Il rito e il sacrificio: le radici antropologiche di “Apocalypse Now”

Come la lettura di The Golden Bough di sir James Frazer e di altri trattati antropologici sul rito e le origini ancestrali del patto sociale hanno ispirato il capolavoro di Francis Ford Coppola sulla guerra in Vietnam.

di Giovanni Bigazzi

Come sottolineato da tutta la critica, il capolavoro di Francis Ford Coppola è ispirato al racconto Heart of Darkness di Joseph Conrad [“Cuore di tenebra”, tr. it.] del 1899, da cui il cineasta trae l’antagonista, il commerciante di avorio Kurtz. Il film del 1979, palma d’oro al Festival di Cannes, due oscar, uno per la migliore fotografia a Vittorio Storaro e l’altro per il miglior sonoro, non è solo una pietra miliare della storia del cinema ma anche il riferimento culturale di una generazione. L‘iconica interpretazione del Colonnello Kurtz da parte di Marlon Brando è probabilmente la migliore di un ruolo maschile della storia del cinema, per la quale l’attore fu compensato con la somma di ben un milione di dollari a settimana.

Ma a ben guardare i riferimenti letterari in tutta l’opera cinematografica sono anche altri e più importanti, uno di questi è The Golden Bough di James G. Frazer [“Il ramo d’oro”, tr. it.], opera della quale, proprio lo scorso giugno è caduto il centenario della pubblicazione nella sua edizione ridotta, quella più nota al grande pubblico se così si può dire. Il libro compare in maniera apparentemente casuale, quasi fosse stato appena sfogliato, in un’inquadratura assieme a From Ritual to Romance di Jessie L. Weston [“Indagine sul Santo Graal”, tr. it.] nel tempio cambogiano divenuto il rifugio del colonnello Kurtz. Entrambi questi libri sono stati menzionati da T.S. Eliot come fonte di ispirazione nelle note di The Waste Land [“La terra devastata”, tr. it.] per approfondire si veda il mio articolo “La Terra devastata di T.S. Eliot e la Via dei Tarocchi” sempre su questo blog. Ma ecco il passaggio cruciale del Ramo d’oro sul re del bosco cui Coppola fa riferimento per l’epilogo del film:

“Nei tempi antichi questo paesaggio silvano era la scena di una strana e ricorrente tragedia. Sulla sponda settentrionale del lago, proprio sotto gli scoscesi dirupi cui si annida il moderno villaggio di Nemi, si ergeva il sacro bosco e il santuario di Diana Nemorensis, la Diana del bosco. […] In questo bosco sacro cresceva un albero intorno a cui, in ogni momento del giorno, e probabilmente anche a notte inoltrata, si poteva vedere aggirarsi una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d’attorno come se temesse a ogni istante di essere assalito da qualche nemico. Quest’uomo era un sacerdote e un omicida; e quegli da cui si guardava doveva o prima o poi trucidarlo e ottenere il sacerdozio in sua vece. Era questa la regola del santuario. Un candidato al sacerdozio poteva prenderne l’ufficio uccidendo il sacerdote, e avendolo ucciso, restava in carica finché non fosse stato ucciso a sua volta da uno più forte e più astuto di lui.”

Sembra che il culto di Diana a Nemi affondi le sue origini nella notte dei tempi. Una leggenda lo vuole importato dalla Crimea, regione anticamente chiamata Chersoneso Taurico, dopo che Oreste, ucciso il sovrano di quel regno, fuggì in Italia con la sorella portando con sé il simulacro della dea nascosto in un fascio di sterpi. Si trattava di un culto arcano di una società guerriera che prevedeva rituali sanguinari.

Il viaggio del capitano Willard lungo il corso del fiume dal Vietnam meridionale alla Cambogia non è solo un percorso iniziatico attraverso gli orrori della guerra e le contraddizioni dell’animo umano ma anche un cammino a ritroso attraverso lo spazio-tempo verso le origini ancestrali di un’umanità primitiva e spaventata nel cuore di una giungla sempre più selvaggia. La via che conduce al Santuario della Diana del Bosco di cui Kurtz, chiamato appunto anche “God”, è diventato il re-sacerdote, la via delle offerte che i re della Cambogia solevano inviare ai mistici re del fuoco e dell’acqua nelle lontane e tenebrose profondità della foresta. La lettura del dossier contenente le informazioni sulla parabola umana e professionale del Colonnello Walter E. Kurtz è una delle chiavi di successo del film, il dossier compare infatti in ben sette scene. Così come Caligola in epoca imperiale assoldò un uomo per uccidere il sacerdote di Nemi perché pensava che avesse ricoperto per troppo tempo il suo ufficio, l’esercito assegna al capitano delle forze speciali in Vietnam Benjamin L. Willard una missione allo scopo di porre perentoriamente termine al comando di Kurtz, uccidendolo, perché i suoi metodi erano diventati malsani. Proprio l’utilizzo del termine malsano, malato (unsound in inglese) è un chiaro riferimento letterario a Frazer:

“I primitivi credono qualche volta […] che la loro salvezza e persino quella del mondo sia legata alla vita di questi uomini-dèi o incarnazioni umane della divinità. Hanno naturalmente, perciò, la più gran cura della loro vita per un riguardo alla propria. Ma né quantità di cure, né precauzioni impediranno all’uomo-dio di divenir vecchio e debole e alla fine morire. I suoi adoratori devono tenere conto di questa triste necessità e affrontarla come meglio possono. Il pericolo è formidabile; perché se il corso della natura dipende dalla vita dell’uomo-dio, quali catastrofi non si devono aspettare dall’indebolimento graduale dei suoi poteri e dalla estinzione finale con la morte? Vi è solamente un mezzo per allontanare questi pericoli. Si deve uccidere l’uomo-dio appena appariscano i sintomi che i suoi poteri cominciano ad affievolirsi; la sua anima deve essere trasmessa a un vigoroso successore prima che essa sia seriamente indebolita dalla minacciata decadenza.”

Quindi Kurtz è ormai un uomo molto malato. Non soltanto agli occhi della schiera di devoti seguaci che lo circonda ma soprattutto a quelli della società opulenta che lo ha generato e di cui ha rappresentato il miglior frutto che questa potesse esprimere. Ma adesso questo frutto si è guastato e minaccia di corrompere tutto il resto. I disordini da stress post-traumatico (PTSD) sono un filo conduttore per tutta la durata del film, dalla camera di albergo di Willard a Saigon, ai membri dell’equipaggio della barca, infine a Kurtz. Nel libro Achilles in Vietnam: Combat Trauma and the Undoing of Character di Jonathan Shay vengono studiati i disturbi da PSTD presenti nei reduci dal Vietnam e vengono paragonati con l’Iliade di Omero. In situazioni di forte stress si verifica una sorta di corto-circuito nelle sinapsi dei processi decisionali, avviene una trasfigurazione dell’individuo ad un livello pre-razionale ed il comportamento diventa istintivo, bestiale, quasi meccanicamente guidato dai meccanismi della parte più antica del nostro cervello. Il cervello rettile quello che attiene alla sopravvivenza.

Qui Coppola non fa distinzione tra società evoluta e società primitiva, dal punto di vista antropologico il regista è perfettamente allineato con la visione di Frazer e l’epilogo dovrà essere necessariamente lo stesso. Quando fu chiesto al regista italo-americano quanto fosse stato influenzato dall’opera di Frazer nella realizzazione di Apocalypse Now egli rispose: “Conoscevo Il Ramo d’oro fin da quando ero studente e di tanto in tanto ne leggevo delle parti. Quando venne il momento di girare il film vidi delle analogie, allora l’ho riletto molto più approfonditamente”. Anche la scelta della Cambogia è mediata da Frazer e non da Conrad, il cui racconto è ambientato nel cuore dell’Africa. Il riferimento qui è al re del fuoco e al re dell’acqua: “Ai mistici re del fuoco e dell’acqua in Cambogia non è permesso morire di morte naturale. Quindi quando uno di essi è seriamente ammalato e i più vecchi giudicano che non si possa ristabilire, lo feriscono a morte”. Ed in effetti fuoco e acqua sono gli elementi fisici con cui è costruito tutto il film dal primo all’ultimo fotogramma.

Dove ci lascia Frazer ecco che ci prende per mano la Weston e quando Willard emerge dalla scena del regicidio eccolo accolto dai Montagnards non, come ci si potrebbe aspettare, con urla di furore ma con adorazione: adesso è lui l’eletto, il nuovo sacerdote del santuario di Diana, colui da cui dipende la prosperità del regno, concetto centrale della tradizione medievale del Graal:

“L’idea di un popolo la cui prosperità, insieme alla fertilità della propria terra, è strettamente legata alla vita ed alla virilità del proprio Re, che non è un uomo ordinario, ma una reincarnazione divina. Se egli cade nel languore, come il Re Pescatore del Perlesvaus, ne risentiranno parimenti la terra e gli abitanti.”

Per finire coi riferimenti letterari ecco la scena della lettura a voce alta di Kurtz della poesia The Hollow men [“Gli uomini cavi”, tr. it.] scritta da T.S. Eliot nel 1925, dopo un periodo di riposo dal lavoro dovuto a un esaurimento nervoso, poesia che contiene molti elementi della Terra devastata. In modo circolare l’incipit della poesia è una frase ripresa da Heart of Darkness: “Mistah Kurtz-he dead”. A questo punto è giusto chiedersi se allora non sia proprio Kurtz il sintomo invece che la causa di una società occidentale ormai decadente:

“Ma noi dobbiamo ucciderli, dobbiamo incenerirli, maiale dopo maiale, vacca dopo vacca, villaggio dopo villaggio, esercito dopo esercito. E dicono che sono un assassino. E come si dice quando gli assassini accusano altri assassini? Mentono! Loro mentono e noi dobbiamo essere clementi con coloro che mentono?! Quei nababbi… io li odio! Li odio profondamente!”

L’epilogo ruota attorno al concetto di libertà, così sarà Kurtz a chiedere a Willard nel loro incontro: “Ha mai preso in considerazione delle vere libertà? Libertà dalle opinioni altrui, perfino dalle proprie opinioni? […] Lei è un garzone di bottega che è stato mandato dal droghiere a incassare i sospesi”. Qual è la natura di questa libertà se la si può esercitare solamente secondo le prescrizioni di qualcun altro? In realtà il borghese non è mai libero, le libertà delle quali può godere sono stabilite a priori e finalizzate al funzionamento della macchina sociale.

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