La spada di Uriele e le Porte della percezione: ritrovare l’accesso al paradiso perduto

Cristianesimo psichedelico parte II / Segue dalla parte I.

di Antonio Bonifacio

copertina: william blake, beatrice addressing dante

Dopo questa “deviazione” nell’arte sacra occidentale, riprendiamo il filo del discorso sempre mantenendoci però nel vecchio continente in cui deflagrò il fenomeno estatico fatto involontariamente conoscere da Maria Sabina. Il destino aveva preparato una sorpresa davvero epocale a questa ignota sciamana mazateca, ovvero il suo incontro con Gordon Wasson e la di lui consorte Valentina Pavlovna Guercken, entrambi estranei alla chimica e alla ricerca antropologica. Il primo, infatti, era banchiere, mente la moglie era un medico pediatra. Tuttavia, nonostante la totale estraneità professionale a tematiche latamente botaniche, la coppia si era totalmente vocata alla ricerca estesa a tutto il globo sulle proprietà “psichedeliche” dei miceti e ai loro collegamenti mitologici, al punto che i due spesero ogni loro energia in questa loro disinteressata ricerca (in realtà c’è un aspetto oscuro e assai ingombrante della vicenda, in quanto il banchiere parrebbe sia stato finanziato dalla CIA). 

In ogni caso ai due appassionati l’etnomicologia deve molto, se non tutto. Per farla necessariamente breve sulla vicenda di cui ci si occupa, si ricorda che i coniugi Wasson si presentarono a Maria Sabina davvero in punta di piedi e chiesero e ottennero di presenziare a una seduta in cui si doveva necessariamente porre un dilemma “esistenziale” per essere ammessi alla consumazione del fungo. L’aspetto ludico o meramente esperienziale volto a esaudire una curiosità estemporanea e transiente era evidentemente del tutto estraneo e inconcepibile al rito cui la sciamana presiedeva. In queste circostanze i due europei sperimentarono gli effetti del fungo ritualmente assunto nel corpo umano e percepirono quanto era davvero profonda la tana del bianconiglio, creando una sinergia tra la loro mente e il fungo che ne moltiplicava la capacità di percezione, facendo penetrare così la coscienza in regni psichici totalmente sconosciuti alla dimensione di veglia, modificandosi radicalmente l’esperienza del tempo e dello spazio. 

In poco tempo le ricerche dei coniugi Wasson, molto amplificate dalla stampa, arrivarono alle orecchie di Albert Hofmann. Questo scienziato, riconosciuto dalla comunità d’appartenenza come tra i più grandi chimici dello scorso secolo, sintetizzò per primo (altri prima di lui non vi riuscirono), il principio attivo del fungo utilizzato da Maria Sabina, la molecola dello psilocibe e, dopo aver raggiunto questo risultato clamoroso e averne provato i singolarissimi effetti su di sé (si percepì come un nativo messicano che si muoveva in un paesaggio preispanico), decise d’incontrare la sciamana per avere una sorta di approvazione del suo operato di scienziato chimico. Si può immaginare la scena di questo incontro dei contorni davvero surreali. Il più grande chimico europeo dell’epoca sosta in attesa davanti alla capannuccia di fango di una sciamana agrafa (non conosce la scrittura ma non è analfabeta), quasi a questuare un responso intorno a un tema spirituale, per confrontare l’efficacia della sua “pillola rossa” con quella del fungo-bambino nato dal sangue di Cristo, sparso dal suo corpo crocefisso. La comunicazione, con queste premesse, sembra davvero inconcepibile. In ogni caso l’incontro andò benissimo e Maria Sabina, assunta sperimentalmente come cavia assunse la predetta “pillola rossa” e constatane una similitudine di effetti con i suoi funghi bambino, “approvò” il prodotto sintetico, quasi come fa l’apposito ente certificatore (in Europa AIFA) di fronte a farmaci di nuova composizione. 

