in forma di lupo mannaro, dopo la quale la ragazza rimarrà sotto il suo influsso malefico, deperendo a vista d’occhio e sviluppando sempre più evidenti tratti vampirici, mentre nel libro di Stoker il Conte la “possiede” entrando nella sua stanza in forma di pipistrello (come si vedeva anche nella versione con Bela Lugosi, in una scena prontamente sfumata in nero non appena Dracula si china su Lucy sdraiata a letto) [16].

Lucy, una volta caduta preda della possessione di Dracula il cui marchio è rivelato dai tipici, piccoli segni sulla gola, alterna stati di insana eccitazione sessuale a scatti di furia isterica, fino alla visita finale del Vampiro che la porterà alla tomba: un evento che nel romanzo troviamo alla fine dell’undicesimo capitolo, e che vede nella stanza la presenza della madre della ragazza, del tutto assente nel film e sostituita in questa scena con Arthur Holmwood (stordito dall’alcol e poi tramortito da Dracula in forma di lupo). Quella presentata da Lucy è una “sintomatologia vampirica”, e quindi anche demonica, che risente palesamente della lezione cinematografica dell’Esorcista di William Friedkin, compreso il fiotto di sangue che la vampira vomita addosso a Van Helsing nell’atto di respingerla nel sepolcro, prima di porre fine al suo stato di non-morta con l’aiuto di Arthur Holmwood e gli altri gentiluomini (anche in questo caso, coerentemente con la storia originale).

Gary Oldman è il Dracula di F.F. Coppola

Anche lo scontro con Lucy-vampira, infatti, segue sostanzialmente la storia originale, e la ricostruzione della cripta famigliare dei Westenra trasmette un autentico senso di fredda oscurità: sembra quasi di percepire il gelo della tomba in marmo e vetro, ritrovata ovviamente vuota da Van Helsing e i tre ammiratori di Lucy. L’apparizione della non-morta in una candida veste funeraria, impegnata a trascinare con sé una piccola vittima prontamente salvata dall’intervento dei protagonisti, suggerisce che Lucy sia divenuta una lamia o una estria, tipologia di vampire che tendono ad assalire soprattutto i bambini (rispettivamente, secondo le tradizioni greco-romane e quella ebraica) [17]. Inoltre Anthony Hopkins, con la sua potenza espressiva, dà vita a  un Van Helsing molto energico e istrionico rispetto alle interpretazioni “classiche” del personaggio da parte di Edward Von Sloan (nel Dracula di Browning) e di Peter Cushing (in quello di Terence Fisher) che, per quanto intensi, portarono sullo schermo dei Van Helsing più freddi e controllati.

Come si è detto, nell’atto di vampirizzare le giovani vittime Dracula manifesta le sue capacità di polimorfismo soprannaturale. Se si trasforma in lupo mannaro per insidiare Lucy, quando viene assalito dagli eroici protagonisti mentre è in intimità con Mina si sbizzarrisce in altre celebri “versioni” del suo personaggio: banco di verdognola nebbia sepolcrale, poi  mostruoso ed enorme pipistrello dai tratti diabolici, per scindersi infine in una frenetica massa di topi (citando il romanzo, ma anche Nosferatu e il Dracula di Browning, film nei quali i ratti rivestono effettivamente una importante presenza scenica). Se il topo è associato all’idea della corruzione e della pestilenza, il pipistrello e il lupo sono simboli per antonomasia delle forze notturne, e quindi legati alla simbologia del vampirismo in varie antiche tradizioni europee. Per esempio, sono queste le tipiche sembianze ferine che può assumere il priculics, un vampiro di cui parla proprio il folklore valacco (che Stoker studiò per la stesura del romanzo), mentre un altro particolare tipo di vampiro delle tradizioni russe detto mjertovjek è figlio di un licantropo e di una strega [18].


DRACULA E IL LUPO

Il Dracula di Coppola, recuperando quindi una tradizione importante del folklore sui vampiri ovvero la loro, per così dire, “consanguineità” con i licantropi, denota infatti una stretta familiarità con i «figli della notte» che ululano alla luna. Interessante è anche la confidenza con cui il principe Vlad ammansisce il lupo albino che assale il baraccone del cinematografo, salvando Mina dalle sue fauci: un Dracula “sciamano”, vista anche la sua possibilità di assumere le sembianze dell’animale [19]?

