“Fossil Legend”: i fossili e la geomitologia dei primordi del Nord America

I fossili hanno ispirato una grande mole di miti nel corso della storia, soprattutto tra i popoli nativi del Nord America. Oggi queste narrazioni sono l’oggetto di studio della geomitologia, scienza che getta un nuovo sguardo sulla concezione del cosmo dei popoli antichi.

di Francesco Cerofolini

Sin dai tempi più remoti i fossili hanno esercitato un irresistibile fascino sulle menti degli uomini. Che fossero gigantesche ossa pietrificate o antiche conchiglie trovate sulla sommità di montagne, queste bizzarrie della natura per secoli hanno accesso l’immaginazione dei nostri antenati che, cercando di farsi una ragione della loro esistenza con le limitate conoscenze di cui disponevano, hanno dato vita a una moltitudine di miti a proposito. Per gli antichi Greci le grandi ossa di mammifero risalenti all’era Terziaria che sono state rinvenute un po’ in tutto il Mediterraneo erano la testimonianza della Gigantomachia. 

I viaggiatori greci che giunsero fino alla catena del Siwalik nei pressi dell’Himalaya raccontavano di bizzarri crani di draghi esibiti nei templi locali, nella stessa regione dove nel XIX secolo saranno rinvenuti ricchi giacimenti di fossili di giraffidi. Nell’antica Cina si raccoglievano le “ossa di drago”, ossa fossili di dinosauro ricercate per i loro poteri curativi.

Tutte queste storie vengono oggi catalogate come fossil legends e sono uno degli oggetti di studio della geomitologia, quella branca degli studi sul folklore che si occupa della memoria mitica e leggendaria degli eventi geologici e della loro interpretazione da parte delle culture prescientifiche. La definizione precisa di fossil legends ci viene data dalla folklorista Adrienne Mayor, una delle maggiori studiose della materia:

Definisco una fossil legend una storia o una credenza che mette in relazione straordinarie creature del mito e della leggenda con osservazioni di resti mineralizzati di animali estinti, oppure tentativi di spiegare tracce di specie preistoriche, inclusi animali marini o piante fossili, e le ossa, i denti, gli artigli, le tane, i nidi, le uova e le impronte di animali estinti.”

La Mayor ha dedicato molti anni allo studio di questo campo e nel 2000 ha pubblicato il pionieristico saggio The First Fossil Hunters, in cui analizza le credenze legate ai fossili in voga nel mondo classico. La tesi del libro è che ben lungi da essere liquidati come curiosità, i fossili avrebbero influenzato la visione del mondo e della storia dei Greci e dei Romani e nel volume vengono riportati numerosi esempi a sostegno di questa tesi.

Nel 2004 la Mayor ha pubblicato Fossil Legends of the First Americans, un corposo saggio dedicato al folklore dei fossili dei nativi americani. L’argomento è degno di attenzione per almeno due matovi. Il primo è che gran parte degli scavi degli albori della paleontologia americana, come le famigerate “guerre delle ossa” tra i paleontologi Edward D. Cope e Othniel C. Marsh si svolsero nei territori dei nativi e spesso i paleontologi dovettero affidarsi alle guide delle varie tribù per scovare i giacimenti fossiliferi. Il secondo motivo è che le tradizioni fokloriche native legate ai fossili sono state per decenni bistrattate, non studiate né preservate a dovere. Sia a causa delle violenza della colonizzazione, sia a causa dell’evanescenza propria delle culture orali ci sono arrivati solo frammenti di questo nutritissimo corpus mitico. Anche la paleontologia non ha dimostrato molta attenzione a riguardo, spesso minimizzando il valore delle osservazioni fatte dai nativi, come faceva George Gaylord Simpson, uno dei padri della paleontologia americana con queste parole:

Gli uomini che passano la loro vita all’aperto hanno un gran bagaglio di conoscenze oggettive, ma la loro comprensione di qualsiasi interpretazione di questi fatti è di solito ridicolmente scarsa.”

