Presentazione di «AXIS mundi» agli Stati Generali della Psichedelia in Italia 2020

Il nostro video-intervento agli SGPI20, lo scorso dicembre, ci ha dato l’occasione di presentare brevemente la prospettiva antropologica e sacrale con cui il progetto «AXIS mundi» è stato originariamente pensato e quindi portato avanti in questi anni, nonché (data l’occasione propizia) per individuare gli elementi sacrali ravvisabili nell’ambito dell’esperienza psichedelica. Qui potete leggere in esclusiva il testo integrale che verrà pubblicato sugli Atti del Convegno.

di Marco Maculotti

Presentazione di «AXIS mundi» in occasione degli Stati Generali della Psichedelia in Italia 2020 (SGPI20)

Inquadrare «AXIS mundi» in una categoria ben definita non è semplice. Pur essendo incentrato su tematiche apparentemente molto accademiche come la storia delle religioni, l’antropologia del sacro, l’etnografia e il folklore, in realtà le pubblicazioni riguardano spesso anche argomenti più difficilmente inquadrabili in una prospettiva accademica, come tutte quelle dottrine che vengono solitamente definite “esoteriche”, pratiche rituali e “magiche”, e non ultima la letteratura del fantastico. 

Il “filo rosso” che unifica tutte queste tematiche eterogenee trattate sulle pagine di «AXIS mundi» in realtà, definizioni ed etichette a parte, è molto chiaro, e si può rintracciare nella credenza nell’esistenza di un mondo ulteriore dietro quello di cui facciamo esperienza tutti i giorni con i sensi ordinari: un mondo occulto e normalmente invisibile, decifrabile alla stregua di un codice segreto, cui l’individuo può accedere eccezionalmente durante le esperienze estatiche e mistiche e di cui la storia delle religioni e le dottrine etnografiche ci hanno dato innumerevoli testimonianze attraverso i millenni della storia dell’umanità. 

A livello accademico l’antropologia non si è mai concentrata, purtroppo, su questa prospettiva interpretativa dell’esperienza cultuale e religiosa. Quando nacque nel XIX secolo, l’antropologia era considerata nelle università una disciplina quasi interamente incentrata sul profilo razziale. Nella seconda metà del XX secolo si è poi passati a una prospettiva nominalmente “culturale”, ma in realtà più incentrata su tematiche di tipo sociologico, e non sulle tradizioni sacre stricto sensu. Io invece ritengo che, se vogliamo davvero studiare la storia dell’homo religiosus attraverso i millenni, dobbiamo mettere al centro della nostra analisi proprio l’esperienza sacra in sé, e tutta la visione del mondo che nelle società tradizionali stava dietro e rendeva possibile, collettivamente e individualmente, questa esperienza. 


In questa sede è essenziale sottolineare come il collegamento tra storia delle religioni e psichedelia — o per meglio dire tra la prima e i cosiddetti “stati non ordinari di coscienza” — sia palese. L’esperienza sacra in sé, collettiva come individuale, è innanzitutto un’esperienza letteralmente “psichedelica” (rivelatrice della psiche), qualcosa che ha che fare con il superamento dei limiti ordinari dell’essere umano e al tempo stesso con una realizzazione superiore dell’elemento individuale, quello che gli antichi greci definivano daimon. Tutte le cerimonie nelle società tradizionali miravano proprio a questi obiettivi, oltre che ad altri di tipo comunitario. Senza ovviamente dimenticare il larghissimo uso rituale di erbe o decotti psicotropi, nelle pratiche sciamaniche dei popoli di cacciatori-raccoglitori così come nei riti misterici delle società urbane più stratificate (cfr. il Soma dei Veda e il Kykeon di Eleusi).

Lo stesso impianto ritualistico fondato sul “cerchio dell’anno”, in cui le cerimonie si svolgono oltre che in uno spazio sacro anche in un tempo sacro, determinato dai solstizi e dagli equinozi, dalle rivoluzioni del sole, della luna e degli altri corpi celesti, è importantissimo, perché ci fa comprendere il fatto che un’esperienza sacra vera e propria diventa possibile solo agendo all’interno di confini spazio-temporali ben definiti, che non riguardano solo l’individuo o la comunità umana, ma la natura e il cosmo tutto, le stagioni, gli astri. 

