Diversità culturale e giustizia nativa: il “sentencing circle” e l’utilizzo sacrale del peyote tra i popoli nativi del Canada

[Estratto dall’elaborato di laurea Il riconoscimento dei diritti dei Popoli Nativi del Canada, 2015]


In seguito alla redazione della Costituzione del 1982 e della Carta Canadese dei Diritti e delle Libertà, molti accademici, giuristi esperti in criminal law e rappresentanti delle First Nations hanno domandato a gran voce l’implementazione di un procedimento giudiziario più coerente con i valori e le tradizioni native.  La possibilità, riguardante la creazione di un procedimento penale alternativo, che tenga in considerazione la visione giuridica nativa e i principi che la caratterizzano, si inserisce nel discorso più ampio riguardante il processo verso l’autodeterminazione e l’autogoverno che le popolazioni native del Canada hanno da qualche decennio imboccato.

Diversità culturale e regolamentazione giudiziaria

8fa54a5e9aa6b83fa9f904116c891f14Pavlich sostiene che il riconoscimento di uno specifico spazio di regolamentazione legale che tenga conto del punto di vista nativo oltre che di quello strettamente di common law si può realizzare — non solo opponendo al sistema giuridico esistente un ulteriore sistema giuridico prettamente nativo, ma — anche accordando degli “spazi” giuridici pacificamente riconosciuti alle comunità autoctone o, per dirla diversamente, delle materie in cui il loro punto di vista venga riconosciuto senza contestazioni (non-disputory subjects). Questa dovrebbe essere la prima fase verso il riconoscimento di una Aboriginal JusticeIl desiderio delle comunità native di implementare un sistema giudiziario  nativo deriva dalla percezione generale delle comunità autoctone a proposito dell’inadeguatezza delle procedure giudiziarie convenzionali nel regolare i meccanismi sociali interni alle stesse comunità native. Le procedure giudiziarie di common law, infatti, sono avvertite come troppo centralizzate, troppo formali e troppo aliene nei confronti delle popolazioni native.

È infatti chiaro come la diversità culturale richieda forme diverse di regolamentazione giudiziaria, che deve essere ristorativa oltre che repressiva per adattarsi ai particolari bisogni di ogni comunità. Ciò può essere possibile solo applicando al procedimento giudiziario i valori tradizionali della cultura nativa, persi nei secoli di colonialismo e assimilazione forzata, e riconoscendo definitivamente agli attori nativi il proprio ruolo all’interno di questo processo. Contrariamente ai procedimenti convenzionali, estremamente centralizzati, burocraticizzati, eccessivamente inflessibili ed oltremodo tecnici, le First Nations domandano a gran voce l’implementazione di procedimenti giudiziari con un diverso approccio alla risoluzione dei conflitti, fondato su sentimenti condivisi, su una moralità sociale comunitaria e sulla riallocazione delle competenze tra le comunità autoctone e lo Stato. L’argomento principale che regge queste rivendicazioni da parte delle comunità native si può individuare nella credenza che la comunità sia più adeguata dello Stato al raggiungimento della giustizia sociale. Ciò, d’altronde, è perfettamente in linea con le teorie del pluralismo giuridico, perché a rigor di logica le comunità — e non un potere centralizzato — sono in grado di analizzare più correttamente le questioni giudiziarie interne.

Il processo di creazione di un sistema giudiziario nativo, alternativo a quello convenzionale canadese, dovrebbe inoltre fare leva sulla nomina di giudici autoctoni che siano in grado di fare comprendere i principi che regolano la Aboriginal Justice anche agli operatori giudiziari non nativi. Solo in seguito, una volta che anche questi ultimi riescano a comprendere le linee base secondo le quali le comunità autoctone desiderano procedere alla regolamentazione delle procedure giudiziarie, sarà possibile per le First Nations vedersi riconoscere un certo grado di competenza decisionale e giudiziaria in materia penale.

