Le streghe di Alicudi: note di folklore eoliano

Nella tradizione popolare eoliana il nome di Alicudi è associato da sempre a storie fantastiche e misteriose: ‘mahare‘ (streghe) che in volo raggiungono Palermo o addirittura l’Africa, esseri umani che si trasformano in animali, pescatori che conoscono formule magiche per ‘tagliare’ le trombe marine, indovini, oracoli e altre enigmatiche presenze.

di Massimiliano Palmesano

Originariamente pubblicato su Microsphera, blog dell’Autore

Alicudi è una delle più piccole e selvagge isole dell’arcipelago vulcanico delle Eolie insieme a Filicudi, la sua gemella. Nel folklore eoliano il nome di Alicudi è associato da sempre a storie fantastiche e misteriose: mahare (streghe) che in volo raggiungono Palermo o addirittura l’Africa, esseri umani che si trasformano in animali, pescatori che conoscono formule magiche per ‘tagliare’ le trombe marine, indovini, oracoli e altre misteriose presenze.

Le Eolie ancora oggi conservano un’aura di mistero e di magia. Abitate fin dalla preistoria, poi colonie greche, nei millenni le isole dell’arcipelago sono state teatro di avvenimenti fantastici e culla di leggende e miti. Secondo la tradizione Liparo, uno dei tre figli del re campano Ausone nonché nipote di Ulisse, in seguito a una lite con i fratelli fu costretto a lasciare la Campania insieme ai suoi guerrieri e trovò riparo alle Eolie dove fondò una colonia sulla maggiore delle isole che da allora prese il suo nome e cioè Lipari. Il mito narra che il dio dei venti Eolo un giorno giunse con il suo seguito sull’isola, qui incontrò Liparo con cui strinse amicizia. Il sovrano esule allora chiese al dio aiuto per poter ritornare nella sua terra nativa: in cambio avrebbe offerto il dominio sull’interno arcipelago e la mano della figlia Ciane. Eolo acconsentì e fece in modo che Liparo potesse tornare sul continente dove fondò una nuova colonia nei pressi della penisola sorrentina. Da allora il dio nascose negli anfratti rocciosi dell’isola la sua otre che conteneva e custodiva i venti che venivano liberati ogni qualvolta servisse il loro potere distruttivo.

Anche a Lipari, che è la più grande e popolosa delle isole, resistono ancora antiche credenze e leggende. Nella frazione di Quattropani, percorrendo stradine di montagna con panorami mozzafiato su tutto l’arcipelago, non è difficile vedere zucche secche poste a protezione delle porte delle case: si dice infatti che la pianta sia un ottimo rimedio per tenere alla larga le mahare; sempre a Quattropani qualcuno giura di aver visto in piena notte tre donne, vestite di nero, aggirarsi come allucinate tra i tornanti e gli orti sospesi a picco sul mare. I liparoti inoltre credono che un minuscolo essere fatato chiamato u fuddittu’ (il folletto), o anche u cappidduzzu’ (piccolo cappello), venga avvistato mentre con grossi balzi salta da una cima all’altra dei monti dell’isola. Le sue apparizioni sono temute perché foriere di avvenimenti ambivalenti: il folletto può sia dispensare ricchi doni sia fare dispetti e cattiverie. Per questo motivo gli isolani preferiscono non incontrarlo e, nel caso lo spiritello si palesi loro, ci sono precisi scongiuri da pronunciare per non incorrere nelle sue ire.


L’isola dei tagliatori di tempeste

Se a Lipari, che è l’isola maggiormente turistificata e popolata, si sono conservate queste tradizioni e queste leggende, Alicudi proprio a causa della sua estrema perifericità è uno scrigno dove resistono intatte credenze antiche e storie straordinarie. L’isola è sempre stata scarsamente popolata: si parla di un massimo di 1500 abitanti tra fine ‘800 e inizio ‘900, cifre poi crollate in seguito alla massiccia ondata di emigrazione novecentesca, soprattutto verso l’Australia. Ad oggi gli abitanti sono circa un centinaio. Piccola e periferica, selvaggia e misteriosa, abitata da pescatori e contadini, Alicudi può essere considerata a tutti gli effetti una terra magica e misteriosa, un luogo fatato a cavallo tra realtà e fiaba. 

