“Camaleontiche analogie”: dalla mandragola alla salamandra, dal basilisco al folletto

In molte leggende del folklore italiano la mandragora abita le acque ed è descritta interscambiabilmente nel suo triplice aspetto vegetale, zoomorfo, antropomorfo. In questa sede descriveremo alcune particolari convergenze tra il “mostro-mandragola”, alcuni rettili mitologici e non (salamandre, basilischi, serpenti, draghi, rettili e anfibi in genere, creature alate) e alcune creature sotterranee e liminali delle varie leggende come spiriti, folletti, morti prematuri, anime dannate.

di Gianfranco Mele

copertina: Salamandra coronata tra le fiamme, 1548,
marchio di una stamperia tipografica  

Traggo parte di queste righe dal mio lavoro dal titolo Solanacee tempestarie pubblicato su Altrove (annuario SISSC) n° 21 [1]. In quel caso, però, avevo focalizzato l’attenzione sulla fama di piante tempestarie, attribuita da miti e leggende di varie culture, ad una serie di Solanacee tropaniche (Giusquiamo, Datura, Belladonna, Solandra, e infine la Mandragora su cui ritorno in questo articolo) [2]. In molte di queste leggende, addirittura la mandragora abita le acque, ed è descritta interscambiabilmente nel triplice aspetto vegetale, zoomorfo, antropomorfo. Qui, ritorneremo non solo su queste caratteristiche attribuite alla mandragora e sulla curiosa definizione di “mostro acquatico”, ma anche e soprattutto descriveremo alcune particolari convergenze tra il “mostro-mandragola”, alcuni rettili mitologici e non (salamandre, basilischi, serpenti, draghi rettili e anfibi in genere, creature alate), e alcune creature sotterranee e liminali delle varie leggende come spiriti, folletti, morti prematuri, anime dannate. Devo gran parte di queste ultime informazioni, alle corpose ricerche condotte da Alberto Borghini, che citerò spesso.

Ma iniziamo dalle credenze sulla mandragora come “mostro acquatico” e dunque sul suo  interscambiabile aspetto vegetale e animale.  Remo Bracchi ci fa sapere che a Bormio, in provincia di Sondrio, per evitare che i bambini si avvicinassero troppo ai corsi d’acqua con il rischio di essere trascinati via dai vortici, si ammoniva che negli inghiottitoi rumoreggianti si annidava la mandràgola, un mostro spaventoso che sarebbe balzato dalle acque e li avrebbe divorati. Ugualmente, a Morignone, dove la mandragola viene descritta come “un drago del fiume”, gli anziani recitano ai bambini la filastrocca:

«a l’Ada, marcina, as mai dir atórn, che l vegn la Madrágula, cu cresc’ta turchina, cu bóca de fórn, che la ve inguìda ghió».

(«bambine, non dovete mai avvicinarvi all’Adda, perchè tra i gorghi sta in agguato la Mandragola pronta a risucchiarvi nelle sue fauci in un solo boccone»)

[3]
Tipica illustrazione riferita alle leggende sulla estrazione della mandragora: dopo averla legata ad un cane, l’uomo si allontana coprendosi le orecchie per sfuggire al mortale urlo della magica pianta antropomorfa

Il mostro–Mandragola si credeva fosse presente anche nell’acqua della fontana al centro del paese, e si poteva essere catturati da esso arrampicandosi alle sponde.  Anche a Trepalle (frazione di Livigno, sempre in prov. di Sondrio), si crede che la Mandragola si nasconda in prossimità del punto dove il torrente diventa più impetuoso [4]. Sempre in quei paraggi, a Frontale, la mandràgola è un mostro “che abita nei gorghi del torrente”, una sorta di drago che si nutre della carne dei bambini [5]. A Grosio una raffigurazione analoga viene designata con il nome di marantula (altra variante, maramantula), animale immaginariopresente nelle fontane e nei corsi d’acqua, evocato per mettere in guardia i bambini dal mettersi in pericolo sulle scarpate dei greti [6]. In una leggenda del Lago di  Garda, la mandragola è una figura femminile che rapisce i giovani e li nasconde in fondo al pozzo [7].

La mandragola-mostro d’acqua condivide tratti comuni ad una serie di creature immaginarie della tradizione popolare e della mitologia. In una serie di leggende italiane si ritrovano infatti mostri d’acqua per lo più legati a personificazioni femminili e accomunati oltre che da caratteristiche simili (abitano nei pozzi, sono avidi di carne e sangue dei bambini che risucchiano nelle loro tane acquatiche), da nomi somiglianti: al sud, in Campania Maria Catena, Marica Catena, Maria Crocca, Maria Forbice, Maria Longa [8]; in Sicilia Marrabecca, Mamma Rrabecca, Mammadraga. In Veneto la  Marantega è identificata nella befana ma anche in uno “spauracchio per bambini” che “si dice sia nel pozzo e nei fossi[9]. Tale figura è stata identificata con la progenitrice dei Lari (Larunda) [10], e  deriverebbe in ogni caso dal latino Mater Antiqua, corrotto nel dialettale Mare Antiga [11]. Non si può  non notare l’affinità di queste figure, e persino dei nomi (specie nel caso della “Marica Catena” campana), con Marica, antica dea delle acque e delle paludi, e con  il termine di origine preindoeuropea mara = acque, acquitrini, paludi [12].  Con la Mammadraga siciliana (descritta anche nelle Fiabe di Pitrè) siamo addirittura alle corrispondenze/fusioni tra mostri d’acqua femminili, la citata “Mater Antiqua”, e il “drago”.

Statuina arcaica raffigurante Marica

A Livigno (un altro comune in provincia di Sondrio)  si utilizzano per definire il mostro che abita i torrenti, sia il nome mandragola che salamandra [13]. Anche in Friuli, la salamandra viene designata tramite il termine mandràule, e si crede che «quando le salamandre salgono verso l’altro, verrà la pioggia; se discendono, torna o dura il il sereno» [14]. La salamandra-mandràule sembra avere qui (e in varie zone) prerogative in comune con la mandragola-pianta. La sovrapposizione tra la mandragola-salamandra e la mandragola-pianta è ricorrente in varie località e si caratterizza nei termini sia di una fusione tra le caratteristiche e l’aspetto (o le trasformazioni) della pianta e dell’animale, sia del fondersi di proprietà e impieghi magici comuni: per esempio ad entrambe si attribuiscono proprietà magico-afrodisiache (che del resto erano loro attribuite anche in antichità), entrambe hanno il potere di far scovare tesori nascosti, ed entrambe sono legate alla pioggia, anche laddove c’è distinzione tra la creatura animale e quella vegetale [15].  

