Mircea Eliade: i Morti e i Semi, mistica agraria e soteriologia

Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall’opulenza e dall’orgia. Il legame fra antenati, raccolti e vita erotica è tanto stretto che i culti funebri, agrari e genitali si interpenetrano, talvolta sino a completa fusione.

di Mircea Eliade

Tratto da Trattato di storia delle religioni (§ 134, 135, 138, 139); copertina: John Anster Fitzgerald, The Death of a Faerie, 1860

I Morti e i Semi

L’agricoltura, come tecnica profana e come forma di culto, incontra il mondo dei morti su due piani distinti. Il primo è la solidarietà con la terra; i morti, come i semi, sono sotterrati, penetrano nella dimensione ctonia accessibile a loro soli. D’altra parte l’agricoltura è per eccellenza una tecnica della fertilità, della vita che si riproduce moltiplicandosi, e i morti sono particolarmente attratti da questo mistero della rinascita, della palingenesi e della fecondità senza posa. Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale delle collettività raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall’opulenza e dall’orgia. Le anime dei morti hanno sete di ogni esuberanza biologica, di ogni eccesso organico, perché questo traboccare della vita compensa la povertà della loro sostanza e li proietta in una impetuosa corrente di virtualità e di germi.

Il banchetto collettivo rappresenta appunto tale concentrazione di energia vitale; un banchetto, con tutti gli eccessi che comporta è dunque indispensabile tanto per le feste agricole quanto per la commemorazione dei morti. Un tempo i banchetti avvenivano addirittura accanto alle tombe, perché il defunto potesse godere dell’esuberanza vitale liberata accanto a lui. In India i fagioli erano per eccellenza l’offerta fatta ai morti, ma venivano insieme considerati un afrodisiaco. In Cina, il letto matrimoniale stava nell’angolo più buio della casa, dove si conservavano i semi, sopra il punto preciso ove erano sepolti i morti. Il legame fra antenati, raccolti e vita erotica è tanto stretto che i culti funebri, agrari e genitali si interpenetrano, talvolta sino a completa fusione. Presso i popoli nordici Natale (“Jul“) era la festa dei morti e, insieme, un’esaltazione della fertilità, della vita. Per Natale si tengono abbondanti banchetti, e spesso è proprio in questa occasione che si celebrano le nozze e si curano le tombe.

In quei giorni i morti tornano per prender parte ai riti di fertilità dei vivi. In Svezia, la moglie conserva un pezzo della torta di nozze nell’armadio dotale, per portarla con sé nella tomba. Parimenti, sia nei paesi nordici che in Cina, le donne sono sepolte in veste da sposa. L”arco d’onore’ innalzato sopra il percorso degli sposi è identico a quello che si innalza al cimitero per ricevere un morto. L’albero di Natale (originariamente, nel nord, un albero a cui si lasciavano soltanto le foglie della cima, un ‘Maggio’) figura nelle nozze come nei funerali. È inutile ricordare le nozze “post mortem”, reali o simboliche, di cui parleremo altrove, e che si spiegano col desiderio di assicurare al morto una condizione vitale ottima e di proiettarlo in uno stato generativo. Se i morti ricercano le modalità spermatiche e germinative, è altrettanto vero che anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere i seminati e proteggere i raccolti. La ‘Terra-Madre’ o la Grande Dea della fertilità, domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Ma questi ultimi, qualche volta, sono più vicini all’uomo, e l’agricoltore si rivolge a loro perché benedicano e sostengano il suo lavoro (il nero è il colore della terra e dei morti). 

Ippocrate ci dice che gli spiriti dei defunti fanno crescere e germinare i semi, e l’autore dei “Geoponica” sa che i venti (cioè le anime dei morti) danno vita alle piante e a ogni cosa. In Arabia, l’ultimo covone, chiamato ‘il vecchio’, è mietuto dal padrone del campo in persona, messo in una tomba e sepolto con preghiere invocanti ‘che il grano rinasca dalla morte alla vita’. I Bambara, versando acqua sulla testa del cadavere disteso nella fossa, prima di colmarla di terra implorano: ‘Che ci siano benefici i venti, soffino da nord, da sud, da est o da ovest! Dacci la pioggia! Dacci un raccolto abbondante!’. Durante la semina i Finlandesi seppelliscono in terra delle ossa di morti (prese al cimitero e riportate dopo il raccolto), od oggetti appartenuti ai morti. Se non ne hanno, i contadini si contentano di terra del cimitero o di un quadrivio da cui sono passati i morti. I Tedeschi usano spandere sui campi, insieme ai semi, terra tolta a una tomba recente, o paglia su cui qualcuno è morto. Il serpente, animale funebre per eccellenza, protegge i raccolti. In primavera, all’inizio delle semine, si offrivano sacrifici ai morti perché difendessero il raccolto e ne avessero cura.