Hofmann è ovviamente celebre in primis per la sintetizzazione di un’altra molecola enteogena, quella dell’LSD avvenuta nel 1938, esattamente vent’anni prima del suo incontro con Maria Sabina, datato 1958. L’LSD diventerà per il suo creatore “il mio bambino difficile”, per tutta una serie di conseguenze cui, nella circostanza, non si può neanche accennare e che somigliano agli effetti causati da una palla di neve, che scendendo a valle, si tramuta in valanga e tutto travolge. Tali eventi significativi, ma estranei a questo tema, sono corroborati da un’abbondante letteratura cui si rimanda; piuttosto, in questo passaggio è interessante focalizzare il passaggio tra la materia vivente pulsante del fungo (che viene cannibalizzato come un corpo divino) e la sua riduzione-reificazione attraverso un procedimento puramente chimico, sintetizzato in una “pillola”. Per questo assai perspicua appare una considerazione di Ezio Albrile, intorno a questa operazione, per così dire, trasmutativa.

Si può affermare infatti che, con questa procedura chimica “occidentale”, si vedrebbe riassunta la “quintessenza” del fungo sacro e quindi si sarebbe reso disponibile ciò che è stato definito, qui come altrove, come lo “spirito della pianta”. Non sfugga che questa operazione è comunque connotata da forti tratti alchemici e non puramente chimici, come potrebbe apparire a una prima impressione. Albrile, in termini generali e non specificamente attinenti l’episodio di cui ci si sta occupando, ne delinea i tratti, appoggiandosi a uno dei più antichi scritti alchemici, il testo conosciuto con il titolo Phisika kay mystika, attribuito a Democriro di Abdera. In esso si descrive la salvezza dell’anima, la sua liberazione dalle avversità mondane seguendo i parametri di una manipolazione chimica. Scrive il ricercatore:

“Termini come distillazione, sublimazione, calcinazione rendono evidente come i filosofi noti come «alchimisti» sperimentassero con elementi materiali quali piante, minerali e metalli, stati di perfezionamento e di evoluzione della materia che avevano un diretto riscontro con la vita dell’anima e del suo destino nel mondo.”

Ezio Albrile, L’illusione infinita, pag. 112

Evidentemente Albrile sottolinea una sorta di presenza di “affinità elettive” tra il mondo “inanimato”, che inanimato non è affatto (anzi il contrario), e l’anima dello “sperimentatore”, che possono entrare in un rapporto simbiotico a prescindere dagli “accidenti” che veicolano la reciproca interazione. Di conseguenza, secondo una certa e non scorretta ottica, Hofmann avrebbe davvero catturato lo spirito della pianta, come gli fu riconosciuto direttamente da Maria Sabina, con una investitura a tal proposito davvero singolare. 

Albert Hofmann e Stanislav Grof

Ciò che ci interessa in queste note è però anche l’aspetto dell’esperienza personale che ebbe Hofmann con il suo “bambino difficile”, così com’è stata raccontata in un‘intervista con un altro ricercatore sugli stati di coscienza, per così dire problematico, ovvero Stalislav Grof. Il significativo incontro si svolse “non a caso” all’Istituto Esalen, la patria delle ricerche sulle interazioni mente/corpo. Per gli scopi di questo articolo ci interessa precipuamente evidenziare alcuni passaggi di questa lunga intervista, tuttavia una cosa è da porre a cappello di tutto, come chiave interpretativa del pensiero hofmanniano, ovvero la contrarietà assoluta che il grande chimico ha costantemente manifestato circo l’uso dell’LSD in un un contesto ludico-profano (come d’altronde è largamente avvenuto spesso con conseguenze tragiche). Hofmann, difatti, sosteneva che l’uso dell’LSD in un setting improprio può essere considerato come la profanazione di una sostanza sacra

In una prospettiva del tutto utopistica il “suo bambino” avrebbe dovuto ispirare la stessa venerazione che gli indigeni nutrivano per questo genere di sostanze, il che, francamente, ci rende un poco perplessi, vista la totale difformità culturale tra i due ambienti, che escludono la possibilità di permettere un semplice e innocuo travaso tra di loro. Premesso ciò si può prendere nota di alcuni significativi stralci dell’intervista contenenti le domande poste da Stanislav Grof a Albert Hofmann e le di lui risposte, segnalando che essa è tratta dalla rivista «Altrove n.15» (anno 2013) dove la si può integralmente leggere. Nel corpo dell’intervista sono presenti, intercalate, e quindi riconoscibili, alcune nostre osservazioni a modesto corredo interpretativo.  