Come la mandragola, la salamandra è strettamente legata ai temporali e alle piogge [16], e già per Plinio il Vecchio la salamandra è «animale dall’aspetto di una lucertola, maculato, che non appare mai se non insieme a grandi piogge e che scompare quando il tempo è sereno» [17]. Nel Nord Italia il nome popolare della salamandra è “serpente della pioggia”; nei dialetti meridionali “lucertola d’acqua”; in Piemonte e in Friuli viene chiamata anche “piovana”; ancora, in Piemonte la salamandra si chiama anche “barcara” (in riferimento alla barca); a Maratea (Potenza) “acquaiola”. In Lunigiana e in Garfagnana si crede che la salamandra cada dalle nuvole insieme alla pioggia; in provincia di Pistoia si crede che se si uccide la salamandra pioverà per 40 giorni. Nel Canavese, le salamandre sono associate alle piene del torrente, e in provincia di Vercelli sono chiamate “cane d’acqua”; secondo altre testimonianze la salamandra “è una specie di lucertolone che viene fuori solo dopo i temporali d’estate [18].  Ancora, in provincia di Treviso “la mandragola è una specie di lucertolone lungo circa quaranta-cinquanta centimetri di color marrone e giallo[19], in Toscana “le mandragole… sono come le lucertole, gialle e nere, brutte[20]

La salamandra è inoltre legata al fuoco e alla magia. Si pensava vivesse nel fuoco, che avesse capacità di render vive le fiamme e anche di spegnerle [21]. In alcune antiche raffigurazioni è avvolta nel fuoco o sputa fuoco (come draghi e basilischi). Un legame con il fuoco è dato anche dalle proprietà velenifere attribuite alla salamandra [22]. Da un punto di vista magico-esoterico le salamandre erano gli spiriti elementali del fuoco, e per gli alchimisti sono (proprio a causa della capacità attribuita a questi animali di resistere al fuoco) simbolo della calcinazione. Si riteneva potessero risorgere come la Fenice dalle proprie ceneri, che abitassero i vulcani  emettendo grida, che potessero parlare, rivelare segreti, e che si accompagnassero alle streghe [23]. Anche qui notiamo affinità con la mandragora, sia genericamente per le grandi qualità magiche attribuite alla pianta, sia rispetto alle proprietà velenifere in comune, ad una serie di elementi come le grida (anche la mandragora “urla”), il custodire segreti, e l’associazione con il fuoco: secondo alcune leggende “la pianta irradia fuoco”, “assomiglia al fuoco”, “è calda”, ma “fuoco e “calore” sono riferiti anche alla potenza del veleno della pianta e ai suoi effetti

 Illustrazione dall’opera di Pierre Boaistuau, Histoires prodigieuses,1560: frontespizio del capitolo XXII. Vi è raffigurata la classica scena del cane legato alla mandragora, raffigurata come una pianta fiammeggiante

Questa “fusione” della mandragora con un rettile e/o con un anfibio ritorna spesso: per i montanari della provincia di Massa Carrara, la mandragola è un rettile somigliante ad un piccolo drago alato:

«La mandragola su di qui è una specie di animale; non volava ma aveva una specie di ali. Poteva assomigliare a una specie di drago ma non era grande, era circa cinquanta centimetri. E uno diceva: “Oddio, ho visto la mandragola!”. E dicevano che era cattiva ma magari aveva più paura lui di loro».

[24]

Anche secondo il racconto di un uomo della Valle di Trompia (Sarezzo), in provincia di Brescia, la mandragola è «un animale, una specie di lucertolone» [25]. Una donna veneta (di Volpago del Montello, prov. di Treviso) racconta che la mandragola “è una specie di lucertolone”, e ne collega la presenza ai temporali:

«La mandragola è una specie di lucertolone lungo circa quaranta-cinquanta centimetri, di color marrone e giallo, e viene fuori solo dopo i temporali d’estate. D’inverno mai visto; d’estate, di giorno, ma solo dopo i temporali. Faceva anche schifo a vederlo».

[26]
La salamandra in una raffigurazione medievale

Il Borghini si sofferma assai sul tema della trasposizione del termine “mandragola” ad animali (salamandra / basilisco / drago volante) e sul trasferimento di prerogative tipiche della mandragola-pianta sulla mandragola-animale (rettile) e viceversa. Sempre in Val Trompia, un altro informatore di Sarezzo afferma che la mandragola è si un animale, ma “una specie di pipistrello” [27]: qui siamo lontani, nota il Borghini, dalla attribuzione alla “mandragola” di caratteristiche di rettile, ma si resta pur sempre nell’ambito dell’ “alato: ovvero, nell’ “intorno” del basilisco/drago volante [28]. In Friuli, oltre che mandràule, la salamandra è chiamata mazaròc. Quest’ultimo, è anche il nome di un folletto-orco (diavolo) del folklore veneto [29]

Il Borghini ravvisa vari nessi nelle credenze su mandragora-salamandra-folletti-basilisco. Si veda anche un mio contributo nel quale focalizzo l’attenzione su una serie di caratteristiche comuni tra folletti e la pianta-mandragora [30]. Peraltro, i cunfinacc della Valcamonica, le persone confinate e sepolte in un’area liminale (nella quale crescono le mandragole), sono gli spiriti irrequieti, i dannati e i morti anzitempo, non assimilabili ai defunti “domestici” [31], che si ripresentano ai vivi in forme allucinatorie e sono caratterizzati da malevolenza e da opere di danno e distruzione nei confronti della comunità. In altre parole, sono assimilabili alle larve romane, ad una serie di  spiriti che si rimanifestano in sembianze di mostriciattoli-folletti nella tradizione popolare (es. il “Laùru” salentino), e con le mandragore-anime o animate condividono tutta una serie di tratti.  

Copertina del romanzo “Alraune” (Mandragora) di Hanns Heinz Ewers, 1911

A Monno, si racconta una storia particolare. Le mandragore si animano, nelle sembianze di maschere carnevalesche. Questi esseri entrano nella stalla della abitazione di una famiglia, fanno un po’ di caciara, dopo vanno via ma una di esse resta là come priva di vita. Viene presa e seppellita in un campo, che diviene la sua tomba e il campo della mandragola, “l’erba che chiama l’acqua”:    

«Nella stalla del povero Fraine (un uomo defunto), l’ultima sera di Carnevale è arrivata una compagnia di maschere forestiere. Tre si tenevano per il braccio e le altre seguivano. Le tre si sono sedute. Hanno fatto quattro salti e due pagliacciate e poi sono scomparse tutte chiudendo il catenaccio della stalla dall’esterno. Quelli dentro si sono accorti che avevano dimenticato una mascherina seduta, ma non hanno potuto rincorrerle subito perchè sono stati rinchiusi. Allora il più svelto le ha rincorse attraverso il buco del fienile. Ma non è riuscito a raggiungerle. La mascherina è stata seppellita in località Pridicc, prato dei Melotti, e quando falciano sopra la sua tomba piove sempre. È la mandragola, un’erba cattiva che chiama l’acqua. E quando falciano a Pridicc, e poi devono far seccare il fieno, questo gli marcisce di sicuro». 