Le parole di Simpson potevano forse essere dettate da un malcelato eurocentrismo ma lo erano anche dalla volontà di separare nettamente la paleontologia, all’epoca ancora una scienza giovane, da qualsiasi contaminazione mitica o leggendaria. Su questo argomento, il saggio della Mayor è un unicum, che probabilmente ha salvato molti miti e tradizioni dallo sparire per sempre. In questo articolo passeremo in rassegna varie fossil legends appartenenti a diverse popolazioni native del Nord America.


I miti della creazione Zuni

La tribù degli Zuni ha abitato nel villaggio di Zuni Pueblo in Nuovo Messico per millenni e la loro mitologia è stata notevolmente influenzata dal loro territorio punteggiato di canyon e montagne vulcaniche. Nel 1891 l’etnologo Frank Cushing raccolse i loro miti della creazione. Analogamente ad altri popoli del Nuovo Mondo come gli Aztechi, gli Zuni credevano che il nostro mondo fosse solo l’ultimo di una serie di mondi popolati dai più svariati esseri che erano stati di volta in volta distrutti. La leggenda racconta che la giovane terra era sommersa dalle acque e scossa dai terremoti, oltre ad essere dominata da giganteschi mostri. Vi era anche una razza di proto-umani dotati di pelle umida, piedi palmati e code, i quali vivevano nell’oscurità della loro isola di fango, cadendo spesso preda dei mostri.

I Due Gemelli del Sole decisero che il mondo doveva essere prosciugato e solidificato prima che i mostri divorassero tutti gli uomini, così brandendo uno scudo e un arco magico i due Gemelli innescarono una conflagrazione cosmica. Il fuoco investì la terra, asciugando il suolo e indurendolo con il suo calore. Gli umani emersero dalle tenebre e iniziarono la loro vita in superficie. Purtroppo i mostri si erano moltiplicati e minacciavano la neonata umanità, così i Due Gemelli iniziarono a fulminare uno ad uno i mostri con il fulmine, tramutandoli in pietra. Come raccontò a Cushing una delle sue fonti tra i nativi “capita che che rinveniamo qua e la, in giro per il mondo, le loro forme, talvolta grandi come le bestie stesse, talvolta avvizzite e distorte. E spesso vediamo tra le rocce le forme di molti esseri che non vivono più. […] Ciò ci mostra che tutto era differente nei giorni in cui la terra era giovane”. Cushing non poteva all’epoca collegare i racconti di esseri primordiali pietrificati ai fossili di dinosauro di cui il territorio degli Zuni è ricco poiché i primi ritrovamenti avvennero solo negli anni Trenta.

Il paleontologo Douglas Wolfe, interpellato dalla Mayor, non ha invece dubbi sul collegamento tra fossili e miti della creazione Zuni: Non posso credere che alcune di queste ossa di dinosauro non vennero identificate come «bestie pietrificate» dagli Zuni”. Il paleontologo fa anche notare come il mito riveli un’idea sofisticata del tempo, dei mutamenti dell’ambiente e dell’evoluzione, essendo uno dei pochi miti a immaginare che gli uomini si siano evoluti da forme più semplici: È tutto qui in un unico elegante mito: evoluzione, estinzione, cambiamento climatico, tempo profondo, geologia e fossili”. Nel corso dei decenni nelle terre degli Zuni sono stati rinvenuti resti di dinosauri teropodi, adrosauri e una nuova specie di dinosauro ceratopside che è stata battezzata Zuniceratops, oltre a alberi e piante fossilizzate. Novanta milioni di anni fa il territorio Zuni era costituito dalle coste del mare interno che attraversava il Nord America in cui dimoravano coccodrilli preistorici, squali giganti e i possenti rettili marini conosciuti come mosasauri, un ambiente, fa notare Wolfe, non dissimile da quello immaginato nei miti Zuni.

In virtù di questi miti gli Zuni erano soliti collezionare fossili a mo di feticci. Secondo la leggenda i mostri pietrificati erano stati trasformati per volontà dei Due Gemelli in We-ma-we, feticci a cui era stata data la missione di aiutare gli uomini invece di nuocergli. Oggigiorno gli Zuni utilizzano piccole figurine intagliate ma nel passato i feticci più ambiti erano proprio i fossili, in cui si pensava si celasse sopito lo spirito del mostro pietrificato. Un esempio sono i fossili di belemnite, un mollusco il cui guscio ricorda un proiettile, abbondanti negli strati geologici del Giurassico e del Cretaceo. Gli Zuni credevano si trattasse dei denti dei mostri primordiali, li chiamavano Shom-i-ta-k’ia ed erano affidate ai guerrieri per proteggersi dalle frecce in battaglia.