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Solo allineandosi con i ritmi del cosmo l’uomo tradizionale riusciva ad accedere a quello che Mircea Eliade definì “tempo sacro”, il tempo del rito in cui il mito si riattualizza e l’essere umano può evadere dai limiti che normalmente lo costringono nello stato di coscienza ordinario, e così trovare il suo Centro. In ciò i punti di contatto con l’esperienza psichedelica sono chiarissimi: anche il tempo di quest’ultima è a suo modo “sacro” e “mitico”, poiché si distingue nettamente dal tempo meramente lineare in cui si svolge la vita di tutti i giorni, individuale come comunitaria, e si rivela momento epifanico per le potenze divine ed archetipali. Il tempo dell’esperienza psichedelica, in questo senso, è simile al Dreamtime, il “Tempo del Sogno” degli aborigeni australiani, una dimensione preter-temporale in cui gli dèi vivevano a stretto contatto con gli uomini, gli animali e tutto ciò che esiste, senza che esistesse ancora una separazione o una differenziazione fra le parti. 

Non è un caso allora se molti topoi che tradizionalmente hanno a che vedere con l’esperienza religiosa e rituale si trovino pedissequamente nell’esperienza psichedelica: si pensi al viaggio nel “mondo infero”, all’incontro con intelligenze disincarnate, all’intuizione dell’esistenza di un “mondo dietro al mondo” che normalmente esperiamo con i cinque sensi ordinari, a stati “misticheggianti” di coscienza, all’intuizione di “segni” divini o quantomeno sovrannaturali, e via dicendo. 

Infatti, si potrebbe quasi dire che nell’Occidente post-moderno, in cui tra l’altro la stessa religione cristiana si è sempre più secolarizzata e “profanizzata”, l’esperienza psichedelica abbia preso il posto lasciato vuoto dall’esperienza sacra tradizionale. La differenza che salta subito all’occhio, tuttavia, è l’assenza di un background mitico e tradizionale su cui basare tale esperienza, oltre che la connotazione prettamente individuale, e non comunitaria, dell’esperienza psichedelica rispetto a quella rituale tradizionale. Tra gli obiettivi principali di «AXIS mundi» c’è anche quello di supplire a questa mancanza, fornendo al lettore strumenti e prospettive su cui fondare non solo l’esperienza psichedelica stricto sensu, ma l’intera “visione del mondo” che ci permette di interpretare la realtà in un modo più complesso, olistico se vogliamo, o “mitico” come direbbe James Hillmann.

Pablo Amaringo, The Seer/Ritual

Per rendere possibile questo cambio di paradigma trovo che sia importantissimo l’elemento della Meraviglia, che d’altronde è centrale nella stessa esperienza psichedelica. Il Meraviglioso è un contenitore essenziale per vivere “sacralmente” o “miticamente” il proprio viaggio in questo mondo, e purtroppo non si può fare a meno di notare come il Cristianesimo (o i Monoteismi in generale) da una parte, e lo stradominio dello Scientismo, del Razionalismo, del Materialismo e dello Storicismo dall’altra, abbiano sensibilmente allontanato l’essere umano da questo sentimento. Penso al Meraviglioso come al Sublime di Burke, in cui l’esperienza sacra è al tempo stesso meravigliosa e terrifica, così come pure nella concezione di Sacro come Totalmente Altro e Mysterium tremendum di Rudolf Otto. Questo, si noterà, è un elemento che si ritrova molto simile nell’esperienza psichedelica: l’incontro con l’Altro è al tempo stesso cagione di Estasi e di Terrore. 