Alla simbologia del lupo è inoltre legato un importante particolare che si può osservare nell’iconografia della locandina originale del film (che, all’epoca, colpì molto l’attenzione di chi scrive, notandola affissa all’entrata dei cinema cittadini…), che ci riporta direttamente alla grande letteratura e alla simbologia tradizionale. Al di sopra del primo piano centrale in un livido bianco e nero che richiama la fotografia ottocentesca, del mefistofelico Oldman-Dracula che regge tra le braccia una esangue Wynona Rider-Mina, si vede un mostruoso e ringhiante volto di vampiro attorniato da due teste di lupo. Il riferimento parrebbe, ovviamente, alle due principali forme animali che assume Dracula per le sue scorribande notturne; ma, ad un esame più attento, il pipistrello-vampiro centrale rivelerebbe quasi dei tratti leonini. Se consideriamo la posizione particolare dei due lupi laterali, l’immagine che viene alla mente è quella che si ritrova in un passo dei Saturnalia di Macrobio. Nell’opera in questione, un enciclopedico trattato in forma di dialogo sulle tradizioni romane, l’autore del V secolo racconta infatti di una scultura trifronte, un tempo situata nel tempio di Serapide ad Alessandria d’Egitto: la testa centrale, il leone, rappresentava il tempo presente e ciò che conosciamo; le teste laterali di lupo, invece, stavano a significare due forme dell’ignoto, passato e futuro: ciò che concerne i più remoti tempi passati, e che quindi è stato dimenticato, e ciò che, in quanto di là da venire, ancora non si conosce [20]. Anche già soltanto sulla locandina pubblicitaria del film, quindi, sono esplicitamente chiamate in causa le valenze esoteriche della figura del lupo, e quindi di quella del Vampiro.

Dracula: ritratto ispirato a Duhrer

RIMANDI E CITAZIONI AD ALTRE OPERE

Da qui ci si può ricollegare ai particolarmente significativi e “gustosi” (quanto una bistecca al sangue, s’intende) riferimenti culturali disseminati per le scene del film: ad esempio l’abbazia di Carfax, nei pressi della quale si stabilirà Dracula nella sua trasferta britannica, sembra proprio quella ritratta dal pittore-simbolo del Romanticismo tedesco, Caspar David Friedrich, nel suo celebre Abbazia nel querceto (1810); e durante la cena a Castel Dracula, Harker nota appeso alla parete un dipinto del principe Vlad (scambiandolo ovviamente per quello di un antenato), che altro non è se non un esplicito omaggio al celebre Autoritratto con pelliccia di Albrecht Dürer, dipinto dal maestro tedesco nel 1500. È notevole, poi, come i succinti abiti delle spose di Dracula e le vesti mortuarie di Lucy Westenra ricordino i personaggi femminili disegnati da Alphonse Mucha, e che su vari altri costumi (tutti opera della stilista giapponese Eiko Ishioka, compresi i pittoreschi paramenti di Dracula) così come sulle scenografie degli interni sembri aleggiare l’atmosfera dei più oscuri capolavori di Gustav Klimt, Aubrey Beardsley e Gustave Moreau.

Van Helsing, sfogliando le pagine di un Libro dei Vampiri (ennesima citazione da Murnau e Dreyer), incappa in alcune particolari xilografie: la prima è un ritratto di Vlad III, probabilmente ispirato alla Povest’o Drakule, cronaca russa di incerta attribuzione redatta alla fine del XV secolo incentrata perlopiù sugli aneddoti macabri relativi alla storia del principe, che si possono ammirare nella successiva panoramica di Vlad che pranza tra i cadaveri impalati (altra immagine storicamente documentata); la terza immagine, che ritrarrebbe il suicidio della principessa Elisabetha, riproduce invece un’illustrazione tratta da una delle prime edizioni del romanzo, probabilmente il burrascoso incontro notturno tra Dracula e Mina nella camera da letto di quest’ultima.

