Sulla simbologia sacra del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto

Prendendo spunto dagli studi di autori come Burckhardt, Eliade, Guénon e Chevalier sul “simbolismo costruttivo” delle cattedrali, ci occupiamo in questa sede di quella di Santa Maria Annunziata di Otranto in Puglia. 


di Valentina Tamburrano

 

Il mosaico pavimentale della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto è una delle opere senza dubbio più affascinanti che l’Italia conserva, e di cui, nonostante le numerose interpretazioni, ben poco si è scoperto circa il reale significato simbolico celato tra le splendide raffigurazioni che lo popolano. Chi ha potuto godere, infatti, del privilegio di osservarlo dal vivo ha senz’altro sperimentato quella bizzarra sensazione di trovarsi di fronte ad un messaggio profondo ma nascosto, sfuggente, eppure maestosamente coinvolgente. Eppure, sebbene di fatto si conosca ben poco sulle vicende che hanno portato alla realizzazione dell’opera musiva, un’analisi più attenta in grado soprattutto di prendere in considerazione la mentalità e i costumi simbolici della società dell’epoca potrebbe condurre a risultati di sicuro più soddisfacenti per la comprensione del suo significato ultimo.

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IL SIMBOLISMO DELLE CATTEDRALI

Nel momento in cui ci si approccia al mondo dei simboli bisogna innanzitutto accettare e riconoscere il fatto che l’uomo delle società tradizionali, a differenza di quello moderno, attribuiva un alto valore all’idea di ‘sacro’: sacri erano ritenuti tutti quegli aspetti della realtà (naturali e umani) in grado di rivelare l’aspetto archetipico dell’Universo, ovvero capaci di interrompere il naturale fluire dell’esistenza ordinaria ed attualizzare il tempo e lo spazio divini delle origini.

In un contesto, quindi, in cui il mondo era ritenuto “sacro in quanto opera degli dèi” [1], il santuario occupava un posto d’eccezione, giacché nel suo interno si realizza il contatto immediato e continuo fra l’essere umano e la divinità: nel tempio, cioè, “luogo santo per eccellenza” [2], il tempo profano, lineare e quantitativo, cessa di esistere a favore di un tempo sacro, immutabile e qualitativo. “Per i cristiani, […] la chiesa doveva essere l’immagine della città divina” scrive Titus Burckhardt [3]: difatti per il cristianesimo l’archetipo del santuario è incarnato dal modello della Gerusalemme Celeste che fu rivelato all’uomo per grazia divina [4]. La Città viene “paragonata ad un gioiello unico, inalterabile e sfavillante” [5], dimora di Dio e simbolo del Centro che contiene in sé “il nuovo ordine delle cose che sostituirà quello del mondo presente, alla fine dei tempi” [6].

Il simbolo della Gerusalemme Celeste è analogo a quello del Paradiso: se questo rappresenta l’esistenza che si svolge prima della caduta nella dimensione della dualità, la Città divina costituisce il superamento di tale dimensione, in cui l’esistenza umana rinasce in un ordine completamente rinnovato. L’armonia del Cosmo, che nel Paradiso si esprime attraverso la vitale bellezza delle piante e degli animali che lo abitano, nella Gerusalemme Celeste viene incarnata da un’architettura staticamente perfetta: la forma quadrata [7] deriva così da misure di uguale lunghezza, larghezza e altezza; dodici porte, tre per ogni direzione cardinale, sono sparse lungo le sue mura ad indicare il percorso del sole; dodici sono gli angeli e i “nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele” (Ap 21, 12) [8], dodici come gli apostoli, infine, sono le sue fondamenta.