E qui veniamo alla letteratura del Fantastico: perché io credo che negli ultimi due secoli almeno l’esperienza sacrale abbia trovato un sostituto proprio in questo filone letterario, che in qualche modo ha anticipato anche il Rinascimento Psichedelico. Pensiamo solo a E.T.A. Hoffmann, che nel primo ventennio del 1800 creò dei veri e propri capolavori letterari assolutamente psichedelici, e più di recente ad autori come William Butler Yeats, Arthur Machen, Gustav Meyrink e H.P. Lovecraft, veri e propri creatori di universi, demiurghi di proprie personali mitopoiesi che vanno oltre la mera finzione e creazione letteraria, prendendo spunto da e dando nuova linfa vitale al mundus imaginalis del folklore e al Mito, precedentemente relegati dalle religioni devozionali, dal razionalismo e dal materialismo a mere favolette per bambini. Con questi autori il folklore e il Mito ritornano in primo piano, e non è un caso se le esperienze vissute dai vari protagonisti delle loro opere sono in tutto paragonabili a vere e proprie esperienze psichedeliche, in cui chi ha vissuto personalmente esperienze di tal genere potrà facilmente rispecchiarsi.

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Lo stesso folklore, d’altronde, si fonda su una concezione dell’esistenza molto antica, per così dire “iniziatica”, e potrebbe essere descritto come una sorta di contenitore culturale dell’inconscio collettivo che col passare dei secoli è andato a raccogliere tutte quelle conoscenze ed esperienze “altre” rispetto alla cultura dominante, cristiana e razionalista, che li aveva estromessi dal pensare comune: si pensi solo a tutte quelle entità “altre” di cui le tradizioni popolari pullulano, la cui esistenza è da inquadrare in un’ottica sacrale e olistica, animistica o persino sciamanica dell’esistenza e della realtà. Nella prospettiva delle religioni tradizionali l’organismo cosmico è fondato su più livelli, alcuni dei quali esperibili dall’essere umano solo in determinate occasioni rituali, cerimoniali, sacrali (o, per quanto riguarda l’Occidente post-moderno, “psichedeliche”). 

Non è un caso se il folklore sia rimasto in vita nella sua forma più tradizionale in quelle comunità rurali che ancora all’inizio del XX secolo erano fortemente connesse alla ritualità stagionale del cerchio dell’anno, alla conoscenza delle erbe, e via dicendo. Da questo punto di vista, si può affermare che le radici della Psichedelia vadano proprio ricercate in questo mondo antico e tradizionale, che per millenni considerò la realtà da una prospettiva complessa, multi-dimensionale, olistica, rituale e sacrale, in cui l’esperienza esistenziale dell’essere umano si inseriva in un quadro cosmico e assolutamente non antropocentrico. 


Gli individui del mondo occidentale con il passare dei secoli hanno letteralmente delegato la propria coscienza, prima per quanto riguarda l’esperienza religiosa ai ministri di culto, che con l’avvento del Cristianesimo diventano un passaggio obbligatorio per l’individuo per fare esperienza del sacro, e in seguito, soprattutto negli ultimi secoli, a varie categorie di “specialisti”, della scienza, della politica, persino del modo di pensare. La visione del mondo che ognuno di noi dovrebbe sviluppare autonomamente è ormai delegata agli “intellettuali” dei salotti televisivi, agli esponenti dei partiti politici, ai giornalisti, a tutte queste categorie di influencer. Tutto è diventato bianco o nero, moralmente giusto o sbagliato, reale perché approvato dagli “specialisti dell’informazione” e della scienza o fake. In questo modo si è spezzata progressivamente e irrimediabilmente quella visione complessa, olistica e multidimensionale che aveva caratterizzato la storia delle culture umane tradizionali, non ultime quelle occidentali, come quella degli antichi greci o più di recente quella ermetica rinascimentale, non a caso così ricca di rimandi mitologici pagani. 