Grof: Se intendo bene, lei ritiene, come del resto anch’io, che anche riuscendo a spiegare tutte le modificazioni biochimiche e neuropsicologiche nei neuroni, ci dovremmo comunque confrontare con l’enorme divario tra i processi chimici ed elettrici e la coscienza, che sembra incolmabile.

Hofmann: Si, è il problema fondamentale della realtà. Possiamo studiare varie funzioni psichiche e anche le funzioni sensoriali più basilari, come la vista o l’udito, che costituiscono la nostra immagine quotidiana del mondo. Esse presentano un lato materiale e un lato psichico. Questo è il divario che non si può spiegare. Possiamo seguirne il metabolismo nel cervello, possiamo misurare le modificazioni biochimiche e neurofisiologiche, i potenziali elettrici, e così via. Questi sono processi materiali ed energetici. Ma la sostanza e la corrente elettrica sono una cosa molto diversa, un piano molto diverso, dall’esperienza psichica. Persino la vista e le nostre altre funzioni sensoriali sollevano lo stesso problema. Dobbiamo renderci conto che esiste un divario che probabilmente non potrà mai essere colmato o spiegato. Possiamo studiare i processi materiali e vari processi a livello energetico: questo e ciò che possiamo fare come scienziati. Poi però sopraggiunge qualcosa di molto diverso, l’esperienza psichica, che rimane un mistero.

Grof: Sembrano esistere due impostazioni nettamente diverse riguardo al problema della relazione cervello-coscienza che si manifesta nelle sedute psichedeliche. La prima è l’impostazione scientifica tradizionale, che spiega lo spettro dell’esperienza con l’LSD come un’emissione di informazioni che vengono immagazzinate nei nostri recettori cerebrali. Ipotizza che l’intero processo sia racchiuso nel nostro cranio e le esperienze siano create da combinazioni e interazioni degli engrammi accumulatisi nella nostra memoria nel corso della vita. Un’alternativa radicale a questa visione materialistica e monistica e stata proposta da Aldous Huxley. In seguito ad alcune esperienze personali con l’LSD e la mescalina, cominciò a considerare il cervello come una “valvola di sicurezza”, che normalmente ci protegge contro l’ingresso di un’enorme massa di informazioni cosmiche, per impedire che queste inondino e sovraccarichino la nostra coscienza ordinaria. Secondo questa ipotesi, il cervello avrebbe la funzione di ridurre il numero di informazioni disponibili e circoscrivere la nostra esperienza del mondo. L’LSD ci libererebbe da questa restrizione, aprendo le porte a esperienze molto più ampie.

Hofmann: Concordo con la tesi di Huxley secondo cui nelle sedute psichedeliche le funzioni cerebrali si ampliano. In genere, disponiamo di una capacità limitata di elaborare gii stimoli che riceviamo dal mondo esterno sotto forma di impulsi ottici, acustici, tattili e così via. Abbiamo una capacità limitata di trasferire queste informazioni in modo che possano raggiungere la coscienza. Sotto l’influenza di sostanze psichedeliche, la valvola si apre e un’enorme quantità di impulsi esterni riesce a entrare e stimolare il cervello. Questo dà luogo a un’esperienza travolgente.

Walt Disney ha spesso inserito il tema fungino nei suoi fumetti e nei suoi film, come mostrano queste immagini tratte da Alice nel paese delle meraviglie. Un caso abbastanza eloquente è una lunga e “sfacciata” sequenza presente ne Il ritorno di Mary Poppins dove la tata “praticamente perfetta” fa un lungo discorso ai ragazzi nella loro camera, avendo alla spalle la riproduzione in un grande poster di un fungo. Ma non fu solo Walt Disney a legare i miceti all’infanzia. Nel libro tedesco per bambini Mecki e i nani si mostra nelle eloquenti illustrazioni che lo corredano come gli spiriti dei funghi si rivelino al sognatore che “ha aperto le porte della percezione”. Attenzione, però: un conto è una sbirciatina furtiva all’oltremondo, assumendo che esso abbia identità ontologica, un conto è una radicale trasformazione dell’esperiente dopo una iniziazione.

A questo punto appare utile far notare come l’esperienza di Huxley è stata menzionata, sostanzialmente negli stessi termini, nello scritto d’introduzione del noto ricercatore e scienziato Mariano Bizzarri nel lavoro caposaldo della tematica, ovvero Le piante degli déi, di cui sono congiuntamente autori, oltre al citato Hofmann, Richard Evans Schultes e Christian Ratsch. È da rilevare un passaggio importantissimo di commento all’opera huxleyana che qui si riproduce integralmente e che sta nell’introduzione del predetto testo: Il cardine della sua tesi è che è che la coscienza normale lo stato di veglia consuetudinario – è solo una pallida rappresentazione delle possibilità cognitive ed estetiche che possono essere raggiunte per il tramite della transizione che consente di accedere a stati altri della coscienza”. Si sottolinea l’impiego dell’aggettivo “altri” in luogo di “alterati”, impiego raro in questa letteratura e utilizzato anche da un altro noto ricercatore Mario Polia, che si occupa di antropologia religiosa, sul campo e, prevalentemente nel contesto sudamericano, Bizzarri, altresì, impiega la locuzione altri stati della coscienza e non di coscienza evidenziando così che questa è una sola, e che, di norma, è “sottoutilizzata”. Parimenti è altresì evidente che tali stati “altri” non comportano la stortura della coscienza, come gli orologi “liquidi” di Dalì rappresentati nel suo celebre quadro, quanto piuttosto la penetrazione in altri ambienti presenti nella medesima costruzione, compiuta varcando porte di cui si sono smarrite le chiavi. 

Lo sciamano potrebbe essere così definito come una sorta di “maestro di chiavi”, in quanto detiene l’accesso (ciò rimandando a un personaggio e all’ambientazione “condominiale” del ciclo cinematografico di Matrix) alla totalità della coscienza, che è ben più vasta di quella ordinariamente esperibile. Detto ciò, appena in avanti, ci si soffermerà sulle ragioni di questa possibile “mutazione antropologica” che ha determinato la costituzione di una gabbia coscienziale, ipotizzando la possibilità che la causa possa essere rintracciata in un processo catabasico, di ordine storico, che abbia abbia “oscurato il cielo” (sempre come avviene in Matrix) impedito con ciò a queste “informazioni” (qualunque cosa si voglia intendere con tale termine) di giungere nella nostra coscienza, separando infine “l’ego” dal “tutto”.

Grof: Vorrei ora chiederle una cosa molto personale. Sono certo che questa domanda le sia già stata posta diverse volte. Nel corso della sua vita ha fatto diverse esperienze psichedeliche, di cui oggi ne ha descritte alcune. Inizio con le esperienze lisergiche associate alla scoperta dell’LSD, poi vennero quelle connesse al lavoro relativo all’isolamento dei principi attivi dei funghi magici e dell’ololiuqui, il rituale dei funghi con María Sabina, le sedute da lei descritte nel suo libro LSD, il mio bambino difficile, e alcune altre. Quale influenza hanno avuto tutte queste esperienze su di lei, sul suo modo di stare al mondo, sui suoi valori, la sua filosofia personale, e sulla sua visione scientifica del mondo?