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A tale modello, dunque, si ispiravano i primi cristiani nella costruzione degli edifici sacri, sebbene di fatto essi credevano anche che “rimanendo la chiesa ancora sulla terra e nel tempo, essa non deve assomigliare letteralmente alla Città celeste” [9]: così fu deciso di adottare una serie di espedienti geometrici e direzionali i quali dovevano, tuttavia, attenersi ad un preciso schema simbolico per fare in modo che l’edificio terrestre somigliasse il più possibile al suo modello celeste [10]. Tale fenomeno, che rientra in quel sistema più vasto che conosciamo come simbolismo costruttivo, è di per sé complesso, e tuttavia costituisce una tradizione comune a popoli geograficamente e temporalmente molto distanti tra loro: se si parte dal presupposto che per le società tradizionali l’insediamento delineava una separazione tra un Cosmo ordinato e una realtà caotica ed oscura, si può comprendere allora quale fosse l’importante ruolo che per tali società era svolto dalle abitazioni e, in misura ancora maggiore, dagli edifici sacri. Costruendo, l’uomo ripeteva e imitava l’atto di creazione dell’Universo; per questo motivo la costruzione non doveva avvenire in maniera casuale, ma si sottoponeva a regole rigide e ciclici riti di consacrazione [11].

In particolare, i cristiani presero in prestito dai romani l’usanza delle costruzioni orientate, ovvero l’abitudine di disporre in maniera consapevole nello spazio gli edifici, di modo che la loro direzione simboleggiasse il ricongiungimento metaforico del mondo terreno con quello celeste [12]. Nel caso specifico dei templi cristiani si era soliti disporre l’ingresso ad Ovest “regione delle tenebre, dell’angoscia, della morte, delle dimore eterne dei morti che attendono la risurrezione dei corpi e il giudizio universale” e l’altare ad Est, “Porta del Paradiso” [13] in cui Dio appare allo stesso modo del sole che nasce ad Oriente: in questo modo si tracciava un vero e proprio percorso simbolico che si muoveva per tutta la lunghezza della navata centrale, in grado di segnare, per il fedele, il passaggio dalla dimensione del peccato a quella dell’incontro con Dio [14].

Ovviamente la simbologia non riguardava unicamente la direzione dell’edificio, ma anche i suoi spazi interni: “l’interno della chiesa è l’universo. […] Il centro dell’edificio è la Terra. […] Le quattro parti all’interno di una chiesa sono il simbolo dei quattro punti cardinali” [15]. In più, il tempio era considerato anche il riflesso microcosmico del celeste ordine macrocosmico, di modo che la stessa sua struttura imitasse la forma del corpo umano, con il capo laddove vi è l’abside, le braccia negli spazi dei transetti, il petto nel luogo dell’altare, e il resto del corpo disteso lungo tutta la navata con i piedi disposti all’ingresso dell’edificio. È Cristo che vive nel tempio ed è l’uomo, che a sua immagine, inscritto nella forma dell’edificio, realizza il matrimonio tra dimensione celeste e materia terrestre [16]:

« Iscritto nel piano della chiesa, il corpo di Cristo è come ‘inchiodato’ alla croce degli assi del cielo: la sua testa riposa a Est, i suoi piedi sono disposti a Ovest, e le sue braccia si stendono verso il Nord e il Sud. La corrispondenza fra la croce cardinale e la croce della Passione viene attestata dalla tradizione. Secondo i Padri della Chiesa Girolamo e Basilio, la croce degli assi celesti è la prefigurazione, nel cosmo, della croce del martirio alla quale fu inchiodato il Salvatore. »

Oltre a simboleggiare le direzioni dello spazio e la relazione che esiste fra le forze del mondo, gli assi della croce realizzano la condizione di quello che René Guénon chiama l’ Uomo perfetto” o “Uomo universale”. Se l’Universo è pensato come l’insieme delle possibilità manifeste e non degli infiniti stati dell’essere che si emanano dal Centro, e se si considera l’asse orizzontale come “l’ampiezza o l’estensione integrale dell’individualità” e quello verticale come “la gerarchia […] degli stati molteplici” [17], allora l’Uomo totale sarà colui che realizza l’espansione massima sia nel senso della larghezza che in quello della profondità; esaudisce, cioè, la pienezza delle possibilità di esistenza sia nella sfera della manifestazione individuale che in quella della manifestazione universale.

