L’umorismo apocalittico di Josef K., l’anti-Parsifal

La parodia non distrugge il racconto cavalleresco, lo conferma capovolgendolo:Β Kafka Γ¨ stato il cavaliere dell’assoluto distruttivo e insieme delle ironie che dannano e salvano.


di Daniele Capuano

Β 

Non sono il primo a vedere nel Prozeß di Franz Kafka un anti-Parsifal [1] – o meglio, una parodia (nera e lucente come le penne di una cornacchia, kavka) della leggenda di Parsifal. Le pagine seguenti cercheranno di osservare alcune delle ramificazioni che emergono dal seme di questa intuizione.

Junghianamente parlando, Josef K. vive un conflitto sul piano egoico e non una antinomia che faccia fiorire la funzione trascendente della visione simbolica. Gli manca il tertium offerto a Parsifal dall’eremita Trevrizent e da immagini potenti come quella della donna con lo sposo morto sulle ginocchiaΒ [2]. Oppure gli manca lo sguardo in grado di coglierlo – lo sguardo astrale ed ermetico degli eroi antichi, gli eroi dell’epica, del mito, delle fiabe.

Il pittore Titorelli Γ¨ ovviamente Titurel, il custode del Graal, che con oracolare-talmudica ambiguitΓ  gli espone il funzionamento del Tribunale, la selva oscura, occulta, del karma. Huld l’avvocato (β€œGrazia”) rende il suo assistito un cane (Hund), e come un cane Josef K. morirΓ : la morte canina, la piΓΉ indecorosa, Γ¨ anche quella che il tantra tibetano considera la piΓΉ acconcia al saggioΒ [3].

Nel mondo di Josef K., che Γ¨ il nostro, il Graal Γ¨ la morte, come il Messia Γ¨ la morte per i personaggi di Isaac Singer [4]. Al pari del contadino – lo Κ»am ha-aretz o β€œpopolo della terra” rabbinico – nell’apologo del sacerdote, morendo Josef K. scorge la luce della Legge, la luce del Graal, nel disco lunare (R. Steiner sulla coppa e l’ostia del Graal come simbolo lunare)Β [5]. L’uomo che si sporge dalla finestra Γ¨ la Domanda posta troppo tardi, in limine mortis.

Il sacerdote cerca di insegnare a Josef K. che il Tribunale non Γ¨ l’avversario di un conflitto da sostenere con le forze dell’io – che poi ovviamente finirΓ  per contare anche troppo sull’aiuto delle β€œdonne”, su irruzioni d’Anima che hanno caratteri d’Ombra, seducenti-ripugnanti, prostitute-messaggere – ma il campo stesso della sua lotta simbolica, della sua esistenza. Il Tribunale Γ¨ il mondo come arena di una lotta spirituale: Β«ti prende quando vieni, ti lascia andare quando vaiΒ» – cosΓ¬, secondo Zhuang-zi, fa il sapiente con i fenomeni, le β€œdiecimila cose” [6]. Il Tribunale Β«non vuole nulla da teΒ», non Γ¨ separato da te, non ti cattura dall’esterno [7].

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Franz Kafka.

Il processo di Josef K. Γ¨ la nevrosi come sofferenza inautentica. L’io che ha allontanato da sΓ© ciΓ² che non vuole lo vede tornare come ombra e fato. Non Γ¨ folle come Parsifal, anche se appare sempre piΓΉ improvvido e autodistruttivo, e come lui Γ¨ senza padre e madre. Non porre la domanda sul senso del Graal, della Legge, rende maledetti: non c’è bisogno d’altro per essere condannati.

Il VenerdΓ¬ Santo di Josef K. non Γ¨ lo specchio del Golgota retto e offerto dall’eremita Trevrizent, Γ¨ la stessa macellazione rituale che subisce di notte per mano di due β€œguitti” [8]. La nostra epoca, post-cristiana, Γ¨ piΓΉ cristica delle precedenti: il Cristo rimosso o rifiutato torna nella forma di un’identificazione scandalosa, canina, infame. È un carnevale apocalittico: la parodia del Processo faceva ridere, sia Kafka mentre lo leggeva, sia i suoi ascoltatori [9].

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Il Tribunale Γ¨ il cielo come scrittura del fatum, del karma. Il nome di Josef K. Γ¨ inciso a lettere di fuoco [10]Β come quello di Parsifal sulla coppa del Graal: ma la coppa di Josef K. Γ¨ la sua tomba sognata. La vergogna che sembra sopravvivergli [11]Β non Γ¨ un fermento di redenzione solare, come quello del Graal, ma un seme lunare inserito nella corrente karmica, destinato a fruttificare oltre i limiti comici e nevrotici della coscienza egoica condannataΒ [12].

Il koan dell’apologo della Porta della Legge rimane, come la vergogna che si innalza sullo strazio notturno di Josef K., come la roccia cui Γ¨ incatenato Prometeo [13]. Β«Cosa avrebbe dovuto fare il contadino?Β», Γ¨ la domanda dell’io ingenuo. Il custode della Legge inganna come Gurnemanz: β€œnon fare troppe domande”. Eppure interrogando Parsifal sarebbe stato salvo e salvatore.