Qui, attraverso lignaggi familiari la cui origine si perde nella notte dei tempi, si tramanda l’antico rito, con annessa formula, per ‘tagliare’ le trombe marine e le tempeste che si abbattono sulle barche dei pescatori. In tanti sull’isola affermano di conoscere il rituale e di averlo più volte praticato con successo riuscendo a salvarsi dalle insidie delle onde. I vecchi pescatori spiegano che quando all’orizzonte si intravede una tromba marina o una grande mareggiata che si dirige verso la barca, il ‘tagliatore’ si posiziona saldo a prua e comincia a sussurrare la formula accompagnando le parole con una precisa serie di movimenti delle mani. Tutti quelli che hanno avuto la possibilità di assistere a una ‘tagliata’ affermano che la tempesta man mano che si avvicina alla barca si affievolisce sempre di più fino a diventare un filo che a pochi centimetri dalle mani del pescatore si spezza in due parti lasciando incolume l’equipaggio; ancora oggi le piccole flotte di pescatori non si allontanano mai troppo dalle coste se non con un ‘tagliatore’ a bordo.

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La tradizione dei ‘tagliatori’ suggerisce un legame con il sostrato mitico fondativo dell’isola e sembra essere una sorta di potere che il signore dell’arcipelago, il dio dei venti Eolo, ha donato ai suoi abitanti: la connessione tra Eolo e la capacità di “tagliare” le tempeste è con tutta probabilità diretta. Uno strettissimo legame degli isolani con il vento che caratterizza anche i numerosi racconti circa a vere e proprie piogge di sassi di pomice la cui causa è attribuita, secondo le credenze, al fuddittu o a volte anche al diavolo.


Luis Ricardo Falero, Witches going to their Sabbath, 1878

Donne e barche che volano

Ma più di ogni altra cosa, Alicudi, che i greci chiamarono Erikussa, cioè ricca di erica, è l’isola delle donne che volano e delle visioni straordinarie. Le mahare arcudare, così vengono chiamati gli abitanti di Alicudi, stando ai racconti popolari erano capaci di trasformarsi in corvi e gatti, di gettare il malocchio e di fare potenti incantesimi, ma soprattutto padroneggiavano il potere di alzarsi in volo per raggiungere Palermo, dove si recavano per prendere parte alla movimentata vita di una delle più importanti capitali mediterranee, o addirittura la Tunisia e altri luoghi della costa africana, posti da cui le donne volanti rientravano portando con loro oggetti e abiti straordinari che nessuno aveva mai visto sull’isola.

Le streghe arcudare erano capaci di levitare in aria, di cavalcare scope al pari delle loro ‘colleghe’ continentali, ma anche di spiccare il volo alla guida delle piccole barche dei pescatori che in molti giuravano di avvistare mentre solcavano i cieli durante le notti stellate e di luna piena. Spesso le mahare che di notte volavano verso il mare aperto erano le mogli dei pescatori impegnati in lunghe e pericolose battute di pesca: per questo le streghe volavano alla ricerca dei mariti al fine di proteggerli dalle insidie del mare, propiziarne la pesca e sorvegliarne il rientro a casa.

I convegni delle mahare di Alicudi si tenevano sulle spiagge, dove gruppi festanti e gioiosi di uomini e donne imbandivano tavole ricche di ogni prelibatezza. I pescatori avvistavano dalle barche al largo questi convegni che, stando ai racconti, si tenevano su lembi di spiaggia inaccessibili dalla terra e nascosti dalle scogliere. In molti pare abbiano raggiunto la riva per prendere parte ai banchetti, stando ben attenti al rispetto di un tabù che imponeva, una volta accolti dalle streghe alla loro tavola, di non lamentarsi della qualità del cibo e delle bevande offerte, spesso amare, pena l’essere bastonati e gettati in mare.

Oggi i pochi arcudari che popolano l’isola affermano di non vedere più nulla da tempo, ma tutti credono fermamente alla veridicità di queste straordinarie visioni. Un racconto, molto diffuso sull’isola, narra di tre donne vestite di nero (come nel caso di Lipari) che venivano avvistate in spiaggia intente nella preparazione di una pozione magica con dell’acqua in una ciotola mentre recitavano formule segrete. La pozione a volte era utilizzata dalle mahare per spiccare il volo, altre volte era offerta ai pescatori aprendo loro le porte di regni fantastici.

L’acqua come elemento magico caratterizza anche i racconti che tramandano di donne capaci di trasformarsi in uccelli, in particolare in corvi: queste versavano acqua in una bacinella nella quale mettevano a mollo i piedi, in pochi minuti si trasformavano in uccelli e volavano via verso luoghi lontani. Alicudi è praticamente piena di queste storie fantastiche che tramandano di visioni e poteri soprannaturali… ma come mai l’isola custodisce ancora queste credenze? Soprattutto, perché le donne arcudare sono capaci di volare?


Claviceps Purpurea

Panificazioni psichedeliche

Secondo alcune ipotesi, la causa di queste visioni straordinarie è da attribuire al consumo di pane prodotto con segale infestata dalla claviceps purpurea, un fungo parassita delle graminacee, conosciuto anche con il nome di ergot, in francese ‘sperone’, per via degli sclerozi a forma di corna che crescono sulle spighe della pianta da cui deriva il nome ‘segale cornuta’ con il quale è conosciuta nella tradizione popolare. L’ergot ha potenti proprietà allucinatorie e psichedeliche e fu utilizzato dallo scienziato Albert Hoffman durante i suoi esperimenti che portarono alla scoperta dell’LSD, l’acido lisergico, uno dei più potenti allucinogeni conosciuti. L’assunzione di forti quantità del fungo provoca l’ergotismo cancrenoso, anche conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio”, “Fuoco sacro”, o “Male degli ardenti”, a dosi più contenute invece il parassita provoca allucinazioni fortissime e profondi stati visionari.

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Ci sono due differenti ipotesi sulla presenza della segale cornuta ad Alicudi: per alcuni il cereale proveniva da derrate alimentari che venivano portate sull’isola da Palermo e Messina, per altri erano stesso le piccole coltivazioni locali che venivano colpite dal parassita. Gli arcudari in ogni caso sembrano aver consumato in massa pane prodotto con una miscela di vari cereali, tra cui la segale colpita dall’ergot e di essere stati quindi protagonisti di allucinazioni collettive che si sono protratte per anni fino a produrre la vasta congerie di racconti e storie fantastiche.

Sembra che la vicenda possa essere collocata in un arco di tempo ben circoscritto e cioè tra il 1902 e il 1905, periodo in cui carestie, emigrazione e povertà avevano costretto gli isolani a panificare con derrate di segale colpite dall’ergot. Forse proprio come conseguenza della fame prodotta dalle carestie, molti racconti tramandano storie di lauti banchetti e feste in spiaggia ricche di ogni prelibatezza. D’altronde il medioevo europeo è pieno di episodi in cui intere comunità furono interessate da fenomeni allucinatori di massa a causa del consumo di pane prodotto con la segale cornuta.

Una delle teorie più accreditate quindi vede gli arcudari come una sorta di inconsapevoli antesignani degli hippies della rivoluzione psichedelica che sarebbe divampata solo 60/70 anni più tardi. Con una differenza sostanziale: l’assunzione inconsapevole di una sostanza che produce effetti allucinatori conduce ad esperienze più profonde, inspiegabili e soprattutto incontrollabili rispetto a quelle di chi consapevolmente assume una sostanza conscio delle sue proprietà visionarie.

Secondo questa prospettiva in quei tre anni gli isolani dovettero fare i conti con una percezione espansa della realtà, dovettero abituarsi a stati alterati di coscienza, dovettero in definitiva familiarizzare con le visioni fino al punto di ritenerle reali. L’ipotesi relativa al consumo di pane prodotto con cereali colpiti dall’ergot sembra essere oggi quella più accreditata anche da parte di alcuni isolani come si evince anche grazie alle testimonianze rilasciate nel bel documentario L’isola analogica (2007) di Francesco Giuseppe Raganato [allegato in appendice], in cui è molto ben rappresentato il paradigma delle credenze e della spiritualità degli abitanti di Alicudi.


Demetra e Persefone raffigurate sul “bassorilievo di Farsala”

Radici sciamaniche e ipotesi misteriche

Ci sono però alcuni elementi che pongono degli interrogativi su questa versione dei fatti e cioè sul rapporto tra arcudari e segale cornuta. Innanzitutto appare strano che un patrimonio di credenze e di racconti così capillari, diffusi e inseriti in schemi narrativi che seguono traiettorie formalmente filogiche tra loro, possano essersi prodotti nell’arco di soli 3 anni; va chiaramente considerato che ci si riferisce ad eventi di portata straordinaria che dovettero influenzare nel profondo l’insieme della collettività dell’isola protagonista delle visioni, ma tre soli anni sembrano pochi. Troppo pochi per poter spiegare racconti così dettagliati, paradigmi che si ripetono, esperienze e scenari sempre simili tra di loro. È probabile che gli episodi possano essersi verificati nell’arco dei soli tre anni in questione, ma altrettanto plausibile può essere la congettura su un possibile uso conscio e cultuale della pianta, retaggio di antiche pratiche religiose.

Le streghe infatti, in tutta la tradizione europea e in quella dell’Italia meridionale in particolare, sono tra le altre cose esperte dominae herbarum, erboriste visionarie capaci di produrre unguenti e pozioni in grado di condurre chi le assume in dimensioni magiche e soprannaturali, come del resto si tramanda con molta chiarezza nella leggenda delle streghe di Benevento. Non è da escludere quindi che le mahare di Alicudi conoscessero bene l’ergot e le sue proprietà visionarie e lo utilizzassero a scopi rituali. Va sottolineato che gli arcudari conoscono molto bene il parassita, tanto da avere coniato un nome specifico per indicare le spighe di segale colpite dal fungo che sull’isola sono chiamate tizzonare, dal loro caratteristico colore che ricorda il carbone e dal processo di sporatura che produce una polvere scura simile al fumo.

Va inoltre considerato che sono numerosi i racconti in cui si parla di preparazioni con l’utilizzo di acqua, come nel caso delle tre donne o della donna-corvo, o di acqua amara, quella che veniva offerta ai banchetti delle streghe. Ciotole e bicchieri probabilmente contenevano un miscuglio di elementi che causava gli stati visionari, elemento che si può evincere anche dal particolare relativo all’acqua amara servita durante i banchetti: è notorio che la maggior parte dei delirogeni e degli agenti psicotropi contenuti nelle piante utilizzate dalle streghe nelle loro ricette sono contraddistinti da un forte sapore amaro.

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Secondo questa prospettiva le donne volanti di Alicudi si inseriscono nel vastissimo campo della stregoneria europea e del suo stretto rapporto con gli unguenti magici che permettevano di volare ‘in spirito’ e di raggiungere luoghi remoti, prerogativa con profonde connotazioni sciamaniche che, nel caso delle donne arcudare, viene a galla anche nella loro capacità di interagire con il mondo animale attraverso le trasformazioni in corvi. La persistenza di un antico paradigma sciamanico porrebbe quindi l’utilizzo di ergot non più come eventuale, casuale e cronologicamente circoscritto, ma come un consolidato elemento chiave del sapere estatico delle donne volanti. Una prospettiva affascinante ma che, soprattutto in Italia, sembra trovare non poche resistenze in ambito accademico.

In verità questa è solo una parte della congettura: la presenza della claviceps purpurea all’interno di questa storia non può non suggerire la possibilità del retaggio di un arcaico legame che gli arcudari hanno conservato con le loro origini greche e in particolar modo con i rituali misterici che si tenevano ad Eleusi in onore di Demetra nell’antica Grecia. I Misteri Eleusini erano caratterizzati da rituali segreti a cui erano ammessi solo gli iniziati e la loro fondazione sembra risalire almeno a 1500 anni prima di Cristo, molto prima quindi che i greci colonizzassero il sud Italia e le Eolie, portando con loro anche tradizioni e credenze religiose. È possibile che il culto misterico, così come avvenne anche in altri luoghi Roma compresa, venne introdotto anche tra gli abitanti dell’arcipelago eoliano. E l’ergot? In tutto questo cosa c’entra?

I misteri prevedevano rituali che permettevano agli iniziati di compartecipare alla dimensione divina cui si accedeva quasi sicuramente grazie alle sostanze contenute in una bevanda rituale chiama KikeonSulla composizione del Ciceone si è lungamente dibattuto: la bevanda poteva contenere sia papaveri da oppio, spesso raffigurati insieme alle spighe di grano come attributi di Demetra e della figlia Persefone, sia funghi psicotropi del genere psylocibe, come sembra sia rappresentato sul cosiddetto bassorilievo di Farsalo, sul quale madre e figlia sono raffigurate intente nello scambiarsi funghi. Chiaramente è stato ipotizzato anche l’utilizzo di claviceps purpurea per la preparazione del Kikeon, come ampiamente sottolineato da anni da parte di Giorgio Samorini, etnobotanico di fama internazionale, che ha prodotto diversi saggi sull’archeologia dei Misteri Eleusini e sulle ipotesi inebriati del Kikeon.

Le streghe di Alicudi molto probabilmente tramandano quindi un millenario sapere misterico, antico come le Eolie e i suoi abitanti, o forse sono solo inconsapevoli visionarie capaci di influenzare la tradizione locale fino al punto da confondere reale e fantastico. Ma un dato è certo: seppur non sarete così fortunati da avvistare donne e barche volanti nel cielo stellato delle estati eoliane, la minuscola isola di Alicudi saprà rapirvi con il suo mistero e trasformare la realtà in una visione fantastica.

Documentario L’isola analogica di Francesco Giuseppe Raganato

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