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Nel cristianesimo l’Uomo universale è il Profeta, per gli ebrei è l’ Adam Qadmôn della Qabbalah […]; pure il Re ( Wang ) della tradizione estremo-orientale” [18]. Nello spazio del tempio si consuma la crocifissione di Cristo, che è anche la crocifissione di ciascun essere umano inchiodato ai molteplici stati del divenire: solamente attraverso il raggiungimento di una piena consapevolezza della propria origine divina, l’uomo potrà risorgere allo stesso modo di Gesù Cristo.

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ABSIDE: LA MORTE INIZIATICA, LE ACQUE E IL SOLE

Nell’abside orientato verso Est, Pantaleone rappresenta le vicende del profeta Giona, dalla caduta in mare al momento in cui viene inghiottito dal mostro marino, sino all’arrivo nella città di Ninive, dove annuncia la punizione di Dio ai suoi abitanti infedeli e peccatori. È significativo innanzitutto il fatto che tale racconto sia stato voluto proprio nell’abside, ovvero nello spazio rivolto ad Est e pertanto più prossimo a Dio. La storia di Giona è principalmente un richiamo al simbolismo acquatico: l’acqua esiste prima della Creazione [19] e ne è, anzi, la fonte da cui sgorga l’esistenza intera; l’acqua è “simbolo cosmogonico, ricettacolo di tutti i germi, […] sostanza magica e medicinale per eccellenza; guarisce, ringiovanisce, assicura la vita eterna” [20], ma essa rappresenta anche lo spazio indistinto a cui tutte le esistenze fanno ritorno dopo la morte.

L’importanza predominante dell’acqua come simbolo madre di tutte le possibilità dell’esistenza è un tratto comune a molte culture, così come viene attestato non soltanto nei testi sacri, ma anche nei molteplici riti legati a questo elemento che investono la dimensione della sacralità tanto quanto quella della profanità [21]. Nonostante l’eterogeneità dei riti magico-religiosi sviluppatisi in tempi e regioni diversi, la funzione delle acque rimane sempre la stessa: in quanto sorgente primordiale e dimensione indifferenziata che contiene la potenzialità dell’esistenza, l’acqua è uno spazio che precede la creazione e al quale la creazione tutta riviene. Molti miti cosmogonici narrano della creazione del mondo come procreato dall’informe caos delle acque iniziali, così come sempre a queste acque è associato il simbolo dell’albero.

L’acqua è anche pozione purificatrice e principio della vita eterna: coloro che vogliono possederne le virtù devono pertanto sottoporsi ad una “prova iniziatica di tipo eroico” [24] e sconfiggere i mostri che la popolano. Questa è l’impresa cui deve sottoporsi Giona, le cui vicissitudini anticipano quelle di Cristo e assumono tutte le caratteristiche di una vera e propria “morte iniziatica”. Come tutti i simboli, infatti, anche quello dell’acqua presenta un duplice volto; essa è dispensatrice di fecondità e vita eterna, ma anche potenza distruttrice che, attraverso il diluvio inonda la creazione intera consentendo l’avverarsi di una condizione ciclica del Cosmo, tramite cui le esistenze dapprima annientate, risorgono come purificate e reintegrate nel nuovo ordine dell’Universo.

Il rito del diluvio viene ripetuto al livello della condizione umana dal battesimo: “simbolicamente l’uomo muore per mezzo dell’immersione, e rinasce purificato, rinnovato […]” [25]. Il senso della “morte iniziatica” va ricercato nel suo costituire un rito di passaggio tra la dimensione profana e quella divina: “morte in rapporto allo stato antecedente, nascita in rapporto allo stato conseguente. L’iniziazione è generalmente descritta come una «seconda nascita» e lo è di fatto; ma, questa «seconda nascita» implica necessariamente la morte al mondo profano ed in qualche modo la segue immediatamente, poiché non si tratta in verità che delle due facce di uno stesso cambiamento di stato” [26].