In un altro palese e compiaciuto omaggio all’indimenticato autore di Dracula, infine, se si osserva con attenzione nella scena dell’incontro a Londra tra Mina e Vlad (la cui camminata, si noti, è ripresa nei 18 fotogrammi al secondo del cinema muto, e in effetti il cinematografo appena nato è la destinazione del primo incontro tra la giovane signora e il Vampiro) si nota un “uomo-cartello” che annuncia una rappresentazione dell’Amleto al Lyceum Theatre, interpretata nientemeno che da Henry Irving: si tratta ovviamente del teatro diretto per anni da Bram Stoker, segretario personale del grande e carismatico attore inglese la cui figura, assieme a quella di Vlad Ţepeş, fu alla base dell’ispirazione per il Dracula letterario. Dettaglio che non deve avere particolarmente allietato Irving, il quale, a quanto si sa, non manifestò il minimo apprezzamento per il romanzo del suo pupillo…

Per quanto riguarda un’altra idea fondamentale della trama a cui si è accennato, il tema della protagonista femminile come reincarnazione della defunta sposa di Dracula proviene in realtà dal già citato film televisivo di Dan Curtis, anche se in quel caso il personaggio in questione non era Mina ma Lucy. Il tema delle “vite precedenti”, i fenomeni metapsichici in generale e le varie pratiche annesse (ipnosi, mesmerismo, sedute medianiche…) erano notoriamente argomenti molto familiari alla società inglese tardo ottocentesca, così come furono molto attivi i celebri circoli magico-occultistici come la Società Teosofica e la Golden Dawn, ambienti che Stoker forse frequentò ma, pare, senza in realtà aderirvi seriamente [21]. Nel romanzo è il personaggio di Van Helsing, da studioso dell’occulto e del vampirismo, che introduce il tema dei fenomeni paranormali e delle percezioni extrasensoriali, dopo avere valutato gli inquietanti sintomi di Lucy. Il legame psichico che Mina sviluppa con Dracula dopo l’amplesso-vampirizzazione (nel film, una lunga scena di effusioni erotico-sanguinose tra un atletico Oldman a torso nudo e una obiettivamente splendida Wynona Rider in déshabillé) è infatti fondamentale, per il gruppo dei protagonisti votati all’eliminazione del vampiro, al fine di seguire le tracce di Dracula transfuga in Transilvania. È al castello, infatti, che avverrà lo scontro finale, che peraltro costerà la vita a Quincey Morris (seguendo correttamente il romanzo); dell’eliminazione del vampiro se ne occupa però Mina, “chiudendo il cerchio” nello stesso luogo dove, secoli prima, era morta Elisabetha e il principe Vlad aveva scelto la via del vampirismo (e qui ci si discosta nuovamente dalla storia originale).

Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto

CONCLUSIONE

Alla luce di tutto ciò che si è esaminato, il film di Coppola ha quindi la sua forza nell’essere riuscito, per così dire, ad amalgamare in modo originale amore, arte e vampirismo, tre condizioni che permettono all’essere umano di affrancarsi dalla propria condizione transeunte [22]. Concludendo, si può ancora una volta prendere atto dell’importanza ormai storica di un film come Bram Stoker’s Dracula, con tutti i “pregi e difetti” del caso. A titolo di aneddoto quasi paradossale, è curioso che tra i detrattori del film, o meglio, tra chi sostiene puntigliosamente una fedeltà al romanzo non rispettata fino in fondo nemmeno in questo caso, ci sia stato proprio … il Conte in persona, ovvero sir Christopher Lee, autentico monumento del cinema fantastico e unico interprete storicamente in grado di contendere a Bela Lugosi la nomea di Dracula “classico” per definizione. In una occasione, infatti, il grande attore italo-inglese fu critico in questo senso a proposito del film di Coppola [23]. In ogni caso, riguardandolo ancora oggi a distanza di un trentennio, è innegabile che Bram Stoker’s Dracula sia riuscito degnamente a conservare e rinnovare una delle figure più archetipiche e multiformi del Fantastico moderno, oltre a restituire la dovuta importanza al nome del creatore di quella figura [24].


Note:

[1] Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula. Indagine sul vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, Mondadori, Milano 1997, p.347.
[2] Maurizio Colombo, Stefano Marzorati, Bram Stoker’s Dracula, in Dylan Dog presenta: Almanacco della Paura, Sergio Bonelli Editore, Milano 1993, p.28.
[3] Cfr. Dracula bloodlines: the man, the monster, the myth, documentario contenuto nel DVD di Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, Columbia Pictures, 2006.
[4] Cfr. Road to Dracula, documentario contenuto nel DVD di Dracula di Tod Browning, Universal, 2004.
[5] Cfr. Dracula bloodlines: the man, the monster, the myth, cit.
[6] Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula, cit., p.317.
[7] Pier Giorgio Tone, Friedrich Wilhelm Murnau. Il castoro cinema n.36, La nuova Italia, Firenze 1976, p.33-34.
[8] Matei Cazacu, Dracula. La vera storia di Vlad III l’Impalatore, Mondadori, Milano 2006, p.250.
[9] Cfr. Road to Dracula, cit.
[10] Cfr. Dracula bloodlines: the man, the monster, the myth, cit.
[11] Mauro Gervasini, Amori al primo morso. L’età d’oro di Dracula, in Emanuela Martini, a cura di, AA.VV., Da Caligari agli zombie. L’horror classico 1919-1969, Il castoro, Milano 2019, p.62.
[12] Su Vlad Țepeș, cfr. Raymond McNally, Radu Florescu, Alla ricerca di Dracula, Sugar, Milano 1972; Matei Cazacu, Dracula. La vera storia di Vlad III l’Impalatore, cit.; Gianfranco Giraudo, Drakula. Contributi alla storia delle idee politiche in Europa orientale alla svolta del XV secolo, Ca’ Foscari, Venezia 1972.
[13] Si tenga conto, infatti, che la figura di Vlad Țepeș, nonostante le note turpitudini eseguite sui nemici (e talvolta verso i suoi stessi sudditi) che alimentarono la sua “leggenda macabra”, nel corso dei secoli non venne mai associata alla mitologia del vampiro (cfr. Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula, cit., p.207-208), della quale invece il Dracula di Stoker è divenuto il simbolo per eccellenza. Non solo: il suo dominio si estese appunto sulla Valacchia, mai sulla Transilvania. Stoker preferì il nome di quest’ultima regione storica della Romania, giudicandolo più musicale e suggestivo (la «terra oltre la foresta») per ambientarvi le origini e le gesta di un personaggio come il “suo” Dracula (n.d.A.).
[14] Cfr. Alain Silver, James Ursini, The vampire film. From Nosferatu to Bram Stoker’s Dracula, Limelight, New York 1994.
[15] Maurizio Colombo, Stefano Marzorati, Bram Stoker’s Dracula, in Dylan Dog presenta: Almanacco della Paura, cit., p.30.
[16] Una scena che peraltro richiamerebbe un passaggio di Varney the Vampire, romanzo-fiume di circa 860 pagine (!) scritto da Thomas Preskett Prest e John Malcolm Rymer e pubblicato a puntate, di cui la prima uscì nel 1847. (n.d.A.). Cfr. Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula, cit.
[17] Cfr. Gianni Pilo, Sebastiano Fusco, Il Vampiro, introduzione a AA.VV., Storie di vampiri, Newton & Compton, Roma 1994; Rossella Bernascone, Introduzione a Bram Stoker, Dracula, La biblioteca di Repubblica, Roma 2004, p. VIII.
[18] Gianni Pilo, Sebastiano Fusco, op.cit., p.11.
[19] Cfr. Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Mediterranee, Roma 1974; a proposito della licantropia legata al contesto sciamanico e guerriero nelle tradizioni slave, cfr. Il Canto delle schiere di Igor, a cura di Eridano Bazzarelli, Milano, Rizzoli 2000.
[20] Sul passo di Macrobio, e sulle complesse valenze dell’archetipo del lupo come simbolo dell’oscurità ma anche portatore di luce e conoscenza (si pensi al lupo sacro ad Apollo, o ai lupi Geri e Freki che siedono accanto al trono di Odino), cfr. Gianni Pilo, Sebastiano Fusco, Introduzione a AA.VV., Storie di lupi mannari, Newton & Compton, Roma 1994.
[21] Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula, cit., p.229-230.
[22] Paul Duncan, Jürgen Muller, a cura di, AA.VV., Cinema Horror. I migliori film dell’orrore di tutti i tempi, Taschen, Köln 2017, p. 221.
[23] Paolo Zelati, Quel mostro di Lee. in Horror Mania n.29, dicembre 2006, p.32-33.
[24] Infatti, a parte la notorietà di cui ha comunque sempre goduto presso gli estimatori e gli studiosi del Fantastico, la produzione narrativa di Bram Stoker e il suo stesso nome sono stati per buona parte del XX secolo oscurati dall’ingombrante fama del vampiro nato dalla sua fantasia. Un caso analogo è quello di Arthur Conan Doyle, effettivamente meno celebre al “grande pubblico” rispetto alla popolarissima figura di Sherlock Holmes, e per certi versi ciò è accaduto anche per quanto riguarda Howard Phillips Lovecraft e i suoi “Miti di Cthulhu” (n.d.A.).

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