Essi vivono, noi dormiamo. Una “Corta notte” lunga 50 anni

Il potere, che sia economico o che sia politico,
si mantiene con il sangue dei giovani.

Aldo Lado

Mi capita spesso di trovarmi a confrontare, per tematiche e suggestioni narrative, film americani o inglesi, anche molto blasonati, con produzioni italiane uscite nelle sale svariati anni prima, molto meno impegnative in termini di budget e famose forse un centesimo di quelle anglofone, eppure indiscutibilmente rivoluzionarie ed epocali pur nella maniera, spesso anche piuttosto casalinga, in cui erano state pensate e girate. Ciò mi accade soprattutto con i thriller e i gialli a sfumature orrorifiche, di natura psicologica o esoterica: per quanto riguarda questo specifico filone cinematografico, infatti, è indiscutibile come le pellicole etichettate come “spaghetti thriller” o “italian giallo” uscite tra la metà degli anni ’60 e quella dei ’70 abbiamo letteralmente dettato le regole del genere, come si suol dire.

Prodotti significativi sono i primi di Dario Argento, soprattutto L’uccello dalle piume di cristallo (1971), Quattro mosche di velluto grigio (1972) e Profondo rosso (1975). Non da meno sono le virate nel genere in questione del factotum Mario Bava, che lo precedette di un lustro: ricordiamo tra i tanti Sei donne per l’assassino (1964), Operazione paura (1966) e Reazione a catena (1971). Impossibile anche non citare Lucio Fulci che, egualmente ad Argento, prima di darsi all’horror si cimentò con il giallo e il thriller all’italiana: sono imprescindibili Una lucertola con la pelle di donna (1971), Non si sevizia un paperino (1972) e Sette note in nero (1977). Sono da ricordare anche Sergio Martino, Umberto Lenzi, Antonio Bido, Giuliano Carnimeo, Massimo Dallamano e, ovviamente, La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati.

E tuttavia, tra tutte le pellicole nostrane di questo filone, quella probabilmente più sensazionale per perfezione stilistica, qualità dell’incastro narrativo e anticipazioni straordinarie di film ben più osannati, è La corte notte delle bambole di vetro, diretta da Aldo Lado e uscita nelle sale nel 1971 (Lado fu poi regista anche di altri due titoli accattivanti: Chi l’ha vista morire?, 1972 e L’ultimo treno della notte, 1975). Uscito nelle sale esattamente 50 anni fa (precisamente il 28 ottobre 1971), ascrivibile al sotto-filone del thriller cospirativo a tinte sataniche — un manipolo di film a basso budget fra cui vanno menzionati anche i successivi Tutti i colori del buio (S. Martino, 1972) e Il profumo della signora in nero (F. Barilli, 1974), che generalmente traggono linfa dal capolavoro di Polanski uscito qualche anno prima (Rosemary’s Baby, 1968) — La corta notte nondimeno riuscì a sviluppare un’originalità forse mai più vista a tali livelli sui nostri lidi, capace di anticipare di diversi decenni pellicole come Eyes Wide Shut (S. Kubrick, 1999), Society (B. Yuzna, 1989) e Memento (C. Nolan, 2001). È soprattutto sorprendente il confronto — talvolta persino scena per scena o personaggio per personaggio, oltre che per tematiche e suggestioni generali — con il canto del cigno kubrickiano di trent’anni successivo, come cercheremo di mettere in rilievo in questo breve articolo.

Il film avrebbe dovuto inizialmente intitolarsi Malastrana, nome di un noto quartiere di Praga, città in cui è ambientato il film (sebbene la maggior parte delle scene siano state girate a Zagabria); in un secondo momento il titolo di lavorazione venne cambiato in La corta notte delle farfalle, sulla scia dei thriller argentiani (la famosa “Trilogia degli Animali“), se non fosse che Duccio Tessari lo anticipò di pochissimo con il suo Una farfalla con le ali insanguinate: Lado fu così costretto a sostituire le “farfalle” del titolo provvisorio con le ormai celebri “Bambole di vetro” del titolo definitivo. Peccato perché, come avremo modo di vedere, le farfalle hanno un’importanza simbolica centrale nell’economia narrativa ed immaginifica della pellicola.