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Questa condizione è quindi una specie di palingenesi, dal momento che annulla la storia e attua la “restaurazione dello stato germinale” [27]; poiché la restaurazione implica la ripetizione della cosmogonia, è necessaria la caduta in una condizione infernale da cui l’iniziato deve risalire per rinascere completamente mondo. La condizione infernale in questione è rappresentata dal mostro marino che abita le acque primordiali: discendendo nelle sue viscere, Giona, l’iniziato, cade nella dimensione inferiore [28] dominata dalle tenebre che rievocano la Notte Cosmica, ovvero il Caos primordiale. Il periodo di prigionia che dura esattamente tre giorni si conclude con la nuova nascita del profeta e preannuncia la futura resurrezione di Cristo.

La presenza della balena è altrettanto significativa: essa infatti “nasconde la polivalenza dello sconosciuto e dell’interno invisibile; è la sede degli opposti che possono venire ad esistere. La sua massa ovoidale è stata paragonata perciò alla congiunzione di due archi di cerchio che sarebbero i simboli del mondo superiore e di quello inferiore, del cielo e della terra. […] Questa semicirconferenza rappresenta ugualmente una coppa, che per certi aspetti può significare la matrice. In quest’ottica, cioè come elemento passivo della trasmutazione spirituale […] la balena rappresenta in qualche modo ogni individualità, nella misura in cui contiene nel suo centro il germe dell’immortalità” [29].

In quanto coppa del germe iniziale, del nocciolo dell’esistenza, la balena ricorda la “caverna iniziatica” [30] dalla quale emerge l’essere completamente rinnovato. Così il “nuovo” profeta Giona può svolgere la missione affidatagli da Dio convertendo Ninive, la città peccatrice, ed instaurare anche qui l’ordine divino. La dimensione caotica in cui vive la città è rappresentata nel mosaico da uomini nudi che danzano, dal re che osserva terrorizzato e impone che “tutta la città si penta, digiuni e si vesta di sacco” [31], probabilmente anche da una scena di caccia al cinghiale e dai “suonatori di tromba [che] diffondono la tremenda profezia dalle porte e dalle mura cittadine […]” [32].

Il movimento del racconto prosegue da destra verso sinistra, da Sud a Nord, dalla dimensione maschile a quella femminile [33]. Il personaggio di Sansone, l’eroe biblico dalla forza sorprendente, ricorda quello dell’eroe “solare” che nel Medioevo veniva costantemente associato al “prototipo di Cristo vittorioso” [34]. Le ierofanie solari, a differenza di ciò che si è comunemente portati a pensare, conservano uno stretto legame con i riti funerari, dunque con la dimensione lunare-infernale: tramontando, il Sole muore per poi risorgere nuovamente. In questo percorso esso assume il valore di psicopompo, dal momento che guida le anime nella regione infernale per poi ricondurle alla resurrezione della luce nuova. Anche nella storia di Sansone, dunque, si incontra il simbolismo della “morte iniziatica” [35]: uccidendo il leone, l’eroe rinnova se stesso ed instaura un nuovo ordine delle cose.

Ora, la figura del leone presenta, come tutti i simboli, una doppia ambivalenza: esso è “simbolo di potenza, di sovranità, […] del Sole, dell’oro, della forza penetrante della luce e del verbo” [36] (per merito di tali qualità, il leone è stato uno degli animali privilegiati dall’iconografia cristiana; emblema spesso di Cristo e della resurrezione); ma anche, a causa di un temperamento violento e degli appetiti insaziabili, simbolo di avidità e di istintività. Sansone squarcia il leone “come si squarcia un capretto” [37] e, annullandone la natura malvagia, ne assimila le proprietà divine simbolicamente espresse tramite le figure del miele e delle api [38] che invadono la carcassa dell’animale. Il fenomeno di passaggio delle virtù dell’oggetto al soggetto avviene attraverso una specie di processo omeopatico: mangiando le carni dell’animale-divinità, l’eroe ne assorbe le caratteristiche [39].