I fossili e la concezione del tempo dei Navajo

Come gli Zuni anche i Navajo interpretano i fossili come resti pietrificati di mostri primordiali, ma mentre i primi vedono in essi oggetti potenzialmente benefici, i secondi cercano in ogni modo possibile di starne alla larga. Nelle memorie dei paleontologi si trovano molti episodi in cui i loro aiutanti Navajo hanno manifestato grande timore quando non apertamente terrore nei confronti delle ossa fossili. Un resoconto risalente agli anni Trenta racconta come durante la costruzione di una diga furono rinvenute enormi ossa e come i lavoratori Navajo si rifiutarono di proseguire gli scavi, mormorando la parola Chindee” ovvero fantasma. Nello stesso periodo il geologo Baylor Brooks scoprì che i Navajo identificavano i resti dei dinosauri e dei fossili marini come le ossa di Yeitso, un mostro mitologico e di come fosse convinzione diffusa che il suo fantasma infestasse ancora i depositi fossiliferi.

La mitologia Navajo, come quella Zuni, racconta di una serie di mondi che si sono succeduti, distrutti ciclicamente da catastrofi. Gli umani fuggivano da quei mondi in pericolo riparandosi in quelli successivi. Questi mondi erano dominati da mostri che vennero distrutti da due gemelli divini figli della dea Asdzaa Nádleehé. I mostri furono imprigionati nel suolo, e i loro resti mineralizzati sono lì a testimonianza di ciò. Gli spiriti di queste creature continuano ad esistere perciò vanno placati con appositi rituali e i loro resti non vanno disturbati. È proprio l’idea che queste creature possano trascendere i limiti dello spazio e del tempo alla base del timore che i Navajo nutrono verso i fossili.

Ancora oggi i Navajo sono reticenti a parlare di questi argomenti con gli stranieri, tuttavia Adrienne Mayor è riuscita ad intervistare il leader spirituale Dineh Harry Manygoats. Nel suo libro la Mayor riassume la conversazione con Manygoats che illustra l’affascinante concezione dello spazio e del tempo propria dei nativi, le loro idee sulla cosmologia, il passato, il presente e il futuro del nostro mondo:

“La nostra era presente è la quarta, il mondo bianco – o «luccicante». È stato preceduto dal terzo mondo, il mondo giallo; dal secondo, il mondo blu; e dal primo, il mondo nero (o rosso). Coloro che «interpretano esotericamente le storie e cercano i segni» hanno notato nel corso del secolo passato crescenti indizi di una «corruzione globale dell’ambiente», che segnalano che la catastrofe globale ci sta già conducendo nel quinto mondo. Tutto, dall’universo al neutrino, è «vivo – nulla è inorganico o senza vita». Ogni era fu caratterizzata da forme di vita proprie di quel particolare «spazio/tempo» (Manygoats ha spiegato che i Dineh concettualizzano lo spazio e il tempo «come uno»). Nel primo mondo, ad esempio, la vita era microscopica, senza forma ad eccezione delle «energie». I mostri, i dinosauri, e altri esseri giganti sono esistiti nel mondo giallo (il terzo) insieme alle piccole formiche. […] Le formiche, immutate da quell’era vivono ancora nel nostro mondo e viaggiano tra gli strati della terra e dello spazio/tempo.”

Manygoats ha spiegato alla Mayor che per i nativi non è buona cosa interferire con i resti di animali morti molto tempo fa. Le vite e le azioni passate non scompaiono mai del tutto, poiché il tempo stesso è vivente e in continuo mutamento. 