Fin dai romanzi di Gustav Meyrink — su tutti Il Golem, uscito nel 1915, lo stesso anno dell’omonimo film muto diretto da Henrik Galeen e Paul Wegener — Praga, in cui si fondono architettura mitteleuropea e cultura ebraica, è una candidata perfetta a infondere nello spettatore le suggestioni lugubri e sinistre, ma al tempo stesso anche eteree, che Lado ricerca, similmente alla Roma de Il segno del comando (andato in onda sulla Rai pochi mesi prima, durante l’estate del ’71) e alla Venezia di Nicolas Roeg (A Venezia… un dicembre rosso shocking!, 1973). Per questo, anche se come detto le scene girate nella capitale ceca sono poche, queste sono iconiche sia per i luoghi filmati — le viuzze colorate del ghetto, dove secondo la leggenda una porticina vetusta si aprirebbe direttamente sullo Sheol, o il cimitero storico, dove le tombe sembrano crescere l’una sull’altra come denti o funghi infetti — che per le livide musiche di Ennio Morricone (orchestra diretta da Bruno Nicolai), le quali fin dall’inizio invitano presagire enigmi e delitti.

Nella Praga vera e propria sono state girate le scene che i due protagonisti, il giornalista americano Gregory Moore (Jean Sorel) e la sua giovane amante ceca Mira (Barbara Bach), passano insieme in giro per la città: gli unici momenti spensierati, prima che la seconda sparisca improvvisamente, durante la prima notte insieme, dopo che quella sera Gregory l’aveva portata a una festa esclusiva e l’aveva presentata a persone altolocate e influenti nella vita politica ed economica della nazione; in altre parole, quella che viene definita “una élite sdentata” («Gregory… ma dove mi hai portata? Questo è il museo delle cere!», «Tra questi uomini ci sono personaggi importanti di mezza Europa… politici, banchieri, invertiti disposti a parlarne…»). Una festa che ricorda da molto vicino quella omologa degli Ziegler in Eyes Wide Shut e che, similmente ad essa, dà il via agli oscuri avvenimenti che seguiranno. 

Come Alice (Nicole Kidman) nel film di Kubrick, che non appena viene lasciata sola da Bill (Tom Cruise) si ritrova nelle grinfie del vecchiardo di turno, subito pronto a suggerne l’anima a suon di battutine grottesche, lo stesso accade a Mira, immediatamente circondata da un capannello di vecchi bavosi («Ha l’aria così arrendevole… Sono belli i nostri giovani»). La ragazza hippie strafatta di LSD che accompagna Jacques, il collega di Gregory interpretato da Mario Adorf — oltre ad anticipare in maniera sensazionale per fisionomia e outfit l’iconica Uma Thurman in Kill Bill (1999) — trova un corrispettivo in Mandy, la prostituta che va in overdose durante la festa a casa Ziegler. E si noti anche che, se in Eyes Wide Shut Cruise interpreta un dottore, anche nella festa del film di Lado è presente un medico cardiologo, amico di gioventù di Gregory, che poi si scopre avere contatti con i cospiratori della setta segreta: in questo ricoprendo un ruolo pressoché identico a quello che nel film di Kubrick è stato attribuito a Nick Nightingale, il pianista ex compagno di università di Bill incontrato per caso dagli Ziegler, che in seguito lo porterà dritto nel covo dove la setta si abbandona ad orgiastici rituali

Le corrispondenze ovviamente non si fermano qui, a partire dall’importanza nell’oscura trama della setta segreta di personaggi altolocali, dediti a sfruttare sessualmente le giovani ragazze e a sacrificarle in abietti riti incentrati sull’energia sessuale e su quella vegetativa: ma su questo avremo modo di tornare. Anche in Eyes Wide Shut centrale nella sciarada degli eventi è la sparizione di una delle ragazze circuite, la prostituta dai capelli fulvi che salva la vita a Bill permettendogli di lasciare la villa della setta, una volta scoperto: e la scena in cui quest’ultimo giunge in ospedale per poter vedere il cadavere di Amanda Curran ricorda in maniera singolare quella della Corte notte, in cui è Gregory ad accorrere sull’orlo di un canale per riconoscere il corpo ormai senza vita di una giovane annegata, con identici capelli rossi e fisico statuario. E si faccia anche caso alla scena in cui Gregory, al buio, guarda con tenerezza Mira dormire nel suo letto, prima di scomparire misteriosamente; duplicata da Kubrick nella celebre scena in cui Bill, rientrando a tarda notte, trova la moglie Alice dormire beatamente, con la sua maschera veneziana sul cuscino. 

