I Siculi dei Balcani e la connessione tracia

Qui si parla di Traci, popolazione indoeuropea del ramo orientale indoeuropeo, quello satəm, ragion per cui i Siculi proto-illirici appartenenti al ramo occidentale, kentum, non c’entrerebbero nulla, almeno apparentemente. Ma invece c’entrano, eccome. È infatti storicamente e “toponomasticamente” dimostrato che elementi siculi sono penetrati a più riprese nella Penisola Balcanica, la maggior parte fondendosi con le tribù locali.

di Alessandro Bonfanti

copertina: bandiera della Székelyföld
(«terra dei siculi» o «campi dei siculi»)

Qualcuno di voi mi chiedeva gentilmente anche sul caso dei Siculi della Transilvania, se essi abbiano in qualche modo a che fare con i nostri Siculi. Io rispondo decisamente in siffatto modo: in parte sì ed in parte no. Lo so, sembra una risposta che dice il ‘’nulla’’, ma non è così e vedrete perché. Innanzitutto, chi sono i Siculi della Transilvania? E poi, i nostri Siculi proto-illirici sono mai giunti fino in Romania? Ed infine, i nostri Siculi sono giunti anche in qualche altra parte? Ora viene il bello.

Il popolo dei Siculi della Transilvania, chiamato Székely in lingua ungherese, Secui in Rumeno e Siculi in Latino (vi anticipo così anche la prossima ‘’puntata’’, che sarà davvero impegnativa ma anche sorprendente), vive maggiormente nell’area transilvanica rumena e in minoranza in Vojdovina in Serbia, e parla un antico dialetto ungherese. Questi Siculi vivono in una regione della Romania chiamata nella loro lingua, un dialetto ungherese, Székelyföld ‘’Terra dei Siculi’’, nel numero di circa 670.000, suddivisi nei vari distretti di Harghita, Covasna e Mureş. L’origine di questi Siculi è chiaramente ugro-magiara, imparentata quindi linguisticamente con quella finnica, e non hanno nulla di che spartire con i nostri Siculi italici e proto-illirici, almeno dal punto di vista linguistico.

Ma qualcosa di anomalo c’è. Questi Siculi sono Ungari stabilitisi nelle regioni limitrofe dei possedimenti dell’Ungheria in tempo passato e non più appartenenti a questa nazione, ossia la Székelyföld rumena e la Vojdovina serba. Gli Ungari conquistarono la loro attuale terra, l’antica Pannonia, oggi Ungheria, nell’896 d.C. e lo studioso ungherese Gyula László parla di un precedente arrivo degli stessi Ungari, prima della conquista definitiva, già nel secolo V dell’era volgare, e di cui la prima ondata comprendeva la tribù dei Székely, già presenti in quel tempo nei Carpazi. Il loro linguaggio conserva ancora termini molto arcaici della lingua ungherese, per cui questo ceppo degli Ungari, arroccandosi nelle zone montuose ed isolandosi linguisticamente ha mantenuto vivo il suo idioma. Il problema è adesso questo, se questi Siculi hanno acquisito questo nome a posteriori, ossia a partire dal loro stanziamento rumeno e balcanico, oppure l’abbiano avuto sin dal principio.

È probabile (dunque più che possibile) che questi Siculi furono così chiamati dagli autoctoni limitrofi dell’epoca tardo-antica perché vennero dai Carpazi ad insediarsi stabilmente su un territorio ormai troppo desolato e che in un tempo molto ma molto più antico fu sede di Siculi proto-illirici di origine balcanica, i quali nel loro lungo stanziamento hanno lasciato la loro indelebile orma nel nome del luogo. I Siculi magiari infatti, essendo stati i primi tra gli Ungari ad arrivare, hanno occupato un’area molto estesa, dalle propaggini Sud-occidentali dei Carpazi fino ai Balcani Nord-orientali. Nei Balcani vi erano stanziati Siculi sin dall’età eneolitica, questo ormai si sa, ma nelle aree della Tracia e della Dacia? Bene, posso anche in questo caso fornirvi una prova.