Per il momento, in attesa di un riconoscimento e di un’implementazione dei tribunali nativi, le comunità autoctone hanno istituzionalizzato una serie di procedimenti quali i sentencing circles, i sentencing panels — in cui una commissione formata dagli elders consiglia al giudice la sentenza o la sanzione più appropriata al caso concreto — e le commissioni comunitarie di mediazione, che hanno lo scopo di incrementare la partecipazione delle comunità native al processo di sanzionamento delle attività criminali. Solo applicando l’utilizzo dei sistemi tradizionali nativi a questo genere di situazioni è possibile, secondo il punto di vista delle First Nations, correggere efficacemente i comportamenti penalmente rilevanti dei soggetti nativi, i quali hanno sempre avvertito i procedimenti convenzionali come estranei ed ingiusti, nonché come esclusivamente punitivi e repressivi.

In conclusione, possiamo constatare che per le comunità native interessate a ottenere il controllo sulle proprie questioni giudiziarie, la guarigione sociale e comunitaria deriva da un uso appropriato dei meccanismi giudiziali, e l’implementazione di una giustizia nativa è indissolubilmente legata al concetto di guarigione comunitaria (community healing).

Acculturazione e inculturazione: l’utilizzo sacrale di droghe all’interno di un contesto ritualizzato
È infatti ormai evidente come l’assimilazione forzata e l’acculturazione delle popolazioni native in Canada abbia fallito sotto tutti i punti di vista, dal sistema educativo a quello penale. Alcuni autori
hanno dimostrato chiaramente come le politiche di acculturazione forzata abbiano irreparabilmente danneggiato il tessuto sociale interno alle comunità native, favorendo la massiccia urbanizzazione che ha dato vita a svariati problemi, derivanti dal senso di inadeguatezza da essi avvertito nel rapportarsi ai meccanismi urbani delle metropoli canadesi, quali alcolismo, dipendenza da droghe e da psicofarmaci, depressione, abusi familiari, violenza giovanile. Curiosamente, gli stessi autori hanno dimostrato come i soggetti che avessero mantenuto un legame con la propria cultura abbiano risentito decisamente in maniera meno drammatica del trasferimento in città. Si può dunque parlare di inculturazione (enculturation) come processo inverso all’acculturazione condotta nei decenni da parte dello Stato canadese: solo con un ricongiungimento progressivo delle comunità native e dei singoli soggetti indigeni alla propria traditional knowledge è possibile invertire il procedimento di acculturazione forzata delle popolazioni aborigene e sanare i meccanismi sociali e giudiziali che hanno ormai dimostrato la propria inefficacia.

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Come abbiamo detto, è ormai riconosciuto il fatto che i giovani nativi che hanno mantenuto un legame con la propria cultura risentano meno dei devastanti effetti che colpiscono invece quegli attori nativi, maggiormente acculturati e spesso residenti nei grandi centri urbani, che si distaccano dalle proprie tradizioni. Ciò è evidente soprattutto per quanto riguarda i problemi sistemici dell’alcolismo e dell’uso smodato di droghe: gli insegnamenti tradizionali infatti promuovono l’astinenza da determinate sostanze alteranti, se non altro all’esterno dei processi tradizionali di guarigione individuale e comunitaria.


71c83506f97944e016c343471d1f4688Se è vero che in alcune comunità native ancora oggi si fa uso di sostanze psicotrope al fine di giungere alla guarigione — o meglio al risanamento — del soggetto all’interno della comunità — per esempio, tutt’oggi alcune comunità di nativi Cree, sia in Canada che negli Stati Uniti, fanno uso del sacro peyote limitatamente alle cerimonie di individual and community healing — è d’obbligo d’altra parte sottolineare come un simile utilizzo non possa in nessun modo essere considerato alla stessa maniera dell’uso incontrollato ed illecito di sostanze stupefacenti che si verifica soprattutto nei grandi centri urbani. Numerosi autori,
infatti, sottolineano come l’utilizzo cerimoniale di determinate sostanze, ovviamente in stretta e necessaria connessione con l’aspetto contenutistico prettamente mitico e tradizionale su cui si fonda la cerimonia di guarigione, abbia effettivamente la capacità di fornire al soggetto che si sottoponga al rito una nuova, peculiare visione del proprio ruolo all’interno della società e della comunità, non derivante da meccanismi sociali imposti dall’alto, e quindi avvertiti come estranei alla propria cultura, ma derivante dal basso, dalla comunità stessa, dalle narrazioni mitiche.