Nelle culture tradizionali raramente ciò che veniva considerato giusto o sbagliato lo era in senso morale, ma si basava unicamente sui ritmi del cosmo e della natura: la stessa psyche umana si muove secondo i medesimi ritmi. Persino credenze e consuetudini che all’uomo contemporaneo, così secolarizzato e ormai privo di una coscienza sacrale nel senso che si è detto, possono giustamente far storcere il naso e addirittura far gridare al “sessismo” (penso ad es. alle prescrizioni e ai tabù sulle mestruazioni femminili) trovavano la propria ragion d’essere e il proprio senso ultimo in una concezione del cosmo e del mondo incentrata sulle potenze invisibili che li governano, maschili e femminili, uraniche e ctonie, diurne e notturne, e via dicendo; ad esse l’essere umano doveva adeguare le proprie azioni individuali e comunitarie, in una prospettiva olistica, sinergica e non-antropocentrica, che tenesse conto delle differenze esistenti in natura ma anche dei loro punti d’unione, della loro possibile coincidentia oppositorum. Non vi era manicheismo o dualismo stretto in questo tipo di visione del mondo, su cui il rito e il culto erano fondati. 

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Il rito, per essere efficace, necessita di limiti ben definiti — limiti spaziali, temporali, eziologici ed ontologici — che ben difficilmente si possono considerare da una prospettiva morale stricto sensu, com’è invece tipico dei monoteismi ma anche dal laicismo post-moderno del mondo occidentale, e in ogni caso mai moralizzante. L’esperienza sacra, individuale come comunitaria, diventa possibile solo se ci si attiene a questi principi, a questi limiti, a queste corrispondenze complesse che esistono tra la psiche umana e il mondo naturale e cosmico. L’esperienza psichedelica, da questo punto di vista, non si distacca molto. 

Si pensi per esempio alle corrispondenze tra pianeti, metalli, giorni della settimana, piante, profumi, ecc, che hanno sempre caratterizzato le pratiche rituali e magiche. In quest’ottica “magica”, che emerge anche nell’esperienza psichedelica, il reale è sfaccettato, complesso, multidimensionale, e non dicotomico. Non esiste un Bene o un Male assoluto, un Giusto e uno Sbagliato in senso morale, ma delle corrispondenze o differenze tra le singole parti di un Tutto che, considerato da una prospettiva cosmica e sovra-umana, è nondimeno pensato come Uno: come il Pan degli Orfici, ovvero l’Universo visto come un tutto organico, in spirito, anima e materia, componenti eterogenee che agiscono reciprocamente a tutti i livelli. Questa è anche una concezione del cosmo che si sperimenta nell’esperienza psichedelica.

Pablo Amaringo

Le pubblicazioni su «AXIS mundi» tengono conto di questa complessità, per questo negli anni ho dato voce ad autori le cui prospettive e visioni del mondo non necessariamente combaciano con le stesse mie. Sono convinto che il risanamento della realtà e della nostra coscienza “spezzata” passi necessariamente da questo cambio di paradigma concettuale, dalla dicotomia che mai come oggi infesta il mondo delle Idee a una reale complessità che ricorda il gioco delle corrispondenze delle dottrine magiche, sciamaniche ed esoteriche della storia dell’umanità e i pantheon delle religioni “pagane”, con le loro moltitudini di dèi e demoni, fate e spiriti. 

Questa visione del mondo è stata negli ultimi due millenni demonizzata dai culti monoteistici i quali, in ultima analisi, hanno demonizzato la complessità stessa dell’uomo e del mondo, distaccando il primo dal secondo, ponendolo in una posizione dicotomica (e tirannica) nei confronti della natura e gravandolo conseguentemente di una serie di complessi di colpa e disturbi psicosomatici strettamente connessi al cambio di paradigma dal mondo tradizionale a quello “moderno”: gli dèi rimossi, come insegna Hillman, non muoiono, ma ritornano come patologie psichiche.

Uno degli obiettivi primari a cui ci chiama l’esperienza psichedelica, in quanto sostitutiva di quella sacrale e rituale delle società tradizionali, di cui ci possiamo dire a malincuore “orfani”, è quindi a mio parere questo: riconsegnare alla coscienza “spezzata” dell’essere umano la sua complessità, e con essa la complessità del cosmo in cui egli si trova ad esistere.

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