Diodoro Siculo, mio conterraneo, parla nel libro V (50-51) della Biblioteca storica di un fatto avvenuto nell’isola di Nasso, situata al centro del Mare Egeo. La storia è questa: dice che prima quest’isola si chiamava Strongile e fu occupata da Bute e da un manipolo di Traci. Bute e Licurgo erano entrambi figli di Borea, ma di madri diverse, e Bute era il minore. Bute attentava alla vita del fratello per prendersi il regno e per questo fu cacciato dal padre; e così navigò con un esercito di Traci a Strongile, un’isola delle Cicladi, ed esercitare ivi la pirateria. Non avendo donne al loro seguito si recarono in Tessaglia, a Drio, un luogo dell’Acaia Ftiotica ove vi era un tiaso del culto di Dioniso. Bute ed i Traci presero con sé le donne. Bute prese Coronide, volendo giacere con lei e contro il volere della medesima, la quale pregando Dioniso riuscì a sottrarsi a Bute. Quest’ultimo, preso dalla follia, morì precipitando in un pozzo. Gli altri Traci presero le altre donne, tra cui la nobile Ifimedia, moglie di Aloeo, e la figlia Pancratide.

Tornati i Traci a Strongile, elessero re Agassemeno, a cui diedero anche in moglie Pancratide, dopo che ella stessa era stata contesa da due traci, Siculo ed Ecetoro, i quali si erano uccisi a vicenda nel duello poco prima dell’elezione a re di Agassameno. Quanto ad Ifimedia, ella fu data ad uno dei comandanti più ben voluti dallo stesso Agassameno. Giunsero poi i figli di Aloeo, Oto ed Efialte, i quali espugnarono l’isola in cerca delle due donne. Governarono sui Traci e finirono anch’essi per uccidersi vicendevolmente in un duello per il dominio dell’isola. Rimasero ancora per altro tempo i Traci ad abitarvi, fin quando una carestia li fece partire via. Giunsero così i Cari cacciati via dall’isola di Latmia, il cui re era Nasso figlio di Polemone. Oto ed Efialte diedero il nome Dia all’isola ed il re Nasso impose infine il proprio nome definitivo. E Plinio dice che Nasso fu anche conosciuta come “Sicilia Minore”.

Qui si parla di Traci, popolazione indoeuropea del ramo orientale indoeuropeo, quello satəm, ragion per cui i Siculi proto-illirici appartenenti al ramo occidentale, kentum, non c’entrerebbero nulla, almeno apparentemente. Ma invece c’entrano, eccome. Ciò dimostra infatti che elementi siculi sono penetrati anche nella Tracia, fondendosi con le tribù locali, risultando ben evidenti negli antroponimi della Tracia, ossia dell’attuale Bulgaria e parte della Romania. Ma ciò non esclude che anche tutta l’area volta a Nord, ossia la Dacia, l’attuale Romania, non possa aver ricevuto infiltrazione sicule.

Pertanto, io penso che quei ‘’Campi siculi’’ siano in realtà una denominazione molto più antica dello stanziamento dei Siculi magiari, i quali hanno preso proprio quel nome a partire dal tempo di stanziamento nell’area medesima. In breve, quei Magiari divennero ‘’Siculi’’ perché giunti ed insediatisi in una terra che ‘’fu’’ molto tempo prima raggiunta da Siculi, da Siculi proto-illirici, sebbene forse già assorbiti dalle tribù tracie.

In alto, mappa fisica della penisola balcanica con indicazione delle regioni occupate in epoca preistorica e storica dai Liburni (in rosso) e dai Siculi (in nero). I Siculoti (la regione è anch’essa indicata in nero), menzionati da Plinio, erano se non un ulteriore frazionamento dei Siculi della costa dalmata. I Liburni hanno occupato una vasta regione compresa tra gli attuali fiumi Raša (Nord) e Krka/Cherca (Sud), delimitata nell’entroterra (Est) dalle Alpi Bebie (parte del complesso dinarico), tutta nell’attuale Croazia, ma con fondata certezza giungendo sino alla Slovenia nei tempi più antichi (gli antichi Istri erano infatti un loro antico frazionamento); i Siculi quella regione compresa tra gli attuali fiumi Cherca (Nord) e Neretva (Sud), comprendendo l’antica regione storica della Dalmazia e le attuali regioni di Croazia e Bosnia-Erzegovina, essendo questa soltanto l’estensione riferita da Plinio ai suoi tempi (I sec. Era volgare), avendo nei tempi più antichi, a partire dal V-IV millennio a.C., un’estensione ancora maggiore, sino al fiume Drin; i Siculoti quella regione dell’entroterra compresa tra gli attuali fiumi Drina (Ovest), Lim (Est) e Tara (Sud), tra le attuali regioni di Serbia, Montenegro e Kosovo. Ripeto, è fondatamente certo che l’estensione del territorio dei Siculi fosse in tempi molto più antichi (ovvero dai tempi di primo insediamento nei Balcani, tra Neolitico e Calcolitico) assai più vasta, fino alla foce del fiume Drin, poco a Sud del Lago di Shkodra, tra gli attuali Stati di Montenegro, Kosovo e Albania (questo è anche dimostrato dall’enclave dei Siculoti nell’entroterra, che tra l’altro spiega anche l’incontro tra Siculi e Traci e l’assorbimento da parte dei Traci di elementi etnici e culturali siculi, come il caso del re trace Sikelòs del quale ci ha informato Diodoro Siculo).