La sparizione di Mira e il suo invischiamento con la setta viene connesso simbolicamente, prima da lei stessa e in seguito da un vecchio informatore membro dell’organizzazione segreta, con una specie particolare di farfalle, forse da connettersi anche al famigerato Progetto Monarch. È Mira stessa infatti a regalarne un quadretto a Gregory, spiegandogli che quel tipo di lepidotteri «appartengono a una specie strana, si sollevano da terra e saltellano, ma non riescono a volare, nonostante le belli ali colorate… ce ne sono tante, qui da noi». Parole a cui faranno poi eco gli avvertimenti della “gola profonda”, che accennando a Gregory del misterioso Klub99 appena prima di morire per sua mano gli sussurra: «N-non volano… Non le lasciano volare via». Una “sala delle farfalle” è presente nella sede praghese del Klub99. È ovviamente rilevante che il lepidottero per i Greci come per diverse altre popolazioni antiche fosse una imago dell’anima: per mezzo delle orge occulte, infatti, i membri della confraternita suggono psichicamente l’anima vitale (o vegetativa) di Mira come delle altre giovani ragazze. 

Indagando, prima di essere anch’egli eliminato, Jacques scopre che «hanno sedi dappertutto», in cui «consumano troppi fiori». Non è infatti un caso che i rituali orgiastici e sacrificali si svolgano in una stanza dove i convenuti sguazzano letteralmente tra mazzi di fiori freschi, i quali in base ai dettami della magia simpatica sono adibiti a fare da medium, captando l’energia vegetativa delle giovani vittime per renderla disponibile agli “utilizzatori finali” («Serviva a qualcuno?», «A qualcuno? A tutti! A tutti quelli che vogliono sopravvivere agli altri, per riuscire a conservare il potere!»). Infatti, come afferma il dottor Karting (che infine si scopre essere il “Grande Sacerdote” del Klub99) in una scena del film apparentemente innocua in cui, pungendo un pomodoro con uno spillo, dimostra ad alcuni osservatori la sofferenza provata dall’ortaggio, «Il mondo vivente è una sola unità, un tutto indivisibile… Siamo noi uomini che poniamo delle divisioni, per nostra mera comodità»).

Gregory, entrando infine nella famigerata sede del Klub99 dopo l’orario di chiusura, vi trova i tesserati impegnati nell’abominevole rito, e vede Mira al centro della scena in qualità di vittima sacrificale: una sequenza che prende spunto da quella celeberrima della “inseminazione magica” di Rosemary e che anticipa quelle successive di Eyes Wide Shut e soprattutto di Society di Yuzna, oltre a quelle nostrane, egualmente debitrici nei confronti di Lado, di Sergio Martino in Tutti i colori del buio e di Francesco Barilli in Il profumo della signora in nero, usciti nelle sale negli anni immediatamente successivi alla Corta notte. (Si noti anche come sia nel Klub99 che durante la serata orgiastica nel film di Kubrick sia centrale il ruolo del piano). Le invocazioni e le formule magiche pronunciate dai membri della setta ricordano anch’esse il sopra menzionato film di Polanski, e lo stesso si può dire dei volti, truccati in maniera vistosa e quasi felliniana, dei membri della cosiddetta “élite sdentata”