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La corrispondenza esistente fra la figura di Sansone e quella dell’eroe solare che si risolve completamente nell’abside-testa dell’edificio sacro è convalidata anche dal fatto che la forza dell’eroe risiede nei suoi capelli. Oltre a rappresentare “alcune virtù o certi poteri dell’uomo: la forza, la virilità” [40], è significativo il loro crescere in corrispondenza del cranio, dove si situa la corona divina (la Keter della Qabbalah ebraica); i capelli potrebbero pertanto essere i raggi tramite cui la potenza e la grazia di Dio possono discendere sull’uomo [41]. La minaccia delle tenebre è perennemente in agguato, come si può percepire grazie alla presenza del grande mostro-serpente [42] raffigurato subito prima di Sansone. È l’eroe biblico, tuttavia, a terminare la prima narrazione che si svolge nell’abside, simbolo completo della “morte iniziatica” che salendo dalle tenebre delle acque prima al regno del Sole poi, inaugura il nuovo ordine divino.

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Note:

[1] M. Eliade ( Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, 2013), p. 42

[2] Ibid.

[3] T. Burckhardt ( La Nascita della Cattedrale, Chartres; Edizioni Arkeios, 1995 ), p. 13

[4] “Per il popolo d’Israele i modelli dei tabernacoli, di tutti gli utensili sacri e del Tempio, sono stati creati da Jahvè dall’eternità e Jahvè li rivelò ai suoi eletti perché li riproducessero sulla Terra. In questi termini parlò a Mosè: “Costruirete il tabernacolo con tutti gli strumenti, esattamente secondo il modello che ti mostrerò” ( Esodo, 25. 8-9 . […] Quando Davide consegna al figlio Salomone il progetto di fabbricazione del Tempio, del tabernacolo e degli utensili, lo assicura che “tutto ciò…si trova in uno scritto di pugno dell’Eterno, che egli mi ha svelato” ( I Cronache, 28.19 )” – M. Eliade ( Ibid. ), p.43

[5] T. Burckhardt ( Ibid. ), p.32

[6] J. Chevalier; A. Gheerbrant ( Dizionario dei simboli, BUR Rizzoli; 2016 ), p.494

[7] “[…] questo [il Paradiso] era il cielo sulla terra, mentre la nuova Gerusalemme è la terra nel cielo; le forme circolari si riferiscono al cielo, quelle quadrate alla terra” – J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), p. 495

[8] Da (Ap 21, 12) in T. Burckhardt ( Ibid. ), p. 3

[9] T. Burckhardt ( Ibid. ), p.35

[10] Quello che Burckhardt definisce come “coagulazione del cerchio” ( T. Burckhardt, Ibid., p. 37 ) è il risultato di un meticoloso procedimento geometrico attraverso il quale gli “architetti” cristiani erano in grado di derivare gli assi dell’edificio da una figura circolare tracciata sul suolo tramite l’uso del compasso. Tale processo motivava la dissomiglianza del tempio in terra dall’archetipo celeste: “Se consideriamo il cerchio come la traccia visibile del tempo, la «coagulazione» del cerchio in rettangolo rappresenta la trasformazione del tempo in uno «spazio» spirituale. Questo corrisponde al simbolo della Gerusalemme celeste che, alla fine dei tempi, discenderà dal cielo sotto forma di un cubo perfetto” ( T. Burckhardt, Ibid., p.37 ). Sul ruolo privilegiato del compasso citiamo un breve commento che si legge nel Vitruvius-Teutsch di Cesare Cesariano: “Innanzi tutto vi è il compasso, la cui importante caratteristica è che in ogni cerchio di qualsivoglia dimensione le due punte possono essere applicate sei volte sulla circonferenza tracciata; in altre parole, la metà del diametro di ogni cerchio ne divide tutta la circonferenza in sei parti uguali” ( M. Gout, Il simbolismo nelle cattedrali medievali, Edizioni Arkeios, 2001; p. 30 ). Il cerchio diviso in sei parti è un simbolo ricorrente nella cristianità perché: a) vi si legge in maniera limpida il rapporto tra il centro (l’Unità, il Principio) e la circonferenza (manifestazione del centro, dunque il Mondo), non potendo sussistere questa senza il primo; b) i raggi, di numero potenzialmente infinito, che diramandosi dal centro, dividono la circonferenza, hanno come effetto innanzitutto quello di conferirle valore in quanto espressione di un eterno movimento ciclico che governa la realtà; in secondo luogo, simboleggiano la linea ideale attraverso cui il centro si manifesta nel mondo e, in un percorso alla rovescia, il mondo può ritornare al Principio; c) infine, il cerchio così disegnato ricorda il monogramma di Cristo, i cui raggi corrispondono “ai punti cardinali e all’asse polare, simbolo del «sole invincibile» (sol invictus)” – T. Burckhardt ( Ibid. ), p. 20; R. Guénon ( Il simbolismo della croce, Adelphi, 2012 ). È lecito dunque affermare che, oltre che nel campo dell’ontologia, la sacralità della chiesa in quanto Centro del Mondo viene legittimata anche dalle regole di costruzione le quali, nell’utilizzo di specifiche figure geometriche, si dimostrano intrise di un elevato spirito religioso.