Divinità agrarie e funebri

La solidarietà dei morti con la fertilità e l’agricoltura si nota ancor più chiaramente studiando le feste o le divinità in relazione con uno di questi due complessi cultuali. Spessissimo una divinità della fertilità tellurico-vegetale diventa anche divinità funeraria. Holika, rappresentato originariamente in aspetto di albero, divenne più tardi deità dei morti e genio della fecondità vegetale. Una moltitudine di geni della vegetazione e della crescenza, di struttura e di origine ctonia, sono assimilati fino a diventare irriconoscibili, al gruppo amorfo dei morti. Nella Grecia arcaica i morti, come i cereali, erano messi in vasi di terracotta. Alle divinità del mondo sotterraneo si offrivano ceri, come alle divinità della fertilità. Feronia è chiamata “dea agrorum, sive inferorum”. Durga, grande dea della fecondità, che raggruppa un numero notevole di culti locali, e specialmente di culti della vegetazione, diventa anche la deità padrona degli spiriti dei morti.

Quanto alle feste, ricordiamo soltanto che l’antica commemorazione dei morti indiana cadeva in piena mietitura, ed era insieme la festa principale del raccolto. Abbiamo visto che lo stesso avveniva nei paesi nordici. Nell’antichità, il culto dei Mani si celebrava col cerimoniale della vegetazione. Le più importanti feste agrarie o della fertilità sono arrivate a coincidere con le feste commemorative dei morti. Un tempo, il San Michele (29 settembre) era insieme la festa dei morti e della mietitura in tutta l’Europa settentrionale e centrale. E il culto funerario influisce sempre più su quello della fertilità, appropriandosene i riti, che trasforma in offerte o sacrifici alle anime degli antenati. I defunti sono ‘quelli che abitano sottoterra’, e la loro benevolenza deve essere conciliata. I semi gettati dietro la spalla sinistra, in quanto offerti in omaggio al ‘topo’, sono destinati ai morti. Riconciliati, nutriti e sollecitati, proteggono e moltiplicano i raccolti. Il ‘vecchio’ o la ‘vecchia’, visti dai contadini come personificazioni delle ‘potenze’ e della fertilità del campo, cominciano col tempo ad accentuare il loro profilo mitico, sotto l’influenza delle credenze funerarie, e si appropriano la struttura e gli attributi degli ‘antenati’, degli spiriti dei defunti.

Questo fenomeno si identifica con particolare facilità nelle credenze dei popoli germanici. Odino, divinità funeraria, capo della ‘caccia furiosa’ delle anime che non trovano requie, si appropria una quantità di riti appartenenti al complesso dei culti agrari. In occasione del Jul, la festa propriamente funeraria dei Germani, che cade nel solstizio d’inverno, l’ultimo covone del raccolto dell’annata è tirato fuori per farne un’effigie d’uomo, di donna, di gallo, o capro o altro animale. È significativo il fatto che le forme animali sotto cui si manifesta la ‘potenza’ della vegetazione, sono quelle stesse che rappresentano le anime dei defunti. In un certo momento della storia dei due culti, non si può più precisare se uno ‘spirito’, manifestandosi in forma animale, rappresenta le anime dei trapassati, o se è personificazione teriomorfa della forza tellurico-vegetale. Questa simbiosi ha fatto sorgere confusioni senza fine, e le controversie degli studiosi non sono ancora terminate nei riguardi, ad esempio, del carattere agrario o funebre di Odino, le origini delle cerimonie del Jul, eccetera. In realtà ci troviamo di fronte a complessi rituali e mitici, nei quali la morte e la rinascita si interpenetrano, convertendosi in momenti distinti della stessa realtà transumana. Le zone di interferenza fra culti della fertilità e culti funerari sono tante, e così importanti, che non può far meraviglia se, dopo la simbiosi e la fusione, si raggiunge una nuova sintesi religiosa, fondata sulla valorizzazione più ampia dell’esistenza umana nel Cosmo.