Si possono anche rilevare delle similitudini nel modus operandi delle varie sette, dal Klub99 a quelle di Rosemary ed Eyes; ma se nel film di Polanski Guy Woodhouse, marito di Rosemary e attore di Hollywood, ottiene la fama in virtù del patto con la confraternita satanica, nella Corta notte Mira viene eliminata apparentemente proprio perché non è voluta scendere a compromessi con le depravazioni della setta: sarebbe morta perché «ha rifiutato ricchezza e sesso, le esche usate in tutto il mondo, droghe che più di ogni altra addormentano il pensiero e la coscienza… e ora dorme»; «I ribelli vanno addormentati, eliminati»). Come nei due film qui menzionati, chi prova a ribellarsi ai dettami della loggia segreta viene messo a tacere, qui addirittura “addormentato”, un termine da intendersi in questa sede anche nella sua accezione esoterica, gurdjieffiana, secondo la quale i “Dormienti” sarebbero gli individui umani inconsapevoli, prigionieri della loro stessa condizione di non-risvegliati:

Il piano di lettura esoterico e quello meta-politico si fondono (e confondono) alla perfezione: come nel film di Corrado Farina Hanno cambiato faccia, uscito nelle sale italiane lo stesso anno del film in analisi in questa sede, la classe dirigente politico-finanziaria viene rappresentata come una setta di vampiri, il cui scopo ultimo è quello di “parassitare” le “energie sane” dei giovani della nazione, mantenendo il proprio potere sulle masse attraverso la suzione animica delle loro spesso inconsapevoli vittime, tematica che anticipa persino il cult-movie di John Carpenter They Live (1988), in cui risuona sibillino il monito, scritto a caratteri cubitali: «ESSI VIVONO. NOI DORMIAMO». Elemento che si ritrova parimenti nella Corta notte di Lado, dove sono i membri stessi del famigerato Klub99 a rivelare al protagonista Gregory, prima di “addormentarlo” una volta per tutte:

Niente deve cambiare… Noi siamo la forza del passato. Noi terremo le fila del mondo finché ci sarà gente disposta a farsi uccidere, a versare il proprio sangue… Niente deve cambiare… Il nostro solo nemico è il pensiero, il risveglio delle coscienze… Perciò non permettiamo nessuna ribellione… nessuna!

Solo grazie a questa scena quasi conclusiva si comprende perché, fin dall’inizio della pellicola, Gregory appaia in uno stato di morte apparente, trovato in quelle condizioni nella sequenza iniziale del film e portato all’obitorio, perché considerato trapassato. In realtà non lo è ancora, ma è stato per l’appunto “addormentato” dai membri della setta per metterlo a tacere: è stato il dottor Karting, conoscitore dei misteri vitali dei pomodori e di ogni altra forma terrena di coscienza, ad averlo “zombificato” sussurrandogli formule occulte. È per questa ragione che l’intera narrazione degli eventi si sviluppa per flashback continui, che si intervallano alle scene in cui il “finto cadavere” di Gregory viene esaminato: un espediente meta-narrativo che verrà sfruttato in maniera pedissequa quasi trent’anni più tardi dal pluripremiato Christopher Nolan nel già menzionato Memento (2000).

Nella scena realmente conclusiva, che coniuga alfine i due piani cronologici fino a quel momento distinti, il già “addormentato” Gregory viene “eliminato” definitivamente dallo stesso dottor Karting durante una pubblica autopsia, in cui gli perfora il cuore con un bisturi: un destino fatale che trova una beffarda prefigurazione in un quadro esposto a casa dello stesso Karting, rappresentante in maniera stilizzata una figura umana distesa su un lettino con il cuore sanguinante, e intorno a lui un’indistinta pluralità di figure in piedi.

2 commenti su “Essi vivono, noi dormiamo. Una “Corta notte” lunga 50 anni

  1. Articolo eccellente (come tutti quelli firmati Maculotti) ; però “Operazione paura” di Mario Bava è un gotico puro(il fantasma di Melissa che provoca suicidi) non un thriller o un giallo….

    1. Ciao Christian, grazie per il tuo apprezzamento.
      È vero che “Operazione paura” ha molte caratteristiche del filone gotico (sebbene non lo definirei gotico stricto sensu come per esempio, dello stesso Bava, “La maschera del demonio”, “Gli orrori del castello di Norimberga” e forse anche “Il rosso segno della follia”), ad ogni modo qui l’ho inserito en passant nella categoria più ampia del thriller semplicemente a titolo di esempio nella filmografia di Bava, essendo per me il suo film più significativo in quella categoria.

      Un caro saluto,
      MM

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