[32]

Altro racconto simile, proveniente sempre da Momo:

«Una volta, a Carnevale, nella stalla (della famiglia Fraine) hanno trovato una maschera morta, l’hanno seppellita a Pridicc e hanno fatto una lapide con la pittura di una maschera che falciava (simbolo della morte) e c’era la data di quando l’hanno trovata morta. Quando sfalciano piove e la maschera si chiama mandragola».

[33]
Salamandra che sputa fuoco (Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma)

La “mascherina” viene sepolta in una zona extra limen [34]; difatti la creatura fa parte di quelle anime confinate, non meritevoli di ricevere sacramenti e sepolture ordinarie. Qui, si riaffaccia il tema, di lunga tradizione, della mandragora vista come anima dannata o espiante o in attesa di redenzione: nel commentario al Cantico dei Cantici,  scritto da Filone di Carpasia (tra la fine del IV sec. d.C. E gli  inizi del V), le mandragore citate nel Cantico stesso sono «i morti sepolti nell’Ade che attendono la resurrezione». Anche Matteo Cantacuzeno, commentando il Cantico, dice che le mandragore «significano le anime del Limbo e del Purgatorio, perchè queste anime giacciono come le Mandragore seppellite nelle viscere della terra» [35]. Stessa cosa affermano una serie di commentatori successivi [36].  I montanari dell’Appennino parmense dicono che la Mandragola «ha un’anima», «ha le forme di un bambino in fasce, ed è prodotta da un infanticidio commesso sul luogo» [37]. Del resto, sin dall’antichità la mandragora è rappresentata come un essere sotterraneo antropomorfo, dotato di anima, capace di emettere suoni (il mitologico “urlo” della mandragora estirpata), e persino animabile, nella condizione di Homunculus, una volta dissotterrato tramite procedimenti magici.  

Ma “un bambino in fasce” è anche il basilisco, nelle attestazioni di diverse interviste condotte dal Borghini [38] : è “qualcosa che assomiglia ad un bambino in fasce” e “poteva essere il Règle”  (Serpente Regolo), è “il Biscio Bimbin che stava in terra […] e dicevano che aveva la testa da bambino [39], è “un animale squamoso come una biscia grossa, nella parte inferiore, e nella parte superiore un bambino” ed è chiamato anche “biscio basilisco [40]. Ancora, una dettagliata descrizione raccolta dal Borghini nel 2002 a Gorfigliano (Lucca), per mezzo della voce di un 64enne dei luoghi:

«…dicevano che c’era un biscio, insomma l’hanno sempre detto i vecchi, che non era tanto lungo, però era grosso. A quei tempi i bimbini li fasciavano con le fasce, e dava l’impressione di un bimbino in fasce, dicevano che era tozzo e grosso, insomma non era lungo; lo chiamavano il “biscio bimbin”. Un giorno un cacciatore era lì, a quel tempo tagliavano il fieno, e vide questo biscio, stava per sparargli, c’era lì una donna, era intorno al fieno, e disse: “Non gli sparate che è un’ “anima rilegata” (relegata). È un fatto che l’ho sempre sentito raccontare. Lo raccontava il mio nonno, il mio nonno era del 1882, lo contava lui, dice che lo conosceva quello che gli voleva sparare».

[41]
Historia serpentum et draconum di Ulisse Aldrovandi, Basilisco (Bologna, 1640) 

In questo racconto appaiono altri elementi in comune tra il basilisco e la mandragora: l’apparizione durante le attività della fienagione [42] e la caratteristica in comune di “anime relegate”. Un ulteriore elemento di convergenza è nel pianto: così come la mandragora estirpata urla, piange, così il basilisco era un bimbino che piangeva, sembrava, però era un biscio, un serpente[43]. Qui, nel pianto della mandragola e del basilisco, c’è anche una convergenza con il pianto del folletto: il “laùru” salentino ad esempio piange a dirotto se gli viene strappato via il cappello (storia ricorrente in ogni racconto popolare sulla creatura), ma soprattutto, e in più elaborate e dettagliate “testimonianze”, è un’anima inquieta e senza pace che si manifesta (con sembianze di bambino) piangendo di dolore in continuazione per aver lasciato questo mondo troppo prematuramente e/o senza aver ricevuto i sacramenti: nel caso del racconto della Lattanzi, ad esempio, il folletto che si manifesta ad una famiglia barese altri non è che lo spirito inquieto e tormentato dello “zio Ettore”, morto all’improvviso a causa di una brutta malattia e sepolto senza che la famiglia avesse fatto in tempo ad assicurargli i sacramenti [44].

In area alpina il basilisco è “una vipera crestata con la testa di un bambino”, e questa vipera crestata “vola, è una specie di drago con la cresta rossa, che vola di cima in cima”, e “c’è questa paura anche di trovarsela a casa quando portano il fieno[45]. In Val di Susa si parla di “vipere, serpenti grossi come un bambino, un neonato fasciato”, e in Friuli la magna (denominazione locale del basilisco) ha il muso come di bambino e inoltre è legata al cambiamento atmosferico [46]. In Francia, nella regione del Poitou, la mandragora è un serpente, e rappresenta il diavolo; procura ricchezza, raddoppia il numero di monete poste accanto a lui, ed è un essere infernale e maledetto: chi ne è amico o lo possiede sarà felice in questo mondo, ma infelice nell’altro [47]. Più in generale, è credenza diffusa che chi possieda e custodisca una radice della pianta-mandragora sarà fortunato, e la mandragora potrà procurargli ricchezze, prosperità, ed esaudire qualunque suo desiderio.