Questa sintesi si incontra nella sua forma definitiva nel secondo millennio avanti Cristo nel mondo egeo-asiatico, e a essa si deve se fu possibile l’efflorescenza dei misteri. La fusione dei due culti cominciò nell’Europa settentrionale e in Cina fin da tempi preistorici, ma è probabile che una sintesi definitiva, e formulata in modo coerente, sia avvenuta soltanto più tardi. Il fatto è che il solstizio d’inverno è assai più importante nell’Europa del nord che non nel sud mediterraneo. Jul è la festa patetica di questo decisivo momento cosmico e i morti si raccolgono allora intorno ai vivi, perché appunto allora viene predetta la ‘risurrezione dell’anno’, quindi della primavera. Le anime dei morti sono attratte da quel che ‘comincia’, da quel che ‘si crea’: un anno nuovo (e, come ogni principio, una ripetizione simbolica della creazione), una nuova esplosione vitale nel torpore dell’inverno (banchetti interminabili, libazioni e orge feste nuziali), una nuova primavera. I vivi si riuniscono per stimolare, con i loro eccessi biologici, l’energia del sole che declina; le loro apprensioni e le loro speranze si concentrano sulla vegetazione, sul destino del prossimo raccolto. I due destini, agrario e funebre, si intersecano e si fondono, formando alla fine una sola modalità dell’esistenza, quella pregerminativa e larvale.

Mircea Eliade (1907 – 1986)

[…]


Orgia e reintegrazione

Le orge non si inquadrano esclusivamente nelle cerimonie agrarie, quantunque conservino sempre coincidenze precise con i riti di rigenerazione (l’‘anno nuovo’) e di fecondità. Il senso metafisico e la funzione fisiologica dell’orgia riusciranno più chiari in altri capitoli di questo libro. Possiamo tuttavia notare fin d’ora un’analogia perfetta fra il fenomeno agricolo e la mistica agraria, da una parte, e l’orgia, come modalità della vita collettiva, dall’altra. Come i semi che perdono il loro contorno nella grande fusione sotterranea, si disgregano e diventano un’altra cosa (germinazione), così gli uomini perdono la loro individualità nell’orgia, fondendosi in una sola unità vivente. Così si attua una confusione patetica e definitiva, nella quale non è più possibile distinguere né ‘forma’ né ‘legge’. Si sperimenta di nuovo lo stato primordiale, preformale, ‘caotico’ — che corrisponde, nell’ordine cosmico, all’‘indifferenziazione’ caotica anteriore alla creazione — per promuovere, in virtù della magia imitativa, la fusione dei germi nella stessa matrice tellurica.

L’uomo si reintegra in una unità biocosmica, anche se tale unità significa regressione dalla modalità di persona a quella di seme. In un certo senso, l’orgia trasmuta l’uomo in una condizione agricola. L’abolizione delle norme dei limiti e delle individualità, l’esperienza di tutte le possibilità telluriche e notturne equivalgono all’acquisizione dello stato di semi che si decompongono nella terra, abbandonando la loro forma per dar vita a una nuova pianta. Fra le altre sue funzioni nell’economia spirituale e psicologica di una collettività, l’orgia ha anche il compito di render possibile e di preparare il ‘rinnovamento’, la rigenerazione della vita. L’insorgere di un’orgia può paragonarsi alla comparsa del germoglio verde nel solco: è una nuova vita che comincia, e per quella vita l’orgia sazia l’uomo di sostanza e di slancio. Non solo, ma l’orgia, riattualizzando il caos mistico anteriore alla creazione, rende possibile il ripetersi della creazione. 

L’uomo regredisce provvisoriamente allo stato amorfo, notturno, del caos, per poter rinascere con maggior vigore nella sua forma diurna. L’orgia, come l’immersione nell’acqua (paragrafo 64), annulla la creazione, ma contemporaneamente la rigenera; identificandosi con la totalità non differenziata, precosmica, l’uomo spera di tornare a se stesso restaurato e rigenerato, in breve ‘un uomo nuovo’. Nella struttura e nella funzione dell’orgia, identifichiamo lo stesso desiderio di ripetere un gesto primordiale: la Creazione che organizza il caos. Nell’alternanza vita quotidiana-orgia (Saturnali, Carnevale, eccetera) identifichiamo la stessa visione ritmica della vita, formata di azione e di sonno, di nascita e di morte, e la stessa intuizione ciclica del Cosmo, che nasce dal caos e vi ritorna attraverso una catastrofe o una “mahapralaya”, una ‘grande dissoluzione’. Senza dubbio le forme mostruose sono degradazioni di questa intuizione fondamentale del ritmo cosmico e della sete di rigenerazione e di rinnovamento. Ma non da queste forme aberranti dobbiamo partire, per intendere l’origine e la funzione dell’orgia. Ogni ‘festa’ comporta nella sua struttura la vocazione orgiastica.