È d’obbligo qui menzionare come, nelle società tradizionali, l’utilizzo di sostanze psicotrope avvenga sempre all’interno di situazioni istituzionalizzate ben definite, che sono sempre legate ad una dimensione sacrale dell’individuo e dell’esperienza stessa, mai ad una dimensione ludica o nichilista, come invece avviene di norma nelle società industriali. Un simile utilizzo non dovrebbe essere a nostro parere sanzionato dalle autorità centrali canadesi, poiché esso appare un corollario della libertà di culto e di religione, nonché all’autodeterminazione culturale delle comunità native. In altri termini, l’utilizzo di sostanze psicotrope ed erbe medicinali in determinate comunità di nativi assurge a vera e propria consuetudine culturale e sociale, che trova le sue radici in un background culturale ben definito, esistente da secoli, il quale rende di fatto un tale utilizzo all’interno di una dimensione cerimoniale un vero e proprio diritto ancestrale, vale a dire esistente prima del contatto delle popolazioni native con i coloni europei, e per questo meritevole di protezione. Va da sé, dunque, che in base all’art. 35 della Costituzione, un utilizzo di questo tipo non solo non andrebbe criminalizzato, ma andrebbe addirittura riconosciuto quale diritto culturale, in connessione con la sua dimensione spiritual-religiosa. Rimane qui da sottolineare anche come determinati processi di guarigione individuale e comunitaria, che prevedano o no l’utilizzo di sostanze psicotrope o di erbe medicinali, siano nella visione nativa indissolubilmente legati anche alla dimensione prettamente giudiziale e penale del processo di risanamento, dal momento che nell’ottica nativa tale processo assurge contemporaneamente a modalità di risoluzione dei conflitti sociali e a metodo di reintegrazione dell’imputato all’interno della comunità.

ojibwewheelI sentencing circles

Un simile processo di guarigione comunitaria e di reintegrazione del singolo soggetto all’interno della comunità è improntato innanzitutto sulla nozione di responsabilità personale e di self help. Mettendo a disposizione dell’imputato un procedimento volto — non ad improntare uno stigma sociale sulla sua persona, ma — a dargli l’opportunità di domandare l’aiuto della comunità e a prendere coscienza dell’inadeguatezza del suo comportamento, egli viene incoraggiato ad ammettere la propria responsabilità e a reintegrarsi consapevolmente all’interno di quel nucleo sociale che con il suo comportamento ha rischiato di compromettere. In un procedimento penale di questo tipo, i soggetti sono dunque incoraggiati a ricostruire la propria identità al fine della guarigione al tempo stesso comunitaria ed individuale, e non si considerano — come invece capita quando sono giudicati da un tribunale di common law — “meri punti di applicazione del potere giudiziario statale”. La validità di questa “retorica della responsabilità” è riconosciuta anche da filosofi del diritto come Barry Smart.

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Il riconoscimento della competenza delle First Nations all’implementazione di simili procedimenti giudiziali di mediazione comunitaria, quale per esempio il già menzionato sentencing circle, rappresenterebbe uno step di primaria importanza per la riorganizzazione del sociale delle comunità native del Canada, dal momento che la comunità stessa si trasformerebbe in un’arena in cui la giustizia sociale e i comportamenti socialmente appropriati verrebbero insegnati dal basso, vale a dire dalla comunità nativa stessa senza ingerenza alcuna da parte dello Stato canadese.

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Tradizionalmente, i circoli consistono in un gruppo di persone interessate a partecipare alla risoluzione di una disputa. Tra queste persone spesso ci sono gli imputati, le vittime e le rispettive famiglie, oltre agli elders e agli altri individui che detengono informazioni, interessi o abilità che possono essere utilizzate per restaurare l’armonia tra le persone coinvolte. Questo tipo di procedimento si svolge appunto all’interno di un circolo, sia per simbolizzare la connessione tra il consorzio umano e l’ordine superiore, sia per mettere in risalto l’eguaglianza di tutti i partecipanti al processo di restaurazione dell’armonia. Una volta che si è formato il circolo, i partecipanti prendono la parola uno alla volta, seguendo la traiettoria del Sole e ognuno suggerisce le misure da adottare per sanare il conflitto. Ovviamente, i principi usati all’interno dei sentencing circles sono in larga misura influenzati dalla legge tradizionale, dai racconti mitici e dalla visione del mondo nativa.