Le cose del passato mantengono una sorta di pseudo-vita, un immagine residua, una forma spettrale o un eco che non cambia mai. E quasi come se il tempo fosse un’energia che fluisce attraverso le cose. Per esempio, ha commentato Manygoats, resti della nostra conversazione persisteranno in una qualche forma in questa stanza nel futuro. E poiché nulla nel mondo è inanimato e tutto è interconnesso, disturbare qualcosa che fu fisicamente seppellito nel lontano passato, e portarlo nel presente disfa la densa rete del tempo — in effetti, distrugge le barriere del tempo — e avrà conseguenze indesiderabili.”

Lo stesso ragionamento si può estendere anche ai combustibili fossili estratti dal sottosuolo, e in ciò la mitologia Navajo suona sinistramente profetica. Così come gli uomini dissotterrano il carbone rimasto a lungo sepolto, estraendo quelle che una volta erano piante viventi da quello che era il loro contesto, inquinando l’atmosfera, questo viola l’equilibrio naturale così come i paleontologi che rimuovono le ossa dal terreno”. Manygoats mette così in guardia i paleontologi: “Non posso dire loro cosa fare, devono accettare la responsabilità per questo pericolo”.

Rimuovere i fossili dalla loro matrice va contro la visione del mondo dei Navajo, poiché per loro queste creature sono in una sorta di animazione sospesa. Come spiega Manygoats:

Alcuni mostri del passato possono manifestarsi come «vita negativa» […] è davvero una cattiva idea riportare questa natura negativa in vita — poiché la storia potrebbe ripetersi”.


La leggenda della Grande Alce e della Grande Aquila

Una leggenda che è direttamente collegata all’osservazione di fossili è quella raccolta nel 1898 da Laforia, un cantastorie Apache Jicarilla. La storia narra che all’alba dei tempi animali e uccelli mostruosi dalle enormi dimensioni facevano strage di esseri umani. Un impavido giovane di nome Jonayaiyn decise di liberarsi di questi mostri una volta per tutte. Sorprese la Grande Alce a sud del territorio dei Jicarilla e la uccise. Dopo aver abbattuto il mostro prese le sue corna con l’intento di usarle come arma. Direttosi a ovest giunse ad una roccia inaccessibile dove dimorava la Grande Aquila. Improvvisamente l’uccello l’afferrò con i suoi artigli e lo gettò nel suo nido. Quando più tardi la Grande Aquila riapparve, il giovane lo colpì con le corna e lo uccise. Il cantastorie raccontò anche che a prova della storia l’ala del mostruoso uccello era ancora conservata a Taos nel Nuovo Messico. 

Che cosa poteva essere la reliquia di cui parlava il cantastorie? È stato ipotizzato che la figura della Grande Aquila sia stata ispirata dal rinvenimento di fossili di pterosauro, un rettile volante coevo dei dinosauri. Ma questi tipi di fossili non sono mai stati segnalati nel territorio Apache. È più probabile che questi racconti derivino da memorie ancestrali dei grandi rapaci che coesistettero con gli umani durante il Pleistocene come i grandi condor o i Teratornis

L’ala del mostro esibita a Taos potrebbe essere parte di un corpo mummificato di Teratornis. Non si tratta di un’evenienza rara in quella zona, dove sono stati rinvenuti nelle caverne uccelli mummificati di 12,500 anni fa, assieme ad ossa di altri animali preistorici. Esemplari eccezionalmente conservati di Teratornis merriani sono stati scoperti nelle caverne Dry Cave, Eddy County nel Nuovo Messico e altri ne sono stati trovati in California, Nevada, Oregon e Florida. È plausibile che questi ritrovamenti abbiano se non ispirato almeno funto come prova della leggenda della Grande Aquila.


I giganti annegati dei Pawnee

George Bird Grinnell fu un famoso etnologo vissuto a cavallo dell’Ottocento e del Novecento, conosciuto per i suoi studi della cultura dei Pawnee, popolazione tra cui visse per lungo tempo. Prima di intraprendere questi studi Grinnell si fece le ossa come paleontologo, cercando fossili in Nebraska, Kansas, Wyoming e Utah, un lungo apprendistato che lo portò a divenire l’assistente del famoso paleontologo Othniel Marsh e a lavorare con lui al Peabody Museum. Nel 1874 Marsh inviò Grinnell al seguito della spedizione militare guidata dal Generale George Custer nelle Black Hills. Qui, aiutato da guide native, Grinnell rinvenne un grande osso di dinosauro e due tartarughe giganti. Quella in cui Grinnell scavò era una zona ricca di fossili, conosciuta come la formazione Hell Creek, che nel secolo successivo sarebbe stata luogo di sensazionali ritrovamenti come quello dello scheletro di T. Rex soprannominato Sue, rinvenuto nel 1990. Nel 1876 Grinnell declinò l’offerta di seguire il Settimo Cavalleggeri del Generale Custer contro i Sioux. Una decisione lungimirante visto che quella spedizione ebbe una fine sanguinolenta nella sconfitta della battaglia di Little Big Horn.