Hofmann: Hanno cambiato la mia vita, in quanto mi hanno presentato un nuovo concetto di realtà. Dopo l’esperienza con l’LSD, la realtà cominciò a diventare un problema per me. Prima, avevo sempre creduto che esistesse una sola realtà, la realtà della vita quotidiana. Un’unica vera realtà, mentre il resto era pura immaginazione – non era reale. Sotto l’influenza dell’LSD, sono invece entrato in realtà che erano altrettanto reali e persino più reali di quella ordinaria. Ho riflettuto sulla natura della realtà e ho avuto profonde intuizioni. Ho analizzato i meccanismi che contribuiscono a creare la visione ordinaria del mondo, quella che chiamiamo “realtà quotidiana”. Quali sono i fattori che la costituiscono? Che cosa è interno e che cosa è esterno? Per questo processo uso la metafora del mittente e del destinatario. Il mittente produttivo è il mondo esterno, la realtà esterna compreso il nostro corpo. Il destinatario è il nostro io profondo, l’ego conscio, che trasforma gli stimoli esterni in esperienze psicologiche. È stato molto utile per me distinguere ciò che è effettivamente e oggettivamente esterno, qualcosa che non si può cambiare, che e uguale per tutti, e ciò che e prodotto da me, fatto in casa, ciò che sono io, ciò che posso cambiare, qual e il mio intimo spirituale che può essere modificato. Questa possibilità di modificare la realtà, che esiste in ognuno, rappresenta la libertà reale di ogni individuo. Ogni individuo ha la possibilità enorme di modificare la sua visione del mondo. Mi ha enormemente aiutato nella vita rendermi conto di ciò che effettivamente esiste all’esterno e ciò che è prodotto da me, nel mio intimo.


In ordine alla possibilità delineata di “modificare la visione del mondo” è opportuno, nella circostanza, proporre un inciso un poco “quantistico” sul tema e così porgere un’osservazione della neuropsichiatra Rosanna Cerbo, tratta dalla parte finale della sua relazione tenuta al Convegno SISSC “Medicina Proibita”, Torino 31 Luglio – 2 Agosto 2015 dal titolo DOLORE E SOFFERENZA NELL’EVENTO MORTE: UN PERCORSO OBBLIGATO?. Si fa precedere l’estratto della relazione della ricercatrice da un ‘importante osservazione dello storico delle religioni Mario Toti, perché la modalità in cui si partecipa con la coscienza all’”evento morte” assume un’importanza soteriologica assolutamente determinante. Scrive Toti:

Tuttavia, è lecito leggere cogliere nella dottrina tibetana, una certa analogia con la tesi cattolica della puntualità, fatto salvo l’accento alla meditazione: «su quale che sia forma d’essere uno medita, sul punto di abbandonare il corpo, verso quella solo egli fluisce perché da quella sempre la sua natura sarà influenzata»; e, quindi, «ognuno otterrà quella forma di esistenza sulla quale il suo cuore è concentrato quando muore».”

Ciò può saldarsi a quanto conclude la ricercatrice intorno al tema trattato:

Tutto ciò riapre il dilemma tra fisica tradizionale e filosofia realista di provenienza greca: tutto ciò che percepisci del mondo non può esistere senza la tua coscienza, per cui la coscienza è alla base della realtà e la realtà esiste a prescindere dall’osservatore; mentre per la fisica quantistica la realtà è creata dall’osservatore che è determinante nella formazione della realtà, che esiste solo se c’è chi l’osserva.”

Per la fisica quantistica sarà senz’altro così, ma molti se n’erano accorti di ciò molto prima, anche in Occidente. Così il pittore visionario William Blake, nella sua opera Jerusalem, descrive l’invito perentorio rivolto al gigante Albione, rappresentante l’umanità dopo la caduta, di prendere coscienza:

Svegliati! Tu che dormi nella terra delle ombre, sveglia! Stira le tue membra! Io sono in te e tu in me, l’uno accanto all’altro nell’amore divino… Cristo è l’immagine o il corpo divino presente in ogni uomo, l’unica forma universale in cui sono racchiuse tutte le cose nella loro forma universale.”

William Blake, Jerusalem

Albione diviene ciò che percepisce e Blake si rifà qui a una dottrina paracelsiana: “L’uomo è ciò che pensa, e una cosa, anche, così egli come la pensa. Se egli pensa un fuoco, è fuoco, se pensa la guerra è guerra” (De virtute imaginativa, 1526, cit. da Alexander Robb. 523). Anche queste espressioni potrebbero essere tranquillamente qualificate come cristianesimo psichedelico, vista l’adesione di Blake alla dottrina cattolica pur in una sua espressione “esoterica”.