[11] Per approfondimenti: M. Eliade ( “Lo spazio sacro e la sacralizzazione del mondo”, in Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, 2013 )

[12] Il tempio è uno dei simboli del Centro: tale simbolismo giustifica il mondo come manifestazione su livelli diversi dell’Unità primordiale e si esprime geometricamente nella figura del punto all’interno di una circonferenza ( R. Guénon, “L’idea del centro nelle tradizioni antiche”, Ibid. ). Nei luoghi ove si realizza l’identità con il Centro, con l’Essere originario, vi è una “rottura dei livelli” attraverso cui diventa possibile entrare in comunicazione con il mondo celeste superiore o con quello infernale inferiore. Tale comunicazione è comunemente simboleggiata da immagini, quali l’albero, la scala, la montagna ecc., “che si identificano con l’Axis mundi […]” attorno al quale “si estende il ‘Mondo’” ( M. Eliade, Ibid. ), p.29

[13] M. Eliade ( Ibid. ), p. 44

[14] Nel mondo cristiano si videro coabitare relativamente presto due tipi di cattedrali molto differenti fra loro: la basilica sviluppata in lunghezza, che raffigurava il rapporto fra il nostro mondo e l’aldilà mediante una via orizzontale, dal sagrato all’abside; e l’edificio a cupola chiuso sul centro, che raffigurava il cielo a strapiombo sulla terra. La cristianità latina privilegiò il tipo della basilica; diversamente, per la cristianità greco-ortodossa, la costruzione a cupola risultò il modello predominante, anche se non esclusivo. Una tale scelta si spiega in parte attraverso la liturgia delle due chiese che pone in risalto soprattutto la differenza fra le attitudini spirituali delle due comunità: lo spirito latino mette l’accento sul progresso spirituale mediante le opere e l’ascesi; lo spirito orientale, invece, fa risaltare la visione contemplativa.” – T. Burckhardt ( Ibid. ), p. 25

[15] T. Burckhardt ( Ibid. ), p. 30

[16] Ibid.

[17] R. Guénon ( Il simbolismo della croce, Adelphi, 2012 ), p. 30

[18] Ibid., p. 25

[19] “Le Acque esistevano prima (come si legge nel Genesi: “le tenebre coprivano la superficie dell’abisso e lo Spirito di Dio planava sulle acque”) […]” – M. Eliade ( Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri 2013 ), p. 83

[20] M. Eliade ( Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007 ), p. 174