Dopo aver ricevuto il suo dottorato in paleontologia Grinnell tornò nell’Ovest dove venne adottato dai Pawnee, acquisendo il nome di Lupo Bianco, e si dedicò a trascrivere i loro miti e le loro leggende. Gli anziani Pawne raccontarono a Grinnell come un tempo la terra fosse abitata da giganti. I primi uomini che hanno vissuto su questa terra erano Indiani molto grandi”. Questi giganti erano “molto grandi e molto forti ed erano soliti cacciare il bisonte a piedi. Erano così veloci e forti che un uomo poteva travolgere un bisonte, ed ucciderlo con una grande pietra, o una clava, o perfino con il suo coltello di selce”. Ma questi giganti non credevano in Tirawa, il Creatore. Pensando che nulla avrebbe potuto fermarli i giganti divennero sempre più tracotanti. Tirawa, irato da questa mancanza di fede, fece innalzare le acque e travolse col fango i giganti. “Questo grande popolo sprofondò nel fango e e fu annegato. Le grandi ossa trovate nella prateria sono le ossa di questa gente”. Gli anziani avevano visto le ossa nelle profondità dei canyon e si erano convinti che i giganti erano sprofondati nel fango. “Dopo la distruzione della razza dei giganti, Tirawa creò una nuova razza di uomini, piccola, come quella di oggi”.

Storie simili sono comuni a molte popolazioni del Nord America ma, come fa notare la Mayor, l’idea dei giganti affogati nel fango è peculiare dei Pawnee. Quest’immagine potrebbe essere stata ispirata dai resti di animali del Pleistocene che si trovano a centinaia presso le fonti termali come le Hot Springs Mammoth Site del Sud Dakota. Qui i paleontologi hanno scoperto segni nel terreno prodotti dagli animali preistorici nel tentativo di liberarsi dal fango che li stava inghiottendo.

Nonostante gli anziani Pawnee parlassero chiaramente di ossa giganti rinvenute nelle praterie, Grinnell non collegò mai questo mito alle ossa di dinosauro che egli stesso aveva studiato per anni. Come è stato possibile? Per lo storico Pawnee Roger Echo-Hawk, che ha studiato le carte di Grinnell, l’etnologo considerava questo materiale mitico come meri racconti immaginari creati da una cultura intellettualmente inferiore. Spiega Echo-Hawk, Grinnell “non dava molto credito alla letteratura orale come una memoria in grado di preservare conoscenze sofisticate sulla storia antica e sulla natura”, posizione che lo ha portato a rigettare a priori ogni relazione tra le storie dei Pawnee e i reperti paleontologici. Paradossalmente le storie raccolte da Grinnell sono l’ennesima dimostrazione della profonda conoscenza dei fossili da parte di queste popolazioni e di come la loro osservazione sia stata incorporata nei loro miti e nel loro folklore.


I mostri dei Cheyenne

La lotta primordiale tra due razze di mostri, i mostri acquatici (Water Monsters) e gli uccelli del tuono (Thunderbirds), è un motivo ricorrente nella mitologia dei nativi americani. Il già citato etnologo Grinnell raccolse molte storie in proposito durante il periodo in cui visse con i Cheyenne del Nebraska e del Kansas durante gli anni novanta del diciannovesimo secolo. L’idea di questa guerra primigenia fu ispirata ai nativi delle Grandi Pianure dalla grande quantità di fossili che si possono trovare in queste regioni, come quelli del grande rettile volante Pteranodon e i resti di rettili marini come mosasauri, plesiosauri e elasmosauri.