Dopo questo inciso proseguiamo con le parole della ricercatrice: “Ma se la coscienza o mente o anima è in grado di esistere a prescindere dal funzionamento del cervello, per chi è credente,come chi scrive, o per chi non lo è, si aprono confini senza fine. In questo scenario, che ruolo potrebbero avere l’utilizzo di LSD o di altre sostanze psichedeliche (psilocibina) nella fase finale della vita? Sarebbero in grado di interferire con OBE e NDE? Sarebbero utili per rafforzare i meccanismi difensivi o potrebbero alterarli in modo negativo, creando un “bad trip” (un brutto viaggio) in alcuni soggetti? Vale la pena indagare? Quale sono i rischi, in un momento cruciale e non ripetibile della vita dell’individuo? Queste domande rappresentano il futuro della ricerca nel campo delle neuroscienze riguardo all’evento morte”. Di certo Aldous Huxley ebbe garantita una morte estremamente serena e quindi probabilmente un “buon viaggio” , attraverso l’utilizzo di una sostanza psichedelica, perché, verosimilmente, poté concentrare i suoi sforzi lucidi, operando una costruzione pacificata della realtà durante l’exitus.

Ora, a parte il congruo e significativo inciso proposto, sottolineante la relatività della realtà nell’ottica della interpretazione quantistica, ecco che il punto dell’intervista sopra riportato si rivela come un contributo di ulteriore basilare importanza a favore di quella concezione, anche paracelsiana si è visto, secondo la quale l’osservatore concorre alla formazione della realtà. Hofmann compie infatti anch’egli una lucidissima riflessione sull’esperienza della realtà, che viene oggettivata dal soggetto in una interazione accordante tra loro gli stimoli che riceve e la traduzione degli stessi nella coscienza. Questo è un fatto che egli constata per esperienza diretta e non indirettamente per altrui narrazione. Ebbene, a conforto della cogitazione hofmanniana, circa la necessità di rompere l’argine e aprire le porte della percezione, giunge opportuno un ulteriore contributo, di ordine pressoché storico, cui si accennava appena in precedenza a proposito della catabasi storica. 

Questo contributo entra nel pieno del tema della progressiva chiusura dell’io in una gabbia percettiva, socialmente predeterminata che, progressivamente, assume toni soffocanti e che spinge il soggetto a tentare di evadere dalle mura di questa prigione (tolkienianamente: la santa fuga del prigioniero, che coincide con lo “Svegliati!” di Blake rivolto ad Albione), in obbedienza a una persistente istintiva nostalgia spirituale, volta a ripristinare quella comunicazione (le informazioni prima richiamate che poi si potrebbero ritenere le “parole” percepite da Maria Sabina) che in illo tempore si aveva con gli stati di coscienza “altri”, il che si potrebbe rendere con l’espressione religiosa di: vedere le cose in divinis. 

È forse questo il tappo “ontologico” che, come si narra in una leggenda ebraica raccolta da Arturo Graf, è stato posto a tutela del Paradiso terrestre ed è rappresentato dall’angelo guardiano Uriele che difende l’accesso ai non qualificati con il vorticoso movimento della sua spada di fuoco? Non v’è infatti un “muro” tra il “paradiso” e il “mondo” ma una simplegade ignea che lascia passare solo gli ardimentosi qualificati. 

Scrive Raffaele K. Salinari:

“Verso la fine del secondo millennio a.C., almeno in Occidente  in corrispondenza dell’utilizzo della scrittura (“paradossalmente” Maria Sabina è agrafa) come strumento anche accessibile ai profani… si verificò un progressivo affievolirsi di queste suggestioni allucinatorie che portò progressivamente alla formazione della coscienza intesa come ristrutturazione individuale dell’insieme di percezioni che determinano l’immagine del mondo.”

Per Julian Jaynes, autore del testo Il tramonto della mente bicamerale e l’origine della coscienza, questo evento, interiormente cataclismatico, ha determinato un significativo passo evolutivo, contrariamente nella lettura di Salinari, la perdita della funzione allucinatoria, l’audizione delle voci divine, la percezione del numinoso ha comportato come prima conseguenza il silenzio degli oracoli e, in sostanza, la fine della percezione olistica arcaica.