Ma l’ironia della culpa Γ¨ sempre nel suo essere beatrix: Parsifal Γ¨ maledetto, ma il suo nome appare sulla coppa del Graal perchΓ© Γ¨ tornato, ha fatto il giro del mondo per rimediare alla sua mancanza. Il contadino fa quel che gli dice il custode: ma in punto di morte gli urge in gola una domanda, che sembra far scaturire la luce attraverso la Porta. La morte del cavaliere sulla soglia (come il Wild Knight di Chesterton)Β [14]Β Γ¨ eroica, quella del contadino no, ma Γ¨ pur sempre un morire consumati in limine, e vedere la Luce.

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Josef K. Γ¨ offeso dalla storia, la interpreta in modo conflittuale, contrapponendo alternativamente i punti di vista, senza cogliere il tertium che il sacerdote-talmudista cerca di fargli scorgere con le sue sinuose ironie. Kafka scriveva a Milena che prendiamo volentieri in giro il tenore del melodramma quando canta un’aria interminabile in punto di morte; eppure, dice, noi facciamo esattamente questo – giacciamo al suolo e cantiamo per anni [15].

Consumarsi nell’attesa in modo non eroico, consumarsi nell’attesa in modo eroico: luna e sole, polvere e fiamma. La parodia non distrugge il racconto cavalleresco, lo conferma capovolgendolo. Kafka Γ¨ stato il cavaliere dell’assoluto distruttivo e insieme delle ironie che dannano e salvano.

Vi Γ¨ un discernimento essenziale tra β€œsenso di colpa” e giusta percezione della colpa: il primo Γ¨ un rimprovero nevrotico che l’io rivolge a se stesso per β€œsentirsi a posto” con il censore interno, la seconda Γ¨ una conoscenza confusa ma salda, in cui la persona colpevole si coglie intrecciata al comune destino dell’umanitΓ . Il primo Γ¨ il muro della prigione, la seconda ne Γ¨ la chiave. Infatti Markel, il fratello ribelle e predestinato dello starec Zosima, nei Fratelli Karamazov, si libera dal senso di colpa che lo inacidisce grazie all’intuizione purgatoriale e celeste della solidarietΓ  del male-sofferenza: Β«Tutti sonoΒ colpevoliΒ diΒ ogni cosaΒ di fronte a tutti» [16].

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Borges, parlando di Chesterton, contrappone il racconto kafkiano sulla Porta della Legge a quello di Bunyan sul cavaliere che chiede al custode del castello di scrivere il suo nome sul registro, perchΓ© sarΓ  lui a entrare [17] – chiaro midrash del versetto Β«I violenti rapiscono [il Regno dei Cieli]» [18]. In effetti il Wild Knight di Chesterton muore nel tentativo di entrare, come MosΓ¨ – e il contadino di Kafka [19]. Ma alla violenza evangelica subentra un tipo assai diverso di violenza, sub contraria specie, sotto l’ammanto di una passivitΓ  vergognosa.

Intrigano le somiglianze fra la storia di Parsifal e quella di αΈ€asΔ«b KarΔ«m al-dΔ«n, nelle Mille e una notteΒ [20]. In entrambi i casi la madre tiene lontano il figlio dalle occupazioni del padre morto: Parsifal e αΈ€asΔ«b sono due ragazzi semplici, degli sciocchi. Dovranno conquistare la sapienza con i loro sforzi (αΈ€asΔ«b, colui-che-consegue: il decreto divino va conseguito dalla volontΓ  umana) ed entrambi conosceranno il fallo che spinge al ritorno, la beatrix culpa. La Regina dei Serpenti Γ¨ un Graal femminile, saggezza serpentina che si trova smarrendosi in una caverna: Γ¨ la kundalini.

Parsifal diventa un cavaliere come il padre, anzi, supera il padre: Γ¨ il re del Graal, un iniziato. αΈ€asΔ«b diventa un saggio come il padre, anzi, supera il padre: Γ¨ un sapiente che ha mangiato la carne del serpente, non un divoratore di libri. Alla fine potrΓ  riaccostarsi alla quintessenza del sapere paterno, le cinque pagine scampate al naufragio – e custodite dalla madre nell’attesa che il figlio le facesse sue per le vie del suo destino, non avendone ormai piΓΉ bisogno (cosΓ¬ Abdelfattah Kilito) [21].

19th century, Hermann Hendrich (1854-1931), Richard-Wagner-Museum
Hermann Hendrich, β€œParsifal”.

Note:

[1]Β Si impone anzitutto, come una chiave, l’accostamento Titorelli-Titurel, cfr. ad es. The Poetics of Myth, di E. M. Meletinsky, 2014.

[2]Β L’icona della PietΓ , della Luna che sostiene il Sole occultato, con tutte le sue risonanze soteriologiche e gnostiche.