La mitologia Cheyenne, come ci racconta Grinnell, è ricca di molte tipologie di esseri mostruosi. Le leggende ci raccontando di diversi tipi di mostri acquatici che abitavano laghi, fiumi e sorgenti termali, incidentalmente proprio i luoghi in cui si rinvengono con maggiore facilità conchiglie e denti fossili ma anche i resti dei rettili marini del periodo Cretaceo. “I mostri acquatici”, riferisce Grinnell, “erano di vari tipi, e che fossero nocivi o no, erano allarmanti”. Si credeva che potessero ribaltare le canoe e ingoiare gli uomini. La credenza è talmente radicata che ancora oggi i Cheyenne più tradizionalisti si guardano bene dal passare la notte vicino a fiumi o laghi per paura di questi mostri.

Un tipo di mostro acquatico era il mihn, descritto come una grande lucertola, cosa che non ci può non rimandare di nuovo ai fossili dei grandi rettili preistorici. Altre leggende lo volevano dotato di uno o due grandi corna, una caratteristica forse derivata dall’osservazione delle zanne del mammut. A rimarcare la natura primordiale di questa creatura, Grinnell racconta che nessun Cheyenne ha mai riferito di averlo visto vivo.

Un altro tipo di mostro era conosciuto con il nome di ahke. Si diceva vivesse tanto in acqua quanto sulla terra ferma e i Cheyenne lo rappresentavano come una bestia quadrupede simile ad un gigantesco bisonte. In questo caso Grinnell fa una delle pochissime concessioni alla conoscenza dei fossili da parte dei nativi. Infatti ci informa che la parola ahk vuol dire “di pietra” o “pietrificato”. Connettendo questo mito ai fossili Grinnell racconta come “le grandi ossa fossili trovate lungo i torrenti o nella prateria si dice appartengano ad ahk”. Le ossa che hanno ispirato questa leggenda potrebbero essere quelle di grandi mastodonti o di rinoceronti preistorici come il Titanotheriums assai diffusi nel Nebraska occidentale e nel Sud Dakota o addirittura i resti fossili di dinosauri come il Tyrannosaurus e il Triceratops spesso rinvenuti nella Hell Creek Formation del Sud Dakota , del Montana orientale e nella Lance Creek Formation nel Wyoming.

Un’altra conferma di come i Cheyenne sapessero che la loro terra era stata abitata da creature gigantesche nel remoto passato ci viene dalle memorie di John Stands in Timber, uno Cheyenne nato nel 1884. Da bambino John ascoltava le storie sulla creazione e sui primi Cheyenne raccontate da due anziane donne, White Necklace e Yellow Haired Woman. Le anziane raccontarono al giovane John che i primi Cheyenne cacciavano animali giganti e che dovevano sfuggire a grandi e feroci predatori. Altri anziani indicavano gli alti rami dei pioppi per dare un’idea ai giovani delle dimensioni delle creature del lontano passato.

I medicine men Cheyenne raccoglievano le grandi ossa pietrificate per ridurle in polvere e una volta unite a particolari pigmenti, usarle per creare pitture di guerra che si credevano dotate di poteri protettivi. Grinnell racconta come uno stregone Cheyenne noto come White Bull usasse pietre di diversi colori, terra nera e gialla, carbone e “ossa pietrificate di grandi animali ridotte in polvere” miste ad argilla per creare una speciale pittura che avrebbe protetto il famoso guerriero Roman Nose dai fulmini e dalle armi del nemico.

Del resto i nativi dell’ovest si saranno sicuramente imbattuti in ossa fossili mentre cercavano i pigmenti per i loro usi rituali. Ad esempio nella Chinle Formation e nel Deserto Dipinto dell’Arizona i depositi di ocra rossa sono ricchi fossili marini e di dinosauri risalenti al Triassico. White Bull raccoglieva anche piccoli fossili come le Baculiti, fossili di piccoli cefalopodi risalenti al Createaceo. I Cheyenne utilizzavano questi fossili, che ritenevano dotati di poteri speciali, per svelare la posizione del nemico o causare la pioggia in modo da far sparire le proprie tracce in un territorio ostile.