Philipp Otto Runge, “Birth of the Human Soul”, 1805

Mistica agraria e soteriologia

Dobbiamo insistere sulla struttura soteriologica della mistica agraria, anche nelle sue forme non orgiastiche. La vita vegetale che si rigenera mediante la sua apparente scomparsa (sotterramento dei semi) è insieme un esempio e una speranza; la stessa cosa può avvenire ai morti e alle anime degli uomini. È vero che lo spettacolo di questa rigenerazione ritmica non è un ‘dato’, non si offre direttamente alla contemplazione dell’uomo; è nondimeno, nelle credenze arcaiche, un fatto che si produce grazie ai riti e alle credenze umane. La rigenerazione ‘si ottiene’ mediante gesti magici, per mezzo della Grande Dea, grazie alla presenza della donna, per la potenza dell’Eros e con la collaborazione del Cosmo intero (pioggia, calore, eccetera). Diremo di più: tutto questo è possibile solo in quanto è ripetizione del gesto primordiale, ottenuta sia per mezzo della ierogamia, sia con la rigenerazione del Tempo (l’‘anno nuovo’), sia mediante l’orgia, che riattualizza il regime caotico archetipale.

Nulla si ottiene senza sforzo, si può guadagnare la vita solo lavorando, cioè agendo in conformità con le norme: ripetendo i gesti primordiali. Quindi le esperienze dell’uomo della civiltà agricola, legate all’esempio della vegetazione, sono orientate fin da principio verso il gesto, verso l’atto. Procedendo in un certo modo, agendo secondo certi modelli, l’uomo può sperare la rigenerazione. L’atto, il rito, è indispensabile. Dovremo ricordare questo particolare quando studieremo i misteri antichi, che non soltanto hanno conservato tracce di cerimonie agrarie, ma non avrebbero potuto organizzarsi come religioni iniziatiche se non avessero avuto dietro di sé un lungo periodo preistorico di mistica agraria, vale a dire: se lo spettacolo della rigenerazione periodica della vegetazione non avesse rivelato, molti millenni prima, la solidarietà fra l’uomo e il seme e la speranza di una rigenerazione ottenuta dopo la morte e attraverso la morte.

Si dice per abitudine che la scoperta dell’agricoltura ha mutato radicalmente il destino dell’umanità, assicurandole un’alimentazione copiosa e permettendo così un aumento prodigioso della popolazione. Ma ci sembra che la scoperta dell’agricoltura abbia avuto conseguenze decisive per tutt’altra ragione. Il destino dell’umanità non fu deciso né dall’aumento di popolazione né dalla sovralimentazione bensì dalla teoria che l’uomo elaborò scoprendo l’agricoltura. Quel che egli ha veduto nei cereali, quel che ha imparato da questo contatto, quel che ha inteso dall’esempio dei semi che perdono la loro forma sottoterra, tutto questo rappresentò la lezione decisiva. L’agricoltura ha rivelato all’uomo l’unità fondamentale della vita organica; tanto l’analogia donna-campo-atto generatore-semina, eccetera, come le più importanti sintesi mentali, uscirono da questa rivelazione: la vita ritmica, la morte intesa come regressione, eccetera. Queste sintesi mentali sono state essenziali per l’evoluzione dell’umanità e furono possibili soltanto dopo la scoperta dell’agricoltura. Appunto nella mistica agraria preistorica sta una delle radici principali dell’ottimismo soteriologico: precisamente come il seme nascosto nella terra, il morto può sperare in un ritorno alla vita sotto nuova forma. Ma la visione malinconica, talvolta scettica, della vita ha parimenti origine dalla contemplazione del mondo vegetale: l’uomo è simile al fiore dei campi…

3 commenti su “Mircea Eliade: i Morti e i Semi, mistica agraria e soteriologia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *