Scoperte in Amazzonia migliaia di pitture rupestri risalenti all’Era Glaciale

Decine di migliaia di dipinti in ocra rossa risalenti all’ultima Glaciazione, scoperti in Colombia su una parete rocciosa che si estende per 13 km, fanno luce sugli abitanti dell’Amazzonia e sulla sua incredibile megafauna di oltre 12.000 anni fa. La “Civiltà perduta” teorizzata dal colonnello Percy H. Fawcett, che fino a un secolo fa sembrava fantascienza, sembra sempre più reale.

di Marco Maculotti

Traduzione dell’articolo Sistine Chapel of the ancients’ rock art discovered in remote Amazon forest, pubblicato su The Guardian, 29 novembre 2020. Foto di copertina: Marie-Claire Thomas/«Wild Blue Media»

Fawcett era arrivato alla conclusione che nell’Amazzonia brasiliana esistesse ancora un popolo antico altamente civilizzato e che quella civiltà fosse così raffinata e nello stesso tempo risalisse a un’epoca tanto remota da cambiare per sempre la visione del continente americano da parte dell’Occidente. Aveva battezzato il suo mondo perduto «la Città di Z».

— David Grann, The Lost City of Z

Una delle più grandi collezioni al mondo di arte rupestre preistorica è stata scoperta nella foresta pluviale amazzonica. In quella che è già stata ribattezzata «la Cappella Sistina degli antichi», in Colombia, gli archeologi hanno ritrovato decine di migliaia di dipinti di esseri umani e animali risalenti all’ultima Glaciazione, su pareti rocciose che si estendono per quasi otto miglia (circa 13 km, ndT). La loro datazione si basa in parte sulle raffigurazioni di animali dell’era glaciale ormai estinti, come il mastodonte, un parente preistorico dell’elefante che si è estinto in Sud America almeno 12.000 anni fa. Ci sono anche immagini del paleolama, un camelide estinto, oltre a bradipi giganti e cavalli dell’era glaciale.

Questi animali sono stati tutti visti e dipinti da quelli che forse sono alcuni dei primi esseri umani ad aver abitato l’Amazzonia (recenti studi accademici, tuttavia, hanno retrodatato l’occupazione antropica delle Americhe a 30-35 mila anni fa, ndT). Tale è la vastità dei dipinti che impiegheranno generazioni per studiarli. Queste rappresentazioni rupestri ci consentono di gettare uno sguardo su quella che ad oggi si presenta come una delle più antiche civiltà conosciute, una vera e propria «Civiltà perduta» (viene automatico pensare alle ipotesi del colonnello Percy H. Fawcett, scomparso durante una spedizione nel Mato Grosso nel 1925, che alla luce di questa recente scoperta tornano a imporsi al giudizio dei potentati accademici che al tempo lo avevano tanto deriso per le sue supposizioni, ndT).

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La scoperta risale all’anno scorso, ma è stata tenuta segreta fino ad ora per dare l’esclusiva a una delle principali serie di «Channel 4» che verrà proiettata a dicembre: Jungle Mystery: Lost Kingdoms of the Amazon. Il sito si trova nella Serranía de la Lindosa, vicino al parco nazionale di Chiribiquete dove pure sono stati trovati negli anni passati altri petroglifi antichi. La presentatrice del documentario, Ella Al-Shamahi, archeologa ed esploratrice, ha detto all’«Observer» che «Il nuovo sito è così nuovo che non gli hanno ancora dato un nome», e ha parlato dell’emozione di vedere immagini «mozzafiato» create migliaia di anni fa.

Foto: Ella Al-Shamahi

La scoperta è stata fatta da un team britannico-colombiano, finanziato dall’European Research Council. Il suo leader è José Iriarte, professore di archeologia all’Università di Exeter e uno dei massimi esperti di storia dell’Amazzonia e precolombiana. Egli ha dichiarato:

Stiamo parlando di diverse decine di migliaia di dipinti. Ci vorranno generazioni solo per registrarli tutti. Ci sono anche animali che sono estinti (dall’ultima era glaciale, ndT). Le immagini sono così naturali e così ben fatte che ci sono pochi dubbi, per esempio, che tu stia guardando un cavallo. È così dettagliato che possiamo persino vedere i crini. È estremamente affascinante.

Al-Shamahi ha aggiunto:

Una delle cose più affascinanti è stata vedere la megafauna dell’era glaciale perché è un segno del tempo. Non credo che le persone si rendano conto che l’Amazzonia è cambiata nel corso delle ere. Non è sempre stata la foresta pluviale che vediamo oggi. Quando guardi un cavallo o un mastodonte in questi dipinti, ovviamente capisci che non avrebbero potuto vivere in una foresta come quella che vediamo oggi. Sono troppo grandi. In questo modo, questi disegni non solo ci stanno dando indizi su quando furono dipinti — che già di per sé è semplicemente sbalorditivo — ma ci stanno anche dando indizi su come poteva essere quest’area geografica: più simile a una savana che alla foresta pluviale che vediamo oggi.

Il sito è così remoto che per raggiungerlo servono due ore in macchina da San José del Guaviare e circa quattro ore a piedi. Gli archeologi e i cineasti di «Channel 4» hanno calcolato il percorso da percorrere cercando di evitare gli abitanti più pericolosi della regione, i caimani. «Sono ovunque, e siamo stati attenti anche ai serpenti», ha dichiarato Al-Shamahi. «(Qui si trova) il serpente più mortale delle Americhe, con un tasso di mortalità dell’80%».

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Ma i rischi non vengono dalla sola wildersness. Come nota il documentario, la Colombia è una terra lacerata da 50 anni di guerra civile tra i guerriglieri delle Farc e il governo colombiano. Ora è in atto una tregua difficile. Il territorio dove sono stati scoperti i dipinti era fino a poco tempo fa completamente interdetto e richiede ancora oggi un’attenta negoziazione per accedere in sicurezza. Al-Shamahi ha assicurato:

L’esplorazione non è finita. Le scoperte non sono finite qui, altre ci aspettano in luoghi inaccessibili e ostili.

Foto: Francisco Forero Bonell/«Ecoplanet»

I dipinti variano nelle dimensioni. Ci sono numerose impronte di mani e molte delle immagini sono su quella scala, siano esse forme geometriche, animali o umani. Altri sono molto più grandi. Al-Shamahi è rimasto colpita da quanto in alto siano molti di queste opere d’arte: «Sono alta 1 metro e 78 e mi viene il torcicollo solo a guardarli dal basso. Come fecero a scalare queste pareti rocciose (per dipingerli, ndT)?». Alcuni dei dipinti sono posti così in alto che possono essere visualizzati solo grazie ai droni. Iriarte crede che la risposta stia nelle raffigurazioni di torri di legno tra i dipinti, comprese figure che sembrano saltare da esse, e ha aggiunto:

Questi dipinti hanno un colore terracotta rossastro. Abbiamo anche trovato pezzi di ocra che hanno raschiato per realizzarli.

Le immagini includono pesci, tartarughe, lucertole e uccelli, oltre a persone che ballano e si tengono per mano, tra le altre scene. Una figura indossa una maschera che ricorda un uccello con un becco (una rappresentazione mitica, quella dell’Uomo-Uccello dotato di poteri “magici” connessi alle antiche pratiche sciamaniche, che si ritrova anche in Perù, per es. nella cultura Chimù, e sull’isola di Pasqua, ndT). Speculando se i dipinti avessero uno scopo sacro o altro, Iriarte ha fatto notare:

È interessante vedere che molti di questi grandi animali appaiono circondati da piccoli uomini con le braccia alzate, quasi nell’atto di venerare questi animali.

Osservando che le immagini includono alberi e piante allucinogene, ha aggiunto:

Per gli indios amazzonici, anche soggetti non-umani come animali e piante hanno un’anima e comunicano e interagiscono con le persone in modi cooperativi o ostili attraverso i rituali e le pratiche sciamaniche che vediamo rappresentate nell’arte rupestre.

Iriarte sospetta che ci siano molti altri dipinti che aspettano di essere trovati dal suo team: «Abbiamo solo scalfito la superficie». La squadra tornerà al lavoro non appena le misure anti-Covid-19 lo consentiranno.

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Foto: Marie-Claire Thomas/«Wild Blue Media»

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