Quello che ci preme sottolineare, inoltre, è come per accedere a un tipo di procedimento giudiziale se vogliamo così informale, sia spesso necessaria una confessione da parte del reo, al quale dunque viene concesso di essere giudicato dai propri consociati solo in seguito ad una dichiarazione di responsabilità. Il più delle volte, in caso contrario, la decisione giudiziale rimarrà di competenza del tribunale di   criminal law, provinciale o statale che sia. Ne deriva l’osservazione che, in ultima analisi, la legittimità del procedimento giudiziale che abbiamo definito informale e comunitario si fonda sulla volontaria partecipazione del soggetto alla procedura, in seguito alla resa di una dichiarazione di responsabilità nei confronti della comunità, e sulla sua volontà di conformarsi nuovamente alle norme sociali che la reggono allo scopo di reintegrarsi, al termine del più o meno lungo periodo di riabilitazione, in essa. Per mezzo della responsabilità individuale, per così dire, si costruisce anche la responsabilità comunitaria.

Processo informale e guarigione comunitaria

Bisogna anche notare come l’informalità del processo giudiziale che abbiamo sopra descritto non permette affatto al reo confesso di evitare la sanzione o di vedersene comminata una non proporzionalmente adeguata. Non si deve pensare che, per il solo fatto che egli venga giudicato — anziché da un tribunale di common law — dai suoi  stessi consociati, egli possa godere di un trattamento di favore o di una pena esigua. Sebbene le modalità sanzionatorie delle società tradizionali siano molto diverse da quelle delle società giuspositiviste, non per questo dobbiamo pensare che siano meno adeguate. Per esempio, il reo confesso, anziché dover scontare una pena detentiva più o meno lunga in un’istituto giudiziario statale, potrà essere allontanato dalla comunità per un certo periodo di tempo, in un luogo inospitale al di fuori della riserva (wilderness programs). Nella visione nativa, una sanzione del genere non servirebbe unicamente a punire il trasgressore, ma anche e soprattutto a dargli l’opportunità di rendersi pienamente conto, durante il periodo di allontanamento dalla vita comunitaria, dell’inadeguatezza del comportamento che ne è stato la causa. Una sanzione di questo tipo — che come possiamo notare presenta le tre funzioni della sanzione penale, vale a dire retributiva, afflittiva e preventiva — ha il merito di porre il reo in una situazione ideale perché egli si capaciti pienamente dell’inadeguatezza e dell’illiceità del proprio comportamento. La sua volontà di essere nuovamente reintegrato nel tessuto sociale difficilmente potrà sussistere senza un pieno e responsabile esame di responsabilità.

Spesso il reo, prima di essere allontanato della comunità, deve impegnarsi a seguire un personale processo di risanamento, nel quale gli elders hanno il compito di spiegargli, per mezzo degli insegnamenti della legge nativa e le narrazioni mitiche, la ratio della sua sanzione e la gravità del suo comportamento, nonché i valori chiave — anziché le norme di diritto vere e proprie — che tutti i consociati sono tenuti a rispettare, quali la condivisione, il rispetto e la disciplina individuale. In larga parte, il processo di guarigione individuale del reo e il suo conseguente reinserimento nella comunità sociale dipende dalla consapevolezza con cui egli affronta il processo di riabilitazione, e questa consapevolezza è strettamente legata alla comprensione delle narrazioni degli elders.

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Il reo nativo, anziché subire senza comprensione alcuna i meccanismi e le norme del procedimento giudiziario statale, ha l’opportunità di affrontare un processo di riabilitazione che possa realmente condurre in primo luogo ad una sua ammissione consapevole di responsabilità e, in seguito, alla sua reintegrazione all’interno del tessuto comunitario. Separato dalla comunità ed ostracizzato dalla vita sociale, il reo comprenderà di aver agito come il trickster dei racconti mitici, il briccone che, violando la legge di reciprocità che regge la legge naturale come la vita comunitaria, compromette quel labile equilibrio che tutti devono impegnarsi costantemente a mantenere. Citando Chris Andersen, è in questo contesto che si comprende davvero l’importanza degli elders nelle comunità native, come “narratori del passato e visionari del futuro”.