Creature infere che fan trovare o custodiscono tesori e ricchezze sono anche serpenti e folletti. Il serpente in molte leggende custodisce tesori, addirittura gli si attribuisce “una sorta di occhio luminoso che brilla nella notte” (una specie di diamante, di “pomo d’oro” ecc.) che apporta ricchezza e fortuna [48]. La stessa mandragola-pianta genera pomi dorati, e si crede risplenda di notte a mo’ di lucerna: “luccica”, “fa il lumicino”, “è luminosa”, affermano diverse leggende. Addirittura la mandragola in Austria è un rettile alato che  depone un uovo d’oro. Il Serpente Regolo in Alta Garfagnana ha in testa “qualcosa come un diamante”, una “stelletta”, una “crocetta gialla” che assomiglia “a un diamante colorato che luccica contro le persone[49], come per lo stesso Plinio il basilisco ha in testa una macchia “come un diadema” [50]. Secondo alcune varianti abruzzesi, le serpi hanno in testa “una calamita” che porta fortuna a chi riesca ad impossessarsene, ed utilizzarla a mo’ di anello o ciondolo. In Friuli questo portafortuna è chiamato “il pomo delle biscie”, mentre a Verona il potente talismano è la pelle stessa dei serpenti, la “camisa de bisso[51]. Borghini e Toro rilevano un’altra serie di attribuzioni comuni a serpenti e mandragore nelle credenze popolari, quali la capacità di curare mali della vista, dello stomaco, e, ancora, favorire le mestruazioni e il parto [52].

Basiliscus basiliscus, un sauro diffuso nell’America tropicale 

Non mi soffermerò qui sulle svariate e note leggende che circondano nel folklore di ogni luogo i folletti, come esseri anche loro custodi di tesori, e in grado di assicurare ricchezze, felicità, prosperità e protezione a chiunque, entrato in contatto con loro, sia ritenuto degno e “amico” da parte di queste creature (diversamente, si manifesteranno con ostilità e procurando dispetti, malesseri e sventure, nell’ambito perciò di una ambivalenza, anche qui, comune a mandragore e serpenti). Al folletto spesso è attribuito anche il potere della fascinazione (anche nelle sue assonanze o tratti caratteriali comuni con satiri, genii cucullati, nelle sue connotazioni paniche e priapiche) [53],  altro elemento in comune con il basilisco e i serpenti in genere [54], e di questo parliamo in seguito,  analizzando un singolare, antico dipinto di epoca messapica. 

Grazie ad uno studio del mio amico Oreste Caroppo, ricercatore salentino, è balzata ai miei occhi una raffigurazione particolare: in un vaso apulo a figure rosse (350-326 circa a.C.), conservato in Lombardia e proveniente probabilmente da una tomba messapica in territorio di Squinzano [55], sono raffigurati un uomo nudo, una menade e, al centro del dipinto, un esserino mostruoso (dalla scheda descrittiva del reperto:) “… bipede, con corpo di rettile, lunga coda, volto deforme e orecchie ferine; il mostriciattolo è senza confronto nella documentazione iconografica”. 

Nella sua analisi, il Caroppo associa la figura al camaleonte-basilisco salentino: in effetti e come da descrizione nella scheda l’essere è un misto antropo-zoomorfo con alcune caratteristiche di rettile, altre di volatile e altre umane, una sorta di piccolo orco-folletto. L’essere pare inoltre incrociare il suo sguardo (quasi a “fascinarla”) con quello della menade, che secondo l’interpretazione riportata nella scheda, fugge o tenta di fuggire. La fascinazione è una caratteristica attribuita al basilisco, in Salento al fasciuliscu (termine dialettale magliese designante il basilisco, ma  che secondo il Caroppo si riferisce proprio al camaleonte salentino [56]) e anche allo stesso folletto.

Non è questa la sede per approfondire la discussa presenza del camaleonte in Salento: c’è chi lo vuole “naturalizzatosi” [57] di recente, addirittura  intorno al 1983, chi invece evidenzia il fatto che, e in ogni caso, già nel Salento del XVII sec. si effigiava con particolare dovizia e conoscenza della creatura, il Camaleonte mediterraneo in alcune sculture (Palazzo Lanzilao, Lecce) [58]. Sta di fatto che questo animaletto, presumibilmente più volte importato nel corso dei secoli, forse addirittura dei millenni, ha dovuto in qualche modo colpire l’immaginario popolare [59].

Vaso apulo IV sec. a.C.

Ritornando al vaso apulo di probabile provenienza squinzanese [60], non giurerei che  raffiguri davvero un “camaleonte-basilisco”. Ciò che però risulta sorprendente guardando quella raffigurazione, dagli esperti descritta come “senza confronto nella documentazione iconografica [61], è  la convergenza,  la fusione di questo strano e singolare esserino con tutta una serie di caratteristiche descritte proprio dal Borghini nei suoi tracciati delle corrispondenze tra (quantomeno) basilisco e folletto, e più in generale mostriciattolo alato assimilabile alle varie creature sin qui descritte. In una sorta di brain-stormig effettuato nei confronti di persone che non conoscevano l’opera e che la hanno visionata per la prima volta ho potuto riscontrare varie e convergenti (tra loro e soprattutto con i mostri descritti nelle ricerche sin qui citate) descrizioni: “basilisco”, “folletto”, “folletto alato”, “pipistrello”, “ometto-pipistrello”, “bambino-animale alato”, “draghetto alato”, “uomo-mandragora alato”, ecc ecc.

Qui, in quello che può essere il “sincretismo” rappresentato dal mostriciattolo del  dipinto di Squinzano,  ritorniamo dunque alla questione delle condivisioni di caratteristiche tra mandragora, rettili, anfibi, creature alate, uccelli, folletti ecc., già descritte in precedenza, e sulle quali ritorno citando alcuni altri passi della ricerca del Borghini: 

«…si evocano, sempre per il folletto, immagini di alati quali il pipistrello nonché l’allocco o il barbagianni; ovvero si parla – restando sulle generali – di uccello notturno: tutti elementi che, se confrontati col folletto-rettile, appariranno inquadrabili nella combinazione/alternanza, nella composizione/scomposizione (che – lo sappiamo – è caratteristica saliente del basilisco) di ‘rettile’, per un verso, e ‘alato’, per un altro verso.

Le attestazioni sono piuttosto numerose:

“Il Buffardello è come un animaletto, un pipistrello, però rosso; gira di notte ed entra nelle case e nelle stalle. Fa la treccia nella coda delle mucche e non va sciolta altrimenti porta male” (Treschietto).

“Il Buffardello è come il locco (allocco cioè), un animale notturno, un uccello. Però ha le orecchie a punta del pipistrello; entra nella stalla e fa le trecce alla coda dei cavalli” (Caprio).

“Il Bafardéll è una bestia, come il locco o il barbagianni, vola, esce di notte e va dagli animali; però non ce ne sono quasi più” (Casarola).