“L’uomo antico che si orientava con queste voci, sembrava non avere una sua visione del mondo, bensì una relazione mediata delle forze che da esso, e di esso, gli parlavano. Tutto ciò è ancora attuale in alcune culture marginali nella modernità legate a luoghi e ipostasi sacre che continuano a orientare le scelte della comunità nei momenti topici.”

Raffaele K. Salinari, In cammino verso Eleusi

Eppure, tanto appare incomprensibile agli occhi dei contemporanei la possibilità di questa doppia percezione che Holger Kalweit, etnologo e psicologo, ha potuto così manifestare il suo, anche professionale, disagio:

“Poiché la nostra cultura non ammette l’esistenza di stati più elevati di coscienza, sia gli psichiatri che la società – e in seguito persino i pazienti stessi – riportano questi stati all’Io, la misura di tutte le cose. Quanti saggi, quanti sciamani, guaritori, veggenti, sapienti, santi sono stati  stretti nelle spire della psichiatria con la sua alienazione dal mondo e la sua falsa ossessione per l’Io.”

H. Kalweit: 1996,193

Purtroppo le “scienze occidentali” pare non abbiano tenuto in nessun conto la differenza basilare che intercorre tra chiamata sciamanica e malattie mentale all’apparenza nosologicamente così affini. Interessante è l’approccio della psichiatria transculturale agli stati di estasi proposta dalla già menzionata Rosanna Cerbo:

“Le pratiche sciamaniche ad esempio sono paragonabili a fenomeni psicopatologi e la cosiddetta iniziazione, denominata anche «malattia iniziatica» è un momento determinante nella vita di uno sciamano. I tratti distintivi della personalità dello sciamano essenziali per il raggiungimento dello stato estatico, con un distacco dalla realtà,emozioni profonde ed esperienze percettive abnormi, con o senza depersonalizzazione. La cultura occidentale ha considerato per lungo tempo le pratiche sciamaniche espressioni di patologia mentale, in quanto la definizione di normale e anormale in psicologia utilizza criteri che derivano dalla pratica clinica della psicopatologia occidentale. Inoltre questi criteri valutativi sono stati considerati categorie di valore universale, e non applicati al diverso ambiente culturale in modo da interpretare in modo diverso queste esperienze psichiche. Ed è più difficile, in una visione occidentale, distinguere l’estasi psicotica, anche se è ovvio che individui psicotici possono essere anche tra gli sciamani. Ma come nella psicopatologia occidentale, ciò che conta in questi stati, è il significato attribuito da chi vive tali esperienze e dallo specifico universo culturale e sociale di cui fanno parte.”

Invece il portare all’ammasso questi due continenti separati dall’esperienza del sacro, accostandoli illegittimamente tra loro rivela il tratto delittuoso dell’approccio livellante occidentale in quanto, come scrive ancora la ricercatrice:

Nelle estasi mistiche persiste una personalità pressoché intatta, mentre negli psicotici quasi sempre la personalità si disgrega. Elemento che distingue in modo assoluto le visioni dei mistici dalle allucinazioni psicotiche o epilettiche, sono gli effetti che ne derivano per la condotta di vita della persona che le sperimenta e le conseguenze sociali che comportano. L’esperienza dell’estasi psicotica o epilettica non conduce risultati concreti sulla comunità dei credenti, rimane chiuso nell’ambito della propria soggettività e non determina sviluppi culturali e storico-sociali. Da ciò si può concludere che: «Ciò che distingue in modo assoluto le visioni dei mistici dalle allucinazioni patologiche, sono gli effetti che ne derivano per la condotta di vita». […] Dobbiamo soltanto domandarci se, fisiologicamente o psicologicamente, le visioni non siano delle azioni umane messe in moto da una potenza che ci oltrepassa e che chiamiamo Dio.” 

Per questo, contrariamente a quanto pensava “ingenuamente” Hofmann, l’esperienza di Maria Sabina non è esportabile e non può vivere al di fuori di una ferrea coscienza religiosa che sa tradurre in immagini simbolo la percezione dell’Altrove, cosa cui ai nostri lidi siamo evidentemente divenuti incapaci. Il successivo passaggio, che riveste in un’importanza straordinaria in quest’epoca dominata dall’elementarità mediatica del Greta-pensiero contemporaneo, di sola materialistica composizione, è l’approccio spirituale che si ha con la “natura” nello stato di coscienza “altro” ed è quello contenuto nelle righe successive. Riprendiamo l’intervista:

Grof: Lei ha una consapevolezza e una sensibilità straordinarie riguardo alle questioni ecologiche, per esempio l’inquinamento industriale dell’acqua e dell’aria, il depauperamento della natura, l’estinzione delle foreste europee, ecc. Le attribuirebbe alle sue sedute psichedeliche, nelle quali ha provato l’esperienza di essere un tutt’uno con la natura e di come l’intero universo sia correlato? Pensa di aver sviluppato, attraverso queste esperienze, una maggiore sensibilità ecologica, una percezione più acuta di ciò che stiamo facendo alla natura?

Hofmann: Sì, attraverso la mia esperienza con l’LSD e la mia nuova visione della realtà, sono diventato consapevole delle meraviglie del creato, della magnificenza della natura e del regno animale e vegetale. Sono diventato molto sensibile a ciò che accadrà a tutto questo e a tutti noi. Ho pubblicato articoli e tenuto conferenze sui principali problemi ambientali che abbiamo in Europa e nel mio paese.

Si conferma, con queste parole, che Hofmann non riceve immagini irreali ma il suo contrario, la realtà come si presenta, spogliata dalla sua superfluità, sottratta alla sottomissione dell’alchemico piombo e quindi, infine, aurificata, percepita in divinis appunto, attraverso quel processo che appare come l’auspicato ripristino delle facoltà proprie alla mente “bicamerale”. Non è un metaverso, piuttosto il suo contrario. Hofmann infatti pare precisamente descrivere il passaggio proprio d’ogni estasi, un percorso che conduce dall’apparenza all’apparizione e in cui si svela la realtà immaginale, scorgendo davvero quanto può  essere profonda e splendidamente reale la tana del bianconiglio… 

A mo’ di epitaffio vogliamo aggiungere questa riflessione:

“Ma la bicameralità della mente non per questo scompare: tutta la storia è traversata da una nostalgia verso un’altra mente, tutta la nostra vita psichica testimonia numerosi fenomeni, dalla possessione alla schizofrenia, che a quell’altra mente rinviano. Ciò che noi chiamiamo storia è «il lento ritrarsi della marea delle voci e delle presenze divine». Ma la nostra mente a quelle voci e presenze continua a riferirsi, anche se non sa più come nominarle e ascoltarle.”

Sarà forse per questo che Maria Sabina, esprimeva la sua raggiunta condizione spirituale con queste limpide parole:

Esiste un mondo al di là del nostro, lontano e vicino al tempo stesso, e invisibile  Ed è qui che vivono Dio, i morti, gli spiriti dei santi un mondo dove ogni cosa è già accaduta e tutto è conosciuto. Questo mondo parla ed ha un linguaggio tutto suo: io riferisco quello che dice. Il fungo sacro mi prende per mano e mi porta là, in quel mondo dove ogni cosa è conosciuta. Sono loro, i funghi sacri, a parlare in modo per me comprensibile. Io pongo loro delle domande ed essi mi rispondono. Al ritorni del viaggio che ho intrapreso con loro io racconto ciò che essi mi hanno riferito e mostrato.” 

Richard Evans Schultes, Albert Hoffman, Gregory Ratsch: 2021, 156

In altro tempo e in altro luogo, Enoch ha chiamato questa percezione come «Visione delle Tavole celesti»: alla fine l’universo è… piccolo.


Bibliografia:

Intervista di Stanislav Grof ad Albert Hofmann, Altrove n. 15, SISSC Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza 

Albrile Enzo: L’illusione infinita, vie gnostiche di salvezza, Mimesis 2017, Milano

Raffaele K. Salinari: In cammino verso Eleusi, in  AAVV: Eleusi cuore sapienziale d’Europa, Padova University press 

Kalweit Roger: Guaritori sciamani e stregoni, Ubaldini editore, Roma, 1996 

Richard Evans Schultes, Albert Hoffman Gregory Ratsch. Piante degli dèi, Venexia Roma 2021

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