White Bull possedeva un amuleto costituito da una baculite avvolta in perline e in code di ermellino. Quando abbandonò la vita da guerriero, racconta Grinnell, si rivolse al suo amuleto fossile “dicendogli che adesso aveva smesso di combattere e uccidere persone, e da adesso in poi la pietra avrebbe dovuto vivere al meglio che poteva e che lui non sarebbe mai più andato in guerra. Poi la mise via dentro la sua casa”.


La grande guerra tra Water Monsters e Thunderbirds

Anche le tribù delle Alte Pianure avevano le loro versioni dello scontro primordiale tra Water Monsters e Thunderbirds. Secondo il mito della creazione Sioux il mondo prima degli umani era abitato da insetti e rettili sotto il dominio di Unkethi, il mostro acquatico. C’erano rettili dei tipi più svariati, da quelli corazzati a quelli senza arti, ma queste creature crebbero fino a raggiungere dimensioni spropositate e iniziarono a divorare tutti gli esseri viventi. Nella prima delle quattro ere — l’era della Roccia — i Water Monsters furono pietrificati dai fulmini dei Thunderbirds accorsi per ristabilire l’equilibri della natura e i loro resti furono sepolti nel terreno. 

Le leggende su questi esseri mitici sembrano essere sempre state legate a doppio filo ai ritrovamenti di fossili. Il più antico riferimento alle leggende su Unkethi si trova nelle memorie di un francescano francese, Padre Hennepin che venne catturato dai Dakota Sioux nel 1680. Hennepin potè vedere i Dakota fare offerte alle St. Anthony Falls, delle cascate situate sul fiume Mississipi alla “grande divinità chiamata Oanktayhee”, uno dei tanti nomi di Unkthei, che si diceva vivesse dentro la cascata e si manifestasse come un gigantesco bisonte. Nel 1874, duecento anni dopo il resoconto di Padre Hennepin, in quelle stesse cascate furono rinvenute ossa e zanne di mammut.

Nel 1834, ai due fratelli missionari Samuel e Gideon Pond, i quali erano intenti a mettere per iscritto le credenze dei Dakota in Minnesota, furono mostrate grandi ossa che si diceva fossero di Unkteri. I due Pond le identificarono come ossa di mammut, decisamente più grandi di qualsiasi animale mai incontrato vivo dai Sioux. Poiché la bestia non era mai stata vista nella terra ferma Samuel Pond scrisse che poiché le loro ossa erano spesso trovate in luoghi umidi, i Dakota avevano concluso che Unkteri doveva vivere in acqua.

Nel Minnesota le ossa di mastodonte erano molto ambite per le loro proprietà magiche. Pond paragona l’importanza che gli veniva data a quella riservata alle reliquie dei santi cattolici. Un’irresistibile “influenza wakan” si pensava emanasse dalle ossa di Unktehi. Il concetto di wakan è simile al concetto che altre tribù hanno di manitou: indica tutto ciò che è misterioso e incomprensibile e quindi molto potente.

Nel 1859 Edward Neill della Minnesota Historical Society descrisse una cerimonia di iniziazione Sioux in cui un sacerdote masticò un pezzo di ossa di Oanktayhee, patrono dei medicine men”. Vicino a Fort Snelling sul fiume Minnesota, i nativi raccontavano di un tumulo che conteneva le ossa di Unktehi, mentre un uomo Dakota raccontò a Samuel Pond come aveva scoperto le ossa di Unktehi in un lago nei pressi di Shakopee e di come avesse tentato di caricarle sulla sua canoa senza successo.

Henry Rowe Schoolcraft, geologo e agente indiano che aveva sposato una donna Ojibwe scriveva nei primi anni dell’Ottocento che “le ossa fossili di Mastodonte, che sono spesso rinvenute dai Dakota, sono credute con sicurezza essere le ossa di Onktery”. Queste ossa “sono stimate universalmente per lo loro qualità di wakan, vengono usate con portentosi effetti come medicine curative”. Schoolcraft nei suoi testi sui nativi scrive che i nativi immaginavano Unktehi come una specie di gigantesco bue i cui corni si estendevano fino al cielo e i cui movimenti del corpo potevano produrre alluvioni.