“Il Bafardélo è come un uccello notturno, però non ce ne sono quasi più. Non è cattivo, va dalle bestie chiuse nelle stalle; è capace di governare le mucche e portare a bere le cavalle” (Comano).

“Il Bafardéll si nasconde dove vuole e diventa come vuole; noi lo vedevamo, delle volte, che era come un rotolo scuro che gira, come un vortice che va forte, fortissimo, lo vedevamo che ci attraversava la strada e si infilava nella stalla; oppure poteva diventare come un uccello notturno e anche sotto questa forma entrava nella stalla. Poi lì, di notte, prendeva l’aspetto che ha quando nessuno lo vede, come un omino piccolo, e cominciava a pettinare le cavalle” (Monchio delle Corti). 

Così in Garfagnana:

A Minucciano alcuni sostengono anche (a proposito del Buffardello cioè) che si tratti di una specie di uccello notturno, con due corna sulla testa, che talvolta “si sente respirare” all’interno della torre del paese».

[62]
Palazzo Lanzilao, Lecce, particolare

Nel lavoro del Borghini, per concludere con  le corrispondenze tra basilischi-salamandre-rettili-anfibi-ucelli-pipistrelli-folletti, si ritrovano altri importanti elementi da sottolineare. In un resoconto di area alpina, dei maghi-illusionisti ingannano la gente facendo vedere cose inesistenti. Ad esempio, la visione reale di una gallina che tira a sé un filino d’erba è trasformata in quella di un grosso tronco trascinato dall’animale; soltanto una donna che aveva con sé una gerla [63] nella quale si trovava una vipera si sottrae alla illusoria visione, perchè questo rettile le dà il potere di sottrarsi agli incantesimi e agli inganni. Questo racconto appare diffuso un po’ ovunque con leggere varianti; in alcune versioni l’animale “protettore” dalle visioni è “una serpe”, in altre “un rospo”, “una rana”, in altre “una lucertola”. Fra le numerose varianti, in una zona dell’Alta Garfagnana è un serpente alato (secondo il Borghini, con tutta evidenza, il basilisco/regolo). In una attestazione francese della zona di La Hague è una salamandra. Più in generale, in alcune aree della Francia si tramanda che la salamandra “a le pouvoir, pour celui qui le porte, de dissiper toutes les illusions” [64]. In una zona dell’Appennino parmense, la medesima storia di cui sopra ha come variante la presenza del folletto al posto della vipera e degli altri animali sin qui detti. Di più, in quella zona, il folletto buffardello “può trasformarsi in una salamandra

Il buffardello, come il Laùru salentino ed altri folletti del folklore europeo, vive nelle stalle, fa le trecce ai cavalli, ma (sua particolarità) si reca spesso alla fontana e là, quando sente che sta per arrivare qualcuno, può trasformarsi in salamandra. Anche per questo, “dopo la mezzanotte, non bisogna mai bere alle fontane perché entrano gli spiriti nel corpo[65] (e qui ritorna il tema, oltre che delle corrispondenze e trasformazioni, delle fontane-pozzi abitati o frequentati da queste creature fatate). 

In alcune zone delle Alpi Apuane, il locale folletto, il Linchetto,  si manifesta “sotto forme diverse, anche come un serpente”. Il Samburlet di Pinerolo può trasformarsi invece in lucertola, e un “lucertolino” è anche il Sarvanot, “folletto dei boschi” della Val Maira in provincia di Cuneo. Ancora, nella zona di Cascio di Molazzana (Garfagnana) il Buffardello avrebbe sembianze di “foionco, che sarebbe poi un “serpente volante [66]. Le corrispondenze tra folletto e basilisco (anche nella rappresentazione galliforme del basilisco tipica del medioevo), trovano riscontro anche nella figura del  Mazzariol (folletto istriano) che ha “il corpo di un piccolo uomo, con la cresta di gallo, gli speroni ai piedi e il berretto rosso in testa[67].

In alcune zone delle Prealpi venete l’orco burlevole si confonde con il folletto-massarol o mazarol, e può assumere aspetto di basilisco. Spesso, inoltre, orchi, fate, basilischi e folletti non solo convivono nello stesso habitat, ma “cooperano” tra loro, come testimonia un suggestivo racconto riportato ancora una volta dal Borghini [68]

Abbiamo già accennato alle analogie tra la “luminosità” attribuita alla mandragora e al basilisco (il serpente/regolo dagli occhi luminosi), e abbiamo accennato anche al potere della fascinazione (attraverso lo sguardo) attribuito sia al basilisco che al folletto. Scrive a proposito del basilisco Alberto Garobbio:

« È poco più grosso di un ramarro, e gli somiglia anche, benchè la sua pelle non sia verde bensì grigio-scuro e coperta di squame. Sulla testa ha una cornea corona, lungo il filo della schiena e sulla coda una durissima cresta a sega. Ai lati gli spuntano due ali membranose che apre volando al pari di un pipistrello. Cacciando fuori la bifida lingua fischia e richiama l’attenzione degli uomini e degli animali. Chi guarda i suoi occhietti verdi resta incantato e rimane come di sasso. Non un piede può muovere, né una mano, né abbassare le palpebre per sottrarsi al maleficio, né urlare per chiamare soccorso. Il veleno del gallo basilisco ha effetto immediato e non c’è scampo; la dannata bestia aspetta però a morsicare la vittima che non può fuggire, fermandosi a fissarla per intere ore, godendo del disperato terrore ed accorciando il supplizio soltanto se ode avvivinarsi qualcuno. Interi boschi e fiorenti cascinali a volte si incendiano e in un batter d’occhio sono preda delle fiamme. È il gallo basilisco che volando sinistramente ha lasciato cadere una goccia del veleno. Si dice che l’orrida bestia nasca dall’uovo di un gallo di sette anni, covato dal gallo per tre settimane».

[69]
Il basilisco in una rappresentazione galliforme

In questa testimonianza raccolta dal Garobbio a proposito del potere dello sguardo del basilisco, ritornano anche i riferimenti al pipistrello, come si è visto. Sempe a proposito dello sguardo del basilisco, racconta Remo Bracchi:

«…balza addosso all’uomo con balzi prodigiosi, schizzando veleno e rincorre chi fugge; soffia come un gatto e talvolta emette fischi spaventosi, che fanno impazzire il bestiame sul pascolo. Il potere fascinatorio del suo sguardo è pericoloso e anche mortale; il basilisco offende: stordisce la preda, incanta chi vede anche da lontano; chi è colpito dal suo sguardo perde la parola o muore; se è lui il primo a veder gli altri, questi muoiono subito, se invece sono gli altri a veder lui, è lui che muore». 