[21] “In India, l’acqua è la materia prima, la Prakriti. Il Brahmanda, l’Uovo del mondo, è covato sulla superficie delle acque. […] Per i Cinesi, l’acqua è il Wu-chi, il senza culmine, l Caos primitivo. […] Nelle tradizioni ebraica e cristiana l’acqua simboleggia innanzitutto l’origine della creazione. La lettera ‘men’ (M) ebraica simboleggia l’acqua sensibile, madre e matrice, fonte di tutte le cose, essa manifesta il trascendente e deve perciò essere considerata una ierofania, una manifestazione del sacro. […] Anche nella tradizione islamica l’acqua simboleggia diverse realtà. a) Il Corano designa l’acqua che cade dal cielo come uno dei segni divini […]” – J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), pp. 7-8; per i riti fecondatori e purificatori legati all’acqua si veda M. Eliade ( Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007 ), pp. 169-194

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[22] “Le acque simboleggiano la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme, e alle quali tornano, per regressione o cataclisma” – M. Eliade ( Ibid. ), p. 169

[23] L’albero della Vita nel Paradiso è circondato dal “fiume dalle quattro braccia” (Genesi, 2, 9, 10); “Il ‘fiume senza età’ (vijāra nadī) si trova accanto all’albero miracoloso della Kausitakī Upaniṣad, I, 3; e nell’Apocalisse (22, 1-2) i due simboli stanno uno accanto all’altro: “Mi mostrò poi il fiume e l’acqua della vita, limpida come cristallo, che sgorga dal trono di Dio e dell’agnello […] E sulle due sponde del fiume cresce l’albero della vita”” – M. Eliade ( Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007 ), pp. 174-175; un’ulteriore affinità tra il simbolo dell’albero e quello delle acque come fonte di vita eterna consiste nella prova iniziatica cui deve cimentarsi chiunque voglia acquisire tale privilegio: per le acque vedremo il significato della vicenda di Giona e il ruolo del mostri marini, per l’albero, invece, “[…] i miti sulla ricerca dell’immortalità e della giovinezza, mostrano un albero dai frutti d’oro o dalle foglie miracolose, albero che si trova ‘in un paese lontano’ (cioè nell’altro mondo) e difeso dai mostri (grifoni, draghi, serpenti)” – M. Eliade ( Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, 2013 ), p. 96

[24] Ibid.

[25] M. Eliade ( Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007 ), p. 177

[26] R. Guénon ( Considerazioni sull’iniziazione, Luni editrice, 2014 ), p.141

[27] M. Eliade ( Miti, sogni e misteri, Rusconi, 1990 ), p.188

[28] “Nelle visioni medievali gli inferi sono frequentemente immaginati sotto la forma di un enorme mostro marino, che ha forse il suo prototipo nel Leviatano biblico. Essere inghiottiti equivale quindi a morire, a penetrare negli inferi […]” – M. Eliade ( Ibid. ), p. 187

[29] J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), p. 130

[30] Ibid.

[31] (Giona 3, 8)

[32] C. A. Willemsen ( L’enigma di Otranto, Congedo Editore; 1980 ), p. 66

[33] Se osserviamo però le figure del mosaico assumendo lo sguardo del Corpo virtualmente contenuto nel tempio, allora la destra diventerà sinistra e viceversa; il maschile sarà femminile (Giona e le Acque) e il femminile maschile (Sansone e il Sole). Ancora, è possibile citare la tesi secondo la quale la caduta dell’uomo primordiale sconvolge l’ordine ontologico delle cose in maniera da invertire la destra con la sinistra: “Nell’economia di tale dramma, l’uomo è pervenuto all’illusione dell’unità acquisita con la conquista del suo NOME senza aver cominciato il lavoro dagli sponsali inferiori. Adamo è ormai rivestito di “tuniche di pelle”, “rivoltato” all’esterno di sé. […] Questa natura distribuisce le energie in modo tale che la destra è divenuta la sinistra e la sinistra la destra. Nell’uomo-in-tunica-di-pelle […] il cervello destro, corrispondente alla saggezza, invia le sue informazioni al lato sinistro del corpo, e il femminile, che è ontologicamente forza profonda, diviene misericordia femminilizzata, cioè affettività emozionale.” A. de Souzenelle ( Il simbolismo del corpo umano, Servitium editrice; 2010 ), p. 69; In questo senso allora, sinistra femminile e destra maschile segnano il passaggio da una dimensione lunare (quella delle acque) ad una solare (incarnata nel mosaico dalla figura di Sansone).

[34] H. e M. Schmidt ( Il linguaggio delle immagini, iconografia cristiana, Città nuova, 1988 ), p. 21 in G. Gianfreda ( Ibid. ), p. 113

[35] La “morte” che avviene sotto il segno del Sole è tuttavia differente rispetto a quella tipica del simbolismo lunare: il Sole “senza conoscere la morte (come la conosce, per esempio, la Luna), attraversa ogni notte il regno della morte e riappare l’indomani, eternamente uguale a se stesso. Il “tramonto” non è percepito come “morte” del Sole (contrariamente ai tre giorni di oscurità della Luna , bensì come una discesa dell’astro nelle regioni infere, nel regno dei morti. Diversamente dalla Luna, il Sole ha il privilegio di attraversare queste regioni senza subire la modalità della morte)” – M. Eliade ( Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007 ), p. 122

[36] J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), p. 574

[37] (Giudici 14, 6)

[38] Sia il miele che le api sono simbolo di rigenerazione e purificazione: “il miele è simbolo del nutrimento spirituale dei santi e dei saggi; […] secondo le Pseudo Dionigi l’Areopagita, gli insegnamenti di Dio sono paragonabili al miele “per la loro proprietà di purificare e di conservare”. Il miele designerà la cultura religiosa, la conoscenza mistica, i beni spirituali, la rivelazione iniziatica […]. Nel corso dei misteri eleusini, del miele veniva “dato agli iniziati di un grado superiore come segno di vita nuova”. Il miele ha così una funzione nel risveglio primaverile iniziatico ed è legato ai riti di rinascita” – J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), pp. 654-655; “secondo antiche credenze le api potevano nascere per germinazione spontanea da animali sacrificati da divinità. […] ovunque l’ape era considerata un essere di fuoco, una natura ignea. Rappresenta le sacerdotesse del tempio, le Pitonesse, le anime pure degli iniziati, lo spirito, la parola; purifica con fuoco e nutre col miele, brucia col suo dardo e illumina col suo splendore. […]” – Ibid., p. 74

[39] J. Frazer ( Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, 2014 ), pp. 586-590

[40] J. Chevalier, A. Gheerbrant ( Ibid. ), p. 195

[41] A. de Souzenelle ( Ibid. ), p. 353

[42] Il serpente gigantesco situato ai margini del mosaico dell’abside è probabilmente il Leviatano biblico, il cui significato rimanda al simbolismo dei mostri acquatici di cui abbiamo già trattato con l’episodio di Giona. Viene qui raffigurato nell’atto di strangolare un cervo con la sua coda, ovvero di “inghiottire il sole” (J. Chevalier, A. Gheerbrant; Ibid.; p. 584 ), se ammettiamo l’assorbimento del cervo nella dimensione degli animali solari.


Bibliografia:

  • T. Burckhardt – La Nascita della Cattedrale, Chartres; Edizioni Arkeios, 1995
  • J. Chevalier; A. Gheerbrant – Dizionario dei simboli, BUR Rizzoli; 2016
  • J. Frazer – Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, 2014
  • M. Gout – Il simbolismo nelle cattedrali medievali, Edizioni Arkeios, 2001
  • R. Guénon – Considerazioni sull’iniziazione, Luni editrice, 2014
  • R. Guénon – Il simbolismo della croce, Adelphi, 2012
  • M. Eliade – Miti, sogni e misteri, Rusconi, 1990
  • M. Eliade – Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, 2013
  • M. Eliade – Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, 2007
  • A. de Souzenelle – Il simbolismo del corpo umano, Servitium editrice; 2010
  • C. A. Willemsen – L’enigma di Otranto, Congedo Editore; 1980

 

2 commenti su “Sulla simbologia sacra del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto

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