[3]Β Nello Dzogchen si dice che i praticanti piΓΉ avanzati muoiono β€œcome un vecchio cane”, mentre i peggiori β€œcome un re”. Il cane morto Γ¨ anche l’immagine manichea (e cristiano-manichea) del mondo caduto nella putrefazione tenebrosa, i cui β€œdenti” spirituali continuano perΓ² a manifestare la bellezza del Pleroma di Luce.

[4]Β Β«La morte Γ¨ il Messia. Questa Γ¨ la veritΓ Β» (finale della Famiglia Moskat).

[5]Β R. Steiner, Cristo e il mondo spirituale. La ricerca del Santo Graal, Ed. Antroposofica, Milano, 20133.

[6]Β Kafka era un appassionato lettore di Zhuangzi, come confidΓ² specialmente a G. Janouch. W. Benjamin vede nell’opera di Kafka Β«un campo di forze tra la Torah e il TaoΒ» (GS, II, 3, pag. 1212).

[7]Β Le ultime parole del sacerdote: Β«Il tribunale non vuole niente da te. Esso ti accoglie quando vieni e ti lascia andare quando vaiΒ» (tr. G. Zampa).

[8]Β Nel capitolo X del Processo, i due boia vengono esplicitamente accostati da Josef K. ad β€œattori di basso rango”, a β€œtenori”, e l’uccisione fa pensare, come spesso avviene nell’opera kafkiana, al rituale della sheαΈ₯itah, la macellazione kasher.

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[9]Β Ladislao Mittner ricorda (in una nota della sua Storia della letteratura tedesca): Β«leggendo agli amici il primo capitolo del Processo, Kafka rideva fino alle lacrimeΒ».

[10]Β Capitolo incompiuto Un sogno, inserito poi, come racconto a sΓ© stante, nella raccolta Un medico di campagna.

[11]Β Il famoso β€œfinale” dell’incompiuto romanzo: «”Come un cane” disse, era come se la vergogna dovesse sopravvivergliΒ» (tr. cit.).

[12]Β La luna Γ¨ la β€œporta del cielo” e il veicolo dei morti che restano collegati al destino terrestre, i Manes, i β€œpadri”. Il rantolo di Josef K. morente resterΓ  nel flusso samsarico, la sua esistenza e la sua morte tragicomiche sono visione per chi sa vedere e seme di rinascita per chi rimane impigliato. Cfr. a riguardo R. Giorgetti,Β Le emanazioni del β€œSatellite oscuro”, su AXIS mundi.

[13]Β Finale del racconto Prometheus: Β«RestΓ² l’inspiegabile montagna rocciosa. – La leggenda cerca di spiegare l’inspiegabile. PoichΓ© essa proviene da un fondamento di veritΓ , deve di nuovo terminare nell’inspiegabileΒ».

[14]Β La poesia dΓ  il titolo alla prima raccolta di versi dello scrittore inglese, pubblicata nel 1900. Il testo propriamente Γ¨ duplice: Γ¨ costituito da un breve monologo lirico del Cavaliere e da un poema drammatico che ne inscena la morte di mistico folle: Β«I ride,/ burning for ever in consuming fireΒ».

[15]Β Lettera del settembre 1920.

[16]Β I fratelli Karamazov, p. II, libro 6, cap. 1.

[17]Β Sobre Chesterton (Otras inquisiciones). Secondo Borges, Chesterton cercΓ² per tutta la vita di scrivere la parabola eroica del Pilgrim’s Progress, ma qualcosa in lui restΓ² sempre incline a scrivere la parabola kafkiana del contadino davanti alla Porta della Legge.

[18]Β Tornando alla riflessione borgesiana: la contrapposizione tra il consumarsi violentemente nella fiamma e il declinare indefinitamente nella polvere dell’attesa Γ¨ antica – la troviamo in Catone (arrugginire o consumarsi), in J. Conrad (Β«Nella vita, capite, non c’è gran scelta. O marcire o ardereΒ»), in Michelstaedter, nel rock… Alla luce di quanto detto, chiediamoci tuttavia se il rosso balzare verticale della fiamma e la rossa lebbra della ruggine, se l’unificazione istantanea e il lento disgregarsi di polvere e cenere, non siano forme diverse del Tempo, del suo ritardo (o della sua impazienza) essenziale rispetto all’Eterno: l’oscillazione di Chesterton (del Chesterton di Borges) non Γ¨ altro che la saggezza della coniunctio oppositorum. L’eroe che divampa, il martire, senza il delay indecoroso del contadino – e senza l’umorismo terzo di chi osserva entrambe le scene – rischia di non essere, evangelicamente, β€œsalato col fuoco” (Mc 9,49): di non avere sale.

[19]Β Mt 11,12: Β«Il regno dei cieli patisce violenza e i violenti se ne impadronisconoΒ». Anche nel Talmud i saggi-santi sono coloro che Β«entrano senza chiedere permessoΒ».

[20]Β Notti 483-536.

[21]Β A. Kilito, L’occhio e l’ago. Saggio sulle β€œMille e una notte”, Il Nuovo Melangolo, Genova, 1994.


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