[70]

Ebbene, un forte potere fascinatorio è attribuito anche allo sguardo del folletto, come da una serie di testimonianze raccolte dal Borghini (questa, proveniente da Tavernelle (PG):

«Io lo sentivo tutte le notti, sentivo gli zoccoli del cavallo che andava alla fontana, però non mi affacciavo perché è meglio non farsi vedere dal folletto, se incroci i suoi occhi non si sa cosa possa succedere».

[71]

In provincia di Massa, il baffardello con il suo “tener sott’occhio” può creare gli stessi danni tipici delle persone portatrici di malocchio nei confronti di animali e persone, in questo caso far dimagrire una mucca e non farle fare più latte. Nel caso del racconto in questione non si tratta di malocchio “tradizionale” ma di qualcosa di simile: 

«Il Bafardélo non è cattivo però se gli diventa antipatica una mucca per lei è finita. Quando una mucca comincia a dimagrire o non dà più latte, si dice che la tiene sott’occhio il Bafardélo. Io ne avevo una bella, la più grassa del paese e dava tanto di quel latte che me la invidiavano. Poi, ha cominciato a dimagrire all’improvviso, e non dava più latte. Sarà il malocchio, ho pensato, e sono andata dalla guaritrice a fare il piatto. Lei, se vedeva che c’era malocchio, segnava con la vera d’argento, faceva tre volte tre croci, diceva le parole e poi pater e gloria. Ma prima doveva fare il piatto per vedere se le tre gocce d’olio nell’acqua facessero i serpenti. Ha fatto il piatto e niente, l’olio restava sempre intatto. Non c’è malocchio, ha detto, vedrai che è il Bafardélo che l’ha presa male.» 

[72]

A Mossale, in provincia di Parma, una caratteristica del folletto è il suo sguardo: «Io ne ho sentito parlare da tanti, c’era anche qualcuno che diceva di averlo visto il folletto, rosso, e con gli occhi luminosi da spirito» [73]. In un’altra zona del parmense, a Rigoso, il Linchetto ha “occhi brillanti come carboni accesi”:

«L’ha visto una notte, aveva sentito come dei rumori in cucina ed era andata a vedere perché mia mamma era una donna coraggiosa, aveva preso un ferro ed era andata piano piano a vedere. Ha aperto la porta della cucina e, vicino alla stufa, ha visto al Linchetto, sarà stato alto quaranta centimetri, con le orecchie a punta e gli occhi brillanti come carboni accesi, l’ha visto per un attimo perché poi il Linchetto si è subito accorto di essere spiato e allora è scappato via veloce dalla finestra, è passato dalla fessura da dove s’infila l’aria. Dopo, mia mamma aveva paura che le potesse fare del male, perché l’aveva guardato, e allora ha chiamato il prete a benedire e ha messo un panno rosso vicino alla finestra». 

[74]

Ancora una volta dunque, è da ribadire la singolare assonanza tra tutte queste caratteristiche comuni  attribuite ai vari esseri sin qui descritti, e la raffigurazione presente nel vaso apulo a figure rosse del IV secolo a.C., quella specie di folletto alato con coda da rettile che si frappone fra la menade e il giovane incoronato, e sembra voler fascinare la menade.

Per difendersi dal terribile potere dello sguardo del basilisco e neutralizzarlo, si pensava fosse utile far riflettere alla bestia il suo stesso sguardo tramite uno specchio, come eloquentemente rappresentato in questa immagine

Prima di fermarmi, sottolineerò brevemente ulteriori elementi associativi fra una serie di figure descritte in questo articolo.

In alcune zone della Valtellina il “basalesk” è un drago con le ali di pipistrello e la testa di gallo [75]. In Val Gerola si narra di un potere terribile nel fischio del basilisco, capace di uccidere [76] (tanto che bisogna allontanarsi, fuggire tappandosi bene le orecchie per evitare la mortale conseguenza): la qual cosa ricorda in maniera più che evidente i poteri mortali attribuiti all’urlo della mandragora estirpata, e la parte del rituale conseguente all’estrazione che consiste appunto nell’allontanarsi tappandosi le orecchie, e anche i poteri del grido della salamandra sopra descritti). Il basilisco viene identificato a volte come una specie di rospo (“sciatt basalisk”), un “ grande rospo con una lunga coda”  o “un serpente con una testa di rospo”, che emette un verso terribile e costituisce una seria minaccia per i bambini [77]

Riassumendo le principali corrispondenze:

  • MANDRAGORA :
    • È anche chiamata salamandra.
    • È legata alle piogge e ai temporali.
    • È un mostro acquatico.
    • È un drago.
    • È un rettile o un anfibio.
    • È alato.
    • Piange.
    • Urla se estirpata e bisogna tapparsi le orecchie per non morire.
    • Fa trovare tesori, custodisce segreti.
    • È velenosa.
    • È fiammeggiante.
    • Ha proprietà afrodisiache.
    • È un bambino in fasce.
    • È un’anima dannata o lo spirito di un morto senza sacramenti.
    • Appare durante le attività di fienagione.
  • SALAMANDRA :
    • È anche chiamata mandragola.
    • È legata alle piogge e ai temporali.
    • È un mostro acquatico.
    • È un drago.
    • Piange.
    • Urla.
    • Fa trovare tesori, custodisce segreti.
    • È velenosa.
    • È fiammeggiante (sputa fuoco).
    • Ha proprietà afrodisiache.
  • DRAGO :
    • È una salamandra o una mandragola o un serpente.
    • È un mostro acquatico.
    • Custodisce segreti.
    • È velenoso.
    • Sputa fuoco.
    • È alato.
    • Ha la cresta.
  • FOLLETTO :
    • Piange.
    • Fa trovare tesori.
    • È un bambino.
    • È un’anima dannata o lo spirito di un morto senza sacramenti.
    • Con lo sguardo affascina.
    • È una specie di pipistrello.
    • È un basilisco.
    • È un uccello notturno.
    • Può trasformarsi in lucertola, serpente, serpente volante.
    • Ha il corpo di un piccolo uomo, con la cresta di gallo, gli speroni ai piedi.
  • BASILISCO :
    • È legato all’acqua e alle piogge.
    • Fischia e bisogna tapparsi le orecchie per non morire.
    • Fa trovare tesori.
    • È velenoso.
    • È fiammeggiante.
    • È un bambino in fasce.
    • Con lo sguardo affascina.
    • Nasce da un uovo di gallo.
    • È alato.
    • È un serpente.
    • È un drago.
    • È un rospo.
    • Ha la cresta.
    • Ha piccole ali membranose da pipistrello
    • È un’anima relegata
    • Appare durante le attività di fienagione.

Devo concludere con una considerazione: ciò che viene esplicitamente e ricorrentemente  evidenziato negli scritti del Borghini è la (parole sue) “complessa serie di relazioni” tra tutti questi esseri sin qui descritti. Confesso che più volte, scorrendo gli scritti sia del Borghini che dell’amico Caroppo, e non da ultimo questo mio con le mie ulteriori aggiunte e divagazioni, ho pensato che tali corrispondenze e tale complessità non possano essere altro che il frutto di un entusiasta quanto visionario trasporto alla ricerca di simili intricate convergenze. Non me ne dispiacerebbe ugualmente, se così fosse, anzi, tale effetto non sarebbe che la conferma dei poteri burleschi, fascinosi e fascinatori, suggestivi, ammaliatori,  di questa serie di creature nel nostro immaginario. 


Note:

[1] Gianfranco Mele, Solanacee tempestarie, in “Altrove” n.21, Nautilus Edizioni, 2020, pp. 142-169

[2] Il legame ricorrente è quello di esser definite come piante “che portano l’acqua”, che “fanno venire i temporali”, che provocano “vento, grandine, tempeste”: c’è dunque una frequente associazione all’acqua e alle perturbazioni atmosferiche.

[3] Remo Bracchi, Nomi e volti della paura nelle valli dell’Adda e della Mera, De Gruyter, 2009, pag. 91

[4] Ibidem

[5] Remo Bracchi, op. cit., pag. 93

[6] Remo Bracchi, op. cit., pp. 93-94

[7] Alberto Borghini, Gianluca Toro, Mandragola, salamandra e rettili: elementi di corrispondenza, in “Lares”, vol. 76, n° 2 (maggio-agosto 2010), pag. 130

[8] Detta anche Mano Longa e in questo caso rappresentata come una enorme, lunghissima e mostruosa mano che avrebbe trascinato in fondo al pozzo i bambini che vi si sporgevano. Analoga rappresentazione (“Manu Longa”, “Manu Nera”) è nella tradizione pugliese.

[9] Dante Bertini, Cante e cantàri. Poesie in dialetto veneto con aggiuntovi un glossario, Quaderni di Poesia Ed., 1931, pag. XIV

[10] AA.VV Tridentum vol. 3-4, Rivista bimestrale di Studi Scientifici, Stabil. Tip. Zippel, 1900, pag. 135

[11] Da approfondire, anche, corrispondenze varie con il mostro del folklore germanico e slavo denominato Mare. Si tratta anche in questo caso di una figura mitologica (originariamente) femminile la cui caratteristica principale è il cavalcare il petto dei dormienti: è inoltre figura associata ai cavalli, dei quali intreccia anche le criniere. Qui, la corrispondenza è soprattutto nei confronti dei folletti di cui parliamo nel corso di questo articolo, mentre da un punto di vista dell’etimo si potrebbe intravedere una somiglianza con le citate figure-mostro femminili alle quali abbiamo già attribuito derivazione dal protoindoeuroeo  mara. Tuttavia, nel caso del Mare-incubo cui ci stiamo qui riferendo,  l’etimologia è controversa: c’è chi la attribuisce ad un protoindoeuropeo mer (schiacciamento, oppressione), chi al greco Μόρος (destino).

[12] Claudia Giontella,  Marica ed i Palici: un confronto fra entità “terribili” cultualmente reinterpretate in senso benefico,  in “Usus Venerationem  Fontium, Atti del Convegno Internazionale di Studio su “Fruizione e Culto delle Acque Salutari in Italia”, a cura di Lidio Gasperini, Roma-Viterbo 29-31 ottobre 1993, Tipigraf Editrice, 2006, pag. 235

[13] Remo Bracchi, op. cit., pp. 91-92

[14] Valentino Ostermann, La vita in Friuli. Usi, costumi, credenze popolari, Istituto Edizioni Accademiche, Vidossi, Udine, 1940, pag. 213

[15] Alberto Borghini, Mandraule, la salamandra, in: «Varia Historia. Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia», Aracne Editrice, Roma, 2005, pp. 217-228

[16] Per approfondimenti sul legame pioggia-mandragora si veda il mio articolo  Solanacee tempestarie, citato nella prima nota di questo lavoro

[17] Plinio,  Naturalis Historia,  X, 188

[18] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., pp. 132-133

[19] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., pag. 127

[20] Ibidem

[21] Plinio afferma che la salamandra “è tanto fredda che al suo contatto il fuoco si estingue non diversamente dall’effetto prodotto dal ghiaccio” (Plinio, Naturalis Historia, libro X, cap. LXXXVI)

[22] In effetti le ghiandole cutanee della salamandra secernono una sostanza irritante per le mucose. Per Plinio addirittura  la bava della salamandra aveva il potere di provocare delle macchie biancastre sul corpo di  chi ne fosse entrato in contatto (potere attribuito anche al geco nella tradizione popolare del Sud). 

[23] Paracelso, Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris (1566)

[24] Alberto Borghini, op. cit. (2005), pag. 120

[25] Alberto Borghini, op. cit., 2005, pag. 220

[26] Ibidem

[27] Ibidem

[28] Ibidem

[29] Ivi, pag. 223

[30] Gianfranco Mele, Laùri e mandragore, in: «La mandragora in Puglia e in terra d’Otranto», Fondazione Terra d’Otranto, sito web, gennaio 2018 http://www.fondazioneterradotranto.it/2018/01/05/la-mandragora-puglia-terra-dotranto/ 

[31] Salvatore Lentini, Carlo Cominelli, Angelo Giorgi, Pier Paolo Merlin Petroglifici di età storica in Valcamonica (Alpi Centrali italiane): documenti iconografici e memoria orale a confronto, in: «Archeologia postmedievale, società, ambiente, produzione» n. 10, All’insegna del giglio, 2006, pag. 183

[32] Salvatore Lentini et al., op. cit., pag. 189

[33] Ibidem

[34] Ivi, pp. 189-90

[35] Matteo Cantacuzeno, Canticum Canticorum salomonis, Commentario bizantino sec. XIV  

[36] Girolamo Coppola Il Mariale ovvero Maria sempre Vergine Madre dell’ Incarnato verbo, et Signora dell’ Universo, Coronata di privilegi. Discorsi predicabili di D. Girolamo Coppola, Chierico Regolare, Venezia, 1754, pp. 174-75;  Marc’Antonio Sanseverino, Quaresimale del P.D. Marc’Antonio Sanseverino, Napoli, 1664, pag. 12