Anche la citazione dei Siculi nell’omerica Odissea fa riferimento a Siculi balcanici e non a quelli insediatisi in Sicilia nell’ambito spazio-temporale ‘’post-thapsiano’’, ossia a partire dalla prima metà del XIII sec. a.C., allorquando gli Achei, una volta giunti i Siculi in massa in Sicilia orientale dalla penisola tra il 1270 ed il 1250 a.C. (facies di Pantalica I Nord), smisero bruscamente di attraccare lungo le coste Sud-orientali e di avere scambi commerciali con i Sicani. Da quel momento, infatti, i Sicani cominciarono a migrare verso il versante occidentale isolano, stabilendosi oltre il fiume Himera, l’odierno Salso, lasciando tutto il versante orientale ai bellicosissimi Siculi (gli Achei cambiarono pertanto le loro rotte, raggiungendo altre coste della Sicilia, come quella della ben nota Kamikos, reggia del re sicano Kokalos).

Nel libro XX dell’Odissea (vv. 382-383) si legge: … τοὺς ξείνους ἐν νηῒ πολυκλήϊδι βαλόντες / ἐς Σικελοὺς πέμψωμεν, ὅθεν κὲ τοι ἄξιον ἄλφοι. ‘’…gettiamo gli stranieri sulla nave piena di scalmi/e li spediremo ai Siculi, da cui trarresti adeguado guadagno’’. Questo è quanto uno dei Proci (‘’pretendenti’’) grida a Telemaco affinché spedisse l’indovino Teoclimeno assieme a quel cencioso mendicante, che poi era se non Ulisse sotto mentite spoglie, dopo aver predetto le sciagure che si sarebbero abbattute sugli stessi Proci.

Nello stesso tessuto narrativo compare anche la vecchia serva di Laerte, l’anziano padre di Ulisse, citata con il nome Σικελή (libro XXIV, vv. 211, 366 e 389). Ed infatti trattasi né di praenomen né di nomen, ma soltanto di epiclesi avente funzione di qualificare la provenienza dell’anziana donna, proprio come nel caso del re Siculo giunto alla corte di Pandosia nella terra degli Enotri ed accolto dal re Morgete. Così come il re Σικελός era tale per essere il ”re dei Siculi”, o meglio il ”primo tra i Siculi”, l’anziana Σικελή era tale per essere un’appartenente all’ethnos dei Siculi. L’Odissea non argomenta sull’ubicazione di questi Siculi, né sull’esatta provenienza dell’anziana donna.

Dopo la distruzione di Ilio / Troia, nel 1184-3 a.C., i Siculi avevano già effettuato la prima migrazione dalla penisola italiana alla Sicilia, e vi erano ancora altri Siculi nella stessa penisola, così come vi erano altri Siculi nella penisola balcanica e proprio molto vicino ad Itaca. I Siculi balcanici erano dunque molto più vicini e noti agli Itacesi ed ai Proci rispetto ai Siculi presenti in Sicilia e nella penisola italiana. Non a caso, gli idronimi della Sicilia orientale citati nel poema sono proprio quelli ‘’vecchi’’, quelli sicani (con forma radicale alb– ‘’puro / bianco’’ e per estensione semantica ‘’fiume’’), e non quelli ‘’nuovi’’, ovvero quelli siculi (con forma radicale assu– / assy– / assi– ‘’origine / bocca / fonte’’ e per estensione ‘’sivinità’’ e ‘’fiume’’), e la stessa area isolana è Sikanìa, non Sikelìa.

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