I presidenti americani e la “maledizione dell’Anno Zero”

Come abbiamo già avuto modo di osservare in altra sede, tra le peculiarità antropologiche degli Stati Uniti figura quella, caso più unico che raro nel panorama storico mondiale, di aver sviluppato nella sua breve storia un folklore e una mitologia moderna del tutto profani, in cui l’elemento religioso scompare a favore di un senso del meraviglioso completamente laico e al tempo stesso notevolmente superstizioso. La “maledizione dell’Anno Zero”, riguardante i presidenti americani, si inserisce perfettamente in questo ordine di idee.

di Alfonso Piscitelli

Copertina: Shawnee chief Tecumseh confronting William Henry Harrison in Indiana, riproduzione del XIX secolo

Joe Biden, questo affabile signore di una certa età, è stato contrapposto con successo al ciclone Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. Contro il vulcanico leader populista, Biden è apparso durante la campagna elettorale del 2020 come un agiato pensionato ministeriale con una antica dimestichezza coi poteri più forti: Trump urlava i suoi toni da Tribuno della Plebe, Biden sorrideva mostrando una perfetta dentiera e l’aria disincantata di chi ne ha viste tante.

Nelle ultime settimane il nuovo presidente però è apparso in una luce meno rassicurante: a uno scivolone dialettico è seguito immediatamente una ruzzolata fisica. Ora alcuni, forse frettolosamente, già bisbigliano di una sostituzione sulla poltrona più importante del pianeta. In tal caso a un presidente centrista, quasi di centrodestra per certi aspetti, succederebbe una figura appartenente alla sinistra liberal come l’indo-americana Kamala Harris. Certo questa eventualità non appare prossima. Cambiare presidente per sopravvenuta senilità significherebbe per gli USA un fortissimo contraccolpo d’immagine proprio in un momento storico delicato. Le eventuali dimissioni di Biden apparirebbero come la versione laica delle dimissioni di Ratzinger, esponente di un papato stanco alle prese con problemi epocali. 

Accennando all’ipotesi, per ora fantapolitica, di un ritiro di Biden torna però alla mente una leggenda contemporanea che col passare degli anni ha acquisito una certa forza: quella della “maledizione dei presidenti” o “dell’anno zero”, che riguarda appunto i presidenti degli Stati Uniti eletti a distanza di un ventennio e in anni che terminano con la fatidica cifra zero.

Il capo indiano Tecumseh, della tribù Shawnee, che avrebbe originariamente scagliato la maledizione contro i presidenti americani.
Il sottofondo nativo del Nord America emerge nell’inconscio collettivo e alimenta le leggende horror e i nuovi misteri americani. Locandina di Pet Sematary (1989), ispirato al romanzo di Stephen King.

Secondo la leggenda, la maledizione dei presidenti sarebbe stata scagliata da un capo indiano: situazione ricorrente nei film dell’orrore americani, nei quali spesso un cimitero indiano fa da ground zero di una vicenda paranormale solitamente cruenta. È l’antica ferita dello scontro tra ancestrali abitanti dell’America ed Europei sopraggiunti nell’età moderna che irrompe nell’inconscio collettivo e nell’immaginazione.

La maledizione dello sciamano che annienta i presidenti rappresenta peraltro il polo opposto e complementare rispetto a un’altra situazione che pure appartiene alla zona d’ombra del potere americano: si dice che la potente confraternita Skull&Bones custodisca segretamente il teschio e le ossa (appunto skull e bones) del capo indiano Geromino. Un vero e proprio feticcio per fondare il potere fascinoso di una società segreta che – secondo interpretazioni probabilmente esagerate – ha fornito buona parte degli esponenti della parte più alta della piramide dirigenziale americana, a partire dai membri della famiglia Bush. 

La confraternita Skulls and Bones col supposto cranio del capo indiano Geronimo, della tribù Apache.

Ma chi sarebbero le illustri vittime di tale anatema? In successione: William Henry Harrison eletto nel 1840 e morto di polmonite; Abraham Lincoln eletto nel 1860 ed assassinato come James Garfield eletto nel 1880 e ucciso l’anno dopo; William McKinley eletto nel 1900 e assassinato nel 1901; Werren Harding eletto nel 1920 e morto per apoplessia pochi mesi dopo la fine del suo mandato; Franklin Roosevelt eletto (a voler essere precisi rieletto al tempo della seconda guerra mondiale, di cui fu protagonista) e morto per emorragia cerebrale dopo aver battuto tutti i record di permanenza; quindi John Kennedy eletto nel 1960 e di cui tutti conoscono – sia pur tra mille dubbi – la triste fine. 

La leggenda della “maledizione dell’anno zero” era già nota durante gli anni della seconda elezione di Roosevelt, in seguito anch’egli “colpito” dalla medesima.

In particolare, le morti cruente dei due più importanti presidenti della serie, vale a dire Lincoln e Kennedy, sembrano intrecciarsi in un intrigante gioco di analogie e specularità. Scrive Stefano Graziosi su Focus Storia

al di là delle questioni politiche, gli elementi inquietanti in questa vicenda della maledizione non mancano. Soprattutto in termini di analogie con il caso J.F. Kennedy. Sia Lincoln sia Kennedy furono colpiti alla testa ed entrambi furono sostituiti da un vice chiamato Johnson. Tutti e due furono uccisi di venerdì per mano di un sudista. Booth (l’assassino di Lincoln) era nato nel 1838, mentre Oswald (l’assassino di Kennedy) nel 1938. Booth fu catturato in un magazzino dopo essere fuggito da un teatro. Oswald fu catturato in un teatro dopo essere fuggito da un magazzino. Solo una serie di coincidenze? 

Alcuni cultori della materia hanno aumentato il numero delle coincidenze tra i due attentati, altri invece hanno puntato a relativizzare (e persino a ridicolizzare) questa trama con analisi un po’ in stile CICAP. 

Sono a dir poco singolari le analogie tra gli attentati a Lincoln e Kennedy.

Vi è tuttavia un illustre presidente che è riuscito a sfuggire alla maledizione: si tratta di Ronald Reagan, che fu eletto nel 1980. A ben vedere, nondimeno, Reagan passò interminabili ore tra la vita e la morte dopo aver subito egli stesso un attentato. A dir poco bizzarro il movente che avrebbe spinto l’attentatore al tentato assassinio (ma, del resto, se non sei strano non puoi essere un attentatore di capi di Stato, considerate le inevitabili conseguenze…): John Hinckley Jr. dichiarò di aver agito per far colpo su Jodie Foster. Particolare suggestivo, Hinckley era amico di famiglia dei Bush, al tempo in cui George Bush padre era vicepresidente dei Repubblicani e dunque eventuale successore di Reagan, con un passato da capo della CIA. Singolari storie su cui gli appassionati di trame oscure hanno costruito spesse ragnatele di ipotesi. 

Dopo Reagan la maledizione sembra incepparsi di nuovo: proprio il figlio di Bush, George W., eletto nel 2000, subisce il colossale attentato delle Torri Gemelle, ma in prima persona rischia poco: tra i pericoli corsi si ricorda uno scarpone lanciatogli contro da un giornalista iracheno durante una sua visita in Medio Oriente, tra le rovine fumanti della seconda Guerra del Golfo. Ed ora cosa accadrà al presidente eletto nel 2020? Trump, che notoriamente non ama perdere, potrà dire di aver conseguito l’ennesimo successo personale scansando la maledizione dell’anno Venti. A sua volta Biden che dirà? Ai posteri o ai postumi l’ardua sentenza. 

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