[37] Vittorio Rugarli, La “città d’Umbria” e la Mandragola, in: «Rivista delle tradizioni popolari italiane», a cura di  Angelo De Gubernatis, Anno I, Fascicolo I, Forni Editore, Bologna, 1893

[38] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit.,  pag. 138

[39] Ibidem

[40] Ibidem

[41] Ivi, pag. 138

[42] Numerose testimonianze intorno alla Mandragora sono legate alla sua scoperta durante la raccolta del fieno, cui peraltro sono associate le perturbazioni a seguito dello sradicamento

[43] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., pag. 139

[44] Antonella Lattanzi, Il regno dei folletti, in Leggende e racconti popolari della Puglia, Newton Compton Editori, 2006, pp. 64-74

[45] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., pag. 139

[46] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., pag. 140

[47] Ibidem

[48] Ivi, pag. 141

[49] Ivi, pag. 142

[50] Plinio, Naturalis Historia, Libro VIII, par. 78-79    

[51] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., Toro, pag. 143

[52] Alberto Borghini, Gianluca Toro, op. cit., Toro, pag. 144-47

[53] Gianfranco Mele, Alle origini del Laùru, lo spiritello incubo, in La Voce di Maruggio, novembre 2018, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/alle-origini-del-lauru-lo-spiritello-incubo.html  

[54] Molti sono gli approfondimenti relativi al potere dello sguardo del basilisco: per un rapido sunto, si veda http://www.paesidivaltellina.it/basilisco/index.htm . Per ulteriori e più particolareggiate annotazioni e descrizioni rispetto ai “poteri” del basilisco e alle sue rappresentazioni nella leggenda e nel tempo, si veda Valentina Borniotto, “Rex serpentium”: il basilisco in arte tra storia naturale, mito e fede, in “Studi di Storia delle Arti”, n. 11, anni 2004-2010, De Ferrari Ed., pp. 23-47

[55] L’opera, attribuita al Pittore di Dione, è attualmente conservata a Milano. Qui la scheda completa http://www.lombardiabeniculturali.it/reperti-archeologici/schede/G0370-00839/?view=categorie&offset=15&hid=500&sort=sort_int 

[56] Oreste Caroppo, Il camaleonte salentino, in “Naturalizzazione d’Italia”, sito web,  febbraio 2013, http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/il-camaleonte-salentino/ 

[57] Anche negli ultimissimi tempi ne sono stati osservati e fotografati esemplari nelle campagne salentine: al momento in cui scrivo ho potuto vederne uno in un post diffuso su un social, ritrovato casualmente, preso in mano e fotografato nelle campagne di Nardò.

[58] Oreste Caroppo, Cosa è il “mostro di Squinzano” che emerge da un profondo passato? In “Naturalizzazione d’Italia”, sito web, febbraio 2021,  http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/cosa-e-il-mostro-di-squinzano/ 

[59] Ibidem

[60] Specifiche di reperimento, dalla scheda del reperto: “Forse da Squinzano (Lecce); acquistato dal Convento delle Suore Oblate Benedettine di Ostuni (Brindisi); recupero precedente la notifica dell’11 Novembre 1934; ipotetica associazione in uno o più corredi funerari messapici.

[61] Questa la descrizione inserita nella scheda descrittiva del reperto in riferimento alla figura presente: “Lato A: Satiro incoronato, nudo, con himation sulle spalle, tirso nella sinistro e flauto nella destra, insegue una menade panneggiata; questa fugge verso sinistra, girando la testa in direzione del satiro; nella sinistra regge un tirso. Sul lato destro della scena è dipinta una stele parallelepipeda. Al centro tra i due personaggi è un piccolo essere mostruoso bipede, con corpo di rettile, lunga coda, volto deforme e orecchie ferine; il mostricciattolo è senza confronto nella documentazione iconografica.” 

[62] Alberto Borghini, Folletto e sfera del basilisco: folletto-rettile; folletto-uccello. Alcuni spunti, in Saggi del Museo italiano dell’immaginario folklorico, 2006, https://saggi.museoimmaginario.net/index.php/saggi/folletto-e-sfera-del-basilisco-di-a-borghini/   

[63] “Cista cibaria”, ovvero cesta artigianale usata di solito per trasportare fieno, cibi e pesi leggeri in genere

[64] Alberto Borghini, Folletto e sfera del basilisco: folletto-rettile; folletto-uccello. Alcuni spunti, op. cit.

[65] Ibidem

[66] Ibidem

[67] Ibidem

[68] Un giovane desideroso di scoprire il regno delle “fade”, famose per la loro ammaliante bellezza, incontra sulla loro strada prima un orco, poi una bellissima “fada” (che si trasformerà in una ripugnante vecchia), poi due basilischi, poi un omino (folletto) custode di un tesoro.

[69] Aurelio Garobbio,  Leggende delle Alpi Lepontine e dei Grigioni,  Rocca San Casciano, Cappelli, 1969, pag. 51

[70] Remo Bracchi, E le stelle stanno a guardare, in Bollettino della Società Storica del Valtellinese, n° 54, 2001

[71] Alberto Borghini, Folletto e sfera del basilisco: folletto-rettile; folletto-uccello. Alcuni spunti, op. cit.

[72] Ibidem

[73] Ibidem

[74] Ibidem

[75] http://www.paesidivaltellina.it/basilisco/index.htm  

[76] Ibidem

[77] Ibidem


Bibliografia:

Matteo Cantacuzeno, Canticum Canticorum salomonis, Commentario bizantino sec. XIV

Oreste Caroppo, Il camaleonte salentino, in “Naturalizzazione d’Italia”, sito web,  febbraio 2013

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Dante Bertini, Cante e cantàri. Poesie in dialetto veneto con aggiuntovi un glossario, Quaderni di Poesia Ed., 1931

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Alberto Borghini, Folletto e sfera del basilisco: folletto-rettile; folletto-uccello. Alcuni spunti, in Saggi del Museo italiano dell’immaginario folklorico, 2006

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Vittorio Rugarli, La “città d’Umbria” e la Mandragola, in: «Rivista delle tradizioni popolari italiane», a cura di  Angelo De Gubernatis, Anno I, Fascicolo I, Forni Editore, Bologna, 1893

 Marc’Antonio Sanseverino, Quaresimale del P.D. Marc’Antonio Sanseverino, Napoli, 1664

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