La “Terra devastata” di T.S. Eliot e la Via dei Tarocchi

Alla vigilia del centenario dalla pubblicazione del capolavoro eliotiano, la sua Terra devastata dimostra oggi tutta la sua attualità e potenza evocatrice. Frammenti narrativi che il lettore compone e ricompone in un continuo giuoco di indagine su sé stesso e il mondo, proprio come fa chi percorre la Via dei Tarocchi: “Con questi frammenti ho puntellato le mie rovine”.

di Giovanni Bigazzi

Copertina: T.S. Eliot (1888 – 1965)

I Tarocchi sono una delle principali chiavi di lettura del capolavoro eliotiano The Waste Land di cui il prossimo anno ricorrerà il centenario dalla pubblicazione. Uno dei personaggi principali del poema è la stravagante cartomante Madame Sosostris che, introdotta al verso 43 nella prima sezione del poemetto intitolata “La sepoltura dei morti” (The Burial of the Dead), viene colta dalla frammentazione poetica dell’opera nell’atto di leggere le carte ad un consultante. Di queste, alcune sono effettivamente parte del mazzo tradizionale dei Tarocchi marsigliesi, mentre altre sono di invenzione. Nella nota al verso 43 lo stesso T.S. Eliot spiega questo punto: 

“Non conosco l’esatta composizione del mazzo dei Tarocchi e me ne sono perciò distaccato, per adattarlo ai miei scopi. L’impiccato che fa parte del mazzo tradizionale mi serve per due ragioni: perché mi ricorda il Dio impiccato di Frazer, e perché lo ricollego con la figura incappucciata dell’episodio dei Discepoli a Emmaus nella quinta sezione. Il Marinaio Fenicio e il Mercante compaiono più innanzi, così pure la «lunga tratta di gente», mentre la Morte per Acqua si compie nella quarta sezione. L’Uomo delle tre aste, che appartiene effettivamente al mazzo dei Tarocchi, lo ricollego del tutto arbitrariamente con lo stesso Re Pescatore.” 

Nella nota è chiaro il riferimento di Eliot al lavoro di Jessie L. Weston From Ritual to Romance (“Indagine sul Santo Graal”, Cambridge, 1920), come ammette l’autore stesso: 

“Non solo il titolo ma anche il progetto di questo poema e buona parte dei simboli che vi compaiono sono stati suggeriti dal volume di Miss Jessie L. Weston, From Ritual to Romance, sulla leggenda del Graal. Quel libro spiegherà le difficoltà del poema assai meglio delle mie note, e gli devo tanto da raccomandarlo, indipendentemente dal grande interesse che presenta di per sé, a chiunque ritiene che il poema valga la pena di essere spiegato. Ho anche un debito di carattere generale verso un’altra opera di antropologia, The Golden Bough [“Il ramo d’oro” di James G. Frazer, ndr], che ha esercitato un profondo influsso sulla nostra generazione; mi sono servito specialmente dei due volumi Adonis, Attis, Osiris. Chiunque abbia dimestichezza con queste opere riconoscerà immediatamente certe allusioni fatte nel poema a riti di vegetazione.”

Proprio nel sesto capitolo dedicato ai simboli della leggenda del Graal, la scrittrice identifica nella coppa, nella lancia, nella spada e nel piatto, gli oggetti simbolici utilizzati nei rituali ancestrali della tradizione indoeuropea – si pensi, tra le altre cose, al caratteristico vaso campaniforme rinvenuto nei corredi funerari dei Bell beaker dell’Età del bronzo – e sincreticamente sopravvissuti nei secoli all’ombra di un ambiente ostile. Elementi che ritroviamo anche nei semi delle comuni carte da giuoco (coppa-cuori, piatto-quadri, spada-picche, lancia/bastone-fiori) che dei Tarocchi sono la diretta derivazione. Su ciò, lasciamo la parola alla Weston:

“Ma abbiamo una prova ulteriore che questi quattro oggetti, in effetti, hanno una loro coesione particolare, del tutto indipendente dalle loro apparizioni nel folklore o nei romanzi del Graal: oggi essi esistono come i quattro semi dei Tarocchi.
Coloro che si interessano ai testi del Graal, dirigendo la propria attenzione soprattutto alla letteratura medievale, probabilmente non avranno familiarità con la parola Tarocco, o consapevolezza del suo significato. Tarocchi è il nome di un mazzo di carte, settantotto in tutto, di cui ventidue sono designate come «Trionfi».”

Di questi antichi rituali i Tarocchi tramandano ai posteri il codice simbolico che è legato ad una sorta di memoria collettiva, una memoria che viene trasmessa di generazione in generazione. Secondo la concezione junghiana i Tarocchi sono un sistema filosofico veicolato per immagini. Per lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, infatti, alcune immagini, concetti e situazioni sono innate nella mente umana, o meglio derivano da un inconscio collettivo, condiviso ed ereditato dal patrimonio genetico. Così le immagini dei ventidue Arcani Maggiori descrivono personaggi, situazioni ed eventi, emozioni e sentimenti che appartengono a ogni persona che ci ha anticipato nelle generazioni, e quindi ognuna di queste carte può essere connessa a determinati e ben precisi archetipi. Diceva Jung: Vedete, l’uomo ha sempre sentito l’esigenza di avere accesso all’inconscio per trovare un significato alla sua condizione attuale, perché c’è una sorta di corrispondenza o somiglianza tra la condizione prevalente e il cosiddetto inconscio collettivo.