Come si evince da queste testimonianze i Sioux visualizzavano Unktehi come un grande mammifero acquatico modellato sui mammut risalenti al Pleistocene. Ma quando i Sioux si spinsero verso ovest lungo il fiume Missouri fino nelle badlands si imbatterono nei fossili dei dinosauri e dei grandi rettili marini e così la loro idea dei Water Monsters iniziò a cambiare. Nell’ovest la figura di Unktehi possedeva ancora grandi corna ma adesso era rappresentato come un gigantesco rettile o serpente con le zampe. A partire dagli anni Novanta dell’Ottocento Unktehi veniva descritto dai medicine men Lakota “fatto come un gigantesco serpente squamoso con i piedi”, un’immagine che non può che rimandare ai sinuosi e serpentini scheletri di mosasauro che si trovano nelle Badlands. L’identificazione dei Water Monsters con i dinosauri è diventata totale nel XX secolo. Ad esempio lo storico Lakota James LaPointe mettendo per iscritto le leggende del suo popolo nel 1976 identifica “l’Unkche Ghila, il grande animale che nessun uomo ha mai visto vivo” come un dinosauro.

Per quanto riguarda i nemici di Unktehi, i Thunderbirds, il cui nome per i Lakota è Wakinyan, i nativi ne distinguevano quattro tipi. Tutti i Thunderbirds erano di dimensioni enormi ma uno era nero con un becco dentato molto lungo e artigli enormi. Il secondo tipo era giallo con solo sei piume su ogni ala. Il terzo era scarlatto con grandi ali e il quarto era blu o bianco e di forma amorfa. Tutti avevano come arma le saette in grado di “distruggere la vita e frantumare le querce in atomi”. I Sioux credevano che le scogliere franate lungo il fiume Missouri fossero il luogo dove i Thunderbirds avevano attaccato i Water Monsters, mentre si diceva che le acque del Buffalo Lake era divenute amare poiché vi era stato ucciso un Water Monster.

Anche dei Thunderbids capitava di rinvenire resti. Un Sioux raccontò al già citato Gideon Pond di aver trovato il corpo di un Thunderbird lungo il fiume Blue Earth nel Minnesota meridionale, con un apertura alare di “25-30 piedi”. Nel 1859 Edward Neill riferiva che alcuni Sioux avevano rinvenuto lo scheletro di un altro Thunderbird. Resoconti come questo indicano che i ritrovamenti di fossili possono aver contribuito a cristallizzare nell’immaginazione dei nativi la figura del Thunderbird. Secondo Adrienne Mayor:

Molte delle credenze sui quattro tipi di Thunderbird erano simboliche, e alcune delle storie potrebbero aver combinato memorie di grandi rapaci estinti dell’Era Glaciale con narrazioni fantasiose. Ma le scoperte di grandi scheletri identificati come Thunderbirds fino nell’Ottocento suggeriscono che veri fossili di creature alate o dotate di becco hanno giocato un ruolo in questa mitologia.”

In Minnesota non si trovano fossili di rettili alati del Mesozoico ma bisogna prendere in considerazione la possibilità che i Sioux che avevano viaggiato fino in Dakota e in Nebraska abbiano avuto modo di vedere fossili di Pteranodons o dell’uccello preistorico Hesperornis.

Questo e gli altri miti che abbiamo passato in rassegna dimostrano non solo che i fossili erano ben conosciuti dalle popolazioni native del continente americano, ma che, seppur all’interno di una cultura prescientifica, la loro esistenza aveva influenzato le nozioni sulla creazione del mondo, sulle ere passate e sulle varie forme di vita che si erano succedute nel corso del tempo. Chissà se la grande mole di materiale raccolto da Adrienne Mayor avrebbe fatto cambiare idea al paleontologo George Gaylord Simpson in merito alle conoscenze paleontologiche dei nativi. Di sicuro c’è che queste leggende ci invitano a guardare con meno sufficienza e più rispetto le visioni del mondo altre rispetto a quella contemporanea e ad apprezzarne il fascino e la poesia.


BIBLIOGRAFIA:

The First Fossil Hunters di Adrienne Mayor

Fossil Legends of the First Americans di Adrienne Mayor

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