La dea celtica Belisama e Milano

Indagine sul culto precristiano, a Milano e nell’area lombarda pedemontana, della dea celtica Belisama.

di Elena Paredi

revisione: marco maculotti

L’inquadramento dell’Acqua come principio primo e fonte originale, per le antiche popolazioni europee la cui sopravvivenza derivava dai suoi benefici, viene espressa tramite la consacrazione delle fonti dei principali fiumi dell’antica Europa: lì sorgeranno i santuari della dea celtica della fertilità. Evocata dalla toponimia celtica, questa consacrazione è stata ricavata da un grandissimo numero di offerte votive – statuette, metalli preziosi, armi e oggetti domestici – scoperti un po’ ovunque in Europa lungo i corsi d’acqua e presso i santuari situati alle loro sorgenti.

Il fiume o il corso d’acqua rappresenta un’espressione mobile della dea (la “Madre Terra” essendo la sua espressione statica), che con la sua presenza rende le acque sacre. È la combinazione particolare delle diverse proprietà minerali, vegetali e volativi che emanano certe sorgenti in certe ore del giorno e della fase lunare che ne crea i poteri rigeneratori e guaritivi. Ogni luogo sacro ha il suo spirito guardiano che veglia si di lui, osserva i riti che ivi avvengono e si può materializzare sotto forma di canto, di uccello, di pesce, in onore della dea. A volte la dea appare come essere onirico, come “fata” o “strega”, in funzione delle circostanze o delle predisposizioni del visitatore o dell’intruso.

Questi luoghi rappresentano il grembo della Madre Terra invocata sotto nomi e aspetti differenti. Esistono numerose iscrizioni galliche (Gallia Transalpina e Cisalpina; iscrizioni leponzie), indirizzate a Gwena, Belisama (antichi nomi della dea), Brida, Brii, Bria (divenuta poi Brighit), la Madre rappresentata sotto forma di triade – modello che spesso viene richiamato nell’arte e nella letteratura celtica – assieme al suo bambino mentre sorregge un cesto di frutta (simbolo di fertilità ed abbondanza). Un’altra rappresentazione popolare è quella della dea Epona, abitualmente a cavallo (e lei stessa “dea equina”) e a volte accompagnata da un rapace.

La Luna, con la sua influenza sulle maree e sui cicli mestruali, riassume in sé un insieme universale di simboli: presiede ai riti notturni legati ai canti degli animali, come il serpente e il lupo. La mitologia celtica la identifica con la triplice dea che presiede le nascite e i “passaggi” di questo mondo, e quindi governa la vita e la morte: triade delle giovani, delle spose e delle donne anziane; Morrigan, Macha, Badh, Arianrhodd, Sequana. Gli antichi Celti, la cui teologia è scomparsa assieme alle loro tradizioni orali, hanno lasciato delle statue anonime a due o tre teste. Nel Nord Italia abbiamo numerosi reperti e testimonianze di tali divinità che in alcuni casi assumono anche vesti solari.


Il culto di Belisama nella zona submontana lombarda

A Milano sono state di recente scoperte statuette votive e bassorilievi di Belisama, divinità lunisolare, che reca accanto a sé una scrofa semi lanuta, zoofania delle sue peculiarità: dono della guida oltre il mondo visibile, per individuare il nemeton per costruire il santuario. La chiesetta di S. Calimero, come quella di S. Calogero, in via Quadronno, erano “votate” alla dea Belisama. La leggenda milanese vuole che questa divinità fosse venerata durante la festività di Beltaine, che cadeva il 1° maggio.

Altra importante testimonianza del culto della triplice divinità celtica la ritroviamo nel nome della terra di Brianza. La Brianza deve il suo nome all’antico termine celtico Brià, connesso dalla divinità più importante femminile del pantheon celtico ovvero Bri, Bride, Brighitt, Briganzia, nota in area alpina con il nome di Belisama.

La zona submontana lombarda ha visto il suo splendore durante il periodo della civiltà di Golasecca, retrodatata recentemente da approfonditi studi attorno al 1.300 a.C. Presso gli antichi Celti, i templi e le cappelle votive venivano edificati secondo un principio analogico-simbolico, che riporta le coordinate celesti in terra seguendo la simbologia lunare con le sue 28 dimore. Como diventa il centro della civiltà di Golasecca, che si estende dalla sponda orientale del Ticino ed arriva fino al lago di Oggiono, vicino a Lecco.

Alcuni reperti antichi di tale civiltà si sono ritrovati attorno alla città di Como, nei dintorni del lago Alserio, nella pianura di Erba ed in tutta la zona submontana del Triangolo Lariano. Una delle singolarità che salta subito all’occhio è data dalle chiesette di pochi metri quadri sparsi per tutto il territorio sub-montano, tutte dedicate a S. Pietro: la fondazione per la maggior parte di queste risale ai Longobardi. Tale dedica si può forse riferire per analogia alla Pietra alchemica, e le chiese così disposte formano la “mezzaluna fertile” che rappresenta la divinità Brighidh incarnata nella dimensione terrena, nella ierotopografia dei Celti.

A titolo di esempio possiamo menzionare: la chiesa a Gemonio, fondata da Liutprando nel VIII secolo; S. Pietro di Albese in località Cassano, fondata nel 1000 d.C.; S. Pietro al Monte a Civate, fondata da Desiderio e risalente al 706; Agliate vicino a Galliano, celebre per la sua cripta ad oratorio, la cui costruzione risale alla fine del X secolo; la chiesa di Gallarate, nel centro, risalente all’anno 1000. Si noti, comunque, che tutte queste chiesette furono costruite sopra templi antecedenti, e più precisamente nemeton, risalenti appunto all’età della civiltà di Golasecca, tutti consacrati alla divinità Belisama.