C’è anche da notare come, nell’ambito di una simile sanzione — a differenza che in una situazione di detenzione in un istituto giudiziario statale — il reo non sarebbe costretto a subire la discriminazione e gli abusi da parte degli ufficiali giudiziari e degli altri detenuti, che i dati confermano essere all’ordine del giorno nei confronti dei detenuti nativi, in una percentuale molto maggiore rispetto agli altri detenuti. D’altra parte, molti autori che hanno affrontato la questione penitenziaria canadese, tra cui Dara Culhane, pongono l’accento sulla questione del numero drammatico di detenuti nativi nelle carceri canadesi e sulla necessità di una riforma del sistema penitenziario al fine di eliminare, o quantomeno ridurre, la discriminazione razziale nei confronti dei detenuti nativi, auspicando inoltre l’implementazione di procedure giudiziarie alternative per gli stessi.  Anche movimenti indigeni come i Native Sons e la Native Brotherhood hanno rilevato tutte le inadeguatezze e le ingiustizie del sistema penale e penitenziario con riguardo alle necessità dei detenuti nativi: ciò dipende in primo luogo dal fatto che tale sistema è nato come una pratica colonialista e, quindi, gli operatori giudiziari coinvolti nel sistema hanno sempre fallito nel considerare la prospettiva nativa di giustizia ristorativa accanto alla funzione prettamente punitiva su cui si fonda tale sistema.

Su questi argomenti si fondano le recenti discussioni a proposito dei cosiddetti aboriginal restorative justice programs, vale a dire quei procedimenti giudiziari alternativi la cui creazione ed il cui riconoscimento legale a nostro parere appare, alla luce delle osservazioni che abbiamo finora fatto, sempre più indispensabile. I sostenitori della necessità di una giustizia ristorativa per le comunità native affermano che le istituzioni native, rispetto allo Stato canadese e alle sue istituzioni, sanno meglio (“know best”) come governare se stesse, richiamandosi al principio di sussidiarietà che sarebbe perfettamente auspicabile in una situazione, come quella canadese, di pluralismo culturale. Riconoscendo la legittimità di un terzo livello giudiziario alle First Nations, aggiuntivo a quello statale e provinciale, si renderebbe effettivo il passaggio da una situazione di pluralismo giuridico debole a una di pluralismo giuridico forte.

Bibliografia:

  • Chris Andersen, Governing Aboriginal Justice in Canada: Constructing Responsible Individuals and Communities through Tradition (Crime, Law & Social Change, 31, 1999)

  • Michael Asch, Aboriginal and Treaty Rights in Canada: Essays on Law, Equity and Respect for Difference (University of British Columbia press, Vancouver, 1997)

  • Cheryl L. Currie, T. Cameron Wild, Donald P. Schopflocher, L. Laing e Paul Veugelers, Illecit and Prescription Drug Problems among Urban Aboriginal Adults in Canada: the Role of Traditional Culture in Protection and Resilience”, (Social Science & Medicine 88, 2013, 1-9)

  • Dara Culhane, Justice and Healing: Aboriginal Peoples in Canada (The Journal of Human Justice, 1995, 6)

  • Robert Depew, Popular Justice and Aboriginal Communities: Some preliminary considerations, (Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law, 1996, 36)

  • Ross Green, Justice in Aboriginal Communities: Sentencing Alternatives (Purich, 1998)

  • Nando Minnella, Il sogno il rito l’estasi (Massari, 1998)

  • George Pavlich, The Power of Community Mediation: Government and Formation of Self-Identity, (Law and Society Review, 1996)

  • Nikolas Rose, “Governing the Enterprising Self”, in P.  Heelas e P. Morris (a cura di), The Values of Enterprise Culture: the Moral Debate (Routledge, 1992)

  • Barry Smart, The Subject of Responsibility (Philosophy and Social Criticism, 21, 1995)

  • Wayne Warry, Unfinished Dreams: Community  Healing and the reality of Aboriginal Self-Government (University of Toronto Press, Toronto, Buffalo e London, 1998)

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