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Ecco quindi che possiamo comprendere meglio questa figura di Madame Sosostris che, in The Waste Land, rappresenta proprio l’emblema della crisi sociale e culturale dell’Europa, ormai diventata per Eliot la terra devastata, nel perenne conflitto tra modernismo e tradizione. Una ciarlatana dall’improbabile nome esotico, che tuttavia ci fornisce indizi su come poter uscire da questa situazione di impasse attraverso la lettura dei Tarocchi. Chi fa la lettura, infatti, è solo un mezzo, il vero maestro essendo il Tarocco stesso che parla direttamente al consultante, ed è un parlare per frammenti salvati, all’interno del poema eliotiano, dalle rovine di una società marcescente.

In questa stesura troviamo alcune carte di fantasia e altre facenti parte del canone tradizionale. Si parte dal marinaio fenicio annegato dagli occhi di madreperla; Belladonna la Dama delle Rocce (probabilmente ispirata alla Vergine delle Rocce di Leonardo); il tre di bastoni, un arcano minore che collegato al Re Pescatore (sul manoscritto la nota sopra il testo è di Ezra Pound); la Ruota della Fortuna, arcano maggiore numero dieci; il Mercante con un solo occhio; una carta bianca… ma la cartomante non trova l’Appeso.

Questo è forse l’indizio più importante che possiamo trarre: nel mazzo manca l’arcano maggiore numero dodici. Se vogliamo, possiamo intendere la via dei tarocchi come lo svolgimento di un percorso iniziatico il cui protagonista è l’arcano maggiore numero uno, il Bagatto, che ritroviamo in seguito, a metà del suo cammino, proprio nella carta dell’Appeso: arcano che richiama subito alla mente misticismo, sacrificio, abnegazione.

Secondo sir Frazer, per l’uomo delle origini il modo migliore di conservare la sacralità del divino era quello di porlo tra il cielo e la terra, isolando l’esperienza sacra dalle influenze della vita ordinaria. Un concetto che nei miti nordici possiamo forse connettere al simbolismo dell’impiccato nel racconto dell’auto-sacrificio rituale di Odino contenuto nell’Hávamál, la Canzone dell’Eccelso, che fa parte del Canzoniere eddico, il testo sacro dei norreni, alla strofa 138:

“Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento
per nove intere notti,
ferito di lancia
e consegnato a Óðinn,
io stesso a me stesso,
su quell’albero
che nessuno sa
dove dalle radici s’innalzi.”

E, ancora, torna l’impiccato alla strofa 157 dello stesso poema:

“Questo conosco per dodicesimo:
se io vedo su un albero in alto
un impiccato oscillare,
in tal modo incido
e in rune dipingo
così che quell’uomo cammini
e parli con me.”

Per l’esoterista svizzero Oswald Wirth, che scrisse sull’argomento il trattato I Tarocchi, il percorso di conoscenza alchemica dei Tarocchi si divide in due serie, ognuna formata da 11 carte, che cominciano rispettivamente col Bagatto e l’Appeso a simboleggiare due condizioni della natura umana: la prima costituendo la via attiva, dorica, secca e maschile, la seconda la via passiva, ionica, umida e femminile. Al termine del percorso iniziatico Wirth pone il Matto, l’unico arcano senza numero, il dio viandante dai mille volti che cammina per le vie del mondo, come lo stesso Odino che è pure, contemporaneamente, il Mago e l’Appeso.

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Da questa prospettiva, la mancanza dell’Appeso dal mazzo di Madame Sosostris certificherebbe l’impossibilità per il consultante (il lettore della Terra devastata) di risolvere il suo momento di crisi e con questo quello della civiltà contemporanea di cui fa parte nel suo complesso, senza poter vedere le cose da una prospettiva diversa dalla massa delle persone che lo circondano, senza poter giungere alla fine del proprio personale percorso e così trovare la dimensione divina. Al verso 56 l’esito finale del consulto: “Vedo una folla che cammina in cerchio”. Qui abbiamo la preconizzazione di un loop, di un cortocircuito socio-culturale di cui è tuttora più che mai affetta la società occidentale. 

Questa situazione di stallo ci ricorda quanto veicolato dalla tradizione medievale del Graal: e cioè il fatto che la prosperità e la fertilità della terra di un popolo è strettamente connessa alla salute e alla virilità del proprio sovrano. Se viene a mancare quest’ultima, sia la sua terra che il suo popolo si guasteranno, le fanciulle resteranno senza amore e prole, il bestiame smetterà di riprodursi, le piante ormai prive di linfa cesseranno di ergersi: le energie riproduttive del regno vivente verranno sospese.

Solamente il re sacrificale della leggenda del Graal, col suo auto-sacrificio rituale, può riportare alla vita la Terra devastata. Ma in The Waste Land manca l’Appeso e, dunque, anche il Re Pescatore, che solo potrebbe ridestare nuova linfa vitale nelle rovine marcescenti dell’Occidente devastato.

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