Se si uniscono i punti di queste chiesette si ottiene la figura della mezzaluna. Tale mezzaluna è crescente, chiara simbologia ermetica del mezzo necessario alla palingenesi umana, quale può essere il cervello, nella sua fase di crescita, verso la condizione di Luna Piena. La Pietra alchemica, quindi, simbolo anche della Acque primordiali. Le Acque primordiali sono identificate in tutti quei laghetti che si incontrano nell’arco di questa mezzaluna: il lago di Varese, di Alserio, di Segrino, di Oggiono, di Annone ed altri ancora.

Scrofa semilanuta sacra a Belisama, Milano.

Belisama e Minerva

Il nome di Belisama può essere interpretato come formato dal celtico belo (“chiaro”, “splendente”) e samo (“estate”), ossia letteralmente “l’Estate Splendente”. Nella mitologia gallica è consorte e paredra del dio Belenos, doppio funzionale del Lugh venerato da altre tribù di ecumene celtica, continentali come insulari (Irlanda).

Nel panorama celtico Belisama (o Bēlēsama) fu una dea venerata unicamente in Gallia Cisalpina e in Gran Bretagna. Era collegata a laghi e fiumi, al fuoco e alla luce, e all’artigianato. Nondimeno, la sua equazione avanzata dall’interpretatio romana con la dea Minerva e il fatto che venga spesso rappresentata con dei serpenti fra le mani sta ad indicare che era anche una dea della saggezza e della guarigione. Per quanto riguarda il fuoco e l’artigianato, forse in una delle sue forme era considerata anche dea della fucina.

In una iscrizione di epoca romana, Belisama era associata alla dea Minerva:

“MINERVAE BELISSIMAE SACRUM”

cioè “sacro a Belisama Minerva”

Questa iscrizione è stata rinvenuta a Vaison-la-Romaine (Francia) e indica chiaramente che in questo luogo era ubicato un nemeton in onore di Belisama. In un’altra iscrizione celtica in alfabeto greco si legge:

“Segomaros Ouilloneos tooutious Namausatis eiōrou Bēlēsami Sosin Nemeton”

ovvero: “Segomarus Uilloneos, cittadino [toutius] di Namausus, dedica questo santuario [Nemeton] a Belesama.”

Un nemeton era uno spazio sacro utilizzato dalle antiche popolazioni celtiche per lo svolgimento dei propri riti sacri, legati al cerchio dell’anno. I nemeta sembrano essere stati principalmente situati in aree naturali come i boschi. Tuttavia, altre prove suggeriscono che la parola implica una più ampia varietà di spazi rituali, come i santuari e templi edificati in pietra. Ne sono una prova le numerose iscrizioni e la toponomastica locale, che si ricollegano al mondo celtico. Toponimi relativi al nemeton si hanno a ovest in Galizia, in Spagna, a nord fino in Scozia, e nelle nostre terre insubri. La parola sembra altresì risalire al nome dei Nemetes, tribù stanziata nell’attuale Germania, e alla loro dea Nemetona.

Santa Maria Maggiore, Milano

Belisama, protettrice di Milano

Secondo un’antica leggenda, nei sotterranei del Duomo di Milano esiste ancora oggi un lago segreto protetto da un cerchio di colonne che recano incisioni magiche e l’effigie della dea celtica Belisama mentre allatta suo figlio. La dea celtica rappresenta la Dea Madre nell’atto di generare il Sole: acqua e fuoco che assieme formano la “Pietra Filosofale” degli alchimisti.

Due dee, una sulla cima più alta del Duomo, aurea, la Madonnina, che rappresenta il Sole di Primavera, la rinascita, e l’altra, quella nascosta, sotterranea, che rappresenta le forze telluriche e che risiede nel cuore profondo della città di Milano. Questo luogo segreto non è poi così lontano dai nostri occhi: si trova presso la basilica di Santa Tecla.

E non è tutto. A Milano vi sono altri luoghi sacri dove le forze benefiche della terra agiscono sull’acqua: uno di questi è il pozzo della chiesa di S. Calimero (vicino a Porta Romana), edificata nel V sec. su quello che restava del tempio più antico degli Insubri dedicato a Belenos, il dio celtico del Sole.

Un altro è la chiesa di S. Calogero (a destra di corso Genova), edificata sui resti del tempio dedicato a Giove, che racchiude una fonte considerata dai vecchi milanesi “miracolosa”. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce i resti di un dolmen, pietre megalitiche che ancora ai giorni nostri si possono ammirare sulla fiancata della chiesa.

Il terzo luogo sacro è rappresentato dalla chiesa di Santa Maria alla Fontana che trae il suo nome dalla presenza di una fonte che sgorga da una pietra di origine pre-romana che reca undici incisioni. Questa pietra si trova due metri e venti sottoterra, incastonata nel mezzo di un suolo quadrato. L’acqua proviene da un’ampolla sorgiva.

Non ultima la chiesa di S. Giovanni in Conca (in piazza Missori) con i suoi pilastri che recano dei bassorilievi rappresentanti la ruota solare, anche chiamata “rosa dei venti”, uno dei simboli celtici solari più importanti. In questa chiesa una volta era conservato un “calderone magico” che oggi purtroppo è scomparso.

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